SICUREZZA: RSPP, preposto, datore di lavoro – Quali responsabilità

SICUREZZA: RSPP, preposto, datore di lavoro – Quali responsabilità
Nota a Cass. penale 20.4.2011 n. 28779
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
La Corte di Cassazione delinea, con apprezzabile chiarezza, la responsabilità penale del datore di lavoro, del RSPP e del preposto in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro.
Agli imputati veniva contestato di aver cagionato la morte di un dipendente e lesioni personali gravissime ad altro dipendente della Società – appaltatrice dei lavori commissionati dall’ENEL per lo smantellamento della linea elettrica Palmi – Gioia Tauro – i quali, recita la sentenza: “ nello smontare un traliccio, dopo essersi arrampicati sullo stesso ed averne svitato i bulloni di fissaggio, posti a metà altezza, erano precipitati da circa 15 metri a seguito del ripiegamento, a metà, della struttura su se stessa, ripiegamento che aveva determinato la caduta del Ca. e dello S..”.
I reati venivano contestati a:
1)    amministratore e legale rappresentante della Società appaltatrice
2)    al responsabile tecnico e responsabile dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP)
3)    al responsabile di cantiere per la sicurezza ed esecuzione dei lavori commissionati dall’ENEL,
4)    al capo cantiere della ditta appaltatrice,
“individuando profili di colpa generica e di colpa specifica, per avere omesso di dotare gli operai di dispositivi di protezione individuale idonei e per avere consentito che gli stessi operassero secondo modalità altamente rischiose non previste nel piano operativo di sicurezza”.
 RAGIONI DELLA DIFESA
La Corte sintetizza la difesa dei ricorrenti in Cassazione che sostengono la esclusiva responsabilità del capo cantiere, in qualità di preposto e la mancata osservanza da parte dei lavoratori delle norme di sicurezza:
I ricorrenti ……l’evento era da ascrivere alla esclusiva responsabilità del capo cantiere C., il quale, in qualità di preposto, era dotato di autonoma posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori e la mattina del sinistro, del tutto imprevedibilmente, si era assentato dal cantiere senza darne preventivo preavviso al datore di lavoro. Si prospetta altresì la tesi che la condotta omissiva del C., unitamente alla mancata osservanza da parte dei lavoratori delle norme di sicurezza, integri una casa sopravvenuta sufficiente da sola a determinare l’evento”.
La Corte invero condanna tutti i soggetti indicati ritenendoli responsabili della morte e delle lesioni per omessa prevenzione e cautele sulla sicurezza.
In particolare e degno di nota è il passaggio che delinea e precisa la responsabilità preposto/RSSP e datore di lavoro con riferimento alla:
 1) Delega:
“… il datore di lavoro, pur a fronte di una delega corretta ed efficace- che, peraltro non risulta essere stata conferita in questo caso- non potrebbe andare esente da responsabilità, allorchè le carenze nella disciplina antinfortunistica e, più in generale, nella materia della sicurezza, attengano a scelte di carattere generale della politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza. E’ ipotesi, quest’ultima, che può non infrequentemente verificarsi allorchè si tratti dello svolgimento di attività lavorative pericolose, foriere di produrre inquinamento o di porsi come (con)cause efficienti di malattie professionali (per riferimenti, Sez. 4, 6 febbraio 2007, n. 12794, Proc.gen. App. Messina in proc. Chirafisi ed altro; Sezione 3, 3 dicembre 1999, Natali).
 2) Preposto:
“….non può farsi ricadere sul preposto l’onere di organizzazione dell’attività lavorativa aziendale, mediante l’adozione tempestiva di un POS adeguato, nè l’onere di procedere all’acquisto delle dotazioni di lavoro, nella specie funi di acciaio e tirfor, delle quali munire i lavoratori, nè l’omessa formazione del personale nè la scelta di adibire allo svolgimento di mansioni altamente rischiose lavoratori appena assunti presso la ditta.
 3) Scelte aziendali
“Si tratta, come osservato nella sentenza in esame, di un livello di dispiegamento del sistema di potere-dovere in ordine alla sicurezza che riguarda le complessive scelte aziendali inerenti all’organizzazione delle lavorazioni e che, quindi, coinvolge appieno la sfera di responsabilità del datore di lavoro”.
 4) Art. 2087 c.c.
“Va soggiunto, inoltre, che il dovere di vigilanza e di controllo- che compete tradizionalmente al datore di lavoro, ma anche al dirigente nei limiti delle relative competenze funzionali, in applicazione della generalissima regola cautelare contenuta nell’articolo 2087 del codice civile – non può non svilupparsi anche attraverso un obbligo di vigilanza sull’attività degli altri soggetti che, a vario titolo, sono titolari prò quota dell’obbligazione di garanzia, implicando evidentemente poteri di controllo e di sollecitazione”.
______________________________________________________________________________________________
La sentenza DUNQUE è occasione per precisare le singole responsabilità del rappresentante legale, del RSPP e del preposto, SENZA DIMENTICARE che le norme di cui al Dlgs. 81/2008 ss. m. mantengono peculiarità e applicazione nell’ambito della sicurezza sul lavoro e che non sono estensibili in altri campi di diritto se non nei limiti dei principi di diritto in essa contenuti.
1) Datore di lavoro
NESSUNA delega esonera completamente il datore di lavoro.
Egli, infatti, rimane SEMPRE garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei lavoratori e dunque deve:

