Rumore – vociare dei clienti

Rumore – vociare dei clienti – responsabilità del gestore del locale
Cass. pen. sent. n. 19090/2018
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Il gestore di un locale è tenuto ad impedire che il vociaredei clienti disturbi la quiete pubblica. Non basta che il gestore ponga avvisi ai clienti o altri accorgimenti; ciò che conta è solo l’idoneità dei presidi ad impedire il disturbo della quiete pubblica. Nel caso in esame il gestore di un bar arriva in Cassazione ritenendo non solo di aver posto in essere tutti i presidi anche tecnici per evitare il disturbo ma anche di non essere responsabile di attività, vociare, compiuta da altri.
La Cassazione è di altro avviso.
La Cassazione ricorda che per ...continua lettura articolo rumore – vociare – gestore

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Rifiuti – responsabilità dell'appaltatore

Rifiuti – responsabilità dell’appaltatore
Cass. pen. sent. n. 19152/2018
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La Cassazione precisa il rapporto tra impresa appaltante e appaltatore nella gestione dei rifiuti connessi ad un appalto.
Nel caso di specie il legale rappresentante della ditta appaltante si vede condannato in primo grado per la gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256 Dlgs. 152/2006) per aver depositato la impresa appaltatrice rifiuti in un’area di proprietà dell’appaltante.
L’impresa appaltante si difende ritenendo di non aver alcun obbligo di impedire attività che esula dalla propria ..…continua lettura articolo rifiuti e appaltatore

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Amianto – danno morale e prova

Amianto – danno morale e prova
Cass. sez. Lavoro 27324/2017
A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente 


Lavorare in ambiente inquinato da amianto non fa sorgere (sempre) nei lavoratori, non ammalati, il diritto ad ottenere il risarcimento del danno morale e da turbamento psichico.
La Corte ricorda invero che tale danno deve essere provato secondo le regole dell’onere probatorio e non discende dal mero obbligo datoriale alla salubrità dell’ambiente.  Nel caso in esame invero la Corte pur ribadendo il principio della risarcibilità del danno morale dei lavoratori che hanno lavorato in ambiente inquinato da amianto non ne ha riconosciuto il risarcimento per mancanza di prova.
La Corte ricorda i propri dicta: “ il danno ...continua lettura articolo – amianto

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Termine per bonifiche: 30 giorni sono pochi…

Bonifica e termini: 30 giorni sono pochi
TAR 174/2018 – CZ – Calabria
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri e Margherita Pepe


La P.A. non può imporre termine di soli 30 giorni per l’esecuzione di una bonifica laddove il termine di legge è di 6 mesi e deve inoltre considerare la difficoltà della bonifica ed i tempi congrui per l’esecuzione. La P.A. inoltre non può imporre oneri ed obblighi a colui che non è il responsabile dell’inquinamento.

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La società S. richiedeva l’annullamento di un provvedimento del Direttore Generale per la Qualità della Vita dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con il quale le si richiedeva di presentare, entro 30 giorni dalla data di ricevimento del provvedimento, un progetto di bonifica di una discarica di proprietà della società basato sulla rimozione della stessa.
Tra i vari motivi di annullamento, la ricorrente….continua lettura articolo TAR 174/2018 
 

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Committente e appaltatore: chi è il produttore rifiuti?

Committente e appaltatore – dei lavori e produttore dei rifiuti
Cassazione penale n. 223/2018
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La Corte di Cassazione precisa:
“…in ipotesi di esecuzione di lavori attraverso un contratto di appalto, è l’appaltatore che – per la natura del rapporto contrattuale da lui stipulato ed attraverso il quale egli è vincolato al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio dell’intera attività – riveste generalmente la qualità di produttore del rifiuto; da ciò …..continua lettura articolo Cass. pen. 223.2018

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Acque: scarichi e caso fortuito

Acque: Scarichi e …caso fortuito
Cassazione pen. 5763/2018
segnalazione a cura Studio Legale Ambiente


