Lavoro e Covid: come comportarsi

Lavoro e Covid: come comportarsi

Lavoro e Covid – come comportarsi 

FAQ – Consulenti del lavoro – protocolli anti contagio

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente


La recente sentenza del Tribunale di Belluno che si è occupata dell’obbligo o meno della vaccinazione e del rapporto lavorativo sottostante, obbliga ad alcune considerazioni, che la legge non ha ancora risolto.

La fondazione Studio Consulenti del Lavoro, pubblica sul proprio sito un testo interessante, di facile lettura che cerca di rispondere ad alcuni quesiti, pur in attesa di intervento legislativo proprio sul rapporto Lavoro – Covid e vaccinazioni.

Vai alla lettura delle FAQ  http://www.consulentidellavoro.it/files/PDF/2021/FS/Approfondimento_FS_22032021.pdf

Cinzia SilvestriLavoro e Covid: come comportarsi
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Dispositivi protezione individuale – Nuove regole – Dlgs. 17/2019

Sicurezza sul lavoro: DPI – pubblicato Dlgs. 17/2019
Dispositivi di protezione individuale
segnalazione a cura Studio Legale Ambiente


Pubblicato in Gazzetta ufficiale del 11.3.2019 il DECRETO LEGISLATIVO 19 febbraio 2019, n. 17, vigente dal 12.3.2019.

"Adeguamento  della  normativa   nazionale   alle   disposizioni   del
regolamento (UE) n. 2016/425 del Parlamento europeo e del  Consiglio,
del 9 marzo 2016, sui dispositivi di  protezione  individuale  e  che
abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio.
Modifiche al Dlgs. 81/2008 e non solo.
Leggi DPI Dlgs. 17/2019 

Di seguito l’art. 74 Dlgs. 81/2008 – Art. 74. Definizioni

  1. Si intende«Ai fini del presente decreto si intende»per dispositivo di protezione individuale, di seguito denominato “DPI”, qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o piu’ rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonche’ ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.Si tiene conto, inoltre,delle finalita’, del campo di applicazione e delle definizioni di cui agli articoli 1, Regolamento (UE)n.2016/425.»;

 

  1. Non costituiscono DPI :«Ai fini del presente decretonon costituiscono DPI»;
  2. a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore;
  3. b) le attrezzature dei servizi di soccorso e di salvataggio;
  4. c) le attrezzature di protezione individuale delle forze armate, delle forze di polizia e del personale del servizio per il mantenimento dell’ordine pubblico;
  5. d) le attrezzature di protezione individuale proprie dei mezzi di trasporto ((…));
  6. e) i materiali sportivi quando utilizzati a fini specificamente sportivi e non per attivita’ lavorative;
  7. f) i materiali per l’autodifesa o per la dissuasione;
  8. g) gli apparecchi portatili per individuare e segnalare rischi e fattori nocivi.

 

 
adminDispositivi protezione individuale – Nuove regole – Dlgs. 17/2019
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Il Durc … con un clic

DURC: Decreto del Ministero del Lavoro 
semplificazione per l’ottenimento del Durc
segnalazione a cura Studio Legale Ambiente


Sarà possibile ottenere il Durc in tempo reale con una validità di 120 giorni e utilizzabile per ogni necessità. Sarà possibile utilizzare il Durc scaricabile  da internet….le imprese potranno accedere ottenere il DURC da stampare in pdf in formato reale.
Il Ministero del lavoro ha pubblicato nella gazzetta ufficiale del 1.6.2015 il decreto che sarà operativo dal 1.7.2015.
Nel sito del ministero inoltre è pubblicata la Circolare esplicativa n. 19/2015.
Leggi Decreto Ministero Lavoro Durc 

adminIl Durc … con un clic
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Modelli semplificati POS, PSC…: D.Intermin. 12.9.2014

Modelli semplificati POS, PSC e altro: Decreto Interministeriale del 12.9.2014
segnalazione a cura Studio Legale Ambiente


E’ stato pubblicato il decreto InterMinisteriale che semplifica i modelli  per la redazione del piano operativo di sicurezza (POS), del piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) e del fascicolo dell’opera (FO) nonché del piano di sicurezza sostitutivo (PSS)
decreto interministeriale 12.9.2014

adminModelli semplificati POS, PSC…: D.Intermin. 12.9.2014
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Sicurezza: Rischio chimico ambiente lavoro

Agenti chimici: criteri e strumenti per la valutazione e gestione del rischio chimico negli ambienti di lavoro
Approvazione documento
A cura di Cinzia Silvestri e Dario Giardi – Studio Legale Ambiente
La Commissione Consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, nella seduta del 28 novembre 2012, ha approvato il documento con il quale vengono individuati i criteri e gli strumenti per la valutazione e gestione del rischio chimico negli ambienti di lavoro ai sensi del D.lgs. 81/08 e s.m.i. (Titolo IX, Capo I “Protezione da agenti chimici” e Capo II “Protezione da agenti mutageni e cancerogeni”).
Il testo recepisce le indicazioni sugli aggiornamenti degli obblighi e delle procedure derivanti dai Regolamenti comunitari:
• REACH (Registration Evaluation Authorisation Restriction of Chemicals) regolamento CE n.1907/2006 sulla gestione dei prodotti attraverso un sistema integrato di registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche;
• CLP (Classification Labelling Packaging) regolamento Ce n,1272/2008 sull’armonizzazione dei criteri per la classificazione delle norme relative all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele;
• SDS regolamento UE n.453/2010 recante modifiche all’Allegato II del regolamento REACH e concernente le disposizioni sulle Schede di Dati sulla Sicurezza.
Il documento fornisce un indirizzo tecnico necessario per la corretta applicazione delle norme nell’ambito della valutazione del rischio derivante da agenti chimici pericolosi, cancerogeni e mutageni presenti nelle lavorazioni in azienda.
Il testo, riprendendo le suddivisioni contenute nel Titolo IX del D.lgs. 81/08 si compone di sei sezioni.
1)Sostanze pericolose
Nella prima “Sostanze pericolose” viene illustrata la ripartizione del Titolo IX nei tre capi (rispettivamente denominati agenti chimici, agenti cancerogeni e mutageni, esposizione ad amianto) evidenziando origini e relazioni con la normativa europea.
2) Nella sezione II “Protezione da agenti chimici” si riportano le definizioni delle classi di pericolo, le indicazioni di pericolo previste nella nuova classificazione secondo il Regolamento CLP e i pericoli per la salute. La sezione viene completata da un paragrafo dedicato al confronto tra i sistemi classificativi CLP, d.lgs. 52/1997 (sulle sostanze pericolose) e d.lgs. 65/2003 (sui preparati pericolosi).
3) La III sezione descrive in che modo l’introduzione dei Regolamenti REACH e CLP possano essere di supporto al datore di lavoro per una corretta valutazione del rischio chimico in quanto la loro applicazione produce le informazioni necessarie ad identificare e classificare gli agenti chimici che possono costituire fattori di rischio per i lavoratori. Nell’ambito del processo valutativo si dovrà tener conto delle proprietà intrinseche delle sostanze e delle miscele che potrebbero rappresentare un pericolo all’atto della normale manipolazione o utilizzazione.
Viene poi illustrata la scheda di sicurezza (SDS) quale strumento idoneo e necessario per ricavare e trasferire le informazioni relative alla pericolosità delle sostanze e delle miscele.
Gli ulteriori paragrafi della sezione sono dedicati ad approfondire le procedure e le disposizioni relative ai VLEP (valori limite di esposizione professionale) e al significato dei DNEL (Derived No Effect Level – indicante il livello di esposizione al di sotto del quale non si verificano effetti negativi sull’uomo) e dei DMEL (Derived Minimal Effect Level – indicante il livello dei rischi di riferimento che si ritiene susciti poca preoccupazione in relazione a un determinato scenario di esposizione ossia un livello di effetti tollerabile) nell’ambito della tutela della salute dei lavoratori.
Viene quindi affrontato l’impatto dei nuovi regolamenti in merito all’obbligo della informazione e formazione dei lavoratori.
4) La sezione IV affronta la parte relativa alla protezione da agenti cancerogeni e mutageni a causa della loro presenza o impiego nell’attività lavorativa, tracciando una panoramica sugli aspetti generali e il campo di applicazione del Capo II Titolo IX del T.U. Sicurezza. Vengono riportate le definizioni previste dal Regolamento CLP per gli agenti chimici cancerogeni e mutageni e posto a confronto il sistema di classificazione CLP con il d.lgs. 52/1997 (sulle sostanze pericolose) e il d.lgs. 65/2003 (sui preparati pericolosi).
E’ descritto inoltre il processo di valutazione dell’esposizione e approfondito il concetto di VLEP (valori limite di esposizione professionale) per le sostanze cancerogene e mutagene.
5) La sezione V si occupa degli aspetti relativi alla sorveglianza sanitaria evidenziando come le nuove SDS previste dal Regolamento UE n.453/2010 contengano elementi di rilievo per le valutazioni che il medico competente dovrà effettuare nel corso della sorveglianza sanitaria, anche per definire i contenuti dei “protocolli sanitari”.
6) Nella sezione VI “Autorizzazione e restrizione” viene infine ricordata una novità di rilievo introdotta dal regolamento REACH e riguardante alcune sostanze di particolare pericolosità, le cosiddette SVHC (Substance of Very High Concern) che potranno essere immesse sul mercato europeo solo dopo aver ottenuto una Autorizzazione all’Uso, che verrà rilasciata solo qualora venga dimostrata l’impossibilità di sostituire nell’immediato la sostanza in questione e comunque assicurando le migliori condizioni di controllo e di limitazione dell’esposizione, in coerenza con quanto prevede la normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Il documento viene da ultimo completato con una lista di acronimi, un glossario e uno schema di allegati.
Per completezza di informazione si allega il testo integrale dello stesso.
Allegato: Documento “Criteri e strumenti per la valutazione e la gestione del rischio chimico negli ambienti di lavoro”Documento_agenti_chimici_09012013

adminSicurezza: Rischio chimico ambiente lavoro
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Sicurezza, Valutazione rischi: differimento termini

Sicurezza nei luoghi di lavoro e Valutazione rischi: differimento termini

L. 101/2012 di Conversione del DL 57/2012

 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Si comunica che è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 13 luglio 2012   la Legge 12 luglio 2012 n. 101 di conversione, con modificazioni, del decreto legge 12 maggio 2012 n. 57,  recante disposizioni urgenti  in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nel settore dei trasporti e delle microimprese.
La legge modifica con vigenza al 14.7.2012 il testo
1) art. 3 comma 2 Dlgs. 81/2008 , così il nuovo testo:

3. ((Fino all'emanazione dei decreti di cui al comma 2,))  sono
fatte salve le disposizioni attuative dell'articolo 1, comma  2,  del
decreto  legislativo  19  settembre  1994,   n.   626,   nonche'   le
disposizioni di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271, al
decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272, al decreto legislativo 17
agosto 1999, n. 298, e  le  disposizioni  tecniche  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, e del decreto del
Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, richiamate  dalla
legge 26 aprile 1974, n. 191, e dai relativi  decreti  di  attuazione
((. . .)).((Gli schemi dei decreti di cui al citato comma 2 del presente articolo 
sono trasmessi alle Camere per l'espressione del parere da parte delle 
Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro trenta giorni dalla 
data di assegnazione)).