  1. istruire i prestatori di lavoro;
  2. adottare le misure di sicurezza;
  3. garantire la concreta predisposizione ed attuazione delle misure di sicurezza;
  4. controllare CONTINUAMENTE l’osservanza delle misure di sicurezza.

 
Il datore di lavoro è SEMPRE responsabile per tutte quelle carenze che attengono a scelte di carattere generale di politica aziendale o a carenze strutturali, perché il delegato comunque non avrebbe voce in capitolo e gli sarebbe precluso un concreto intervento.
Il datore di lavoro è infine controllore dei controllori e mantiene il potere di vigilanza e di sollecitazione.
Questa funzione può tuttavia essere affidata ad un Dirigente.
La responsabilità del datore di lavoro non esclude la CONCORRENTE (ma non assorbente) responsabilità del RSPP: entrambi dovranno rispondere dell’illecito accertato per l’intero.
2) RSPP
Il RSPP risponde di tutte le situazioni pericolose che egli aveva l’obbligo di conoscere e segnalare.
La mancanza di poteri decisionali e/o di spesa sono ininfluenti perché funzione del RSPP è la prevenzione.
Egli dunque sarà sanzionato laddove:

  1. ometta la dovuta segnalazione, impedendo l’attivazione dei soggetti muniti di poteri decisionali e di spesa;
  2. segnali erroneamente o con imperizia, imprudenza e negligenza la situazione di potenziale pericolo o che comunque richiedeva intervento.

Nessuna sanzione è invece stabilita per la (generica) inadeguata vigilanza delle condizioni di sicurezza.
 3) PREPOSTO
Il preposto risponde direttamente per il mancato esercizio delle funzioni di supervisione e di controllo delle attività lavorative.
Egli deve dirigere le attività di lavoro e questo richiede anche:

  1. vigilare acchè le prescrizioni antinfortunistiche siano rispettate dai lavoratori;
  2. rimuovere le situazioni pregiudiziali per la sicurezza dei lavoratori e, laddove ciò sia impossibile, segnalare ai suoi superiori le situazioni di pericolo bloccando l’attività lavorativa;
  3. verificare che le attività siano svolte solo dai lavoratori adeguatamente istruiti.

