Nuovi Reati ex Dlgs. 231/2001 – Responsabilità Società

Nuovi reati ex Dlgs. 231/2001- Privacy –  responsabilità Società.
Art. 24bis Dlgs. 231/2001  
A cura di Studio Legale Ambiente -Cinzia Silvestri


 
 L’art. 9 del DL 93/2013 vigente dall’11.9.2013 (frode informatica commessa con sostituzione di identità) al comma 2 ha modificato l’art. 24bis del Dlgs. 231/2001 in tema di responsabilità amministrativa degli enti.
L’intervento si presenta corposo e complesso.
Vengono assoggettati alla disciplina della responsabilità degli enti e dunque del “modello 231” alcuni reati di particolare importanza.
1) art. 635-quinquies c.p.:  Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità.
2) art. 640-ter c.p. Frode informatica commessa con sostituzione dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti  .
3) art. 55 comma 9 Dlgs. 231/2007 che prevede: “Chiunque, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 euro. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi.
4) Dlgs. 196/2003 parte III, titolo III capo II ovvero gli articoli
Art. 167 (Trattamento illecito di dati)
Art. 168 (Falsità nelle dichiarazioni e notificazioni al Garante)
Art. 169 (Misure di sicurezza)
Art. 170 (Inosservanza di provvedimenti del Garante)
Art. 171 (Altre fattispecie)
Art. 172 (Pene accessorie)


 
L’ art. 24bis modificato risulta così di nuova lettura:
(Delitti informatici e trattamento illecito di dati).
1. In relazione alla commissione dei delitti di cui  agli  articoli 615-ter, 617-quater, 617-quinquies, 635-bis, 635-ter, 635-quater ,635-quinquies e 640-ter, terzo comma, del codice  penale nonche’ dei delitti di cui agli articoli 55, comma 9, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e di cui alla Parte III, Titolo  III,  Capo II del decreto legislativo 30 giugno  2003,  n.  196  si  applica all’ente la sanzione pecuniaria da cento a cinquecento quote.
2. In relazione alla commissione dei delitti di cui  agli  articoli 615-quater e 615-quinquies del codice penale, si applica all’ente  la sanzione pecuniaria sino a trecento quote.
3. In relazione alla commissione dei delitti di cui  agli  articoli 491-bis e 640-quinquies del  codice  penale,  salvo  quanto  previsto dall’articolo 24 del presente decreto per i casi di frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico, si applica all’ente la sanzione pecuniaria sino a quattrocento quote.
4. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1 si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, lettere a), b) ed e). Nei  casi  di  condanna  per  uno  dei  delitti indicati nel comma 2 si applicano le sanzioni  interdittive  previste dall’articolo 9, comma 2, lettere b) ed e). Nei casi di condanna  per uno dei delitti  indicati  nel  comma  3  si  applicano  le  sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e).
 
 
 

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Modello 231: La Società risponde sempre….

Modello “231” : Autonomia della responsabilità dell’ente. Cassazione n. 20060 del 9.5.2013  – art. 8 Dlgs. 231/2001
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


 
In sede di Giudizio di primo grado l’imputato viene assolto in relazione al reato presupposto.
Il pubblico ministero proponeva ricorso immediato per cassazione contro la sentenza di assoluzione dall’illecito amministrativo di cui all’articolo 5 del d.lgs. 231/01.
2. A sostegno del ricorso lamenta erronea applicazione dell’art. 8 del predetto d.lgs. Sostiene il pubblico ministero che avendo il Tribunale ritenuto sussistente il reato presupposto, non avrebbe dovuto assolvere l’Ente in quanto quello dell’ente è un titolo autonomo di responsabilità rispetto al reato presupposto, tanto che l’articolo 8 del d.lgs. afferma che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato.

La sentenza affronta il tema della prescrizione del reato e si dilunga sulle tipologie della interpretazione salvo poi affermare il principio di diritto che avvalla l’autonomia della responsabilità e afferma che la Società risponde anche se non è stato individuato il responsabile purché sia accertato il reato presupposto.
L’art. 8 del d.lgs. 231/2001 precisa che
“La responsabilità dell’ente sussiste anche quando: a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (…)”
…”Per la responsabilità amministrativa.. è necessario che venga compiuto un reato da parte del soggetto riconducibile all’ente, ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile. La responsabilità penale presupposta può essere ritenuta incidenter tantum (ad esempio perché non si è potuto individuare il soggetto responsabile o perché questi è non imputabile) e ciò nonostante può essere sanzionata in via amministrativa la società.


il titolo di responsabilità dell’ente, anche se presuppone la commissione di un reato, è autonomo rispetto a quello penale, di natura personale.
“…La mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato è, infatti, un fenomeno tipico nell’ambito della responsabilità d’impresa: anzi, esso rientra proprio nel novero delle ipotesi in relazione alle quali più forte si avvertiva l’esigenza di sancire la responsabilità degli enti (viene portato l’esempio ai casi di cd. imputazione soggettivamente alternativa, in cui il reato (perfetto in tutti i suoi elementi) risulti senz’altro riconducibile ai vertici dell’ente e, dunque, a due o più amministratori, ma manchi o sia insufficiente la prova della responsabilità individuale di costoro). L’omessa disciplina di tali evenienze – prosegue la relazione – si sarebbe dunque tradotta in una grave lacuna legislativa, suscettibile di infirmare la ratio complessiva del provvedimento. Sicché, in tutte le ipotesi in cui, per la complessità dell’assetto organizzativo interno, non sia possibile ascrivere la responsabilità penale in capo ad uno determinato soggetto, e ciò nondimeno risulti accertata la commissione di un reato, l’ente ne dovrà rispondere – ricorrendone tutte le condizioni di legge – sul piano amministrativo.

La finalità risiede nel “.. sanzionare l’ente collettivo ogni volta che le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente (o sulle quali queste esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo) commettono dei reati nel suo interesse o a suo vantaggio.