2)  art. 29 comma 5 Dlgs. 81/2008 (valutazione rischio), così il nuovo testo: 

5. I datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori  effettuano
la valutazione dei rischi di cui  al  presente  articolo  sulla  base
delle procedure  standardizzate  di  cui  all'articolo  6,  comma  8,
lettera f).
((Fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore 
del decreto interministeriale di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f), e, 
comunque, non oltre il 31 dicembre 2012)),
gli stessi datori di lavoro possono  autocertificare
l'effettuazione della valutazione dei  rischi.  Quanto  previsto  nel
precedente periodo non si applica alle attivita' di cui  all'articolo
31, comma 6, lettere a), b), c), d) nonche g).

La Legge
Il testo della Legge 101/2012, che si compone di un unico articolo, prevede il differimento di alcuni termini previsti nel D.Lgs 81/08 e s.m.i.
Al comma 1 dell’art. 1 viene disposto che, fino alla emanazione degli appositi decreti interministeriali (che andranno a dettare disposizioni di coordinamento del Testo Unico sulla sicurezza con la normativa relativa ai settori ferroviario, marittimo e portuale) continua ad applicarsi la disciplina attualmente vigente relativamente ai settori soprarichiamati.
Viene inoltre esteso da quarantotto a cinquantacinque  (55) mesi il termine entro il quale dovranno essere emanati i decreti in materia di sicurezza sul lavoro nei confronti delle Forze armate, di polizia, dei Carabinieri, della protezione civile, tenuto conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato.
Gli schemi dei decreti di cui sopra dovranno essere trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti.
Il comma 2, che è rimasto invariato rispetto al decreto legge, dispone che, in attesa della definizione del decreto sulle procedure standardizzate per la valutazione dei rischi per le imprese che occupano fino a 10 dipendenti, il termine del 30 giugno 2012 è sostituito dal seguente inciso: “fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale” che andrà a recepire dette procedure  e comunque non oltre il 31 dicembre del 2012.

 Di seguito il testo della Legge:

Art. 1      ((01.  All’articolo  3,  comma  2,  secondo  periodo,  del  decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81,  e  successive  modificazioni,  le parole: “entro quarantotto  mesi”  sono  sostituite  dalle  seguenti: “entro cinquantacinque mesi”)).    1. All’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 9 aprile  2008, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:      a) le parole: “Fino alla scadenza del termine di cui al comma 2,” sono sostituite dalle seguenti: “Fino all’emanazione dei  decreti  di cui al comma 2,”;      b) le parole da:” ; decorso” a : ” decreto” sono soppresse.      ((b-bis) e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo:  “Gli  schemi dei decreti di cui al citato  comma  2  del  presente  articolo  sono trasmessi alle Camere per l’espressione del  parere  da  parte  delle Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro  trenta  giorni dalla data di assegnazione”)).    2. Per consentire la definizione delle procedure standardizzate  di valutazione dei rischi di cui all’articolo 6, comma  8,  lettera  f), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, all’articolo 29,  comma 5, secondo periodo, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81,  e successive  modificazioni,  le  parole:  “Fino  alla   scadenza   del diciottesimo mese successivo alla  data  di  entrata  in  vigore  del decreto interministeriale di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f), e, comunque, non oltre il  30  giugno  2012”  sono  sostituite  dalle seguenti: “Fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data  di entrata in vigore del decreto interministeriale di  cui  all’articolo 6, comma 8, lettera f), e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2012”.
 

adminSicurezza, Valutazione rischi: differimento termini
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DURC: circolare ministero lavoro

DURC, circolare del Ministero del lavoro
Segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente
Utile la lettura della circolare esplicativa e di chiarimento sul documento unico di regolarità contributiva.
Il ministero tenta di chiarire le modalità operative anche alla luce di interventi legislativi che hanno modificato le modalità di adempimento .
Si rinvia alla lettura del documento.
DURC circolare del ministero

adminDURC: circolare ministero lavoro
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Sicurezza: Verifiche periodiche / Circolare n. 11/2012

Sicurezza: verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro
Circolare del Ministero del Lavoro e politiche sociali / n.11 del 25.5.2012
A cura avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
A seguito delle numerose richieste interpretative pervenute, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha diramato la circolare del 25 maggio n. 11 che fornisce chiarimenti applicativi in merito al D.M. 11 aprile 2011 sulla disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro individuate dall’Allegato VII del d.lgs. 81/08 e ai criteri per l’abilitazione dei soggetti pubblici o privati per effettuare tali verifiche.
Si riportano di seguito i principali aspetti contenuto nella circolare.
Modalità di richiesta delle verifiche periodiche
In primo luogo la circolare richiama l’art. 71 del T.U. sicurezza che pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di sottoporre a verifica periodica le attrezzature di lavoro di cui all’Allegato VII e il D.M. 11 aprile 2011 che individua nell’Inail il soggetto titolare della prima verifica e nelle ASL i soggetti titolari delle verifiche successive.
La richiesta di verifica, ai fini del calcolo della decorrenza dei 60 giorni o 30 giorni entro cui rispettivamente l’Inail o le Asl devono effettuare la verifica, viene considerata valida se presenta i seguenti requisiti:
se trasmessa in forma cartacea deve essere su carta intestata dell’impresa o quanto meno corredata di timbro dell’impresa stessa;
deve riportare l’indirizzo completo presso il quale si trova l’attrezzatura da sottoporre a verifica, i dati fiscali e recapiti telefonici;
deve contenere i dati identificativi dell’attrezzatura di lavoro (es. matricola, tipologia);
deve essere indicato il soggetto abilitato che il datore di lavoro dovrà individuare tra quelli iscritti nell’elenco dei soggetti abilitati;
deve riportare la data della richiesta.
In caso di richiesta incompleta, ossia mancante di uno degli elementi sopra indicati, il soggetto titolare della funzione dovrà rispondere al richiedente specificando che i termini di 60/30 giorni decorrono dalla data di richiesta completa di tutti gli elementi richiesti.
Scelta del soggetto abilitato
Il D.M. 11 aprile 2011, in attuazione di quanto già disposto nell’art. 71 commi 11 e 12 stabilisce che sia il datore di lavoro ad individuare il soggetto abilitato e la circolare indica le modalità da seguire.
Si rinvia alla lettura completa della circolare.

adminSicurezza: Verifiche periodiche / Circolare n. 11/2012
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Sicurezza: Conferenza Stato Regioni

Sicurezza/Lavoro: Conferenza Stato Regioni
Approvazione degli Accordi sulle attrezzature di lavoro / Gazz. uff. 12.3.2012 n. 60
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
La Conferenza Stato Regioni del 22 febbraio scorso ha approvato un accordo, che entrerà in vigore dopo 12 mesi dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (12.3.2013) che individua le attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di questa abilitazione. L’accordo definisce inoltre i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi e i requisiti minimi di validità della formazione da erogare a questi lavoratori. Si tratta ricordiamo di formazione specifica che non esime gli stessi operatori dal seguire iter e programmi formativi obbligatori. La durata ed i contenuti della formazione sono da considerarsi minimi.
I soggetti formatori
Rispetto ai requisiti dei soggetti formatori fissati dall’ accordo sulla formazione dei lavoratori in attuazione dell’articolo 37 del D.Lgs. 81/2008, questo nuovo accordo ne prevede di più specifici. È infatti stabilito che solo alcuni soggetti formatori possono erogare la formazione. Oltre a quelli istituzionali (Il Ministero del lavoro, l’Inail, le Regioni e le Province, ecc) sono previsti anche gli organismi paritetici e gli enti bilaterali, le associazioni sindacali, gli ordini e i collegi professionali, pur con alcune limitazioni previste dal punto 1 dell’accordo. Sono inoltre abilitati gli enti di formazione accreditati presso i sistemi regionali con una esperienza minima di 3 anni nel settore specifico o di 6 anni in materia di sicurezza e salute sul lavoro.
Le attrezzature
Le attrezzature per l’uso delle quali è prevista formazione specifica sono: piattaforme di lavoro mobili elevabili, gru a torre, gru mobile, gru per autocarro, carrelli elevatori semoventi con conducente a bordo, trattori agricoli o forestali, macchine movimento terra, pompa per calcestruzzo.

Il percorso formativo
Vengono definiti i requisiti minimi dei corsi, che devono disporre di un responsabile, di un registro di presenza, di un numero massimo di allievi per ogni corso non superiore alle 24 unità, di un rapporto istruttore allievi nella pratica in aree idonee non superiore di 1 a 6. Tre generalmente le tipologie di modulo formativo: teorico, tecnico, pratico. Con questi ultimi due dalla lunghezza e dalla consistenza molto variabile in base all’attrezzatura oggetto della formazione. Per il modulo giuridico e per il tecnico è consentito l’uso di modalità formative in e-elarning. Il modulo giuridico qualora si desideri ottenere attestato per diverse attrezzature è sempre valido. Al termine di ogni modulo e alla conclusione dell’intero iter sono previste prove di valutazione. Al termine delle prove di valutazione sono rilasciati attestati di abilitazione. L’abilitazione durerà 5 anni e per il rinnovo occorrerà seguire corso di aggiornamento della durata minima di 4 ore.
Il percorso formativo verrà registrato nel libretto formativo del cittadino (art.2 comma 1, lettera i) del decreto legislativo 10 settembre 2003 n.276). Al contempo il soggetto formatore dovrà conservare per almeno 10 anni il “Fascicolo del corso” con i dati dei corsi, degli allievi e degli attestati. Il percorso formativo prevede vari moduli teorici e pratici con verifiche intermedie e finali i cui contenuti variano in riferimento alla tipologia di attrezzature. Per alcuni moduli teorici è prevista la possibilità di erogare la formazione in modalità e-learning: modulo giuridico normativo (1 ora) e modulo tecnico (2, 3, 6 o 7 ore in funzione della tipologia di attrezzature).
 
