Conferenza di Servizi

novellati gli articoli 14 ss. della L. n. 241/1990 ss.m..
(DL del 31.5.2010 n. 78 (G. Uff. n. 125 del 31.5.2010)- Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica).
a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati


L’art. 49 del D.L. n.  78/2010 ha modificato l’istituto della Conferenza di servizi di cui agli artt. 14 e ss. L. n. 241/1990,  già interessata dalle recenti novità della L. 69/2009.

Con riserva di commentare brevemente le importanti novità introdotte sembra rilevante il profilo relativo alla risarcibilità del danno provocato dalla Amministrazione, ad esempio, per la tardività del provvedimento richiesto.
L’ espressione in un testo normativo di tale assunto, per quanto riconosciuto dalla giurisprudenza, rappresenta certo una novità positiva per il cittadino. Ponendo attenzione, per ora, solo all’art. 14 ter si indicano le novità di rilievo.
Il comma 3bis dell’art. 14 ter L. 241/1990 permette di ottenere già in sede di conferenza di servizi l’autorizzazione paesaggistica senza dover indire una nuova procedura (comma 3bis) ed  è stata riconosciuta la possibilità di utilizzare i risultati e le prescrizioni della VAS nella procedura di VIA (comma 4 bis) ai sensi dell’art. 7 Codice Ambientale.
Particolarmente interessante la novella del comma 6 bis, che è stato completamente riscritto: allo scadere dei termini procedurali concessi, oppure all’esito del procedimento, l’autorità procedente potrà emanare il provvedimento definitivo sostitutivo di ogni atto di assenso comunque denominato anche se di competenza di amministrazioni non comparse, ma invitate, alla conferenza di servizi….purchè non si tratti della procedura di VIA statale. In tal caso, infatti, trova applicazione l’art. 26 comma 2 D. Lgs. 152/2006 e la PA procedente dovrà adire il Consigli dei Ministri.
Tale comma contiene in sé anche quanto già stabilito dal comma 9, ora abrogato, introducendo altresì la facoltà per il privato di promuovere azione di risarcimento del danno cagionato dal ritardo della PA
Altra importante novità è la preclusione del silenzio assenso ai provvedimenti di VIA, VAS ed AIA: se la P.A non si pronuncia nei termini al privato non rimane altro che attendere la conclusione, seppur tardiva, dell’iter burocratico, con l’unica possibilità di chiedere alla P.A. il risarcimento del danno cagionato dal ritardo.( comma 7);

L. n. 241/1990

Articolo 14-ter. (Lavori della conferenza di servizi)
01. La prima riunione della conferenza di servizi è convocata entro quindici giorni ovvero, in caso di particolare complessità dell’istruttoria, entro trenta giorni dalla data di indizione.1. La conferenza di servizi assume le determinazioni relative all’organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti e può svolgersi per via telematica.
2. La convocazione della prima riunione della conferenza di servizi deve pervenire alle amministrazioni interessate, anche per via telematica o informatica, almeno  cinque giorni prima della relativa data. Entro i successivi cinque giorni, le amministrazioni convocate possono richiedere, qualora impossibilitate a partecipare, l’effettuazione della riunione in una diversa data; in tale caso, l’amministrazione procedente concorda una nuova data, comunque entro i dieci giorni successivi alla prima.



 
 
 
 
 
2-bis. Alla conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e 14-bis sono convocati i soggetti proponenti il progetto dedotto in conferenza, alla quale gli stessi partecipano senza diritto di voto.2-ter. Alla conferenza possono partecipare, senza diritto di voto, i concessionari e i gestori di pubblici servizi, nel caso in cui il procedimento amministrativo o il progetto dedotto in conferenza implichi loro adempimenti ovvero abbia effetto diretto o indiretto sulla loro attività. Agli stessi è inviata, anche per via telematica e con congruo anticipo, comunicazione della convocazione della conferenza dei servizi. Alla conferenza possono partecipare inoltre, senza diritto di voto, le amministrazioni preposte alla gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazione.
3. Nella prima riunione della conferenza di servizi, o comunque in quella immediatamente successiva alla trasmissione dell’istanza o del progetto definitivo ai sensi dell’articolo 14-bis, le amministrazioni che vi partecipano determinano il termine per l’adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4. Decorsi inutilmente tali termini, l’amministrazione procedente provvede ai sensi ai sensi dei commi 6-bis e 9 del presente articolo”;
 