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Modello 231 e reati ambientali

Modello “231” : Interesse e vantaggio
Reati ambientali e difficoltà di individuazione del vantaggio e dell’interesse ex art. 5 Dlgs. 231/2001

A cura di Studio Legale Ambiente -Cinzia Silvestri

La Circolare Assonime del 2012 riassume con chiarezza la problematica della individuazione dell’interesse e del vantaggio a favore dell’ente che costituisce presupposto per la imputazione della Società.

La circolare richiama l’ interpretazione offerta dalla giurisprudenza al fine di individuare il concetto di vantaggio e interesse e offre una propria indicazione nei confronti dei reati ambientali : “ .. non vi è interesse dell’ente a provocare un disastro ambientale né ciò può arrecargli vantaggio; tuttavia quando l’imprenditore non organizza l’attività in linea con le prescrizioni del Dlgs. 231/2001 accetta implicitamente il rischio di incorrere in un reato presupposto… mostra di essere negligente o imprudente. Quando poi l’accettazione del rischio di violare la legge è il risultato di scelte di contenimento di costi e di risparmio di spese è ragionevole ritenere sussitente il “vantaggio” dell’Ente..”
La circolare poi conclude con prudenza ricordando la difficoltà di individuare l’interesse edil vantaggio nell’ambito dei reati ambientali e richiama l’attenzione alla “specificità imprenditoriale” e “al pericolo di gravare l’impresa di rischi che la politica imprenditoriale intende invece scongiurare…”

In particolare:
La relazione ministeriale al Dlgs. 231/2001 precisava
1) interesse è da interpretare in senso soggettivo verificabile ex ante
2) il vantaggio è da considerare in senso oggettivo ex post

Un esempio chiarisce l’intento: un amministratore corrompe con propri fondi un pubblico ufficiale al fine di vincere una gara di appalto. Tale condotta produce effetti positivi sulla societa (vince l’appalto).
La Società potrebbe difendersi adducendo l’autonomia dell’agire dell’amministratore o che nulla sapeva.
Vero è che tale illecito è reso possibile dalle lacune organizzative dell’Ente che ne diviene responsabile.
L’ente non risponde solo se il comportamento dell’amministratore ha eluso fraudolentemente l’assetto organizzativo dell’ente finalizzato proprio ad evitare quel reato (cfr. circolare assonime)

3) La società risponde dunque se il reato è commesso nell’interesse della stessa.
4) La Società risponde anche se la commissione del reato abbia portato a favore della società un interesse minimo . E’ il caso previso dall’art. 12 Dlgs. 231/2001 che prevede una pena ridotta per l’ente se il reato è stato commesso per un prevalente interesse dell’autore o di terzi. Il legislatore vuole colpire quelle condotte illecite che, seppure non finalizzate all’interesse pieno dell’Ente sono state commesse proprio per l’omessa vigilanza dello stesso.

Vantaggio. Il vantaggio viene individuato in “qualunque utilità patrimoniale oggettivamente apprezzabile”. Ad esempio il risparmi aziendale sui costi.
Quando una Società riceve vantaggio? Il vantaggio (economico) deve essere rilevante e superiore agli effetti negativi che la condotta illecita comporta.
Elemento determinante per poter affermare che la società ha conseguito quel vantaggio idoneo a rendere imputabile l’ente è la connessione tra:
Soggetto agente (es amministratore)→ reato → apparato organizzativo dell’ente.
Non si può sanzionare l’ente solo perché sia ad esso imputabile un qualche vantaggio economico derivante dall’illecito commesso (reato-→ vantaggio conomico) deve esserci connessione specifica tra soggetto/reato/ organizzazione dell’ente.

In tema di “Sicurezza” è di recente intervenuta sentenza del Tribunale di Tolmezzo 23.1.2012 che ha affermato: Nell’ambito dei reati colposi d’evento, i criteri dell’interesse e del vantaggio vanno posti in relazione alla condotta che viola le disposizioni poste a tutela della sicurezza e dalla salute dei lavoratori, condotta che deve essere finalisticamente orientata verso un risultato favorevole per l’ente (interesse) o deve, comunque, aver comportato un concreto beneficio per la “corporation” (vantaggio) in termini di risparmio di costi aziendali.
La Corte di appello di Brescia ha affermato : Al fine di ascrivere all’ente il reato di lesioni colpose commesse in violazione delle norme a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori è necessaria la prova che la condotta del soggetto apicale fosse soggettivamente diretta ad avvantaggiare l’ente o abbia comunque oggettivamente comportato un beneficio per lo stesso, ad esempio in termini di risparmio dei costi o dei tempi di lavorazione.

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La Società risponde anche se il reato si estingue?

La Società risponde anche se il reato si estingue?
Art. 8 Dlgs. 231/2001 – autonoma responsabilità dell’ente

A cura di avv. Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente


Recita l’art. 8 Dlgs. 231/2001 :

1. La responsabilità dell’ente sussiste anche quando:
a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.
2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell’ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l’imputato ha rinunciato alla sua applicazione.
3. L’ente può rinunciare all’amnistia.

L’art. 8 sembra imporre autonoma responsabilità della società anche nei casi in cui il reato
1) si estingue (ad esempio a seguito di oblazione ex art. 162 bis c.p. – tipico il caso di reato ex art. 256 comma 1 lett. a) Dlgs. 152/2006)
2) non è identificato il colpevole
3) il colpevole non è imputabile
4) casi di improcedibilità (remissione di querela)

E’ recente la sentenza del Tribunale di Molfetta 11-01-2010 relativa ad un infortunio sul lavoro che ha affermato: “ In virtù del principio di autonomia della responsabilità dell’ente, stabilito dall’ art. 8, D.Lgs. n. 231/2001, l’ente è responsabile anche quando il reato presupposto si estingue per morte del reo intervenuta prima della condanna”(cfr. Corriere del Merito 2010)

Vero è che alcuni autori hanno auspicato un chiarimento legislativo laddove la norma confligge con norme di senso nettamente contrario.
Le varie Linee Guida (ad esempio ABI Circolare 12.7.2012) affermano con convinzione la responsabilità dell’Ente in autonomia; Linee guida peraltro orientate ad una visione cautelativa e prudenziale …. non essendo tenute, per struttura, ad analizzare le complicanze giuridiche sottese.