La durata della validità dell’abilitazione e l’aggiornamento della formazione
L’Accordo prevede che l’abilitazione sia rinnovata ogni 5 anni dalla data di rilascio dell’attestazione dell’abilitazione, a condizione che sia svolto un corso di aggiornamento della durata minima di 4 ore di cui almeno 3 ore relative agli argomenti previsti dai moduli pratici.
Formazione pregressa
Per quanto riguarda il riconoscimento della formazione pregressa saranno riconosciuti attestati di: corsi di formazione della durata complessiva non inferiore a quella indicata dagli accordi; corsi dalla durata inferiore ma completati da aggiornamento entro 24 mesi dall’entrata in vigore dell’accordo con verifica finale; corsi non completati da verifica finale e di qualsiasi durata, purchè entro 24 mesi siano integrati da modulo di aggiornamento e verifica finale di apprendimento.

adminSicurezza: Conferenza Stato Regioni
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SICUREZZA: RSPP, preposto, datore di lavoro – Quali responsabilità

SICUREZZA: RSPP, preposto, datore di lavoro – Quali responsabilità
Nota a Cass. penale 20.4.2011 n. 28779
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
La Corte di Cassazione delinea, con apprezzabile chiarezza, la responsabilità penale del datore di lavoro, del RSPP e del preposto in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro.
Agli imputati veniva contestato di aver cagionato la morte di un dipendente e lesioni personali gravissime ad altro dipendente della Società – appaltatrice dei lavori commissionati dall’ENEL per lo smantellamento della linea elettrica Palmi – Gioia Tauro – i quali, recita la sentenza: “ nello smontare un traliccio, dopo essersi arrampicati sullo stesso ed averne svitato i bulloni di fissaggio, posti a metà altezza, erano precipitati da circa 15 metri a seguito del ripiegamento, a metà, della struttura su se stessa, ripiegamento che aveva determinato la caduta del Ca. e dello S..”.
I reati venivano contestati a:
1)    amministratore e legale rappresentante della Società appaltatrice
2)    al responsabile tecnico e responsabile dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP)
3)    al responsabile di cantiere per la sicurezza ed esecuzione dei lavori commissionati dall’ENEL,
4)    al capo cantiere della ditta appaltatrice,
“individuando profili di colpa generica e di colpa specifica, per avere omesso di dotare gli operai di dispositivi di protezione individuale idonei e per avere consentito che gli stessi operassero secondo modalità altamente rischiose non previste nel piano operativo di sicurezza”.
 RAGIONI DELLA DIFESA
La Corte sintetizza la difesa dei ricorrenti in Cassazione che sostengono la esclusiva responsabilità del capo cantiere, in qualità di preposto e la mancata osservanza da parte dei lavoratori delle norme di sicurezza:
I ricorrenti ……l’evento era da ascrivere alla esclusiva responsabilità del capo cantiere C., il quale, in qualità di preposto, era dotato di autonoma posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori e la mattina del sinistro, del tutto imprevedibilmente, si era assentato dal cantiere senza darne preventivo preavviso al datore di lavoro. Si prospetta altresì la tesi che la condotta omissiva del C., unitamente alla mancata osservanza da parte dei lavoratori delle norme di sicurezza, integri una casa sopravvenuta sufficiente da sola a determinare l’evento”.
La Corte invero condanna tutti i soggetti indicati ritenendoli responsabili della morte e delle lesioni per omessa prevenzione e cautele sulla sicurezza.
In particolare e degno di nota è il passaggio che delinea e precisa la responsabilità preposto/RSSP e datore di lavoro con riferimento alla:
 1) Delega:
“… il datore di lavoro, pur a fronte di una delega corretta ed efficace- che, peraltro non risulta essere stata conferita in questo caso- non potrebbe andare esente da responsabilità, allorchè le carenze nella disciplina antinfortunistica e, più in generale, nella materia della sicurezza, attengano a scelte di carattere generale della politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza. E’ ipotesi, quest’ultima, che può non infrequentemente verificarsi allorchè si tratti dello svolgimento di attività lavorative pericolose, foriere di produrre inquinamento o di porsi come (con)cause efficienti di malattie professionali (per riferimenti, Sez. 4, 6 febbraio 2007, n. 12794, Proc.gen. App. Messina in proc. Chirafisi ed altro; Sezione 3, 3 dicembre 1999, Natali).
 2) Preposto:
“….non può farsi ricadere sul preposto l’onere di organizzazione dell’attività lavorativa aziendale, mediante l’adozione tempestiva di un POS adeguato, nè l’onere di procedere all’acquisto delle dotazioni di lavoro, nella specie funi di acciaio e tirfor, delle quali munire i lavoratori, nè l’omessa formazione del personale nè la scelta di adibire allo svolgimento di mansioni altamente rischiose lavoratori appena assunti presso la ditta.
 3) Scelte aziendali
“Si tratta, come osservato nella sentenza in esame, di un livello di dispiegamento del sistema di potere-dovere in ordine alla sicurezza che riguarda le complessive scelte aziendali inerenti all’organizzazione delle lavorazioni e che, quindi, coinvolge appieno la sfera di responsabilità del datore di lavoro”.
 4) Art. 2087 c.c.
“Va soggiunto, inoltre, che il dovere di vigilanza e di controllo- che compete tradizionalmente al datore di lavoro, ma anche al dirigente nei limiti delle relative competenze funzionali, in applicazione della generalissima regola cautelare contenuta nell’articolo 2087 del codice civile – non può non svilupparsi anche attraverso un obbligo di vigilanza sull’attività degli altri soggetti che, a vario titolo, sono titolari prò quota dell’obbligazione di garanzia, implicando evidentemente poteri di controllo e di sollecitazione”.
______________________________________________________________________________________________
La sentenza DUNQUE è occasione per precisare le singole responsabilità del rappresentante legale, del RSPP e del preposto, SENZA DIMENTICARE che le norme di cui al Dlgs. 81/2008 ss. m. mantengono peculiarità e applicazione nell’ambito della sicurezza sul lavoro e che non sono estensibili in altri campi di diritto se non nei limiti dei principi di diritto in essa contenuti.
1) Datore di lavoro
NESSUNA delega esonera completamente il datore di lavoro.
Egli, infatti, rimane SEMPRE garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei lavoratori e dunque deve:

  1. istruire i prestatori di lavoro;
  2. adottare le misure di sicurezza;
  3. garantire la concreta predisposizione ed attuazione delle misure di sicurezza;
  4. controllare CONTINUAMENTE l’osservanza delle misure di sicurezza.

 
Il datore di lavoro è SEMPRE responsabile per tutte quelle carenze che attengono a scelte di carattere generale di politica aziendale o a carenze strutturali, perché il delegato comunque non avrebbe voce in capitolo e gli sarebbe precluso un concreto intervento.
Il datore di lavoro è infine controllore dei controllori e mantiene il potere di vigilanza e di sollecitazione.
Questa funzione può tuttavia essere affidata ad un Dirigente.
La responsabilità del datore di lavoro non esclude la CONCORRENTE (ma non assorbente) responsabilità del RSPP: entrambi dovranno rispondere dell’illecito accertato per l’intero.
2) RSPP
Il RSPP risponde di tutte le situazioni pericolose che egli aveva l’obbligo di conoscere e segnalare.
La mancanza di poteri decisionali e/o di spesa sono ininfluenti perché funzione del RSPP è la prevenzione.
Egli dunque sarà sanzionato laddove:

  1. ometta la dovuta segnalazione, impedendo l’attivazione dei soggetti muniti di poteri decisionali e di spesa;
  2. segnali erroneamente o con imperizia, imprudenza e negligenza la situazione di potenziale pericolo o che comunque richiedeva intervento.

Nessuna sanzione è invece stabilita per la (generica) inadeguata vigilanza delle condizioni di sicurezza.
 3) PREPOSTO
Il preposto risponde direttamente per il mancato esercizio delle funzioni di supervisione e di controllo delle attività lavorative.
Egli deve dirigere le attività di lavoro e questo richiede anche:

  1. vigilare acchè le prescrizioni antinfortunistiche siano rispettate dai lavoratori;
  2. rimuovere le situazioni pregiudiziali per la sicurezza dei lavoratori e, laddove ciò sia impossibile, segnalare ai suoi superiori le situazioni di pericolo bloccando l’attività lavorativa;
  3. verificare che le attività siano svolte solo dai lavoratori adeguatamente istruiti.

 
 
 

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Sicurezza: ambienti sospetti di inquinamento

Tutela della salute e sicurezza negli “ambienti confinati”
DPR 14 settembre 2011 n.177 – in vigore dal 23 novembre  2011
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
E’ stato pubblicato il D.P.R. 14 settembre 2011 n. 177 sul “Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell’art. 6 comma 8  lett. g)  del d.lgs. 81/08” (Gazzetta Ufficiale n. 260 dell’8 novembre 2011)
Il provvedimento, approvato dal Consiglio dei Ministri nell’agosto scorso (entrerà in vigore il prossimo 23 novembre (decorsi cioè i quindici giorni dalla sua pubblicazione in G.U.).
Si richiamano di seguito le principali disposizioni introdotte dal decreto in parola.
Il regolamento si applica ai lavori in ambienti sospetti di inquinamento di cui agli articoli 66 (pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie,  caldaie, cisterne),  121  (scavi)  e negli ambienti confinati di cui all’allegato IV punto 3  del d.lgs. 81/08 (vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti e silos).
Secondo quanto previsto dall’art. 2, per svolgere un’attività lavorativa in ambienti confinati, le imprese o i lavoratori autonomi devono possedere come requisiti:
1)  essere in regola con le disposizioni riguardanti la valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria e gestione delle emergenze; 2) nel caso di imprese familiari e lavoratori autonomi obbligatorietà della formazione e sorveglianza sanitaria; 3) presenza di personale (in percentuale non inferiore al 30%) con esperienza almeno triennale in “ambienti confinati”, assunta con contratto di lavoro subordinato o con altri contratti (in tal caso certificati ai sensi del D.lgs. 276/03); 4) aver ricevuto specifica formazione e informazione compresa l’attività di addestramento di tutto il personale – incluso il datore di lavoro – relativamente all’applicazione delle procedure di sicurezza; 5) possedere dispositivi di protezione individuale (es. maschere protettive, imbracature di sicurezza) e una strumentazione e attrezzature di lavoro (es. rilevatori di gas, respiratori etc.)  idonei a prevenire i rischi propri di tali attività lavorative; 6) rispetto integrale degli obblighi in materia  di Documento Unico di regolarità Contributiva (DURC) e relativi alla parte normativa ed economica della contrattazione collettiva di settore
Il subappalto è consentito solo a condizione che sia espressamente autorizzato dal datore di lavoro committente, che dovrà anche verificare  il possesso da parte dell’impresa subappaltatrice dei requisiti di qualificazione;
Quando i lavori siano svolti tramite  appalto, deve essere garantito  che, prima dell’accesso nei luoghi di lavoro, tutti i lavoratori che verranno impegnati nell’attività siano puntualmente e dettagliatamente informati dal datore di lavoro committente dei rischi che possono essere presenti nell’area di lavoro;
Il datore di lavoro committente è inoltre tenuto ad individuare un proprio rappresentante, adeguatamente formato e addestrato, incaricato di vigilare sulle attività lavorative e con funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività svolte dai lavoratori impiegati dalla impresa appaltatrice o dai lavoratori autonomi, per limitare i rischi da interferenze.
Durante tutte le fasi di lavorazioni in “ambienti confinati”  deve essere adottata una procedura di lavoro specificamente diretta ad eliminare o quantomeno a ridurre al minimo i rischi propri dell’attività e che consenta, in caso di necessità, un intervento immediato del Servizio Sanitario nazionale e dei Vigili del Fuoco.
Il mancato rispetto di tutte le disposizioni previste dal D.P.R.  comporterà il venir meno della qualificazione necessaria da parte delle imprese per operare in ambienti confinati.
Per completezza di informazione si allega il testo integrale del provvedimento  DPR n. 177/2011
 

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Sicurezza: Modello di organizzazione e gestione ex art. 30 DLgs. n. 81/08

Indicazioni per l’adozione del sistema disciplinare per le aziende che hanno adottato un modello organizzativo e di gestione – A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


Con nota 11 luglio 2011 Prot. 15/VI/0015816, il Ministero del Lavoro ha informato dell’avvenuta approvazione, da parte della Commissione consultiva, di un modello di organizzazione e gestione ex art. 30 DLgs. n. 81/08 e delle indicazioni per l’adozione del sistema disciplinare (comma 3 dell’art. 30 del D. Lgs. 81/2008) per le aziende che hanno adottato un modello organizzativo e di gestione definito conformemente alle Linee Guida UNI-INAIL (edizione 2001) o alle BS OHSAS 18001:2007.
 