 
 
 
 
4. Nei casi in cui sia richiesta la VIA, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine di cui al comma 3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l’adozione del relativo provvedimento, l’amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei trenta giorni successivi al termine predetto. Tuttavia, a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, il termine di trenta giorni di cui al precedente periodo è prorogato di altri trenta giorni nel caso che si appalesi la necessità di approfondimenti istruttori.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
5. Nei procedimenti relativamente ai quali sia già intervenuta la decisione concernente la VIA le disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 14-quater, nonché quelle di cui agli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, si applicano alle sole amministrazioni preposte alla tutela della salute pubblica, del patrimonio storico-artistico e della pubblica incolumità”.
6. Ogni amministrazione convocata partecipa alla conferenza di servizi attraverso un unico rappresentante legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione su tutte le decisioni di competenza della stessa.
6-bis. All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
7. Si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata.
 
 
 
8. In sede di conferenza di servizi possono essere richiesti, per una sola volta, ai proponenti dell’istanza o ai progettisti chiarimenti o ulteriore documentazione. Se questi ultimi non sono forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni, si procede all’esame del provvedimento.
9.Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza.
10. Il provvedimento finale concernente opere sottoposte a VIA è pubblicato, a cura del proponente, unitamente all’estratto della predetta VIA, nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino regionale in caso di VIA regionale e in un quotidiano a diffusione nazionale. Dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale da parte dei soggetti interessati.
L. n. 241/1990
post D.L.78/2010
Articolo 14-ter. (Lavori della conferenza di servizi)
01. La prima riunione della conferenza di servizi è convocata entro quindici giorni ovvero, in caso di particolare complessità dell’istruttoria, entro trenta giorni dalla data di indizione.1. La conferenza di servizi assume le determinazioni relative all’organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti e può svolgersi per via telematica.
2. La convocazione della prima riunione della conferenza di servizi deve pervenire alle amministrazioni interessate, anche per via telematica o informatica, almeno  cinque giorni prima della relativa data. Entro i successivi cinque giorni, le amministrazioni convocate possono richiedere, qualora impossibilitate a partecipare, l’effettuazione della riunione in una diversa data; in tale caso, l’amministrazione procedente concorda una nuova data, comunque entro i dieci giorni successivi alla prima. La nuova data della riunione puo’ essere fissata entro i quindici giorni successivi nel caso la richiesta provenga da un’autorita’ preposta alla tutela del patrimonio culturale. I responsabili degli sportelli unici per le attivita’ produttive e per l’edilizia, ove costituiti, o i Comuni concordano con i Soprintendenti territorialmente competenti il calendario, almeno trimestrale, delle riunioni delle conferenze di servizi che coinvolgano atti di assenso o consultivi comunque denominati di competenza del Ministero per i beni e le attivita’ culturali.
 
2-bis. Alla conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e 14-bis sono convocati i soggetti proponenti il progetto dedotto in conferenza, alla quale gli stessi partecipano senza diritto di voto.2-ter. Alla conferenza possono partecipare, senza diritto di voto, i concessionari e i gestori di pubblici servizi, nel caso in cui il procedimento amministrativo o il progetto dedotto in conferenza implichi loro adempimenti ovvero abbia effetto diretto o indiretto sulla loro attività. Agli stessi è inviata, anche per via telematica e con congruo anticipo, comunicazione della convocazione della conferenza dei servizi. Alla conferenza possono partecipare inoltre, senza diritto di voto, le amministrazioni preposte alla gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazione.
3. Nella prima riunione della conferenza di servizi, o comunque in quella immediatamente successiva alla trasmissione dell’istanza o del progetto definitivo ai sensi dell’articolo 14-bis, le amministrazioni che vi partecipano determinano il termine per l’adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4. Decorsi inutilmente tali termini, l’amministrazione procedente provvede ai sensi ai sensi dei commi 6-bis e 9 del presente articolo”;
 