Autore non identificato/non imputabile
La relazione ministeriale al Dlgs. 231/2001 giustificava tale autonomia in quanto il reato appare completo in tutti i suoi elementi ed anzi la mancata individuazione del reo è fatto tipico nella responsabilità di impresa….
Alcuni autori però hanno correttamente evidenziato che l’autonoma responsabilità dell’ente stride con i principi cardine posti dal nostro ordinamento primo tra tutti l’art. 27 Cost “La responsabilità penale è personale”.
Ai fini della responsabilità dell’Ente , il reato deve essere commesso nell’ interesse e/o a vantaggio. E si deve ricordare che la responsabilità della società è esclusa qualora gli autori abbiano “agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.

“Come si potrebbe dimostrare questo interesse esclusivo se l’autore non viene identificato, tenuto conto che l’interesse – riguardante la volontà/proposito dell’autore materiale del reato – deve essere valutato ex ante?
In conclusione, la mancata individuazione dell’autore del reato comporterebbe la mancanza dei presupposti necessari per la sussistenza della responsabilità della società e per la qualificazione della sanzione” (cfr. testualmente da “D.Lgs. n. 231/2001: la responsabilità amministrativa delle società ed enti per reati commessi da dirigenti e dipendenti. Spunti di riflessione – [Fisco, 2005, 28 (commento alla normativa)] – Pietro Accardi, Massimiliano Giua, Giuseppe Mango…) 

L’art. 8 Dlgs. 231/2001 confligge con altre norme . Si pensi all’art. 37 c.p Casi di imrocedibilità .
1. Non si procede all’accertamento dell’illecito amministrativo dell’ente quando l’azione penale non può essere iniziata o proseguita nei confronti dell’autore del reato per la mancanza di una condizione di procedibilità .
Ebbene  la remissione della querela è un caso di improcedibilità che avrebbe l’effetto di impedire l’azione penale nei confronti del reo ma …..non nei confronti dell’Ente ai sensi dell’art. 8 citato.

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Sicurezza: delega di funzioni e obbligo di vigilanza

Sicurezza: delega di funzioni/obbligo di vigilanza
Art. 16 Dlgs. 81/2008 e modello 231 – collegamento
A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente
Esiste ancora confusione sulla “delega di funzioni”.
L’art. 16 Dlgs. 81/2008 codifica la delega di funzioni laddove in altri campi del diritto non si trova codificazione dell’istituto (come in materia ambientale).
L’articolo 16 ricorda che la delega di funzioni:
1) può essere espressamente esclusa
2) è ammessa solo con i limiti e le condizioni indicati dall’art. 16, che ricordiamo
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;
e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.
Ricordiamo che la delega non sempre è consentita dalla legge.
La Cassazione penale 10702/2012 si è espressa nel senso che la delega non è consentita a) per la valutazione dei rischi e b) l’elaborazione del documento sulla sicurezza, c) nonché per la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
E sempre la sentenza sopra citata precisa anche il limite dell’obbligo di vigilanza del datore di lavoro che non è tenuto al controllo minuzioso ed operativo delle singole attività conferite ma è tenuto al controllo della correttezza della complessiva gestione del rischio dal parte del delegato.
Il controllo di vigilanza invero deve permettere al datore di lavoro di poter intervenire e supplire alle eventuali omissioni del delegante.
La delega inoltre deve avere adeguata e tempestiva pubblicità (comma 2 art. 16)
• Delega di funzioni e obbligo di vigilanza.
Il datore di lavoro (delegante) mantiene obbligo di vigilare sulle funzioni trasferite (recita il comma 3: “La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.”). Il testo è chiaro.
Modello 231 – obbligo di vigilanza.
Di interesse è il collegamento tra l’obbligo di vigilanza che incombe sul datore di lavoro e la possibilità di avere prova liberatoria attraverso la adozione del modello 231.
Conclude il comma 3 dell’art. 16:” L’obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’ articolo 30, comma 4.
Ed invero l’art. 30 comma 4 prevede che “.. Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo
a) sull’attuazione del medesimo modello e
b) sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate.
Il riesame e l’eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.
Il modello organizzativo previsto dal Dlgs. 231/2001 si impone al datore di lavoro come prova liberatoria del proprio obbligo di vigilanza sulla delega conferita.
Modello che però deve dare prova di assere attuato, revisionato, mantenuto laddove ci siano mutamenti aziendali o accadimenti di infortunio.
• SUBDELEGA: è ammessa?
La delega di funzioni può essere trasmessa solo dal titolare della funzione ovvero dal datore di lavoro.
Ed invero vige il Divieto di subdelega ed il comma 3bis si esprime precisando:” Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate”
Vero è che proprio il comma 3bis (inserito dal Dlgs. 106/2009) prevede che “ il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2.
Dunque alcune funzioni possono essere delegate dal delegato ma solo previa intesa (scritta) del delegante.

adminSicurezza: delega di funzioni e obbligo di vigilanza
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Incentivi INAIL: modelli 231

Comunicato INAIL incentivi
A cura di Studio Legale Ambiente
Studio Legale Ambiente si occupa anche della realizzazione dei modelli 231 in materia ambientale e sicurezza sul lavoro.
Pubblicato in Gazzetta ufficiale del 20.12.2012 il Comunicato INAIL che propone incentivi alle imprese che vogliano migliorare la propria organizzazione in materia di sicurezza e anche aggiornare, predisporre i modelli 231 ….
Si rinvia alla comunicazione che costituisce una buona opportunità per le aziende….
Comunicato INAIL incentivi Dlgs. 81/2008

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L. n. 190/2012: corruzione e P.A.