Il documento, congiuntamente alla tabella di correlazione, che si allega, ha l’obiettivo di fornire indicazioni alle Aziende che si sono dotate o che,  in attesa della definizione di procedure semplificate per l’adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese, intendono dotarsi di un modello di organizzazione e di gestione della sicurezza conforme alle Linee Guida UNI INAIL (edizione 2001) o alle BS OHSAS 18001:2007, affinché possano:
a) accertare, in un processo di autovalutazione, la conformità del proprio Modello ai requisiti di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni e integrazioni, di seguito D.Lgs. n. 81/2008, per le parti corrispondenti;
b)   apportare eventuali integrazioni organizzative e/o gestionali e/o documentali, necessarie allo scopo di rendere il proprio modello di organizzazione e di gestione conforme ai requisiti di cui all’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008, con particolare riferimento al sistema di controllo (comma 4 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008)  ed al sistema disciplinare (comma 3 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008).
 
Dalla Tabella di Correlazione allegata emerge che l’unica parte non corrispondente tra le Linee Guida UNI – INAIL, le BS OHSAS 18001:2007 e quanto richiesto all’art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008, è l’adozione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
 
Per “non corrispondente” si intende che il sistema disciplinare non è indicato come requisito del Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro descritto dalle Linee Guida UNI INAIL e dalle BS OHSAS 18001:2007, mentre è espressamente richiesto come requisito essenziale dall’articolo 30 del D. Lgs. 81/2008.
 
A supporto delle attività di cui ai succitati punti a) e b), si riportano nei paragrafi che seguono:
1)    alcuni chiarimenti in merito alla conformità del sistema di controllo di cui al comma 4 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008 rispetto ai contenuti delle Linee Guida UNI-INAIL e delle BS OHSAS 18001:2007;
2)    indicazioni per l’adozione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel Modello di Organizzazione e Gestione attuato  dall’azienda in applicazione dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008.
 

Chiarimenti sul sistema di controllo nel Modello di organizzazione e gestione ex artICOLO 30 del D.Lgs. n. 81/2008

L’articolo 30, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008 dispone che: “…Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l’eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico”.
 
Qualora un’azienda si sia dotata di un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro conforme ai requisiti delle Linee Guida UNI-INAIL o delle BS OHSAS 18001:2007, essa attua il proprio sistema di controllo secondo quanto richiesto al comma 4 dell’articolo 30 del D.Lgs. n. 81/2008, attraverso la combinazione di due processi che sono strategici per l’effettività e la conformità del sistema di gestione stesso: Monitoraggio/Audit Interno e Riesame Della Direzione.
Si evidenzia però come tali processi rappresentino un sistema di controllo idoneo ai fini di quanto previsto al comma 4 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008 solo qualora prevedano il ruolo attivo e documentato, oltre che di tutti i soggetti della struttura organizzativa aziendale per la sicurezza, anche dell’Alta Direzione (intesa come posizione organizzativa eventualmente sopra stante il datore di lavoro) nella valutazione degli obiettivi raggiunti e dei risultati ottenuti, oltre che delle eventuali criticità riscontrate in termini di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Con il termine “documentato” si intende che la partecipazione dell’Alta Direzione sia comprovata da atti e documenti aziendali. Si evidenzia infine come, l’audit interno deve verificare anche l’effettiva applicazione del sistema disciplinare.
 

Indicazioni per l’adozione del Sistema Disciplinare nel Modello di organizzazione e gestione ex art. 30 del D. Lgs. 81/08

L’articolo 30, comma 3, del D.Lgs. n. 81/08 annovera, tra gli elementi di cui si compone il Modello di Organizzazione e gestione, l’adozione di un “sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate dal modello”.
E’ quindi necessario che l’Azienda sia dotata di procedure per individuare e sanzionare i comportamenti che possano favorire la commissione dei reati di cui all’articolo 300 del D. Lgs. n. 81/2008 (articolo 25-septies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modifiche e integrazioni, di seguito D. Lgs. n. 231/2001) e il mancato rispetto delle misure previste dal modello. Il tipo e l’entità dei provvedimenti disciplinari saranno coerenti con i riferimenti legislativi e contrattuali applicabili e dovranno essere documentati.
 
Il sistema disciplinare dovrà essere definito e formalizzato dall’Alta Direzione aziendale e quindi diffuso a tutti i soggetti interessati quali ad esempio:
–       Datore di lavoro (articolo 2, comma 1, lett. b, D. Lgs. n. 81/2008);
–       Dirigenti (articolo 2, comma 1, lett. d, D.Lgs. n. 81/2008) o altri soggetti in posizione apicale;
–       Preposti (articolo 2, comma 1, lett. e, D.Lgs.  n. 81/2008);
–       Lavoratori (articolo 2, comma 1, lett. b, D. Lgs. n. 81/2008);
–       Organismo di Vigilanza (ove istituito un modello ex D.Lgs. n. 231/2001);
–       Auditor/Gruppo di audit.
 
L’azienda dovrà, inoltre, definire idonee modalità per selezionare, tenere sotto controllo e, ove opportuno, sanzionare collaboratori esterni, appaltatori, fornitori e altri soggetti aventi rapporti contrattuali con l’azienda stessa. Perché tali modalità siano applicabili l’azienda deve prevedere che nei singoli contratti siano inserite specifiche clausole applicative con riferimento ai requisiti e comportamenti richiesti ed alle sanzioni previste per il loro mancato rispetto fino alla risoluzione del contratto stesso.
 
 
Allegato:

TABELLA DI CORRELAZIONE ARTICOLO 30 D. LGS. n. 81/2008 – LINEE GUIDA UNI INAIL – BS OHSAS 18001:2007

PER IDENTIFICAZIONE DELLE “PARTI CORRISPONDENTI” DI CUI AL COMMA 5 DELL’ARTICOLO 30
 
 
Nella tabella che segue sono riportate esclusivamente le correlazioni tra i requisiti di cui all’art. 30 del D.Lgs. 81/2008 con quelli delle Linee Guida UNI INAIL (Linee Guida per un Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro – SGSL) e delle BS OHSAS 18001:2007.
 
 

Rif. Art. 30 D. Lgs. n. 81/2008
Rif. Linee Guida UNI INAIL (2001)
Rif. BS OHSAS 18001:2007
c.1 lett. a: rispetto degli standard tecnico strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici.
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.     Pianificazione
E.1    Il sistema di gestione
E.6    Documentazione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.1     Requisiti generali
4.2      Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3.1  Identificazione dei pericoli, valutazione dei rischi e determinazione dei controlli
4.3.2  Prescrizioni legali e di altro tipo
4.3.3  Obiettivi e programmi
4.4.4  Documentazione
4.4.6  Controllo operativo
4.5.2  Valutazione della conformità
c. 1 lett. b: attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti.
A.     Finalità
B.     Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.     Pianificazione
E.1   Il sistema di gestione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.1      Requisiti generali
4.2      Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3.1  Identificazione dei pericoli, valutazione dei rischi e determinazione dei controlli
4.3.2  Prescrizioni legali e di altro tipo
4.3.3  Obiettivi e programmi
4.4.6  Controllo operativo
c. 1 lett. c: alle attività di natura organizzativa, quali:
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.    Pianificazione
E.2   Definizione dei compiti e delle responsabilità
4.1   Requisiti generali
4.2   Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3   Pianificazione
emergenze
Primo soccorso
E.7   Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.4.7 Preparazione e risposta alle emergenze
Gestione appalti
E.5  Comunicazione, flusso informativo e cooperazione
E.7   Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.4.3.1 Comunicazione
4.4.6    Controllo operativo
Riunioni periodiche di sicurezza
E.3   Coinvolgimento del personale
4.4.3 Comunicazione, partecipazione e consultazione
Consultazione dei RLS
B.      Sequenza ciclica di un SGSL
C.      La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.3  Coinvolgimento del personale
4.2      Politica della sicurezza e salute sul lavoro
4.4.1 Risorse, ruoli, responsabilità, e autorità
4.4.3 Comunicazione, partecipazione e consultazione
c. 1 lett. d: alle attività di sorveglianza sanitaria
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1   Il sistema di gestione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.1 Requisiti generali
4.2 Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.6 Controllo operativo
c. 1 lett. e: alle attività di informazione e formazione
A.    Finalità
B.     Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1   Il sistema di gestione
E.4   Formazione, addestramento, consapevolezza
E.5   Comunicazione, flusso informativo e cooperazione
4.1     Requisiti generali
4.2     Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.2  Competenza, addestramento, consapevolezza
c. 1 lett. f: alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1   Il sistema di gestione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
F.1    Monitoraggio interno della sicurezza (1° livello)
F.2   Caratteristiche e responsabilità dei verificatori
F.3   Piano del Monitoraggio
4.1   Requisiti generali
4.2   Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.6 Controllo operativo
4.5.1 Controllo e misura delle prestazioni
4.5.2 Valutazione della conformità
4.5.3 Indagine su incidenti, non conformità, azioni correttive e azioni preventive
4.5.4 Controllo delle registrazioni
4.5.5 Audit interno
c. 1 lett.g: all’acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie per legge
A.   Finalità
B.   Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.   Pianificazione
E.1  Il sistema di gestione
E.6  Documentazione
4.1    Requisiti generali
4.2    Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3.2 Prescrizioni legali e di altro tipo
4.4.4 Documentazione
4.4.5 Controllo dei documenti
4.5.2 Valutazione della conformità
c. 1 lett. h: alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate
A.    Finalità
B.   Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1  Il sistema di gestione
F.1   Monitoraggio interno della sicurezza (2° livello)
F.2  Caratteristiche e responsabilità dei verificatori
F.3  Piano del Monitoraggio
4.1    Requisiti generali
4.2    Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.5.1 Controllo e misura delle prestazioni
4.5.4 Controllo delle registrazioni
4.5.5 Audit interno
c. 2: il modello organizzativo e gestionaLE DI CUI AL C. 1 DEVE PRECEDERE IDONEI SISTEMI DI REGISTRAZIONE DELL’AVVENUTA EFFETTUAZIONE DELLE ATTIVITà DI CUI AL COMMA 1
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1  Il sistema di gestione
E.6  Documentazione
4.1    Requisiti generali
4.2    Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.4 Documentazione
4.4.5 Controllo dei documenti
4.5.4 Controllo delle registrazioni
C. 3: IL MODELLO ORGANIZZATIVO DEVE IN OGNI CASO PREVEDERE, PER QUANTO RICHIESTO DALLA NATURA E DIMENSIONI DELL’ORGANIZZAZIONE E DEL TIPO DI ATTIVITÀ SVOLTA, UN’ARTICOLAZIONE DI FUNZIONI CHE ASSICURI LE COMPETENZE TECNICHE E I POTERI NECESSARI PER :
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1  Il sistema di gestione
E.2  Definizione dei compiti e delle responsabilità
E.4  Formazione, addestramento, consapevolezza
4.1   Requisiti generali
4.2   Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.1 Risorse, ruoli, responsabilità e autorità
4.4.2 Competenza, addestramento e consapevolezza
la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio;
D.    Pianificazione
E.7   Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
F.1   Monitoraggio interno della sicurezza
F.2   Caratteristiche e responsabilità dei verificatori
F.3   Piano del Monitoraggio
4.3    Pianificazione
4.3.1 Identificazione dei pericoli, valutazione dei rischi e determinazione dei controlli
4.3.3 Obiettivi e programmi
4.4.6 Controllo operativo
4.5.1 Controllo e misura delle prestazioni
4.5.2 Valutazione della conformità
4.5.3 Indagine su incidenti, non conformità, azioni correttive e azioni preventive
un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