 
 
 

adminSICUREZZA: RSPP, preposto, datore di lavoro – Quali responsabilità
Leggi Tutto

SISTRI – PROROGA NOVITA'

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


Il provvedimento di “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70,  approvato dal Senato il 7 luglio 2011 , non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, contiene un’importante disposizione  (in materia di Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, poichè prevede che, per imprese ed enti produttori di rifiuti speciali pericolosi (compresi i trasportatori di cui all’art. 212 c. 8 del D.Lgs. 152/06 che trasportano rifiuti pericolosi) che hanno fino a 10 dipendenti, la data di piena operatività del Sistri non possa essere antecedente al 1° giugno 2012.
La data di avvio della piena operatività del Sistri per i produttori di rifiuti pericolosi che hanno fino a dieci dipendenti non sarà dunque il 2 gennaio 2012, come stabilito con Decreto 26 maggio 2011, bensì quella che sarà adottata con un provvedimento di proroga emanato dal Ministero dell’Ambiente, comunque non antecedente al 1° giugno 2012.
 
Fino a tale data i produttori di rifiuti pericolosi che hanno fino a dieci dipendenti saranno tenuti alla gestione dei rifiuti secondo la logica del “doppio binario”: obbligo di utilizzo del Sistri (pur in assenza delle relative sanzioni, che scatteranno a partire dal giorno della piena operatività del sistema) e di tenuta delle tradizionali scritture cartacee (registri di carico e scarico e formulari di identificazione dei rifiuti), anche se il nuovo art. 258 del D.Lgs. 152/06 in materia di “Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari” fa riferimento ai soli soggetti che non abbiano aderito al Sistri.
La modifica trova la sua motivazione nella necessità di «garantire che un adeguato periodo transitorio consenta la progressiva entrata in operatività» del Sistri. Il che è più che comprensibile a fronte della complessità del sistema e della dimensione dei soggetti destinatari dell’obbligo.
In ordine al sistema sanzionatorio, anche questa futura proroga varrà al pari di quelle intervenute per le altre categorie di soggetti obbligati con il Dm 26 maggio 2011. Infatti, le sanzioni previste per il Sistri si applicano a partire dal giorno successivo alla scadenza del regime del “doppio binario”.
Il Dm 26 maggio 2011 ha reso graduale la dismissione di tale regime e graduale sarà anche l’applicazione delle sanzioni che saranno applicabili solo da quando le singole categorie di soggetti saranno obbligate alla dismissione del “doppio binario”.


 

adminSISTRI – PROROGA NOVITA'
Leggi Tutto

ACQUE E RUMORE: SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA

Atto Governo n. 369 (reperibile in www.parlamento.it)

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Novità in materia di assimilazione delle acque e autorizzazione nonché qualche agevolazione in materia di rumore.
Per quanto riguarda il Veneto sembra potersi affermare che le eventuali estensioni delle acque assimilate domestiche sono già disciplinate dall’art. 34 PTA 2009; mentre applicabile appare la novità in materia di rinnovo autorizzazioni.
È al vaglio del Parlamento  testo di DPR predisposto in attuazione dell’art. 49 comma 4 quater D.L: 31.5.2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla L. 30.7.2010, n. 122 avente la finalità, “senza modificare le disposizione di cui al D. Lgs. 3.4.2006, n. 152 e alla legge 26.10.1995, n. 447, semplificare(re) gli adempimenti amministrativi gravanti sulle imprese in riferimento alla disciplina delle acque reflue e alla documentazione di impatto acustico, lasciando inalterati i livelli di tutela ambientale(relazione illustrativa DPR) .
Il testo, laddove approvato ed emanato, troverà applicazione solo per le micro, piccole e medie imprese (art. 1).
Le tabelle, non trovano applicazione in Veneto, stante la vigenza dell’art. 34 NTA del PTA Veneto.
Si precisa che la materia ambientale è di competenza esclusiva statale e, dunque, è precluso il potere legislativo in capo alle Regioni
Il PTA è un piano di settore, strumento di obbligatoria emanazione, stante l’art. 121 D. Lgs. 152/06 e volto alla sola indicazione del panorama attuale dello stato del patrimonio idrico regionale e a disporre, laddove opportuno in base alle condizioni territoriali, i valori dei parametri di cui all’all. 5 parte III TUA.
AUTORIZZAZIONE SCARICHI ACQUE REFLUE INDUSTRIALI
L’articolo 3 è finalizzato a “semplificare  la procedura di rinnovo dell’autorizzazione che attualmente risulta onerosa quanto una nuova autorizzazione” (relazione illustrativa).
Laddove non vi siano verificate modifiche di carattere strutturale, ovvero non vi siano mutamenti quali-quantitativi dello scarico è sufficiente una autocertificazione da inoltrare alla Provincia entro 6 mesi prima della scadenza dell’autorizzazione.
La semplificazione amministrativa non vale se lo scarico contiene sostanze pericolose (art. 3 comma 2).
 