Corruzione: pubblicata la legge.
a cura di Studio Legale Ambiente
Pubblicata in gazzetta ufficiale del 13.11.2012 la Legge contro la Corruzione.
Come anticipato la legge modifica anche l’art. 2635 c.c.
Alcuni reati del codice penale vengono modificati, inserite nuove fattispecie di reato, quali a titolo esemplificativo:
Nuovo reato di concussione
«Art. 317. – (Concussione). – Il pubblico ufficiale che,
abusando della sua qualita’ o dei suoi poteri, costringe taluno a
dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra
utilita’ e’ punito con la reclusione da sei a dodici anni»;
Corruzione
Art. 318. – (Corruzione per l’esercizio della funzione). – Il
pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi
poteri, indebitamente riceve, per se’ o per un terzo, denaro o altra
utilita’ o ne accetta la promessa e’ punito con la reclusione da uno
a cinque anni»;
Nuovo reato
«Art. 319-quater. – (Induzione indebita a dare o promettere
utilita’). – Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, il
pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando
della sua qualita’ o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a
promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilita’
e’ punito con la reclusione da tre a otto anni.
Nei casi previsti dal primo comma, chi da’ o promette denaro o
altra utilita’ e’ punito con la reclusione fino a tre anni»;
Vai al testo della L. 6 novembre 2012 n. 190

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Corruzione-nuovo reato Dlgs. 231/2001

Nuovo reato ex Dlgs. 231/2001- Corruzione – responsabilità Società.
Corruzione tra privati (DDL 4434-B) approvato dalla Camera in data 30 ottobre 2012 ed in attesa di pubblicazione. Modifica il testo art. 2635 c.c.
A cura di Studio Legale Ambiente -Cinzia Silvestri

In attesa di pubblicazione e approvato dalla Camera in data 30 ottobre 2012 il testo del disegno Legge sulla ” corruzione”. Il testo riforma anche l’art. 2635 c.c..
L’art. 2635 muta il proprio titolo in ” corruzione tra privati” e viene inserito tra i reati che possono portare a responsabilità anche la società e dunque annovera altro delitto soggetto al Dlgs. 231/2001.
Si offre alla lettura un primo schema con riserva di approfondire in seguito alla pubblicazione del testo legislativo.
S’ intende che i modelli 231 dovranno subire aggiornamento ed integrazione in breve tempo.
Vai allo schema e clicca : Schema corruzione art. 2635 c.c. e Dlgs.231/2001

adminCorruzione-nuovo reato Dlgs. 231/2001
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Responsabilità' Societa': nuovo reato

Responsabilità Societa’: nuovo reato
Art. 25 duodecies Dlgs. n. 231/2001 – Dlgs. 16 luglio 2012 n. 109
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il Dlgs. n. 109/2012 che entrerà in vigore il 9 agosto 2012 ( decreto immigrazione ) suggerisce alle Società la revisione dei protocolli per il Modello cosiddetto “231”.
Il testo attua la direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno e’ irregolare.
L’art. 2 detta la Disposizione sanzionatoria e precisa:
1. Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dopo l’articolo
“25-undecies” e’ inserito il seguente:
“25-duodecies. (Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno e’ irregolare).
1. In relazione alla commissione del delitto di cui all’articolo 22, comma 12-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, entro il limite di 150.000 euro.”.
L’ art. 22 comma 12 Del Decreto immigrazione ( Dlgs 286/1998) precisa il reato del datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri
1) privi del permesso di soggiorno
2) Permesso scaduto
3) Permesso non rinnovato, revocato o annullato
Il datore e’ punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la sanzione di € 5000 per ogni lavoratore impiegato.
Il richiamo esplicito all’ art. 12 bis (art. 25 duodecies Dlgs. 231/2001) sembra limitare la responsabilità dell’ Ente alle sole ipotesi aggravate dell’ art. 12 bis .
Il comma 12 bis viene peraltro modificato dallo stesso Dlgs. 109/2012 che così recita:
12-bis. Le pene per il fatto previsto dal comma 12 sono aumentate da un terzo alla meta’:
a) se i lavoratori occupati sono in numero superiore a tre;
b) se i lavoratori occupati sono minori in eta’ non lavorativa;
c) se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare sfruttamento di cui al terzo comma dell’articolo 603-bis del codice penale.

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Appalti, Acque, responsabilità Società ex Dlgs. 231/2001

 Appalti, Acque e responsabilità amministrativa Società ex Dlgs. 231/2001
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
Lo scarico di acque reflue industriali contenenti sostante pericolose ( tab. 5 e 3/A allegato 5) senza autorizzazione (art. 137 comma 2); la violazione tabellare (tab. 3/A) ex art. 137 comma 5 ); la violazione del divieto di scarico sul suolo (art. 103) e sottosuolo e acque sotteranee (art. 104) …
comportano sanzioni gravi per colui che commette il reato; sanzioni che si riflettono anche sulla Società che viene colpita ex Dlgs. 231/2001 non solo da pesanti saznzioni ma anche da misure interdittive che si riflettono di conseguenza anche sulla possibilità di accedere alle gare.
E’ utile ricordare dunque che il Dlgs. 163/2006 ss.m. all’art. 38 comma 1 lett. m) esclude la possibilità di partecipare alle gare pubbliche le società colpite da sanzione interdittiva di “divieto di contrarre con la P.A.”.
Recita invero la lettera m) dell’art. 38:
“..nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva di cui all’articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo dell’8 giugno 2001 n. 231 ….”
L’art. 9 comma 2 del Dlgs. 231/2001 precisa invero che “… Le sanzioni interdittive sono:
a) l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Il Dlgs. 121/2011, con vigenza dall’agosto del 2011, ha introdotto i reati ambientali come reati presupposto.
La lettura del combinato disposto di cui agli artt. 137 Dlgs. 152/2006, art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001, art. 38 comma 1 lett. m) Dlgs. 163/2001 porta a concludere la Società che veda il proprio dipendente/dirigente o altro subire con condanna il processo penale per i reati di cui ai commi 2,5,11 Dlgs. 152/2006 potrebbe trovarsi interdetta la strada di ammissione ai pubblici appalti qualora intervenga inderdizione a contrarre con la P.A..
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Ente
ex Dlgs. 231/2001
Art. 25 undecies comma 7
art. 137 co. 2
 
dell’arresto da tre mesi a tre anni.
 