La Cassazione penale ricorda il significato di “caso fortuito”.
Nel caso di specie viene chiamata a rispondere del reato di cui all’art. 674 c.p.  la società di gestione degli scarichi e manutenzione(nella persona del suo legale rappresentante)  a cui il Comune aveva affidato l’incarico.
Nel corso dell’istruttoria emerge la negligenza della società di gestione sulla manutenzione e sulla rottura di una “pompa”. La società di gestione pone a sua difesa l’intervenuto “caso fortuito” e la Cassazione ricorso: ” Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte integra gli estremi del caso fortuito l’ipotesi dell’avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all’attività psichica dell’agente ..dovendosi escludere che si possa ritenere escluso l’elemento soggettivo del reato nei casi in cui al realizzarsi dell’evento ritenuto costituire il caso fortuito abbia dato causa l’agente con la propria condotta negligente od imprudente…
Come già è stata dianzi esaminato, seppure si volesse dire che il disservizio della pompa di sollevamento dell’acqua da cui è scaturito lo sversamento delle acque luride di cui al capo di imputazione possa costituire un caso fortuito, tuttavia il suo determinarsi è stato dovuto, come risultante dalla ricostruzione in fatto operata dal Tribunale di Locri, dalla negligente opera di manutenzione e controllo degli impianti del sistema di depurazione delle acque, il cui svolgimento era demandato alla impresa Alfa uno, diretta dalla odierna ricorrente.

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Bonifica e fallimento: recupero spese

Bonifica: Oneri di bonifica e fallimento.
Il Comune recupera le spese di bonifica e di sequestro.
 Cass. civ. Sez. I, Ord., 5-12-2017, n. 29113
 Segnalazione a cura Studio legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Il Comune che sostiene le spese di bonifica di un sito di società poi fallita e sostiene anche le spese giudiziarie per atti conservativi quali, ad esempio, il sequestro ha diritto di vedersi riconosciuto il diritto ad insinuarsi nel passivo fallimentare anche con privilegio rispetto agli altri creditori. Il fatto che le spese di bonifica e la bonifica stessa non sia conclusa all’atto del fallimento non pregiudica le ragioni del Comune.
Il Tribunale non ammetteva al passivo del fallimento di una società, il Comune che aveva sostenuto e doveva sostenere le spese per la bonifica di un terreno inquinato; il Tribunale non riconosceva il credito per ulteriori spese vantato dal Comune, (ritenendo mancante l’attualità del credito poiché i lavori non erano ancora stati eseguiti dall’ente) ed aveva altresì disconosciuto i privilegi invocati (artt. 2755 e 2770 c.c., riferiti alle spese sostenute per atti conservativi quali ad esempio il sequestro).
Il Comune si opponeva allo stato passivo del fallimento.
La Corte di Cassazione Civile si trova dunque a precisare sul caso relativo all’ammissione allo stato passivo del maggior credito, in capo ad un Comune, per le spese di messa in sicurezza e bonifica di un terreno inquinato a seguito dell’incendio sviluppatosi nell’impianto per il recupero dei rifiuti gestito dalla società fallita.
L ’esame della Corte si concentra sulla vigenza e legittimità della previsione del DM n. 471/1999 (provvedimento attuativo del decreto Ronchi) che disciplina l’ammissione al passivo fallimentare del credito del comune per le spese di bonifica, consentendo al creditore di presentare la domanda di insinuazione sulla base di una stima amministrativa (art. 18, c. 5).
La Corte ha affermato che:

  • il DM n. 471/1999 è tutt’ora vigente, in quanto non espressamente abrogato e in quanto il Codice Ambiente (art. 264) fa salvi i provvedimenti attuativi del decreto Ronchi non sostituti dai corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dal Codice;
  • la previsione in esame (art. 18, c. 5) – incidente sulla disciplina della legge fallimentare -, non è illegittima, poiché frutto di un corretto esercizio della delega contenuta nel decreto Ronchi. Tale delega, nel contemplare l’adozione dei “criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati” non ha specificato che debba trattarsi solo di criteri tecnici. Una diversa interpretazione metterebbe a rischio la possibilità di recupero delle somme nel caso del fallimento del debitore, considerati i tempi non brevi dell’esecuzione delle opere da parte dell’Ente pubblico, che ben potrebbero superare la data di chiusura della procedura fallimentare, con conseguente compromissione del diritto alla tutela giurisdizionale dell’ente e del principio del buon andamento dell’amministrazione.