*****
RUMORE
SEMPLIFICAZIONE DOCUMENTAZIONE IMPATTO ACUSTICO (ART. 4).
L’art. 8 L. 447/95 richiede il deposito di una valutazione di impatto acustico unitamente al progetto per la edificazione/realizzazione di un’infrastruttura, un’esercizio commerciale oppure un’attività.
Lo Stato italiano ha verificato che le imprese spendono otre 3.000 € per gli adempimenti in materia acustica, costo che potrebbe essere evitato grazie al DPR in fase di studio.
Il testo di legge, infatti, disciplina all’art. 4 quali casi possano sostituire la valutazione dell’esperto acustico con una autodichiarazione, “fornendo dunque un quadro regolatorio caratterizzato da maggiore certezza nell’ottica di ridurre il rischio che le imprese sostengano oneri amministrativi superflui rispetto alle effettive esigenze di tutela dall’inquinamento acustico” (relazione illustrativa).
 
Laddove dunque l’attività esercitata non superi i limiti stabiliti nei piani di zonizzazione acustica approvati dai Comuni ovvero, in mancanza, da quanto disposto dal DPCM 14.11.1997, la valutazione dell’esperto non è necessaria.
 
..il problema è che deve essere verificato il rispetto dei limiti e ciò richiede proprio l’intervento di un esperto……
Si evidenzia altresì un’altra problematica: l’attuale testo del DPR richiama soltanto il DPCM 14.11.1997, ma non quello del 1991 e ciò nonostante l’art. 6 DPCM 1.3.1991, che stabilisce proprio i limiti suppletivi, in attesa della classificazione acustica operata dai Comuni.


In particolare si evidenzia:
ART. 2: ACQUE ASSIMILATE A QUELLE DOMESTICHE:
Il DPR stabilisce due tabelle:
la prima contiene i valori che le acque devono presentare prima del trattamento depurativo;
la seconda indica le attività da cui devono derivare i reflui.
Le tabelle si applicano in assenza di disciplina regionale (art. 2 comma 2)
Tabella 1

  parametro/sostanza Unità di misura Valore limite di emissione
1 Portata Mc/giorno ≤ 15
2 pH   5,5-9,5
3 Temperatura ≤30
4 Colore   Non percettibile con diluizione 1:40
5 Materiali grossolani   Assenti
6 Solidi iSospesi Totali Mg/l ≤700
7 BOD5 (come ossigeno) Mg/l ≤300
8 COD (come ossigeno) Mg/l ≤700
9 Rapporto COD/BOD5   ≤2,2
10 Fosforo totale (come P) Mg/l ≤30
11 Azoto ammoniacale (come NH4) Mg/l ≤50
12 Azoto nitroso (come N) Mg/l ≤0,6
13 Azoto nitrico (come N) Mg/l ≤30
14 Grassi e oli animali/vegetali Mg/l ≤40
15 Tensioattivi Mg/l ≤20

 
Per i restanti parametri o sostanze, qualora siano presenti, valgono i valori limite previsti alla Tabella 3 dell’Allegato 5 alla parte terza del decreto 4.4.2006, n. 152 per le emissioni in acque superficiali.
 