200 a 300 quote  
 
 
Si applicano le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 per una durata non superiore a 6 mesi.
137 co. 5 secondo periodo l’arresto da sei mesi a tre anni
e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro
200 a 300 quote
137 co. 11 l’arresto sino a tre anni. 200 a 300  quote

 

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Responsabilità della società solo se esiste vantaggio

Responsabilità della Societa’ solo se esiste vantaggio
Ipotesi di omesso modello organizzativo
Vantaggio e interesse ex art. 5 Dlgs. 231/2001 – Sentenza GUP Tolmezzo
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il caso:
A fronte di un guasto all’impianto elettrico un dipendente, con mansioni di tecnico conduttore, seppure a conoscenza della fallita procedura di messa fuori servizio della linea da 20KV interveniva, con porta del quadro elettrico aperta, nel tentativo di rimuovere gli elementi del quadro Apierre, allentando con chiave fissa quattro bulloni che vincolavano il coperchio del quadro.
A seguito di tale apertura un secondo dipendente “entrava” con il capo nell’armadio contenente il quadro e vi rimaneva folgorato.
Il reato ascritto alla società:
Il Pubblico Ministero chiedeva il rinvio a giudizio anche della società per responsabilità amministrativa da reato dipendente ex artt. 5, 6 e 25 septies co.2 D.Lgs. 231/2001 “perché traeva interesse o vantaggio dal delitto p.e.p. dagli artt. 40, 113 e 589 c.p., commesso in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro da (omissis) agendo questi in veste di datore di lavoro/dirigente della (omissis), responsabile dell’impianto in forza di procura speciale …avendo la società omesso di adottare ed efficacemente attivare un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire il reato sopra specificato per difetto di adeguate misure di interdizione all’accesso alla cabina elettrica di cui sopra in presenza di condizioni di pericolo per l’incolumità del personale ivi operante……beneficiando di cd. risparmio di spesa”.
Il Giudice dell’Udienza Preliminare GUP di Tolmezzo 18/12 depositata il 3.2.2012 pronunciava sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. perché “il fatto non sussiste” nei confronti della societa’ imputata ex artt. 5 e 6 D.Lgs. 231/2001 perché:
– non sussiste interesse / vantaggio dal reato dipendente;
– l’ assenza di modello organizzativo non costituisce di per sé reato.
Il ragionamento del GUP:
La responsabilità dell’ente sussiste, ex art. 5 D.Lgs. 231/2001, solo in caso di
– vantaggio o
– interesse
dell’ente tratto dal reato commesso dal dipendente o dal soggetto che riveste una posizione apicale all’interno dello stesso.
Nel caso di specie il Giudice ha ravvisato l’impossibilità di individuare il vantaggio o l’interesse in capo all’agente nel reato di lesioni gravissime, da cui è derivata la morte del dipendente.
Da qui la necessità di una lettura interpretativa del D.Lgs. 231/2001 per poter applicare l’art. 5 D.Lgs 231/01 che altrimenti rimarrebbe inoperativo per i reati colposi di evento.
Afferma il GUP di Tolmezzo, riprendendo una giurisprudenza recente interrogatasi sul medesimo problema, che l’interesse/vantaggio ex art. 5 vadano ricercati non nell’evento (lesione – morte del dipendente), bensì nella condotta che viola le disposizioni a tutela della sicurezza negli ambienti di lavoro (GUP Cagliari 4.7.2011, GUP Novara 26.10.2010, GUP Pinerolo 23.9.2010, Trib. Trani, sez. Molfetta 11.1.2010).
Il vantaggio, infatti, è dato dal risparmio dei costi connessi alla formazione e all’adozione di misure atte a prevenire gli infortuni, oppure nell’omissione di misure per accelerare la produzione e la prestazione aziendale.
Non è quindi sufficiente una semplice imperizia, né la sottovalutazione dei rischi, ma violazioni frutto di esplicite deliberazioni volitive finalisticamente orientate a soddisfare un interesse dell’ente, che il Giudice deve accertare …e il PM provare.
Essendo tale la ratio del D.Lgs. 231/2001, l’assenza del modello organizzativo non costituisce di per se’ motivo di responsabilità, che va invece ricercata nel concreto.
Né tale omissione è ipotesi di reato.
Nel caso di specie era stato accertato che esistevano procedure di sicurezza e sistemi produttivi, non funzionanti per mancata lubrificazione dei meccanismi.
La società, dunque, aveva adottato i sistemi di sicurezza necessari, il cui mancato funzionamento va addebitato non all’ente bensì al personale a ciò incaricato.
Manca quindi il vantaggio dell’ente ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. 231/01 poiché la società aveva adottato le misure preventive e di sicurezza.
L’infortunio è stato causato da negligenza e dunque solo le persone fisiche che hanno agito con colpa andranno soggette a pena (per omessa manutenzione nel caso di dipendente, ovvero per omessa vigilanza nel caso del rappresentante legale).

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Società miste e responsabilità ex Dlgs. n. 231/2001

Società miste e responsabilità amministrativa.

Cassazione penale 26 ottobre 2010 n. 234

A cura di avv. Cinzia Silvestri

La Cassazione penale n. 234/2010 riprende quanto già statuito dalla Cassazione penale 28699/2010 in punto di società miste.

Il caso rileva che la natura di una società quale ente pubblico economico non basta ad escluderla dalla applicazione del Dlgs. 231/2001”…. basando l’esclusione con riferimento allo svolgimento di funzioni pubbliche proprie degli enti territoriali, a seguito del trasferimento da parte dei Comuni della provincia di Enna delle loro funzioni appunto all’A.T.O. Enna”.

Prosegue la sentenza: “Una tale conclusione non può essere condivisa. La ratio dell’esenzione è infatti quella di escludere dall’applicazione delle misure cautelari e delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001, enti non solo pubblici, ma che svolgano funzioni non economiche, istituzionalemente rilevanti, sotto il profilo dell’assetto costituzionale dello Stato amministrazione.

In questo caso, infatti, …….necessità di evitare la sospensione di funzioni essenziali nel quadro degli equilibri dell’organizzazione costituzionale del Paese.