La Corte ha altresì ritenuto sussistente il privilegio di cui agli articoli 2755 e 2770 cod. civ. per le spese del sequestro conservativo eseguito dal Comune: la ratio delle spese per atti conservativi, come il sequestro, risiede nell’avvenuta conservazione dei beni, impedendone l’alienazione a terzi, in vista del soddisfacimento delle ragioni di tutti i creditori, che si realizza nel fallimento come nell’esecuzione individuale mediante la liquidazione dei beni stessi.

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Cani: lesioni personali, risponde solo il proprietario?

Prendersi cura di un cane randagio, può costare “caro”…
Responsabilità del mero detentore – Cass. penale 51448/2017
segnalazione a cura Studio Legale Ambiente


Una famiglia si prende cura di una cane randagio, un pastore tedesco, che provvede ad aggredire il vicino di caso provocandogli lesioni.
Il vicino di casa aziona richiesta di risarcimento del danno e denuncia penale per lesioni (art. 590 c.p.) nei confronti del detentore dell’animale..
Dalle risultanze processuali infatti emerge che i figli dell’imputato erano soliti portare al guinzaglio e dare da mangiare al cane che aggredì per strada il vicino. Interessante anche la valenza che assume in giudizio l’offerta bonaria alla vittima di un risarcimento ritenuto dalla corte “un elemento indiziario dal quale presumere indirettamente un riconoscimento …di una qualche forma di responsabilità…”. Non solo , compaiono anche foto con il cane tenuto al guinzaglio e legato ad una catena nel cortile dell’ imputato.
Risulta dunque accertata una relazione di fatto (espressione della teoria del contatto sociale) con l’animale tale da far sorgere un obbligo di custodia in capo all’imputato.
Il mero possessore dell’animale assume dovere di custodia e di adottare tutte le cautele necessarie a prevenire le reazioni dell’animale. Non basta neppure tenere il cane in un cortile recintato o con la catena e neppure la scritta “attenti al cane” è bastevole a sollevare di responsabilità anche il semplice detentore. Nessuna valenza alla mancanza di registrazione dell’anagrafe canina e all’apposizione di un microchip.
Affidare un cane peraltro randagio nelle mani dei propri figli, magari minorenni ed inadeguati a condurre il cane può provocare conseguenze importanti.
Così afferma la Cassazione pen. 51448/2017

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Infortunio sul lavoro e responsabilità Società ex Dlgs. 231/2001

Natura colposa dell’infortunio sul lavoro e responsabilità ex Dlgs. 231/2001
 Cassazione penale n. 24697/2016 – Responsabilità dell’Ente in caso di infortunio sul lavoro – risparmio dei costi non sostenuti
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La Corte di Cassazione si occupa di un infortunio sul lavoro avvenuto presso impianto di frantumazione ad un lavoratore dipendente che riportava lesioni personali con conseguente incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni.
Si apre il procedimento ex Dlgs. 231/2001 anche per la Società.
La sentenza della Cassazione ripercorre i presupposti per la imputabilità della Società Continua lettura articolo Cass. 24697.2016 231

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V.I.A. – Regione Veneto e Corte Costituzionale

Verifica di assoggettabilità – LRV 10/99 art. 7 comma 2 – incostituzionale
Corte Cost. sentenza 218/2017
segnalazione a cura Studio Legale Ambiente