3-bis. In caso di opera o attivita’ sottoposta anche ad autorizzazione paesaggistica, il soprintendente si esprime, in via definitiva, in sede di conferenza di servizi, ove convocata, in ordine a tutti i provvedimenti di sua competenza ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, 42;
4. Nei casi in cui sia richiesta la VIA, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine di cui al comma 3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l’adozione del relativo provvedimento, l’amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei trenta giorni successivi al termine predetto. Tuttavia, a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, il termine di trenta giorni di cui al precedente periodo è prorogato di altri trenta giorni nel caso che si appalesi la necessità di approfondimenti istruttori.
4-bis. Nei casi in cui l’intervento oggetto della conferenza di servizi e’ stato sottoposto positivamente a valutazione ambientale strategica(VAS), i relativi risultati e prescrizioni, ivi compresi gli adempimenti di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 10 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, devono essere utilizzati, senza modificazioni, ai fini della VIA, qualora effettuata nella medesima sede, statale o regionale, ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
5. Nei procedimenti relativamente ai quali sia già intervenuta la decisione concernente la VIA le disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 14-quater, nonché quelle di cui agli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, si applicano alle sole amministrazioni preposte alla tutela della salute pubblica, del patrimonio storico-artistico e della pubblica incolumità”.
6. Ogni amministrazione convocata partecipa alla conferenza di servizi attraverso un unico rappresentante legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione su tutte le decisioni di competenza della stessa.
6-bis. All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui ai commi 3 e 4, l’amministrazione procedente, in caso di VIA statale, puo’ adire direttamente il consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 2006, n. 152; in tutti gli altri casi, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza. La mancata partecipazione alla conferenza di servizi ovvero la ritardata o mancata adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento sono valutate ai fini della responsabilita’ dirigenziale o disciplinare e amministrativa, nonche’ ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato. Resta salvo il diritto del privato di dimostrare il danno derivante dalla mancata osservanza del termine di conclusione del procedimento ai sensi degli articoli 2 e 2-bis.
 
 
 
 
 
 
7. Si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumita’ e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, paesaggistico-territoriale, il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volonta’ dell’amministrazione rappresentata.
8. In sede di conferenza di servizi possono essere richiesti, per una sola volta, ai proponenti dell’istanza o ai progettisti chiarimenti o ulteriore documentazione. Se questi ultimi non sono forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni, si procede all’esame del provvedimento.
L’articolo 9 è stato abrogato dal D.L. 78/2010
 
 
 
 
10. Il provvedimento finale concernente opere sottoposte a VIA è pubblicato, a cura del proponente, unitamente all’estratto della predetta VIA, nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino regionale in caso di VIA regionale e in un quotidiano a diffusione nazionale. Dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale da parte dei soggetti interessati.

 

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Soppressione Autorità d’Ambito Territoriale : L. 42/2010

A cura di avv. Cinzia Silvestri


Il Parlamento ha convertito con legge 26.3.2010, n. 42 (in G.U. n. 72 del 27-3-2010) il D. L. 25.01.2010 n. 2, disponendo la soppressione delle Autorità d’Ambito Territoriali entro un anno dall’entrata in vigore della medesima legge (27.03.2010).
Dal 27 marzo 2011, pertanto, le Autorità ex art. 148 e 201 del D. Lgs 152/2006 non saranno più operative ed esistenti ed i relativi provvedimenti dichiarati nulli. Si riporta testualmente l’art. 1-quinquies L. 42/2010, sopra commentato:
1-quinquies:All’articolo 2, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, dopo il comma 186, e’ inserito il seguente:
«186-bis. Decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le Autorità d’ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.
Decorso lo stesso termine, ogni atto compiuto dalle Autorità d’ambito territoriale e’ da considerarsi nullo. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 sono efficaci in ciascuna regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui al periodo precedente. I medesimi articoli sono comunque abrogati decorso un anno dalla  data di entrata in vigore della presente legge»

Giova la lettura degli articoli 148 e 201 del Dlgs. 152/2006 ss.. al fine di comprendere l’importanza della previsione normativa oggi in commento.Si riportano di seguito gli articoli 148 e 201 D. Lgs 152/06 che verranno abrogati dal 27.03.2011:

art. 148
Autorità d’ambito territoriale ottimale
1. L’Autorità d’ambito è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all’articolo 143, comma 1.
2. Le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d’ambito di cui al comma 1, cui è demandata l’organizzazione, l’affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato.
3. I bilanci preventivi e consuntivi dell’Autorità d’ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell’ente, e sono trasmessi all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti(*) e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio entro quindici giorni dall’adozione delle relative delibere.
4. I costi di funzionamento della struttura operativa dell’Autorità d’ambito, determinati annualmente, fanno carico agli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale, in base alle quote di partecipazione di ciascuno di essi all’Autorità d’ambito.
5. Ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorita’ d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato e’ facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunita’ montane, a condizione che gestiscano l’intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorita’ d’ambito competente.
art. 201
Disciplina del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani
1. Al fine dell’organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, disciplinano le forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d’ambito di cui al comma 2, alle quali è demandata, nel rispetto del principio di coordinamento con le competenze delle altre amministrazioni pubbliche, l’organizzazione, l’affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti.
2. L’Autorità d’ambito è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle loro competenze in materia di gestione integrata dei rifiuti.
3. L’Autorità d’ambito organizza il servizio e determina gli obiettivi da perseguire per garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di efficacia, di economicità e di trasparenza; a tal fine adotta un apposito piano d’ambito in conformità a quanto previsto dall’articolo 203, comma 3.
4. Per la gestione ed erogazione del servizio di gestione integrata e per il perseguimento degli obiettivi determinati dall’Autorità d’ambito, sono affidate, ai sensi dell’articolo 202 e nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale sull’evidenza pubblica, le seguenti attività:
a) la realizzazione, gestione ed erogazione dell’intero servizio, comprensivo delle attività di gestione e realizzazione degli impianti;
b) la raccolta, raccolta differenziata, commercializzazione e smaltimento completo di tutti i rifiuti urbani e assimilati prodotti all’interno dell’ATO.
5. In ogni ambito:
a) è raggiunta, nell’arco di cinque anni dalla sua costituzione, l’autosufficienza di smaltimento anche, ove opportuno, attraverso forme di cooperazione e collegamento con altri soggetti pubblici e privati;
b) è garantita la presenza di almeno un impianto di trattamento a tecnologia complessa, compresa una discarica di servizio.
6. La durata della gestione da parte dei soggetti affidatari, non inferiore a quindici anni, è disciplinata dalle regioni in modo da consentire il raggiungimento di obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità.

La L. 42/2010 statuisce altresì che entro il medesimo termine -27.03.2011- le regioni dovranno ridistribuire le competenze oggi in capo alle ATO, precisando, però, che fino all’emanazione del provvedimento di attribuzione rimangono in ogni caso efficaci le disposizioni degli articoli 148 e 201.
Il testo di legge non specifica a chi tali funzioni debbano essere attribuite, ma la ratio dell’intera normativa e il richiamo ai principi di sussidiarietà, differenziazione e di adeguatezza fanno presumere che i destinatari delle funzioni saranno Province, Comuni, ovvero Autorità già esistenti.
 

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SOTTOPRODOTTO E TERRE E ROCCE DA SCAVO