Nella fattispecie in esame tuttavia proprio la preminente, se non esclusiva, attività di impresa che deve essere riconosciuta alla Società….. non può essere messa in dubbio dallo svolgimento di una attività, che ha sicuramente ricadute indirette su beni costituzionalmente garantiti, quali ad esempio

il diritto alla salute (art. 32 Cost.),

il diritto all’ambiente (art. 9 Cost.),

ma che innanzitutto si caratterizza per una attività e per un servizio che, per statuto, sono impostati su criteri di economicità, ravvisabili nella tendenziale equiparazione tra i costi ed i ricavi, per consentire la totale copertura dei costi della gestione integrata ed integrale del ciclo dei rifiuti.

Non si tratta dunque di avallare un criterio “formale” di applicazione della norma, ma di individuare ……il suo corretto ambito applicativo….”

L’attribuzione di funzioni di rilevanza costituzionale, quali sono riconosciute agli enti pubblici territoriali, come i comuni, non possono …. essere riconosciute a soggetti che hanno la struttura di una società per azioni, in cui la funzione di realizzare un utile economico, è comunque un dato caratterizzante la loro costituzione.

Una conclusione diversa porterebbe all’inaccettabile conclusione, …. di escludere dall’ambito di applicazione della disciplina in esame un numero pressochè illimitato di enti operanti non solo nel settore dello

smaltimento dei rifiuti,

e quindi con attività in cui viene in rilievo, come interesse diffuso, il diritto alla salute e all’ambiente, ma anche là dove viene in rilievo quello all’informazione, alla sicurezza antinfortunistica, all’igiene del lavoro, alla tutela del patrimonio storico e artistico, all’istruzione e alla ricerca scientifica, in sostanza in tutti i casi in cui vengono ad essere coinvolti, seppur indirettamente, dall’attività degli enti interessati, i valori costituzionali di cui alla parte prima della Costituzione …”…

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Circolare GDF 83607/2012: il tentativo

Circolare GDF 83607/2012: il tentativo…
A cura di avv. Cinzia Silvestri
La lettura della circolare del GDF obbliga ad alcune precisazioni.
Non bisogna dimenticare che la circolare e’ destinata agli operatori della GDF e non ai …destinatari del controllo.
La Circolare può essere considerata Linea Guida ed esprime correttamente l’intento dell’ organo che ha redatto il documento.
L ‘ attenzione, infatti, cade sul punto 4 della parte terza della Circolare che si esprime in ordine alla “necessita'” di prevedere la responsabilità amministrativa dell’Ente anche alle ipotesi di ...reato tentato.
Non pare  corretto indicare ” reato tentato” ….senza precisare.
Il reato comprende DELITTI e CONTRAVVENZIONI.
Il tentativo e’ applicabile solo ai DELITTI.
La Circolare non specifica e trasferisce la genericità dell’affermazione, trasferisce una informazione che può essere equivocata e creare procedimenti che possono essere evitati sin dall’origine.
S’intende che si confida nella magistratura quale filtro dovuto ad eventuali segnalazioni non rispondenti alla legge.
Ed invero si ricorda che il tentativo di reato (a. 56 c.p.) e’ applicabile solo ai DELITTI e non alle contravvenzioni ( art. 39 e 17 c.p.).
In particolare la necessita’ di estendere la punibilità al tentativo trova limite per le contravvenzioni.
In materia ambientale, si badi, i reati contemplati integrano per lo piu’ contravvenzioni ( che richiedono per la punibilità anche la sola colpa) e dunque il tentativo di “reato” (rectius delitto) non può essere esteso.
L’art. 26 del Dlgs. 231/2001 si esprime correttamente nominando i soli DELITTI.
Prevede che qualora il delitto tentato sia commesso dal soggetto agente  allora la società vedrà ….ridotte le sanzioni pecuniarie ed interdittive.
Si potrebbe dire che l’art. 26 citato estende dunque il beneficio della riduzione della pena del tentativo (qualora accertato) anche alla Società.
La sentenza della Cassazione penale n. 7718/2009 si riferisce a dire il vero al delitto di truffa ai danni dello stato e dunque non soffre eccezione.
Ciò che si rileva e’ la formulazione letterale del punto 4 (ed altri unti) della circolare  sembra attribuire all’art. 26 Dlgs. 231/2001 la forza di affermare una estensione di responsabilità per tentativo che certo non può essere attribuita.
Il tentativo trova la sua disciplina nel codice penale all’ art. 56 ed il limite della sua applicabilità non e’ derogato dall’articolo 26 che si limita, in conformità, a prevedere la semplice riduzione delle sanzioni pecuniarie (multa) e delle sanzioni interdittive eventualmente previste nel caso di delitti.
Si trascrive quanto rinvenuto in circolare GDF n. 83607/2012 (www.ilsole24ore.com):
“‘4. La rilevanza del tentativo
Non sussistono dubbi sulla necessità di prevedere che la responsabilità amministrativa dell’ente debba essere estesa anche alle ipotesi di reato tentato. Lo si ricava dalla legge delega che, “pur non nominando il tentativo, fa riferimento ai reati la cui forma di manifestazione è quella consumata o tentata”, come affermato dalla relazione di accompagnamento al D. Lgs. n. 231/2001.
La norma dell’articolo 26, al comma 1, statuisce che “Le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà in relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei delitti indicati nel presente decreto”, mentre al comma 2 prevede che “L’ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento”.
La Corte di Cassazione, Sez. V, con la sentenza n. 7718/2009 ha affrontato – per la prima volta – il tema della responsabilità degli enti in relazione al delitto tentato in ordine ad una truffa ai danni dello stato, concludendo per una sua rilevanza ai fini dell‟applicazione dell‟impianto normativo di cui al D. Lgs. n. 231/2001.

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Modello "231": quali responsabilità?