 

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Sicurezza: infortunio sul lavoro e responsabilità direttore

Corte di Cassazione Sentenza 3 febbraio 2011, n. 4106
a cura di avv. Cinzia Silvestri


Precisare le responsabilità in caso di infortunio sul lavoro non è semplice tanto più in aziende di grandi dimensioni.
La sentenza in esame evidenzia proprio questa difficoltà laddove la corretta valutazione della responsabilità ha dovuto attraversare tre gradi di giudizio.
Merito della sentenza è la valutazione della posizione sostanziale di ogni figura rispetto agli obblighi di prevenzione.
Laddove esista figura destinata al controllo e direzione di un certo settore, anche nella gestione dei lavoratori e del lavoro , pur non essendo RSPP , esiste un obbligo diretto a provvedere alla sicurezza laddove, si intende, esista, quantomeno, un budget di intervento, un certo potere decisionale.
La sentenza elude la questione della delega aziendale e ne prescinde in quanto ritiene che esista un obbligo diretto, e non delegato dal datore di lavoro.
Laddove, infatti, al fine della sicurezza dei lavoratori l’intervento anche economico (come l’acquisto di una scaletta) rientri nel budget del direttore assegnato alla filiale questi è tenuto, per proprio dovere e nell’ambito dei suioi poteri, ad intervenire a tutela della sicurezza.
La responsabilità non può dunque essere imputata al datore di lavoro, in quanto tale, solo perchè non è stata provata la esistenza di una delega o perchè non era stato nominato RSPP.
La sentenza della Cassazione, dunque, esonera il datore di lavoro dalla responsabilità ed onera invece il direttore di filiale per non essere intervenuto all’acquisto della scaletta nell’ambito del suo potere di spesa e decisionale.
****
In particolare:
Veniva condannato con sentenza del Tribunale alla pena di mesi due di reclusione per il reato di lesioni colpose in seguito ad infortunio sul lavoro in quanto responsabile di avere omesso, in qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della ditta, “…di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate, in particolare una scala pedana di dimensione e conformazione tali da realizzare un posto di lavoro stabile e sicuro per eseguire le attività inerenti la manutenzione della pressa a iniezione, sita nello stabilimento della sopra indicata impresa.”
In particolare descrive la sentenza del Tribunale : “…Il lavoratore addetto alla pressa nello stabilimento della ditta, nell’ispezionare l’interno della tramoggia, annessa alla pressa a iniezione, in mancanza di supporto adeguato, perdeva l’equilibrio e, nel tentativo di proteggersi, si agganciava al bordo tagliente della tramoggia con la mano destra, riportando ferita lacero contusa al terzo dito della mano destra con lesioni tendinee al flessore profondo con prognosi di 81 giorni ed invalidità permanente pari al 3%….”.
Veniva proprosto appello alla Corte di Trieste che però confermava la sentenza del Tribunale.
Seguiva impugnazione avanti alla Corte di Cassazione.
Affermava il ricorrente di essere legale rappresentante di una società che opera in sette stabilimenti dislocati in due regioni (Friuli Venezia Giulia e Veneto), che occupa oltre 600 dipendenti e che ha un fatturato annuo di circa 140 milioni di euro e che nello stabilimento nel quale si è verificato l’infortunio c’era un direttore, il quale aveva poteri ed autonomia di spesa almeno fino a 5000 euro, senza alcuna necessità di preventiva autorizzazione, il quale per delega disponeva le manutenzioni necessarie. Nella fattispecie il ruolo di “datore di lavoro” era soltanto del ricorrente (che è già stato condannato), nè il ricorrente poteva condividere l’assunto della Corte territoriale secondo cui sarebbe stata necessaria la prova rigorosa ed esaustiva dell’esistenza di una delega anche non scritta, in quanto tale asserzione poteva riferirsi solo all’insussistenza di una valida delega di tipo generale per coprire ogni tipo di deficienza nelle attrezzature messe a disposizione del lavoratore.
Non poteva invece ritenersi necessaria la prova rigorosa della delega per affermare la responsabilità esclusiva del direttore di stabilimento per tutti quegli infortuni che dipendevano o da carenze nelle modalità operative o da inidoneità di attrezzature alle quali egli doveva e poteva porre rimedio in quanto la spesa necessaria rientrava nei limiti della sua autonomia, come appunto nel caso che ci occupa.
La Corte di appello ha ritenuto sussistente la responsabilità del ricorrente (datore di lavoro) principalmente sulla base dei seguenti argomenti:

  1. il mancato accertamento dell’esistenza di una delega scritta e dell’esistenza di una delega ancorchè non scritta;
  2. la mancata nomina di un responsabile della sicurezza;
  3. la circostanza che il direttore dello stabilimento non poteva essere considerato “datore di lavoro”, dal momento che aveva un potere di spesa limitato solo alle situazioni di emergenza, come poteva desumersi dalle affermazioni del teste (.

Dalla istruttoria processuale risultava altresì che il direttore aveva poteri legati all’emergenza, ed anche il potere di far fronte alle spese di modesta entità, avendo a tale scopo una disponibilità di cassa di circa 1000,00 euro ; l’intervento sulla scala messa a disposizione del lavoratore comportava peraltro una spesa di circa 500,00 euro; spesa dunque che poteva rientrare nella disponibilità del direttore.
Secondo la Cassazione invece non risulta pertanto necessaria la prova rigorosa della sussistenza di una delega al direttore dello stabilimento.
Il Dlgs n. 626 del 1994, articolo 2, lettera b), 1 periodo, così come modificato dal Dlgs n. 242 del 1996, considera datore di lavoro “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore”comunque “il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, quale definita dalla lettera i) in quanto titolare dei poteri decisionali di spesa”.
Con l’avverbio “comunque” il legislatore ha inteso dare netta preminenza al criterio sostanziale che deve essere in ogni caso rispettato e che prevale quando vi è discordanza tra la situazione formale e quella reale.
Conclude la Cassazione: “ ….Quindi, ……nelle aziende di grandi dimensioni è frequente il caso in cui il soggetto dotato della legale rappresentanza non coincide con quello in grado di esercitare l’effettivo potere di organizzazione dell’azienda e del lavoro dei dipendenti ed è a quest’ultimo che dovranno attribuirsi le connesseresponsabilità prevenzionali.
Secondo la univoca giurisprudenza di questa Corte, pertanto, (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 4, Sent. n. 49819 del 5 dicembre 2003) il dato normativo consente di distinguere un datore di lavoro in senso giuslavoristico da uno o più datori di lavoro (sussistendo distinte unità produttive) in senso prevenzionale. E evidente che la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell’unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali.
Egli pertanto sarà qualificabile come datore di lavoro ai fini della sicurezza solo se gli saranno attribuiti poteri e disponibilità finanziarie adeguate ad effettuare gli adempimenti prescritti dalla legge e solo entro quei limiti, mentre, per tutti gli altri adempimenti per i quali non dispone dei mezzi e dei poteri per realizzarli, le eventuali violazioni (e relative conseguenze) non saranno a lui ascrivibili.
Pertanto, nella fattispecie di cui è processo, il direttore dello stabilimento , rientrando l’intervento sulla scala nel suo potere di spesa e nell’autonomia di cui disponeva, era autonomamente onerato a titolo originario e non già per delega del legale rappresentante della Spa”.
 

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Focus Sicurezza: RSPP

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi

 
E’ utile a volte richiamare alla memoria ciò che ci sembra già di conoscere.
 
Il «responsabile del servizio di prevenzione e protezione» è la persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali indicati dall’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
L’ «addetto al servizio di prevenzione e protezione» è invece la persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32, facente parte del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.



Servizio di prevenzione e protezione

Servizio di prevenzione e protezione (art. 31)
 
commi 1 e 2 riprendono sostanzialmente le previsioni già presenti nel D.Lgs 626/94 e, in particolare, i requisiti degli addetti e del responsabile del SPP introdotti con il D.Lgs n. 195/2003, con la novità rappresentata dalla possibilità che il Servizio esterno può ora essere costituito anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici. Inoltre, relativamente all’ipotesi di costituzione di un SPP interno,  non viene ripetuto l’inciso “da lui dipendenti”,  contenuto nell’art. 8, comma 2, del  D.Lgs 626/94, con la conseguenza che le persone designate per l’espletamento dei compiti di addetto o responsabile del servizio  non devono essere necessariamente lavoratori subordinati. L’obbligo di consultazione del RLS, nel caso previsto dal comma 4 in cui si debba ricorrere a persone o servizi esterni in assenza, all’interno, di persone in possesso dei requisiti richiesti dall’art. 32, è ora inserito nell’art. 50, comma 1, lett. c). Non trova conferma e risulta pertanto venuto meno, per il  datore di lavoro, l’obbligo, in precedenza previsto dall’art 8, comma 11, del D.Lgs 626/94, di comunicare al servizio ispezione del lavoro e alle unità sanitarie locali il nominativo del RSPP. Nel comma 6 – relativo alle ipotesi (in precedenza disciplinate dall’art. 8, comma 5) in cui è obbligatoria l’istituzione del SPP all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva – il termine “dipendenti” risulta sostituito dal termine “lavoratori”, con la conseguenza che, ai fini della determinazione della dimensione aziendale menzionata nei punti e), f) e g), vanno computati anche i soggetti occupati con rapporto diverso dal lavoro subordinato. Il successivo comma 7 dispone che, nelle ipotesi  di cui al precedente comma 6, il Responsabile del SPP deve essere interno. Ne discende che, stante la previsione del precedente comma 4, ove l’azienda non disponga al proprio interno di un soggetto in possesso di capacità adeguate, se ne dovrà dotare, integrando il proprio organico. Vista la definizione ampia di lavoratore, è da ritenere che l’impresa possa ricorrere ad una qualsiasi forma contrattuale. Infine, trova conferma nel comma 8 la possibilità di istituire un unico SPP nelle aziende con più unità produttive e nei casi di gruppi di imprese.

Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni ed esterni (art. 32)

Il comma 2 introduce requisiti ulteriori per il responsabile del SPP e richiama i contenuti indicati dall’accordo Stato-regioni del 26 gennaio 2006, attuativo del comma 2 dell’art. 8 bis del  D.Lgs 626/94. Da notare i riferimenti a specifici corsi di formazione in materia di protezione dei rischi di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato di cui all’art. 2. Quest’ultima previsione consegue allo specifico inserimento, tra i rischi da valutare, di quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004. Il comma 3 fa espressamente salva la previsione dell’art. 3 del D.Lgs n. 195/2003 relativo alla abilitazione alle  funzioni di responsabile o addetto di coloro che, pur essendo privi del titolo di studio richiesto, dimostrino di aver svolto le stesse funzioni, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno da sei mesi alla data del 13 agosto 2003. L’esercizio della funzione di RSPP viene tuttavia condizionato alla previa frequenza di uno dei corsi previsti dall’accordo Stato regioni richiamato al comma 2. Il comma 7 dispone la registrazione dello svolgimento delle attività di formazione da parte dei componenti del servizio interno, nel libretto formativo del cittadino di cui all’articolo 2, comma 1, lettera i), del D.Lgs. n. 276/2003. Si tratta di una disposizione innovativa, finalizzata a dare evidenza, nel curriculum professionale e formativo del lavoratore, della frequenza dei corsi in materia di protezione e prevenzione.
 
Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi (art. 34)
 
Il  comma 1 conferma la possibilità che, nelle ipotesi previste nell’allegato 2 , il datore di lavoro possa svolgere, insieme ai compiti propri del SPP, di prevenzione incendi e di evacuazione, anche le funzioni di primo soccorso. Il comma 2 pone a carico del datore di lavoro che intende svolgere personalmente le funzioni indicate nel comma 1, l’obbligo di  frequentare appositi corsi di formazione di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore. Per il contenuto della formazione si fa rinvio ad un accordo della Conferenza Stato-regioni che dovrà intervenire entro un anno dall’entrata in vigore del TU. Durante tale periodo, conserva validità la formazione conseguita attraverso la frequenza dei corsi, ai sensi dell’articolo 3 del DM 16 gennaio 1997. La stessa disposizione non conferma e deve, pertanto, ritenersi venuto meno l’obbligo per il datore di lavoro interessato  di provvedere alle comunicazioni, in precedenza previste dall’art. 10, comma 2, del D.Lgs 626/94, nei confronti dell’organo di vigilanza.   Infine, il comma 3 pone a carico dello stesso datore di lavoro interessato un nuovo obbligo di frequenza di corsi di aggiornamento. Si tratta di una previsione di portata generale riferibile  anche ai datori di lavoro che hanno frequentato i corsi previsti dal DM 16 gennaio 1997, nonché a quelli che, sia pure fino al 31 dicembre 1996, erano esonerati a norma dell’art. 95 del  D.Lgs 626/94.
 
Con il decreto 106 viene introdotto un comma aggiuntivo che prevede nelle aziende o unità produttive sino a 5 lavoratori la possibilità per il datore di lavoro di svolgere direttamente i compiti di primo soccorso e prevenzione incendi anche nel caso in cui il datore di lavoro abbia affidato l’incarico di RSPP a persone interne o a servizi esterni, dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
 
Il tal caso il datore di lavoro dovrà frequentare gli specifici corsi di formazione di pronto soccorso e prevenzione incendi.
 

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Sicurezza: il rischio elettivo esclude la responsabilità del datore di lavoro

Note a Cass. Lavoro n. 10734/2011
a cura di avv. Cinzia Silvestri


Una guardia giurata si allontanava dal proprio posto di lavoro, seppur rimanendo nei pressi, per parlare con un collega al quale accidentalmente cadeva l’arma da fuoco a terra e lo feriva ad un braccio.
La guardia giurata conveniva in giudizio la società datrice di lavoro per vederla condannare al risarcimento dei danni per un infortunio accaduto in occasione del lavoro prestato.
La guardia giurata percorreva i due gradi di giudizio in quanto la domanda veniva rigettata atteso che i giudici escludevano che l’infortunio fosse connesso all’attività lavorativa. La guardia proponeva ricorso per cassazione.
 
La sentenza della Cassazione conferma i due gradi di giudizio e precisa: “Non era dunque ravvisabile né una causa, né una occasione di lavoro, dal momento che la condotta posta in essere… si era concretizzata nel fatto che, per ragioni del tutto estranee al servizio aveva lasciato la propria postazione di lavoro, soffermandosi a discutere con altra guardia giurata, determinando così il venir meno di qual vincolo di occasione lavorativa, che costituisce condizione imprescindibile per la responsabilità datoriale, si da configurare un rischio elettivo…”
 
Il rischio elettivo, consiste in una deviazione dalla attività lavorativa, volontaria, tesa a finalità personali e non riconducibili alla mansione resa e dalle normali modalità lavorative; il rischio elettivo esclude il nesso con l’attività lavorativa.
Il datore non è responsabile dell’infortunio al dipendente che si sia allontanato dalla propria postazione di lavoro.
La Cassazione cita altra sentenza come precedente ovvero la Cass. 4.7.2007 n. 15047 secondo cui “…in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, aggiungendo al riguardo che tale genere di rischio – in grado di incidere, escludendola, sull’occasione di lavoro – si connota per il simultaneo concorso di un atto volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive, della direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali ed infine, della mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa)..”.


 

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Sicurezza: lesioni personali colpose ex art. 590 co. 1,2 c.p.

Note a Cassazione penale n. 19555/2011
a cura di avv. Cinzia Silvestri

Prevale la responsabilità del datore di lavoro anche se l’infortunio sia causato per colpa del lavoratore. 
Nel caso in esame un operaio, esperto, per evitare che uno dei pezzi allineato alla macchina rettificatrice cadesse, appoggiava la mano sinistra sulla lama della macchina rettificatrice, procurandosi delle lesioni.Il responsabile della gestione aziendale, nonché componente del Consiglio di Amministrazione dell’impresa, veniva condannato sia in primo che in secondo grado per il reato di lesioni personali colpose (art. 590, commi 1, 2 e 3, c.p.): il dirigente non aveva né adeguato la macchina alle prescrizioni antinfortunistiche predisponendo idonee misure di protezione nè richiesto ai propri dipendenti l’osservanza delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza.
In particolare precisa la sentenza: “….il cui funzionamento non aveva provveduto ad arrestare allorché aveva allungato la stessa mano nel tentativo di fermare la caduta a terra di uno dei pezzi che aveva allineato sulla macchina. L’infortunio si era verificato in (omissis), per la colpa generica in cui versava l’imputato nonché per la colpa specifica, avendo questi omesso di adeguare la macchina alle prescrizioni antinfortunistiche sopravvenute nei tempo, con idonee protezioni e con i presidi tecnici (essendo la stessa dotata unicamente di una cuffia) a tutela della sicurezza e della incolumità dei lavoratori dipendenti ed avendo altresì omesso di richiedere agli stessi l’osservanza delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza; ciò quindi in violazione dell’art. 2087 cod. civ. e dell’art. 35, commi 1 e 72 D.l.vo n. 626 dei 1994….”
L’omesso controllo del datore di lavoro e la macchina obsoleta determinano la sua responsbailità: “…Il fatto che alla produzione dell’evento avesse concorso la parte offesa, con condotta imprudente, per aver fatto verosimilmente eccessivo affidamento sulla pregressa esperienza e sulla reiterazione delle stesse operazioni, ovviamente non solo non vale ad escludere la responsabilità dell’imputato, in veste di datore di lavoro, ma tantomeno potrebbe condurre ad “escludere” la sussistenza dell’aggravante – contestata – del fatto commesso con violazione della disciplina antinfortunistica ed in particolare dell’art. 35, comma 1 D.l.vo n. 626 del 1994, come legittimamente ritenuto dalla Corte distrettuale. Era invero rimasto accertato, come rimarcato dalla sentenza impugnata, che l’infortunio si era verificato perché la macchina rettificatrice – già obsoleta all’epoca dei fatto – non era stata adeguata, per omissione del P., agli specifici congegni di sicurezza, individuati dai progredire della tecnica (ovvero gli “scudi di sicurezza” come precisato dal tecnico dell’A.S.L.) tali da bloccarne il funzionamento in difetto di espresso consenso all’apertura, elettricamente azionabile dall’operatore.



 

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Sistri: Aggiornamenti

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
 
 
Sul sito www.sistri.it nella Sezione “Manuali e Guide”, è disponibile l’edizione aggiornata del Manuale Operativo e delle Guide Utenti che introducono importanti modifiche ed integrazioni.
Le principali riguardano i due capitoli aggiuntivi sul metodo di calcolo per i dipendenti di aziende ed unità locali (capitolo 6.1) e quello relativo alle operazioni di conguaglio dei contributi (capitolo 6.2) per l’anno 2012, incluso un estratto del testo unico di prossima pubblicazione (capitolo 6.2.1).
 
Importanti novità si trovano anche nelle sezioni:
–       Regione Campania;
–       Trasporto navale e marittimo rifiuti;
–       Attività di manutenzione infrastrutture e reti;
–       Trasbordo;
–       Autospurghi;
–       Veridicità dei dati e custodia dispositivi.
 