Recita la Corte Cost. 218/2017: “…Il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 2, in relazione all’allegato C4, punto 7, lettera f), della legge della Regione Veneto 26 marzo 1999, n. 10 (Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

La disposizione censurata prevede l’assoggettamento alla procedura di verifica della valutazione di impatto ambientale dei soli progetti relativi alla realizzazione di strade extraurbane secondarie di lunghezza superiore a 5 km, ponendosi, ad avviso del rimettente, in contrasto con la disciplina statale dell’art. 23, comma 1, lettera c), e relativo allegato III, elenco B, punto 7, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che impone di sottoporre alla detta procedura tutti i progetti di strade extraurbane secondarie, senza consentire alcuna esclusione a priori fondata su criteri meramente dimensionali….”

Corte Costituzionale affronta questione utile a precisare anche i limiti del potere Regionale in materia ambientale e

“dichiara l’illegittimità costituzionale, a far tempo dal 31 luglio 2007, dell’art. 7 comma 2, della legge della Regione Veneto 26 marzo 1999, n. 10 (Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale), nella parte in cui esclude dalla procedura di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale le strade extraurbane secondarie di dimensioni pari o inferiori a 5 km.V….”
Si rinvia alla lettura della Sentenza della Corte Cost. 218/2017 
adminV.I.A. – Regione Veneto e Corte Costituzionale
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Trasporto di rifiuti occasionale

Trasporto di rifiuti senza autorizzazione anche se occasionale: è reato
 Cass. pen. 27-09-2017, n. 44438
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Il Tribunale di Treviso, dichiarava la penale responsabilità in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), per il trasporto di rifiuti non pericolosi, costituiti da ammortizzatori, catalizzatori esausti, componenti metalliche intrise di olio e serbatoi di carburante rivenienti dallo svolgimento della attività di demolizione di autoveicoli connessa alla sua veste di titolare della Carrozzeria, in assenza di qualsivoglia autorizzazione; detti rifiuti, per una quantità pari a circa 10 mc, erano stati, infatti, trasportati, su di un autocarro presso la impresa per lo smaltimento rottami ferrosi
Il Tribunale di Treviso, nell’affermare la penale …continua lettura articolo – trasporto

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Rumore: autolavaggio rumoroso

Autolavaggio rumoroso: è reato?

Cassazione penale n. 39454/2017

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Il Tribunale condannava  per il reato di cui agli art. 81 cpv e 659, comma 2, c.p., il conduttore di un autolavaggio che  disturbava le occupazioni ed il riposo dei residenti/domiciliati nel medesimo fabbricato, in particolare di una  famiglia  “.. perché aveva omesso di eseguire appositi interventi tecnici insonorizzanti sugli impianti ivi esistenti, causando un rumore non accettabile per il superamento, a finestre aperte ed a finestre chiuse, del limite differenziale diurno (5db) di cui all’art. 4 DPCM 14.11.1997, rispettivamente riscontrata nella misura di 13db e 9,5 db, …”
La sentenza della Cassazione riassume l’inquadramento giuridico che il rumore proveniente da attività commerciale/industriale può provocare. Tant’è che il Giudice deve primariamente indicare con motivazione congrua la qualificazione giuridica del fatto contestato. Nel caso in esame invece il Giudice di prime cure si era limitato a condannare (penale) solo sulla base dell’accertamento dell’Arpa che accertava il rumore fuori norma.
Ma essere fuori norma non basta per configurare il reato e la Cassazione ricorda con sintesi i diversi casi/ipotesi che si possono verificare:
“… in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l’esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso, integra:
A) l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma secondo, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia;
B) il reato di cui al comma primo dell’art. 659, cod. pen., qualora il mestiere o la attività vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete;
C) il reato di cui al comma secondo dell’art. 659 cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorità che regolano l’esercizio del mestiere o della attività, diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447 del 1995
La Cassazione riteneva che il Tribunale non avesse compiuto idonea indagine sul fatto per la dovuta qualificazione giuridica e dunque annullava l’impugnata sentenza e rinviava al primo giudice per la diversa valutazione.
 