 Modello “231” – Responsabilità dell’Ente /Società: un chiarimento
Nota a sent. Cass. pen. Sez. VI, Sent. del  16-07-2010, n. 27735
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
 La sentenza della Cassazione penale n. 27735/2010 precisa la natura della responsabilità della Società.
Con chiarezza espositiva riassume l’orientamento maggioritario e declina i passaggi fondamentali della disciplina.
Si riporta tra “virgolette” il testo della sentenza che esprime i passaggi logici e giuridici che permettono l’attribuzione di responsabilità alla Società, precisando anche in merito all’onere probatorio.
Di interesse il passaggio che riguarda l’adozione del Modello “231”; ovvero del modello organizzativo volto a prevenire la commissione dell’illecito da parte delle persone apicali (e non apicali) della Società.
Qualora l’accusa (PM) provi la commissione dell’illecito della persona fisica (es. dirigente) nell’interesse  (ad esempio) della Società accade che la stessa sia responsabile per non aver adottato tutti quegli accorgimenti necessari ad evitare l’evento e dunque sia colpevole nella sua “dis-organizzazione” e tenuta a rispondere in proprio dell’illecito, a mezzo del pagamento della somma statuita dal Giudice.
La non obbligatorietà/non adozione del Modello “231” si traduce nella:
1)perdita di prova liberatoria;
2) colpa in “organizzazione”.
La Cassazione dribla il dogma della responsabilità oggettiva che… incombe.
In particolare:
1) RESPONSABILITA’ PROPRIA DELLA SOCIETA’
La Cassazione precisa la natura propria della responsabilità che si fonda nel rapporto di immedesimazione organica. Ciò permette che la società risponda di fatto commesso da altro soggetto.
“Il fatto – reato commesso dal soggetto inserito nella compagine della societas, in vista del perseguimento dell’interesse o del vantaggio di questa, è qualificabile come “proprio” anche della persona giuridica, e ciò in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla seconda: la persona fisica che opera nell’ambito delle sue competenze societarie, nell’interesse dell’ente, agisce come organo e non come soggetto da questo distinto; nè la degenerazione di tale attività funzionale in illecito penale è di ostacolo all’ immedesimazione.
2) TERTIUM GENUS
“Il D.Lgs. n. 231 del 2001 ha introdotto un tertium genus di responsabilità rispetto ai sistemi tradizionali di responsabilità penale e di responsabilità amministrativa, prevedendo un’autonoma responsabilità amministrativa dell’ente in caso di commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei reati espressamente elencati nella sezione 3^ da parte un soggetto che riveste una posizione apicale, sul presupposto che il fatto-reato “è fatto della società, di cui essa deve rispondere“.
Conclusivamente, in forza del citato rapporto di immedesimazione organica con il suo dirigente apicale, l’ente risponde per fatto proprio, senza coinvolgere il principio costituzionale del divieto di responsabilità penale per fatto altrui (art. 27 Cost.).
3) RESPONSABILITA’ OGGETTIVA
 “Nè il D.Lgs. n. 231 delinea un’ipotesi di responsabilità oggettiva, prevedendo, al contrario, la necessità che sussista la c.d. “colpa di organizzazione” dell’ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo”.
4) ONERE DI PROVA
“Grava sull’Accusa l’onere di dimostrare l’esistenza e l’accertamento dell’illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della societas e che abbia agito nell’interesse di questa; tale accertata responsabilità si estende “per rimbalzo” dall’individuo all’ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo.
5) MODELLO 231 – EFFETTO LIBERATORIO
“Militano, inoltre, a favore dell’ente, con effetti liberatori, le previsioni probatorie di segno contrario di cui al D.Lgs. n. 231, art. 6, e, specificamente, l’onere per l’ente di provare, per contrastare gli elementi di accusa a suo carico, “che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi” (art. 6, lett. a) e che, sulla base di tale presupposto, ricorrono le altre previsioni elencate nelle successive lettere del citato art. 6.
Nessuna inversione dell’onere della prova è, pertanto, ravvisabile nella disciplina che regola la responsabilità da reato dell’ente, gravando comunque sull’Accusa l’onere di dimostrare la commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui al D.Lgs. n. 231, art. 5, e la carente regolamentazione interna dell’ente. Quest’ultimo ha ampia facoltà di fornire prova liberatoria.

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Responsabilità società e qualità dell'aria

Responsabilità dell’Ente e Dlgs. 231/2001
Aria – art. 279 Dlgs. 152/2006
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
Lo StudioLegaleAmbiente continua la pubblicazione di brevi aggiornamenti sulla responsabilità della Società in materia di reati ambientali.
Responsabilità operativa già dall’agosto del 2011 e che suggerisce alle aziende di dotarsi di Modello cosidetto “231”.
Modello già conosciuto dalle Società grazie alla normativa sulla sicurezza (Dlgs. 81/2008 art. 30) e che presenta, in materia ambientale, peculiarità tali da non poter coincidere con quello sulla sicurezza.
 ART. 279[1] DLGS. 152/2006 – Aria e riduzione delle emissioni
La parte V del Dlgs. 152/2006 è stata riformata dal Dlgs. 128 del 29.6.2010.
Il comma 2 del Dlgs. 231/2001 art. 25 – undecies si conclude con la lettera h) che menziona la violazione dlel’art. 279 comma 5 che richiama il comma 2 ovvero:
Chi, nell’esercizio di uno stabilimento[2], viola i valori limite di emissione[3] (cfr. anche lett. q) art. 268) o le prescrizioni stabiliti
1)    dall’autorizzazione,
2)    dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto,
3)    dai piani e dai programmi o
4)    dalla normativa di cui all’articolo 271 o
5)    le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorita’ competente ai sensi del presente titolo
e’ punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a 1.032 euro.
Se i valori limite o le prescrizioni violati sono contenuti nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione.
Ebbene in questi casi, aggiunge il comma 5, si applica sempre la pena dell’arresto fino ad un anno se il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa.
 
La qualità dell’aria non è definita dalla parte V del Dlgs. 152/2006.
La qualità dell’aria si esprime in maniera diversa dalla emissione in quanto:
1) L’emissione evoca la quantità di sostanza inquinante introdotta in atmosfera, da una certa fonte inquinante e in un determinato arco di tempo; generalmente essa viene espressa in tonnellate/anno.
2) La qualità dell’aria invece si esprime per concentrazione (cfr. anche art. 268 co. 1 lett. s)) ovvero la quantità di sostanza inquinante presente in atmosfera per unità di volume; generalmente espressa in mg/mc e viene utilizzata per esprimere valori di qualità dell’aria.
 