Per quanto riguarda i criteri per il calcolo del numero di dipendenti, nel manuale viene precisato che l’art. 188 ter del D.Lgs 152/2006, introdotto dall’art. 16 del D.Lgs. 205/2010, stabilisce che ai fini dell’iscrizione il numero dei dipendenti è calcolato con riferimento al numero delle persone occupate nell’unità locale dell’ente o dell’impresa con una posizione di lavoro indipendente o dipendente (a tempo pieno, a tempo parziale, con contratto di apprendistato o contratto di inserimento), anche se temporaneamente assenti (per servizio, ferie, malattia, sospensione dal lavoro, cassa integrazione guadagni, eccetera). I lavoratori stagionali sono considerati come frazioni di unità lavorative annue con riferimento alle giornate effettivamente retribuite.
Per il calcolo dei lavoratori dipendenti si fa riferimento alle metodologie di calcolo delle Unità Lavorative Annue (ULA) così come stabilite dal Decreto del Ministero delle Attività Produttive del 18 Aprile 2005. In base a tale decreto, ai fini del calcolo delle ULA i dipendenti occupati part-time sono conteggiati come frazione di ULA in misura proporzionale al rapporto tra le ore di lavoro previste dal contratto part-time e quelle fissate dal contratto collettivo di riferimento. Ad esempio, qualora il contratto di riferimento preveda l’effettuazione di 36 ore settimanali e quello part-time di 18, il dipendente viene conteggiato pari a 0,5 ULA per il periodo di lavoro; qualora il contratto di riferimento preveda l’effettuazione di 40 ore settimanali e quello part-time di 28, il dipendente viene conteggiato pari a 0,7 ULA per il periodo di lavoro. Nei casi di assenza prolungata (maternità e malattie lunghe) verrà conteggiata una sola unità lavorativa anche nel caso in cui il datore di lavoro abbia provveduto a sostituire l’assente mediante la stipulazione di un contratto a termine.
Si considerano dipendenti dell’impresa anche i proprietari gestori (imprenditori individuali) ed i soci che svolgono attività regolare nell’impresa; con riferimento a questi ultimi gli stessi devono percepire un compenso per l’attività svolta diverso da quello di partecipazione agli organi amministrativi della società. Al fine del calcolo in termini di ULA il socio che percepisce tali compensi viene considerato una ULA a meno che il contratto che regola i rapporti tra la società ed il socio stesso specifichi una durata inferiore all’anno (in tal caso si calcola la frazione di ULA).
Per il calcolo dei lavoratori autonomi e parasubordinati, questi vanno conteggiati: come frazione di ULA in misura proporzionale al rapporto tra le ore di lavoro previste dal contratto come parasubordinato o lavoratore autonomo e quelle fissate dal contratto collettivo di riferimento.
Con la dizione “lavoro indipendente” si indicano le posizioni di “lavoro autonomo” che prevedono una diretta relazione tra datore di lavoro e prestatore di lavoro.
Ai fini del SISTRI vanno prese in considerazione le sole prestazioni che abbiano caratteristiche di stabilità e continuità, anche se fornita in maniera indipendente, con esclusione, quindi, delle forme occasionali di collaborazione lavorativa.
In base a quanto sopra esposto devono essere computate, tra i soggetti che rientrano nel numero di dipendenti, le seguenti figure:
–       lavoratori dipendenti (comprendendo anche quelli assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro; in tal caso, in una situazione di assenza prolungata, viene conteggiata una sola unità lavorativa anche nel caso in cui il datore di lavoro abbia provveduto a sostituire l’assente mediante la stipulazione di un contratto a termine);
–       lavoratori parasubordinati con contratto di durata superiore a 30 gg/anno (rientrano nella fattispecie i lavoratori con contratti a progetto e contratti di collaborazione coordinata e continuativa; vanno, altresì, conteggiati i lavoratori autonomi che prestino in modo continuativo la loro attività professionale esclusivamente nell’unità locale);
–       lavoratori autonomi con una presenza stabile e continuativa nell’unità locale (superiore a 30 gg/anno);
–       lavoratori stagionali (va considerata la generalità dei rapporti a termine, con inclusione dei lavoratori a part-time con conteggio dei giorni in funzione dell’entità dell’orario previsto; vengono, in analogia, considerati anche i lavoratori interinali con loro riproporzionamento in base alle giornate di lavoro);
–       stagisti;
 
devono, invece, essere escluse dal computo le seguenti figure:
–       lavoratori autonomi con presenza non continuativa nell’unità locale (inferiore a 30gg/anno);
–       lavoratori in somministrazione;
–       lavoratori occasionali (fino a 30 giorni nell’arco di un anno solare);
–       lavoratori distaccati presso altra azienda o sede per un periodo superiore a 6 mesi;
–       lavoratori che operano in virtù di contratti di appalto.
 
Va inoltre ricordato che per calcolare il numero di dipendenti della singola unità locale occorre fare riferimento al numero medio degli addetti nell’anno solare precedente a quello a cui si riferisce il pagamento del contributo, indipendentemente dalla chiusura del bilancio.
 
 
Per quanto riguarda il contributo ai sensi di quanto disposto dall’art 4 del d.m. 17 dicembre 2009, i soggetti iscritti al SISTRI hanno l’obbligo di versare un contributo annuale per assicurare la copertura degli oneri derivanti dalla costituzione e dal funzionamento del nuovo sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti. Con l’articolo 7 del Testo Unico Sistri di prossima pubblicazione viene fissata al 30 aprile la data del versamento riferito all’anno solare. L’importo del contributo dovuto è indicato nell’Allegato II dello stesso DM.
Con l’art.6 del d.m. 9 luglio 2010 è stata disposta una significativa riduzione dell’entità dei contributi dovuti da parte dei piccoli produttori di modesti quantitativi annui di rifiuti pericolosi. Al terzo comma dello stesso articolo è stato stabilito che i soggetti interessati alle modifiche intervenute, che hanno gia provveduto al pagamento dei contributi, hanno diritto al conguaglio di quanto versato a valere sui contributi dovuti per gli anni successivi.
 
In relazione a quanto sopra, al fine di normalizzare la situazione che si è venuta a determinare, tenendo conto anche di quanto proposto dal Comitato di Vigilanza e Controllo del SISTRI, il Ministero dell’Ambiente ha deciso di consentire unicamente ai soggetti di cui al comma 1 dell’art. 6 del d.m. 9 luglio 2010 – e cioè agli enti ed imprese produttori di rifiuti pericolosi ed agli imprenditori agricoli fino a 10 addetti e con quantitativi annui di rifiuti pericolosi prodotti inferiori a 400 kg, nonchè ai Comuni con meno di 5000 abitanti – di portare in detrazione la quota in eccesso versata nel 2010 sull’entità dei contributi dovuti per l’anno 2011, rimasti immutati rispetto all’anno precedente.
Ne discende, in caso di invarianza del livello dei contributi anche per gli anni successivi al 2011 e fermo restando che il contributo versato per il 2010 è stato di 120€, il seguente quadro di riferimento:
 
Enti ed imprese produttori di rifiuti pericolosi

Numero di addetti Produzione di rifiuti pericolosi Conguaglio
Da 1 a 5 Fino a 200 kg Nessun contributo per il 2011 e riduzione di 10 euro del contributo per il 2012
Da 1 a 5 Da 200 a 400 kg Nessun contributo per il 2011
Da 6 a 10 Fino a 400 kg Nessun contributo per il 2011

 
Imprenditori agricoli

Numero di addetti Produzione di rifiuti pericolosi Conguaglio
Da 1 a 5 Fino a 200 kg Nessun contributo fino al 2013 (30 euro per 3 annualità)
Da 1 a 5 Da 200 a 400 kg Nessun contributo per il 2011 Per il 2012 riduzione di 10 euro del contributo
Da 6 a 10 Fino a 400 kg Nessun contributo per il 2011
Per il 2012 riduzione di 10 euro del contributo

 
Comuni con meno di 5000 abitanti: nessun contributo per il 2011
 
Qualora nel corso del 2010 sia stato prodotto un quantitativo di rifiuti pericolosi superiore ai limiti sopra indicati, tale da comportare un nuovo livello di contributo per il 2011, il credito derivante dall’eccedenza versata nel 2010 va compensato con il nuovo livello di contributo dovuto.
Secondo quanto disposto al comma terzo dell’art 6 del d.m. 9 luglio 2010, i soggetti interessati devono inoltrare apposita domanda al SISTRI, mediante posta elettronica all’indirizzo e-mail conguagliosistri@sistri.it, via fax al numero verde 800 05 08 63, utilizzando il Modello disponibile sul sito internet www.sistri.it o attraverso l’applicazione Gestione Aziende che sarà a breve resa disponibile sul Portale Sistri. Nella parte del Modello dedicata alla “documentazione a supporto” va inserita una dichiarazione relativa alla quantità di rifiuti pericolosi prodotti nel 2010 , la stessa da riportare nel MUD 2010.
Si ricorda che, come stabilito dall’allegato II al DM 17 dicembre 2009, i produttori di rifiuti pericolosi che producono anche rifiuti non pericolosi pagano solo il contributo relativo ai rifiuti pericolosi.
 

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Sicurezza e Amianto – Esposizioni sporadiche e di debole intensità all’amianto

Indicazioni della Commissione consultiva

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi




 
La Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro, nella seduta del 19 gennaio 2011, ha approvato, come prescritto dall’art. 249, comma 4, del D.Lgs 81/08, gli orientamenti pratici per la determinazione delle esposizioni sporadiche e di debole intensità (ESEDI) all’amianto la cui presenza esonera il datore di lavoro dall’applicazione degli articoli 250 (notifica all’organo di vigilanza), 251, comma 1 (misure di prevenzione e protezione), 259 (sorveglianza sanitaria) e 260, comma 1 (Registro di esposizione e cartelle sanitarie e di rischio) del D.Lgs 81/08 a condizione, tuttavia, che le attività lavorative che oggettivamente possano essere considerate sporadiche, espongano i lavoratori a concentrazioni molto basse di fibre di amianto, le cui condizioni espositive risultano generare un rischio il cui livello medio è dello stesso ordine di grandezza di quello medio definito accettabile per la popolazione generale, come stabilito dall’OMS (WHO, 2000).
 
Nello specifico, le attività “ESEDI”, di cui all’art. 249 comma 2 del D.Lgs 81/2008 vengono identificate nelle attività che vengono effettuate per un massimo di 60 ore l’anno, per non più di 4 ore per singolo intervento e per non più di due interventi al mese, e che corrispondono ad un livello massimo di esposizione a fibre di amianto pari a 10 F/L calcolate rispetto ad un periodo di riferimento di otto ore.
 
La durata dell’intervento si intende comprensiva del tempo per la pulizia del sito, la messa in sicurezza dei rifiuti e la decontaminazione dell’operatore. All’intervento non devono essere adibiti in modo diretto più di 3 addetti contemporaneamente e, laddove ciò non sia possibile, il numero dei lavoratori esposti durante l’intervento deve essere limitato al numero più basso possibile. A titolo indicativo e non esaustivo è, in seguito, riportato un primo elenco di attività che, sulla base delle attuali conoscenze e nel rispetto delle limitazioni temporali ed espositive sopra descritte, possono rientrare nelle attività “ESEDI”.
 
a)     Brevi attività non continuative di manutenzione durante le quali il lavoro viene effettuato solo su materiali non friabili:
1)     interventi di manutenzione riguardanti il fissaggio di lastre in MCA compatto in buono stato di conservazione senza intervento traumatico sulle stesse;
2)     riparazione di una superficie ridotta (massimo di 10 m2) di lastre o mattonelle in vinil-amianto mediante applicazione di collanti, impregnanti, sigillanti o con limitati riporti di guaine ricoprenti, o prodotti similari;
3)     applicazione di prodotti inertizzanti in elementi di impianto contenenti MCA non friabile in buone condizioni (ad es. rivestimenti di tubature);
4)     spostamento non traumatico di lastre di MCA compatto non degradate abbandonate a terra, previo trattamento incapsulante;
5)     interventi conseguenti alla necessità di ripristinare la funzionalità, limitatamente a superfici ridotte (massimo di 10 m2), di coperture o pannellature in MCA non friabile mediante lastre non contenenti amianto;
6)     interventi di manutenzione a parti di impianto (ad eccezione degli impianti frenanti), attrezzature, macchine, motori, ecc., contenenti MCA non friabile, senza azione diretta su MCA;
7)     attività di conservazione dell’incapsulamento con ripristino del ricoprente;
8)     inserimento, all’interno di canne fumarie in MCA non friabile, di tratti a sezione inferiore senza usura o rimozione di materiale;
9)     interventi di emergenza per rottura, su condotte idriche solo finalizzati al ripristino del flusso e che non necessitino l’impiego di attrezzature da taglio con asportazione di truciolo.
 