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Modello "231": quando è idoneo?

Modello “231”: quando  è idoneo?
Cassazione penale 11442/2016
segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


L’adozione del Modello 231 ai sensi del Dlgs. 231/2001 spesso non è concretamente attuato dalla Società. Per la creazione del Modello sono nate scrupolose “metodiche”, sono stati inventati  “programmi” di gestione del modello. Tuttavia si dimentica che adottare il modello significa avere una organizzazione idonea ad evitare il reato previsto dal Dlgs. 231/2001 a prescindere dai corposi cartacei frutto spesso di copia e incolla di altri Modelli (formalismo cartolare).
Adottare il modello 231 (cartaceo) non pone al riparo dalle contestazioni e dalla condanna per i reati presupposto laddove tale modello non sia effettivo ed idoneo.
Utile la lettura della sentenza della Cassazione n. 11442/2016 sul punto relativo alla idoneità del modello adottato da una Società per reato corruttivo.
Ed invero : ” In sede di appello, la ricorrente aveva contestato le conclusioni del primo giudice in ordine all’inidoneità del suddetto modello.
La sentenza impugnata perviene al giudizio di inidoneità di tutte le cautele adottate a far data dal 2001 dalla … s.p.a. – e quindi anche di quelle contenute nel modello -, evidenziandone le carenze, consistite nella previsione di misure preventive solo “sulla carta” e nell’assenza di alcun tipo di garanzia in grado di impedire o quanto meno rendere più difficile la partecipazione dei rappresentanti della ….s.p.a. alla complessiva corruzione attuata per aggiudicarsi i vari “treni” (quali, il comitato di controllo, l’internal audit, ecc.).
Si tratta di un giudizio di fatto non affetto dai vizi denunciati, in quanto la sentenza impugnata non ha tratto la prova dell’inidoneità del modello dalla mera commissione del reato di corruzione dai rappresentanti dell’ente.
La Corte di appello, dopo aver esaminato le cautele organizzative apprestate e averne stabilito la inidoneità, ha utilizzato quale argomento rafforzativo della sussistenza della responsabilità dell’ente quello di aver adottato una politica aziendale di mero formalismo cartolare (“paper compliance policy”), come era dato trarre dalla sistematica violazione da parte dei suoi responsabili della normativa penale e dall’entità dei fondi impiegati nelle dazioni corruttive.
Invero, nel caso in esame, dal giugno 2004 sino al dicembre 2004, nonostante l’adozione del modello, si erano susseguite – senza alcuna soluzione di continuità rispetto a quanto avvenuto in precedenza – le attività corruttive realizzate da Snamprogetti s.p.a. attraverso i suoi intermediari, che subivano una sospensione solo a seguito dell’inizio delle investigazioni penali…”

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Sicurezza sul Lavoro: Rischio di caduta dall'alto

Sicurezza sul Lavoro – Rischio di caduta dall’alto: responsabilità
Cassazione penale n. 18090/2017 – Ingegnere precipita dal tetto
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La sentenza considera due figure responsabili in concorso per la caduta mortale di un lavoratore dal tetto:
1) Amministratore delegato: viene imputato in quanto ometteva “ l’effettuazione di qualsivoglia attività di formazione e informazione del personale nonchè la predisposizione di idonee procedure connesse alle attività da compiere in ambienti sopraelevati, con pericolo di caduta dall’alto, e omettendo, inoltre, di dare adeguate istruzioni..”
2) Il Preposto di fatto: viene imputato in quanto …… CONTINUA LETTURA Cass. 18090.2017 responsabilità

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Emissioni in atmosfera? Bisogna dare prova

Emissioni in atmosfera e autorizzazione – prova della esistenza delle emissioni
Cass. pen. 36903/2015 – art. 279 Dlgs. 152/2006
segnalazione a cura Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente


La Cassazione penale 36903/2015 induce a riflessione sulle storture interpretative  delle norme ambientali, nel caso caso di specie dell’art. 279 Dlgs. 152/2006. La mente corre all’imputato che ha dovuto difendersi fino in Cassazione per sentire rilevare l'”ovvio”, per comprendere di aver subito un processo che non doveva neppure iniziare. E’ destino di molti soprattutto in materia ambientale.
Nel caso di specie l’imputato (presunto) svolgeva attività di commercializzazione di infissi interni ed esterni e materiali di arredamento e subisce la contestazione di aver svolto la sua attività “che produce emissioni” (ipoteticamente) senza la dovuta autorizzazione.
Il Tribunale di primo grado persino lo condanna e l’imputato ricorre trovando accoglimento delle proprie ragioni solo in Cassazione.
La Cassazione invero riconosce che non si può imputare la mancanza di autorizzazione delle emissioni senza il presupposto accertato e non presunto della esistenza delle emissioni. L’art. 279 Dlgs. 152/2006 richiede che l’attività concretamente svolta dal soggetto produca fattivamente delle emissioni che devono essere esistenti “non potendo dirsi sufficiente la mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti”.
Emissioni inquinanti meramente presunte dall’autorità amministrativa e dal Giudice di primo grado.
E dunque se non esistono concretamente emissioni in atmosfera la gestione dell’impianto non è soggetta alla richiesta di autorizzazione.
La conclusione della Corte di Cassazione che ripristina l’ovvietà non conforta sul fatto che spesso tale  l’ovvietà non è riconosciuta neppure in Cassazione .
 

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Sottoprodotto: la vendita non esclude la natura di rifiuto

Sottoprodotto e DM n. 264/2016: la vendita non esclude la natura di rifiuto
 A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri in collaborazione con la Rivista Recoverweb 


Il presente articolo è stato pubblicato sulla Rivista Recoverweb Magazine 39 Giugno 2017 a pagina 74,75 alla quale si rimanda per la completa lettura.
La storia del sottoprodotto trova origine nella giurisprudenza europea e nell’art. 5 direttiva 2008/98/CE che ha trovato espressione, nel nostro ordinamento, nell’art. 184bis Dlgs. 152/2006 (in vigore dal 25.12.2010).
L’art. 184bis Dlgs. 152/2006, voluto dal nostro legislatore con la riforma del 2010, accoglie quanto indicato dalla Giurisprudenza europea che però ha sempre affermato l’impossibilità di normare il “sottoprodotto” proprio per la necessità di valutare caso per caso.
Ad oggi l’Italia non solo ha normato il sottoprodotto nell’art. 184bis Dlgs. 152/2006 ma ha emanato il Regolamento del Min. Ambiente n. 264/2016 (vigente dal 2.3.2017) finalizzato a chiarire, regolamentare, i criteri per la individuazione del “sottoprodotto”; attesa, si ritiene, la confusione creatasi in materia e soprattutto la spaccatura evidente tra il modo reale ed il mondo del diritto.
Il Decreto Min. Amb. n. 264/2016… continua lettura sulla rivista Recover Magazine pag. 74,75 

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Comportamento della P.A. e affidamento del reo

Affidamento nel comportamento della P.A.: effetti, buona fede del reo
Cassazione penale n. 31261/2017
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La sentenza della Cassazione penale n. 3126/2017 affronta il caso tipico della società cessionaria che provvede solo a volturare l’autorizzazione allo scarico della cedente. .. Vero è che nel caso di specie la società aveva provveduto alla sola voltura e aveva provveduto anche a chiedere il rinnovo della autorizzazione alla P.A. che mai prendeva posizione sul punto creando il legittimo affidamento nella Società di essere in regola e dunque autorizzata allo scarico…. continua lettura  Cass. 31261.2017 acque 

adminComportamento della P.A. e affidamento del reo
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La Voltura dell' Autorizzazione… non basta..