Il riferimento al comma 5 dell’art. 279 sembra dunque limitare la responsabilità dell’Ente solo a quelle ipotesi in cui oltre alla violazione dei limiti di emissione esista anche la violazione di limiti di qualità dell’aria. Si tratta sempre di quantità di sostanza inquinante che rileva però diversamente .
In sintesi:
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione persona giuridica ex Dlgs. 231/2001 Sanzioni interdittive
art. 279 comma 5: violazione emissione e qualità aria
 
Arresto fino a 1 anno
 
 
 
Fino a 250 quote 
 
Non prevista

 
 
 
 
 
 
 



[1] Art. 279

…2. Chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorita’ competente ai sensi del presente titolo e’ punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a 1.032 euro. Se i valori limite o le prescrizioni violati sono contenuti nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione .
….5. Nei casi previsti dal comma 2 si applica sempre la pena dell’arresto fino ad un anno se il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa….
 

[2] L’art. 268 coma 1 come modificato dal Dlgs. 128/2010 definisce: “h) stabilimento: il complesso unitario e stabile, che si configura come un complessivo ciclo produttivo, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o piu’ impianti o sono effettuate una o piu’ attivita’ che producono emissioni attraverso, per esempio, dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e movimentazioni. Si considera stabilimento anche il luogo adibito in modo stabile all’esercizio di una o piu’ attivita’”.
[3] L’art. 268 comma 1 come modificato dal Dlgs 128/2010 definisce: “b) emissione: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico e, per le attivita’ di cui all’articolo 275, qualsiasi scarico di COV nell’ambiente (1);
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Organismo di Vigilanza ex Dlgs. n. 231/2001: nuove regole?

ODV e responsabilità delle Società – Legge Stabilità: dal 1.1.2012 nuove regole ( www.parlamento.it)
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
Con Legge 12 novembre 2011 n. 183[1] in vigore dal prossimo 1.1.2012 il Parlamento ha previsto all’art. 14 comma 12 l’inserimento del comma 4bis al Dlgs. 231/2011 art. 6.
Il legislatore, con la finalità, si presume, di alleggerire i  costi di gestione alle aziende, permette di trasferire le funzioni dell’Organismo di vigilanza (ODV) ad organi, già, societari (nelle sole società di  capitali).
La scelta finale del Legislatore si concentra invero sulla parola “POSSONO” che sembra ammettere la possibilità (e non l’obbligo), per le sole società di capitali, di scegliere se concentrare le attribuzioni su organismi societari già esistenti o di mantenere l’ODV con tutte le sue peculiarità.
In particolare :
Nelle societa’ di  capitali
1)      il  collegio  sindacale,
2)      il consiglio di sorveglianza  e
3)      il  comitato  per  il  controllo  della gestione
POSSONO svolgere le funzioni dell’organismo di vigilanza  di cui al comma 1, lettera b, OVVERO le funzioni di
1)        vigilare  sul  funzionamento  e  l’osservanza  dei modelli
2)        curare il loro aggiornamento
Si ricorda invero che l’ODV è organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di  controllo.
 
E’ utile richiamare alla memoria che tale modifica era già annunciata nella bozza del DL sviluppo del 23.10.2011 che al punto 114 così si esprimeva, anche con motivazione, annunciando invero la obbligatorietà della nomina:
“ 114 Attribuzione all’organo di controllo delle società di capitali delle funzioni dell’organismo di vigilanza previsto in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche …
1. All’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dopo il comma 4 è inserito il seguente:
«4bis. Nelle società di capitali, ove lo statuto o l’atto costitutivo non dispongano diversamente, il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione coordinano il sistema dei controlli della società e svolgono le funzioni dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b)».
 Motivazione
La proposta normativa, che si realizza mediante l’inserimento di un comma nell’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa della persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), è finalizzata a consentire la individuazione di un organismo di vigilanza, ai fini della legge richiamata, laddove già sussistano all’interno della struttura organi di controllo, con concentrazione delle funzioni e conseguenti risparmi di spesa per gli enti destinatari.”
 
Il testo dell’art. 6 del Dlgs. 231/2001 risulta dunque così riformato:  “Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente
1. Se il reato e’ stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non  risponde  se  prova che:
a) l’organo dirigente ha adottato  ed  efficacemente  attuato,  prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di  gestione idonei a prevenire reati della specie di quello    verificatosi;
b) il compito  di  vigilare  sul  funzionamento  e  l’osservanza  dei modelli di curare il loro aggiornamento e’ stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di    controllo;
c) le persone hanno commesso il  reato  eludendo  fraudolentemente  i  modelli di organizzazione e di gestione;
d) non  vi  e’  stata  omessa  o  insufficiente  vigilanza  da  parte dell’organismo di cui alla lettera b).
2. In relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attivita’ nel cui ambito  possono  essere  commessi   reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalita’ di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione  nei  confronti  dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il  mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma  2,  sulla  base  di codici di comportamento redatti  dalle  associazioni  rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di  concerto con i Ministeri competenti,  puo’  formulare,  entro  trenta  giorni, osservazioni sulla idoneita’ dei modelli a prevenire i reati. (6)
4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera  b),  del  comma  1,  possono  essere   svolti   direttamente dall’organo dirigente.
4-bis. Nelle societa’  di  capitali  il  collegio  sindacale,  il consiglio di sorveglianza  e  il  comitato  per  il  controllo  della gestione possono svolgere le funzioni dell’organismo di vigilanza  di cui al comma 1, lettera b).
5. E’ comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.”



[1] “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012)” Materia: LEGGE FINANZIARIA, ANNO FINANZIARIO 2012, BILANCIO DELLO STATO Pubblicazione: G.U. n. 265 del 14 novembre 2011 (suppl.ord.)
 
 
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