avv.  Cinzia Silvestri del foro di Venezia, giurista ambientale
E’ necessario chiarire, brevemente, il significato di “sottoprodotto” senza sconfinare in complessi sofismi giuridici e rendendo comprensibile anche all’operatore/impresa la valenza giuridica di questo bene.
1) SOTTOPRODOTTO
Bisogna ricordare che il sottoprodotto nasce dalla elaborazione giurisprudenziale  a livello comunitario. Molte sono le sentenze[1] che la Corte Europea di Giustizia ha emesso  occupandosi del “sottoprodotto” e coniando, dunque, il termine che oggi è diventato di uso comune. La Corte di Giustizia affrontava, caso per caso, la qualificazione giuridica di ciò che residuava dal processo di produzione. Ed invero si consideri che il processo di produzione può creare un prodotto ma anche un residuo di produzione e che questo residuo di produzione può essere a sua volta rifiuto ma anche “non rifiuto” meglio identificabile come “sottoprodotto”.
2) RIFIUTO
La Comunità Europea è sempre stata rigorosa nell’indicare che un bene è o non è rifiuto. Non esistono sfumature alla definizione di rifiuto ed anzi è necessario interpretare le norme nel senso di ampliare il novero dei beni ricadenti nella nozione di rifiuto. Classificare come rifiuto un certo bene significa anche sottoporlo al controllo di legge e, dunque, applicare una maggiore tutela ambientale. L’importante è comprendere che la finalità della Corte di Giustizia Europea, che si è espressa a mezzo di numerose sentenze, è sempre stata quella di accertare l’esistenza o meno del rifiuto. E’ necessario infatti comprendere che tutto parte dalla nozione di rifiuto.
3) COME SI IDENTIFICA UN RIFIUTO? Non è possibile in questa sede fornire esauriente risposta a tale quesito; risposta che  presenta una certa complessità. Tuttavia è possibile semplificare. Si consideri che la Direttiva 2006/12/CE[2] all’ art. 1 lett. a) definisce il rifiuto come qualsiasi sostanza od oggetto che rientri: 1) nelle categorie riportate nell’allegato I; 2) di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di DISFARSI. Con chiarezza e metodo il legislatore Europeo indica dapprima la necessità di verificare se, ad esempio, quel determinato bene è incluso nell’allegato I (Q) (elemento OGGETTIVO) e, successivamente, indica la necessità di  verificare se il soggetto agente vuole o meno DISFARSI di quel bene (elemento SOGGETTIVO). E’ intuitivo che l’accertamento della volontà o meno del “disfarsi” è di particolare complessità e deve rapportarsi con infinite variabili e con la quotidianità commerciale e produttiva sempre più evoluta. Si precisa che la codificazione della nozione di rifiuto in sede Comunitaria è accolta nella legislazione italiana (art. 183 comma 1 lett. a) D.Lgs. 152/2006 ss.m. ) che prevede a sua volta la verifica dell’elemento oggettivo (allegato A parte IV) e la verifica dell’elemento soggettivo (“..si disfi abbia deciso di disfarsi o abbia l’obbligo di disfarsi..”).
4) NUOVA DIRETTIVA RIFIUTI 2008/98/CE (Gazz. Uff. UE 22.11.2008)
a) RIFIUTO
E’ utile uno sguardo al prossimo imminente futuro. E’ stata pubblicata la nuova direttiva sui rifiuti (2008/98/CE) che andrà a sostituire ed abrogare la Direttiva 2006/12/CE, si badi, con effetto dal 12.12.2010 (art. 41 Direttiva). Tuttavia a partire dal 12.12.2008 la Direttiva 2006/12/CE trova applicazione pur con alcune modifiche indicate all’art. 41 lett. c) della Direttiva 2008/98/CE. Gli stati membri dunque nei prossimi due anni sono tenuti ad adeguare le proprie normative alla nuova direttiva.Ebbene la nuova direttiva introduce importanti novità che costringeranno anche il legislatore italiano ad una revisione della propria legislazione. Importante elemento di novità è certo la nuova definizione di rifiuto che si concentra, si badi, solo sull’elemento soggettivo (disfarsi). L’allegato I (Q) non esiste più nella nuova direttiva[3] e, dunque, l’indagine che porta a definire un bene come rifiuto è circoscritta al concetto del “disfarsi”. b) SOTTOPRODOTTO
La nuova direttiva, inoltre, codifica la nozione di sottoprodotto all’articolo 5. La novità è di particolare importanza in quanto il legislatore Comunitario non aveva mai codificato tale nozione ed anzi aveva affermato – nella “Comunicazione interpretativa della Commissione al Consiglio e Parlamento Europeo del 21.2.2007 – di preferire l’indicazione di “linee guida” piuttosto che la codificazione di “sottoprodotto” tramite apposita Direttiva. Le “linee guida” permettono, invero, una maggiore elasticità nella valutazione del caso concreto. Vero è che anche in sede Comunitaria si avvertiva l’esigenza di fornire maggiori precisazioni del concetto di sottoprodotto (non rifiuto) anche in forza della legislazione degli stati membri (Italia) che provvedevano invece alla codificazione puntuale di tale concetto. Ebbene l’indagine sulla natura o meno di rifiuto di un certo bene, espressa dapprima tramite l’accertamento concreto delle sentenze, approdava nelle “linee guida” per la individuazione del  sottoprodotto (21.2.2007) e conclude il suo percorso con la codificazione dell’art. 5 Direttiva 2008/98/CE.Ne discende che la formulazione nazionale del concetto di sottoprodotto ex art. 183 co. 1 lett. p) D.Lgs. n. 152/2006 ss.m. dovrà confrontarsi proprio con la definizione di cui all’art. 5 Direttiva 2008/98/CE.
5) ACCERTAMENTO NATURA DI SOTTOPRODOTTO