Tabella 2 – attività che generano acque reflue assimilate alle acque reflue domestiche
(si riportano solo i primi 13 attività rimandando per la completa lettura al sito www.parlamento.it)

  ATTIVITÀ
1 attività alberghiera, rifugi montani, villaggi turistici, residence, agriturismi, campeggi
2 Attvità di ristorazione (anche self service), mense, trattorie, rosticcerie, friggitorie, pizzerie, osterie e birrerie con cucina
3 Attività ricreativa
4 Attività turistica
5 Attività sportiva
6 Attività culturale
7 Servizi di intermediazione monetaria, finanziaria e immobiliare
8 Attività informatica
9 Laboratori di parrucchiera, barbiere ed istituti di bellezza con un consumo idrico giornaliero inferiore a 1 m3 al momento di massima attività
10 Lavanderie e stirerie con impiego di lavatrici ad acque analoghe a quelle di uso domestico e che effettivamente trattino non più di 100 kg di biancheria al giorno
11 Attività di vendita al dettaglio di generi alimentari, bevande e tabacco o altro commercio al dettaglio
12 Laboratori artigianali per la produzione di dolciumi, gelati, pane, biscotti e prodotti alimentari freschi, con un consumo idrico giornaliero inferiori a 5 mc nel periodo di massima attività

 

adminACQUE E RUMORE: SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA
Leggi Tutto

Rifiuti: Novità dal 25.12.2010

Riformulata la parte IV del Dlgs. n. 152/2006
a cura di avv. Cinzia Silvestri


La parte IV del Dlgs. 152/2006 è stata modificata ed integrata dal Dlgs. 3.12.2010 n. 205; decreto di recepimento della Direttiva 2008/98/CE.

Il decreto è stato pubblicato nella GU 10.12.2010 n. 288 ed entrerà in vigore il 25.12.2010.
Molte le novità introdotte e fra tante la previsione delle responsabilità e delle sanzioni in materia di procedura Sistri (ex artt. 188 ss. e 260 bis ss. Dlgs. 152/2006).
Seguiranno sul sito opportune schede di approfondimento.
 

adminRifiuti: Novità dal 25.12.2010
Leggi Tutto

Aria: novità dal 30.9.2010 (Dlgs. n. 155/2010)

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


È stato pubblicato sulla Gu del 15 agosto il Dlgs 13 agosto 2010, n. 155, recante recepimento della direttiva comunitaria sulla qualità dell’aria (2008/50/CE), che disciplina l’intera materia della valutazione e gestione della qualità dell’aria nei paesi Ue.