Voltura dell’ autorizzazione allo scarico della società cedente: responsabilità
Non basta la Voltura – Cassazione penale n. 31261/2017
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Nel caso di cessione tra società, la parte cessionaria deve provvedere non solo alla voltura ma anche alla richiesta di autorizzazione ex novo per la nuova società. La sola voltura non basta.

Si ricorda l’art. 29 nonies comma 4 Dlgs. 152/2006: “Nel caso in cui intervengano variazioni nella titolarità della gestione dell’impianto, il vecchio gestore e il nuovo gestore ne danno comunicazione entro trenta giorni all’autorità competente, anche nelle forme dell’autocertificazione ai fini della volturazione dell’autorizzazione integrata ambientale “

La sentenza tuttavia ribadisce....continua lettura articolo Cass. 31261.2017 Voltura

adminLa Voltura dell' Autorizzazione… non basta..
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Deposito temporaneo – luogo di produzione rifiuti

Luogo di produzione dei rifiuti – deposito temporaneo
Diversa titolarità dell’area di produzione e deposito – Cass. penale 16441/2017
 A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Requisito per poter considerare il deposito come temporaneo è che il luogo di deposito sia “funzionalmente collegato al luogo di produzione di rifiuti”.
La sentenza della Cassazione precisa che il deposito temporaneo … leggi articolo “luogo di produzione rifiuti

adminDeposito temporaneo – luogo di produzione rifiuti
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Rimozione rifiuti a carico proprietario incolpevole


Rimozione rifiuti a carico del proprietario incolpevole
Nessun obbligo di recintare il fondo- TAR Bari n. 287/2017
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La sentenza del TAR Bari n.287/2017 ribadisce che l’amministrazione non può imporre la rimozione dei rifiuti sul proprietario del sito solo per la qualità di proprietario.
L’amministrazione deve compiere la necessaria istruttoria.
La chiusura del fondo o la recinzione è una mera facoltà del proprietario (art. 841 c.c.).
L’esistenza dell’elemento ………continua lettura articolo 

adminRimozione rifiuti a carico proprietario incolpevole
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Sottoprodotto: La vendita non esclude la natura di rifiuto

Sottoprodotto: la vendita non esclude la natura di rifiuto
Cassazione penale 5442/2017 – segatura, truciolati, scarti lavorazione del legno…..
Cassazione penale 15447/2015 – scarti di lavorazione odontoiatrica, protesi
 A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


L’interpretazione sulla natura di rifiuto è estensiva: nel dubbio e in mancanza d’ indicazioni certe il bene si presume rifiuto e deve essere gestito con le modalità indicate nel Dlgs. 152/2006 (a tutela dell’ambiente). Tuttavia la pratica e le esigenze degli operatori non vanno di pari passo con la “Legge” e tanto più con le decisioni della magistratura spesso lontane dalle esigenze quotidiane.
Non si può negare infatti … continua lettura articolo sottoprodotto

adminSottoprodotto: La vendita non esclude la natura di rifiuto
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Curatore e responsabilità rimozione rifiuti

Curatore fallimentare – responsabilità rimozione rifiuti
Principio “chi inquina paga” – TAR Lombardia n. 38/2017
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Si discute se la curatela fallimentare sia “titolare” di un obbligo di smaltimento o recupero di rifiuti abbandonati su terreni del “fallito”. Si discute se la curatela fallimentare possa essere destinataria dell’ ordinanza di “sgombero” di cui all’art. 192 Dlgs. 152/2006 e di obblighi ex art. 242 ss. Dlgs. 152/2006. La curatela invero non è “proprietaria dei terreni del fallito” e assume l’ amministrazione dei beni solo al fine della liquidazione. Tuttavia la questione non è pacifica.
Nel caso esaminato dal TAR Lombardia, il Comune ….continua lettura articolo rifiuti e curatela

adminCuratore e responsabilità rimozione rifiuti
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Rifiuti: responsabile "incolpevole"