Come accertare se un bene è un sottoprodotto? Non bisogna dimenticare che l’indagine giurisprudenziale della Corte di Giustizia Europea mirava ad identificare gli elementi che concretavano la condotta del NON DISFARSI (sottoprodotto)[4]. L’indagine si estendeva, ad esempio, alla valutazione del ciclo di produzione, al tipo di bene, all’eventuale riutilizzo, alla commercializzazione, alla esistenza o meno di contratti tra diverse aziende, alla esistenza o meno di un processo di trasformazione del bene nel corso del ciclo di produzione. La realtà operativa e di produzione veniva sezionata al fine di verificare la esistenza di elementi in grado di indicare la volontà di disfarsi o meno del bene. Tutti gli  elementi, raccolti e valutati nella loro complessità, permettevano di statuire sulla natura del bene. Ebbene la giurisprudenza comunitaria, nell’affrontare i casi singoli,  ha permesso di evidenziare gli elementi/presupposti spesso ricorrenti; elementi che sono stati, appunto, “codificati”. Si pensi ai presupposti, ormai noti, che caratterizzano la nozione di sottoprodotto quali: 1) certezza del riutilizzo; 2) senza trasformazioni preliminari; 3) nel corso del processo di produzione. La presenza di tali elementi, infatti, fornisce lacertezza/elevata probabilità che non esiste la volontà/intenzione del disfarsi e, dunque, rileva la coincidenza tra sottoprodotto e non rifiuto (quale residuo di produzione). Il sottoprodotto[5], dunque, indica l’insieme di elementi che, dopo attenta analisi di tutto il processo produttivo, concretano il NON rifiuto, si badi, sin dall’origine[6].
6) LEGISLAZIONE ITALIANA E DIRETTIVA COMUNITARIA
E’ utile indagare, brevemente, sulla legislazione italiana che ha speso molte energie nel tentativo di codificare al meglio il concetto di sottoprodotto. a) Legislazione italiana. La prima codificazione a livello legislativo appare con l’art. 183 comma 1 lett. n) del D.Lgs. 152/2006 (in vigore dal 29.4.2006 al 12.2.2008). Prima di questo articolo il concetto di sottoprodotto (non rifiuto) era già presente nella legislazione speciale L. n. 443/2001 ss.m. e nella interpretazione autentica di rifiuto di cui all’art. 14 D.L. n. 138/2002. La prima stesura appare complessa e ridondante nel tentativo di codificare ed esprimere anche il dettato comunitario per sua natura così elastico.Ebbene il D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008) provvede a riformare l’art. 183 comma 1 ed inserisce la lettera  p) che alleggerisce e semplifica il testo precedente e codifica quegli indicatori che, se presenti nella realtà produttiva, indicano che quel bene “non è rifiuto”.b) legislazione comunitaria Mentre il legislatore italiano, senza esserne richiesto, codifica il concetto di sottoprodotto il legislatore comunitario tace ed evita ogni definizione limitandosi a fornire delle “linee guida” (21.2.2007) che per loro natura sono elastiche e possono essere arricchite di contenuti. La nuova Direttiva 2008/98/CE codifica il concetto di sottoprodotto e impone dunque la verifica della compatibilità di quanto legiferato in sede nazionale e concede due anni di tempo per eventuali modifiche e adeguamenti della legislazione nazionale al dettato delle Comunità Europee.Tale precisazione ha l’utilità di evidenziare, anche cronologicamente, la diversa evoluzione e la nascita del concetto di sottoprodotto in sede Comunitaria ed in sede nazionale.
7) TERRE E ROCCE DA SCAVO
In questo quadro di riferimento si pone il collegamento con la disciplina delle terre e rocce da scavo. Il D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008), come sopra rilevato, ha introdotto importanti modifiche ed integrazioni alla disciplina del sottoprodotto (art. 183 comma 1 lett. p)) ma anche delle terre e rocce da scavo (art. 186). Limitando l’indagine a ciò che è ora vigente si rileva che l’articolo 186 contiene al comma 1 esplicito richiamo al sottoprodotto[7] (“… ottenuti quali sottoprodotti…”). La presenza di tale richiamo impone la lettura in combinato disposto dei due articoli (183 e 186). Ebbene, si nota che l’art. 186 nel richiamare il concetto di sottoprodotto non si sovrappone completamente ed anzi: 1) integra e specifica la nozione stessa di sottoprodotto; 2) adatta la nozione di sottoprodotto al caso “terre e rocce”; 3) aggiunge ulteriori elementi di specificazione necessari per l’ esclusione delle terre e rocce dalla normativa sui rifiuti. Si deve concludere, infatti, pur esistendo l’ esplicito richiamo all’art. 183, che esistono sostanziali differenze ed integrazioni. Se si dovesse visualizzare il rapporto tra le due norme è possibile immaginare due cerchi di diverse dimensioni in cui il cerchio dell’art. 186 include per intero il cerchio dell’art. 183.Si badi, inoltre, che il legislatore non si è limitato al mero richiamo dell’art. 183 comma 1 lett. p,) che di per sé sarebbe sufficiente ad escludere il bene dalla normativa sui rifiuti, ma ha scelto altra tecnica legislativa anche letterale, certo più complessa, che descrive e riporta in parte nell’articolo 186 proprio i contenuti dell’art. 183.L’importanza della comprensione del testo di cui all’art. 186 comma 1 è evidente. Per poter applicare l’art. 186: a) devono esistere tutti i requisiti indicati alle lett. da a)g) del comma 1; b) la presenza di tutti i requisiti di cui al comma 1 è presupposto per l’applicazione di tutti i restanti commi dell’art. 186. Se manca la presenza anche di un solo requisito indicato nell’art. 186 comma 1 non è possibile applicare l’art. 186 e, dunque, è necessario applicare la normativa sui rifiuti (come ben precisato al comma 5 dell’art. 186).Utile a questo proposito è la visione in confronto offerta nel successivo schema degli articoli 183 comma 1 lett. p) e art. 186 comma 1 come riformati dal D.Lgs. n. 4/08.
CONCLUSIONI
Questa breve disamina è offerta con l’intento di chiarire e semplificare concetti di estrema complessità che hanno portato spesso confusione applicativa proprio per la difficoltà di un approccio semplice. Ciò che è importante ricordare è che il sottoprodotto è un “non rifiuto sin dall’origine” e che il richiamo operato dall’art. 186 obbliga all’accertamento dei presupposti di cui all’art. 183 comma 1 lett. p) ma non è da solo sufficiente alla applicazione dell’art. 186.Giova precisare che la nuova Direttiva 2008/98/CE e la definizione di sottoprodotto impone la valutazione anche del testo dell’art. 186 co. 1 oggi vigente e la sua compatibilità con la statuizione Comunitaria.