Il Dlgs 155/2010 reca il nuovo quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente, cioè “l’aria esterna presente nella troposfera, ad esclusione di quella presente nei luoghi di lavoro”.
Dal 30 settembre 2010 le molteplici normative che si occupavano dell’aria saranno abrogate assieme ai provvedimenti ministeriali attuativi quali: Dlgs 351/1999 (qualità dell’aria);  Dlgs 183/2004 (ozono); il Dlgs 152/2007 (arsenico, il cadmio, il mercurio, il nichel e idrocarburi policiclici aromatici); Dpr 203/1988 (impianti industriali, già soppresso in realtà dal Dlgs 152/2006 con alcune eccezioni transitorie, fatte comunque salve dal Dlgs 155/2010).
Il provvedimento, si precisa, interviene a fissare i valori e gli obiettivi di qualità dell’aria da raggiungere o da perseguire per biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo, particolato PM10, particolato PM2.5 e l’ozono.
Due gli obiettivi che vengono raggiunti:
1) razionalizzare le attività di valutazione e di gestione della qualità dell’aria, secondo canoni di efficienza, efficacia ed economicità;
2) responsabilizzare tutti i soggetti interessati all’attuazione delle nuove disposizioni sulla base di un preciso riparto delle competenze.
E’ prevista, inoltre, la possibilità di ricorrere a misure nazionali qualora da un’apposita istruttoria risulti che tutte le possibili misure individuabili dalle regioni nei piani di qualità dell’aria non siano risolutive, in quanto i superamenti sono causati in modo decisivo da sorgenti di emissione su cui le regioni non hanno competenza amministrativa e legislativa. In tal caso si procede all’adozione di misure di carattere nazionale sulla base dei lavori di un comitato da istituire presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il recepimento della Direttiva UE si affianca alla recente modifica del codice ambiente varata dall’esecutivo il 24 giugno.  “Si realizza in questo modo – afferma il MinAmbiente – la prima parte dell’azione di contrasto dell’inquinamento atmosferico, che sarà a breve completata dal Governo italiano con il Piano anti-smog”.
Il nuovo decreto prevede la “zonizzazione”, ossia la suddivisione del territorio nazionale – soggetta al controllo del ministero dell’Ambiente – in spazi uniformi all’interno di ciascuna regione, fondata su elementi come la densità emissiva, le caratteristiche orografiche, quelle meteo-climatiche o il grado di urbanizzazione del territorio.
Viene prevista inoltre una valutazione della qualità dell’aria basata, sempre in ciascuna regione, su un programma nel quale devono essere definiti la rete di misurazione ufficiale, le misure indicative e le simulazioni. L’intera rete deve essere poi soggetta alla gestione o almeno al controllo pubblico assicurata dalle regioni o su delega dalle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. Le attività di pianificazione, volte a garantire il raggiungimento dei valori limite (concentrazioni atmosferiche fissate in base alle conoscenze scientifiche per evitare, prevenire o ridurre gli effetti dannosi sulla salute umana e sull’ambiente) o i valori obiettivo (una sorta di media annua) sulla qualità dell’aria,dovranno fare riferimento alle “sorgenti di emissione” intervenendo con misure in modo “mirato”, senza cioè l’obbligo di estendersi all’intero territorio della zona o di limitarsi a quest’ultimo.
Sarà possibile tuttavia adottare misure di risanamento nazionali qualora tutte le misure individuabili nei piani regionali non possano assicurare il raggiungimento dei valori previsti.
 