Proprietario “incolpevole” e abbandono dei rifiuti
TAR Sicilia (Palermo) 2675 del 21.11.2016
segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Il caso esaminato dal TAR Sicilia si pone nel solco della precedente giurisprudenza.
La mera conoscenza dell’abbandono di rifiuti sul proprio terreno non concreta di per se’ la colpa. Tuttavia la mera conoscenza si tramuta in consapevolezza /colpevole laddove s’impone l’ordinaria diligenza di adottare le misure idonee ad evitare l’illecito. Tale struttura dilata la responsabilità.
Il TAR Sicilia (Palermo) n. 2675/2016 rileva la “colpa” e dunque l’omessa diligenza nel fatto che l’Ente proprietario del terreno (RFI) interessato da abbandono di rifiuti da parte di terzi era già a conoscenza di precedenti abusivi sversamenti di rifiuti. Nel caso in esame la rete Ferroviaria Italiana SPA era già a conoscenza degli sversamenti e dunque “consapevole” ovvero colpevole di non aver attuato le misure per evitare l’abbandono di rifiuti sull’are di proprietà. Scrive il TAR Sicilia, citando proprio le sentenze sopra riferite: A fronte di detta consapevolezza, l’assenza di vigilanza o di accorgimenti atti a scongiurare il reiterarsi di possibili analoghi illeciti versamenti di materiali di risulta da parte di terzi nell’area di propria pertinenza integra, ad avviso del Collegio, una condotta colposa da parte del proprietario dell’area. Al riguardo va richiamata la condivisibile giurisprudenza secondo cui il requisito della colpa postulato dall’art. 192 comma 3 del D.Lgs. n. 152/2006 ben può consistere nell’omissione degli accorgimenti e delle cautele, anche di ordine civilistico, che l’ordinaria diligenza, accortezza ed attenzione suggeriscono per assicurare un’efficace protezione ambientale dell’area (Cfr. Cons. di Sato – Sez. IV 13/1/2010 n. 84; Cass. Sez. Un. 25/2/2009 n. 4472; TAR Trentino Alto Adige – Sez. I – 2/11/2011) soprattutto nei casi, come quelli in specie, tali omissioni siano colpevolmente mantenute anche a fronte di precedenti sversamenti abusivi di rifiuti e della successiva bonifica nell’area privata.

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Trasporto occasionale rifiuti: è reato

Trasporto occasionale rifiuti: è reato
Cass. penale 48574/2016 – segnalazione a cura Studio Legale Ambiente


La Cassazione penale n. 48574/16 ritorna sulla dibattuta questione del trasporto occasionale di rifiuti stabilendo che tale condotta integra il reato di cui all’art. 256 comma 1 Dlgs. 152/2006 che prevede alla lettera a) la pena dell’arresto da 3 mesi a 1 anno o l’ammenda da € 2600 a € 20.000 se si tratta di rifiuti non pericolosi (come nel caso trattato in sentenza).
Recita la Cassazione: “…Ai fini della configurabilità del reato di trasporto non autorizzato di rifiuti propri non pericolosi di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), del cit. d.lgs. è sufficiente anche una condotta occasionale. Difatti detto reato ha natura istantanea e si perfeziona nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica.
Discende da ciò che per trasporti episodici, occasionali di rifiuti non pericolosi, le imprese che li producono, pur non essendo tenute all’obbligo di iscrizione nell’albo nazionale gestori ambientali, anziché provvedere al trasporto con mezzi propri, debbono rivolgersi ad imprese esercenti servizi di smaltimento, regolarmente autorizzate ed iscritte all’albo gestori ambientali; per contro, l’esecuzione del trasporto di rifiuti con mezzi propri e non autorizzati integra una condotta comunque riconducibile alla previsione sanzionatoria cui all’art. 256, comma 1, lettera A, del d. Igs. 152 del 2006.
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