Trib. Vicenza n. 251/2025
segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – Cinzia Silvestri
Il Tribunale di Vicenza riconosce una rendita agli eredi per la morte di loro parente a causa della protratta inalazione/contatto con i PFAS. PFAS – rendita agli eredi.
Ritorna il concetto di “probabilità” che fonda il riconoscimento della causalità tra l’evento e il danno. In questo caso parliamo di PFAS di cui si parla ma poco si comprende. E’ cronaca recente che tali composti sono stati trovati anche negli indumenti dei pompieri.
I PFAS sono una famiglia di composti chimici artificiali caratterizzati dalla presenza di molteplici atomi di fluoro legati a una catena carboniosa. Questi composti sono noti per la loro resistenza al calore, all’acqua e agli oli, e vengono utilizzati in numerosi processi industriali e prodotti di consumo, come rivestimenti antiaderenti, tessuti impermeabili, schiume antincendio e imballaggi alimentari.
La loro esposizione può avvenire attraverso l’inalazione, l’assorbimento cutaneo o l’ingestione di acqua e cibo contaminati. Studi scientifici hanno evidenziato possibili effetti nocivi sulla salute, tra cui un aumento del rischio di alcune patologie, come tumori, problemi al sistema immunitario e disturbi ormonali.
IL CASO
Il fatto sotteso alla sentenza riguarda il riconoscimento del diritto alla rendita ai superstiti e all’assegno funerario per gli eredi di un lavoratore deceduto a causa di un carcinoma uroteliale papillare della pelvi renale. Gli eredi sostenevano che la malattia fosse stata causata dall’esposizione professionale a sostanze perfluorurate (PFAS e PFOA) durante l’attività lavorativa svolta presso la M. S.p.a. dal 1979 al 1992.
Il Tribunale di Vicenza ha accertato, con elevato grado di probabilità, il nesso di causalità tra l’esposizione a tali sostanze e la patologia che ha condotto al decesso, basandosi su prove testimoniali, documentali e perizie medico-legali. Pertanto, ha condannato l’INAIL a costituire la rendita ai superstiti e a pagare i relativi ratei, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, riconoscendo il diritto degli eredi alle prestazioni previste dalla legge.
LA PROVA
L’esposizione a PFAS è stata dimostrata attraverso una combinazione di prove testimoniali, documentazione tecnica e perizie medico-legali. In particolare:
- Testimonianze: I testimoni hanno dichiarato che Z.P. lavorava nel reparto di neutralizzazione delle acque, adiacente al reparto di elettrofluorazione (ECF) dove venivano prodotti PFAS e PFOA. I due reparti erano separati da una strada di circa 5 metri e si trovavano in un’area aperta, coperta da tettoie limitrofe. Inoltre, le operazioni di pulizia dei reattori nel reparto ECF generavano una dispersione di fumi e sostanze nocive, che raggiungevano la postazione di Z.P., il quale lavorava senza dispositivi di protezione adeguati.
- Relazione tecnica: È stata presentata una relazione che evidenziava le concentrazioni di PFAS nel sangue dei dipendenti ed ex dipendenti della ditta M. S.p.a., dimostrando una chiara esposizione a tali sostanze anche per lavoratori non direttamente coinvolti nella produzione. Questo includeva Z.P., il cui reparto era collocato in prossimità di quello di produzione.
- Perizia medico-legale: Il consulente tecnico ha concluso che Z.P. era stato esposto a PFAS per tutto il periodo di lavoro (1979-1992) attraverso inalazione, assorbimento trans-cutaneo e ingestione di polveri contaminate. La vicinanza del reparto di Z.P. a quello di produzione e l’assenza di dispositivi di protezione hanno contribuito a questa esposizione.
- Produzione aziendale: La ditta M. S.p.a. aveva prodotto PFAS a catena lunga (PFOA e PFOS) fino al 2004, e le analisi ematiche dei dipendenti di quel periodo confermavano valori elevati di PFOA, compatibili con l’esposizione professionale.
Questi elementi hanno permesso al Tribunale di ritenere provata l’esposizione di Z.P. ai PFAS durante la sua attività lavorativa E DUNQUE DI CONCRETARE LA “PROBABILITA'” della esposizione causale.