adminAria: novità dal 30.9.2010 (Dlgs. n. 155/2010)
Leggi Tutto

Correttivi al Codice Ambientale

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


 
In data 24/06/2010, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via definitiva, il Decreto Legislativo recante “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, a norma dell’articolo 12 della legge 18 giugno 2009, n. 69”.
Tale provvedimento riguarda in particolare le Parti I (disposizioni comuni), seconda (Via/Vas/Ippc) e quinta (Aria) del Dlgs 152/2006, cd. “Codice ambientale”.
Con riferimento alle modifiche apportate alla Parte Prima del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si rappresenta quanto segue.
Definizione di Ambiente e Sviluppo sostenibile
All’articolo 1-bis del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152 viene inserita la definizione di ambiente e vengono introdotti espressamente i quattro principi comunitari dell’azione ambientale al fine di fornire un’indicazione circa le attività che conseguono alla loro adozione.All’articolo 3-ter del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152  viene introdotta una formulazione del principio di sviluppo sostenibile più completa e coerente attraverso anche il riferimento al principio della solidarietà intergenerazionale.
Con riferimento al contenuto delle modifiche apportate dal presente decreto alla Parte Seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si rappresenta quanto segue.
All’articolo 4 (Finalità) del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, le modifiche introdotte sono state rese necessarie primariamente per consentire, con il richiamo alla c.d. direttiva IPPC, di introdurre nel d.lgs. n. 152/2006 anche la disciplina in materia di autorizzazione integrata ambientale (AIA), oggi contenuta nel d.lgs. n. 59/2005.  All’articolo 5 (Definizioni) del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152 si è ritenuto di introdurre modificazioni, dal momento che l’inserimento del d.lgs. n. 59/2005 comporta l’uso in questa parte del decreto di definizioni (es. “emissioni”, “valori limite di emissione” etc.) che potrebbero creare confusione rispetto ad altre analoghe contenute in altre parti del Codice. Viene introdotta una nuova definizione di VIA, che, conformemente alle ormai pacifiche acquisizioni dottrinali e giurisprudenziali, si specifica trattarsi di un “procedimento” dotato di autonomia.  Sono state, inoltre, scisse le ipotesi di VAS da quelle di VIA in relazione alla necessità o meno di svolgere la procedura di valutazione di incidenza (VINCA) disciplinata dal DPR n. 357/1997. Con la nuova formulazione, a differenza di quanto poteva emergere dalla precedente formulazione, la VINCA non risulta essere e obbligatoria sempre, ma unicamente nei casi in cui i piani o i progetti possano produrre effetti, anche indiretti, sui siti dal medesimo DPR tutelati. In aggiunta, considerata l’importanza della fase di monitoraggio per rendere realmente effettive le valutazioni rese in sede di VAS, è stata introdotta una continua verifica dell’attuazione del piano o del programma.  Viene espressamente prevista l’esperibilità del ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione di cui all’art. 21-bis della legge n. 1034/1971. Infine, si propone la correzione della parte della disposizione che si riferisce alle “consultazioni”, in quanto l’uso del termine è suscettibile di ingenerare confusione rispetto alla fase della consultazione propriamente detta, che è quella disciplinata dal successivo art. 24. Con l’introduzione del Titolo III bis – L’autorizzazione integrata ambientale – al decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, è stata introdotta la normativa in materia di AIA nel corpo del decreto legislativo n. 152/2006, prevedendo l’abrogazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, comunque, determinando la piena e continua operatività delle disposizioni trasposte nel nuovo provvedimento normativo.
Con specifico riferimento al contenuto delle modifiche apportate dal presente decreto alla Parte Quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si rappresenta quanto segue.
La proposta più importante, ai fini dell’operatività dell’intero quadro normativo della vigente parte quinta, é rappresentata dalla previsione di una distinzione tra la nozione di impianto e la nozione di stabilimento. Tale distinzione, presente in termini molto ambigui nel previgente d.p.r. n. 203 del 1988 e non riportata nel vigente decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, é infatti indispensabile per la definizione degli adempimenti che ricadono sui gestori e sull’amministrazione. Al riguardo, il decreto definisce con precisione l’impianto come il dispositivo/sistema fisso e destinato ad una specifica attività, e lo stabilimento come il complesso unitario e stabile in cui sono presenti uno o più impianti o attività (articolo 268, comma 1, lettere h) ed l)). Si mantiene, con riferimento agli stabilimenti, la già esistente ripartizione in “nuovi”, “anteriori al 2006” ed “anteriori al 1988”. Altre novità si prevedono per gli articoli inerenti l’autorizzazione alle emissioni. In particolare, lo schema di decreto introduce una serie di modifiche volte a garantire, al contempo, una semplificazione dell’azione amministrativa ed un efficace controllo degli impianti sul territorio.Il proposto schema di decreto introduce altresì importanti precisazioni circa i valori limite di emissione e le prescrizioni per l’esercizio degli impianti (articolo 271 del d.lgs. n. 152 del 2006).Più circoscritto é l’intervento che lo schema di decreto propone in materia di impianti termici civili (titolo II della parte quinta). In particolare, si precisa che la disciplina speciale del titolo II si applica soltanto agli impianti termici civili con potenza termica nominale inferiore a 3 MW. Sono invece sottoposti alla disciplina ordinaria del titolo I gli impianti termici civili aventi potenza termica nominale uguale o superiore (articolo 282 del d.lgs. n. 152 del 2006). Ciò in quanto gli impianti termici civili dotati di una maggiore potenza termica non si differenziano, sul piano delle emissioni in atmosfera, dai normali impianti industriali e devono pertanto soggiacere alle stesse regole.
 

adminCorrettivi al Codice Ambientale
Leggi Tutto