SOTTOPRODOTTO – TERRE E ROCCE DA SCAVO SCHEMA DI CONFRONTO A CURA DELL’AVVOCATO CINZIA SILVESTRI del foro di Venezia
Art. 183 comma 1 lett. p)come riformato dal D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008) Art. 186 comma 1come riformato dal D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008)
p) sottoprodotto: sono sottoprodotti le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni; 1. Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purché:
1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; a) siano impiegate direttamente nell’ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti;
2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito b) sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell’integrale utilizzo;
3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati c) l’utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate;
:;; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione d) sia garantito un elevato livello di tutela ambientale;
5) abbiano un valore economico di mercato. e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d’uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione;
g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata. L’impiego di terre da scavo nei processi industriali come sottoprodotti, in sostituzione dei materiali di cava, è consentito nel rispetto delle condizioni fissate all’articolo 183, comma 1, lettera p).


[1] Palin Granit Oy 18.4.2002, C-900; Niselli 11.11.2004 C- 457/02; Avesta Polarit 11.9.2003 C 114/01; le ordinanze Saetti Frediani (petcoke) e altre.
[2] Direttiva 2006/12/CE ha abrogato la precedente Direttiva 75/442/CEE.
[3] La nuova direttiva prevede come allegato I le attività di smaltimento (D).
[4] La condotta del disfarsi attribuisce la natura di rifiuto al bene mentre solo in caso di condotta inversa (non disfarsi) si è in presenza di non rifiuto – sottoprodotto.
[5]E’ dunque termine convenzionale utilizzato dalla giurisprudenza comunitaria
[6] Il sottoprodotto, si precisa, non è una sottocategoria di rifiuto bensì è ciò che non è rifiuto sin dall’origine. Ne discende, per quanto possa sembrare particolare questa affermazione, che non esiste un elenco dei sottoprodotti simile a quello, per intenderci,  del CER .
[7] L’articolo 186 è stato completamente ricritto dal D.Lgs. n. 4/08 e nella versione precedente l’articolo 186 si esprimeva col termine “.. non sono rifiuti…”.

 

adminSOTTOPRODOTTO E TERRE E ROCCE DA SCAVO
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