b) Rimozione senza deterioramento di materiali non degradati in cui le fibre di amianto sono fermamente legate ad una matrice:
1)     rimozione di vasche e cassoni per acqua, qualora questi manufatti possano essere rimossi dalla loro sede senza dover ricorrere a rotture degli stessi;
2)     rimozione di una superficie limitata (massimo di 10 m2) di mattonelle in vinil-amianto, lastre poste internamente ad edificio o manufatti simili in MCA non friabile, qualora questi manufatti possano essere rimossi dalla loro sede senza dover ricorrere a rotture degli stessi;
3)     raccolta di piccoli pezzi (in quantità non superiore all’equivalente di 10 m2) di MCA non friabile, caduto e disperso a seguito di eventi improvvisi ed imprevisti, previo trattamento con incapsulante.
 
c) Incapsulamento e confinamento di materiali contenenti amianto che si trovano in buono stato:
1)     interventi su MCA non friabile in buono stato di conservazione volti alla conservazione stessa del manufatto e/o del materiale ed attuati senza trattamento preliminare;
2)     messa in sicurezza di materiale frammentato (in quantità non superiore all’equivalente di 10 m2), con posa di telo in materiale plastico (ad es. polietilene) sullo stesso e delimitazione dell’area, senza alcun intervento o movimentazione del materiale stesso.
 
d) Sorveglianza e controllo dell’aria e prelievo dei campioni ai fini dell’individuazione della presenza di amianto in un determinato materiale:
1)     campionamento ed analisi di campioni aerei o massivi ed attività di sopralluogo per accertare lo stato di conservazione dei manufatti installati.
 
Gli elenchi sopra riportati potranno essere periodicamente aggiornati dalla Commissione Consultiva Permanente in base all’evoluzione delle conoscenze. Da quanto su esposto si ritiene che le attività “ESEDI” sopra riportate, possano essere svolte anche da meccanici, idraulici, lattonieri, elettricisti, muratori e operatori, che si trovino nella condizione di svolgere attività con materiali contenenti amianto (MCA) come previsto dall’art. 249, comma 2, del D.Lgs 81/2008 e che abbiano ricevuto una formazione sufficiente ed adeguata, a intervalli regolari secondo il dettato normativo previsto dall’art. 258 del medesimo decreto.
 
Si ritiene utile sottolineare che, in ogni caso, durante l’effettuazione delle attività “ESEDI”, dovrà essere assicurato il rispetto delle misure igieniche dell’art. 252 del D.Lgs 81/08 con particolare riguardo ai dispositivi di protezione individuale (D.P.I.) delle vie respiratorie, che dovranno avere un fattore di protezione operativo non inferiore a 30.
 

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Stress lavoro correlato

art. 28 comma 1-bis Dlgs. 81/2008[1] . La Commissione consultiva ha approvato le linee guida di valutazione
a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi



L’articolo 28, comma 1, del D.Lgs 9 aprile 2008, n. 81 ha previsto che la valutazione dei rischi debba essere effettuata tenendo conto, tra l’altro, dei rischi da stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004.
In ragione delle difficoltà operative segnalate in ordine all’individuazione delle corrette modalità di attuazione di tale previsione legislativa, in sede di adozione delle disposizioni integrative e correttive al D.Lgs 81/2008, è stato introdotto all’articolo 28 il comma 1-bis, con il quale si è attribuito alla Commissione consultiva[2] il compito di formulare indicazioni  metodologiche in ordine al corretto adempimento dell’obbligo, finalizzate a indirizzare le attività dei datori di lavoro, dei loro consulenti e degli organi di vigilanza[3].
Il documento presenta elementi di forte positività sia per la sua articolazione strutturale, semplice e lineare, sia per i contenuti che appaiono in linea con quanto previsto dalla normativa vigente e, in particolare, dall’accordo interconfederale 9 giugno 2008.
Ebbene la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, al pari di quanto avviene per tutti gli altri rischi, deve essere effettuata:1)  dal datore di lavoro 2) nell’ambito della propria organizzazione e 3) secondo i criteri già delineati dal quadro normativo vigente, nonché:
–     Non tutti i luoghi di lavoro sono necessariamente interessati dallo stress (art. 1, comma 2)
–     Non tutte le manifestazioni di stress sono necessariamente negative (art. 3, comma 2)
–     Lo stress non è una malattia (art. 3, comma 3)
–     Non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato (art. 3, comma 4)
–     L’individuazione dello stress può implicare analisi di fattori oggettivi e soggettivi (art. 4, comma, 2)
–     Il compito di stabilire le misure per prevenire, eliminare o ridurre lo stress spetta al datore di lavoro e le misure sono adottate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti (art. 4,comma 5)
–     La gestione dei problemi di stress può essere condotta sulla scorta del generale processo di valutazione dei rischi (art. 5, comma 2)
–     Laddove nel luogo di lavoro non siano presenti professionalità adeguate, possono essere chiamati esperti esterni (art. 6, comma 2)
Le indicazioni ministeriali inoltre, nel ribadire con estrema chiarezza che la valutazione del rischio stress lavoro-correlato è parte integrante della valutazione dei rischi e che deve essere effettuata (come per tutti gli altri fattori di rischio) dal datore di lavoro avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS/RLST),  indicano un percorso logico e metodologico inteso a permettere una corretta identificazione dei fattori di rischio da stress lavoro-correlato e, conseguentemente, a consentire al datore di lavoro la pianificazione e la realizzazione di misure di eliminazione o, quando essa non sia possibile, di riduzione al minimo di tale fattore di rischio.
A tale scopo, viene chiarito che le necessarie attività devono essere compiute con riferimento a 1) tutti i lavoratori, compresi dirigenti e preposti. La valutazione, inoltre, deve prendere in esame 2) non singoli ma gruppi omogenei di lavoratori (per esempio per mansioni o partizioni organizzative) che risultino esposti a rischi dello stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di lavoro può autonomamente effettuare in ragione della effettiva organizzazione aziendale (potrebbero essere, ad esempio, i turnisti, i dipendenti di un determinato settore oppure chi svolge la medesima mansione, etc).
3) Un ulteriore elemento di rilievo contenuto nelle linee guida riguarda l’interpretazione circa la data di decorrenza della valutazione. Viene infatti previsto che la data del 31 dicembre 2010, di decorrenza dell’obbligo previsto dall’articolo 28, comma 1-bis, del D.Lgs n. 81/2008, debba essere intesa come data di avvio delle attività di valutazione.
4) La programmazione temporale delle suddette  attività di valutazione e l’indicazione del termine finale di espletamento delle stesse devono essere riportate nel documento di valutazione dei rischi.
5) Gli organi di vigilanza, ai fini dell’adozione dei provvedimenti di propria competenza, terranno conto della decorrenza e della programmazione temporale di cui al precedente periodo.
Si evidenzia, inoltre, che i  datori di lavoro che, alla data della pubblicazione delle indicazioni metodologiche, abbiano già effettuato la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato coerentemente ai contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, come recepito dall’accordo interconfederale del 9 giugno 2008, non debbano ripetere l’indagine ma siano unicamente tenuti all’aggiornamento della medesima nelle ipotesi previste dall’art. 29, comma 3, del D.Lgs n. 81/2008.
La valutazione si articola in due fasi: una necessaria (valutazione preliminare); l’altra eventuale, da attivare nel caso in cui la valutazione preliminare riveli elementi di rischio da stress lavoro correlato e le misure di correzione adottate a seguito della stessa, dal datore di lavoro, si rivelino inefficaci.
A) Valutazione preliminare (necessaria): analisi condizioni oggettive La fase preliminare consiste nella rilevazione, da parte del datore di lavoro, di indicatori oggettivi e verificabili, ove possibile numericamente apprezzabili, appartenenti quanto meno a tre distinte famiglie:
1.   Eventi sentinella quali ad esempio: indici infortunisticiassenze per malattia; turnover; procedimenti e sanzioni; segnalazioni del medico competente; specifiche e frequenti lamentale formalizzate da parte dei lavoratori. I predetti eventi sono da valutarsi anche sulla base di parametri omogenei individuati internamente alla azienda (es. andamento nel tempo degli indici infortunistici rilevati in azienda).
2.   Fattori di contenuto del lavoro quali ad esempio: ambiente di lavoro e attrezzature; carichi e ritmi di lavoro; orario di lavoro e turni; corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti.
3.   Fattori di contesto del lavoro quali ad esempio: ruolo nell’ambito dell’organizzazione, autonomia decisionale e controllo; conflitti interpersonali al lavoro; evoluzione e sviluppo di carriera; comunicazione (es. incertezza in ordine alle prestazioni richieste). In questa prima fase possono essere utilizzate liste di controllo applicabili anche dai soggetti aziendali della prevenzione che consentano una valutazione oggettiva, complessiva e, quando possibile, parametrica dei fattori dei punti che precedono.   In relazione alla valutazione dei fattori di contesto e di contenuto di cui sopra (punti 2 e 3 dell’elenco) occorre sentire i lavoratori e/o i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS/RLST).
Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile sentire un campione rappresentativo di lavoratori. La scelta delle modalità tramite cui sentire i lavoratori è rimessa al datore di lavoro anche in relazione alla metodologia di valutazione adottata.Ove dalla valutazione preliminare non emergano elementi di rischio da stress lavoro correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, il datore di lavoro sarà unicamente tenuto a darne conto nel Documento di Valutazione del Rischio (DVR) e a prevedere un piano di monitoraggio. Diversamente, nel caso in cui si rilevino elementi di rischio da stress lavoro correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive,  si procede alla pianificazione ed alla adozione degli opportuni interventi correttivi (ad esempio, interventi organizzativi, tecnici, procedurali, comunicativi, formativi, etc). Ove gli interventi correttivi risultino inefficaci, si procede, nei tempi che la stessa impresa definisce nella pianificazione degli interventi, alla fase di valutazione successiva (c.d. valutazione approfondita).
B) Valutazione approfondita (eventuale): analisi condizioni soggettive
La valutazione approfondita prevede la valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori, ad esempio attraverso differenti strumenti quali questionari, focus group, interviste semistrutturate, sulle famiglie di fattori/indicatori di cui all’elenco sopra riportato. Tale fase fa riferimento ovviamente ai gruppi omogenei di lavoratori rispetto ai quali sono state rilevate le problematiche.  Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile che tale fase di indagine venga realizzata tramite un campione rappresentativo di lavoratori. Nelle imprese che occupano fino a 5 lavoratori in luogo dei predetti strumenti di valutazione approfondita, il datore di lavoro può scegliere di utilizzare modalità di valutazione (es. riunione) che garantiscano il coinvolgimento dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica della loro efficacia.


[1] Art. 28. Oggetto della valutazione dei rischi 1….1-bis. La valutazione dello stress lavoro-correlato di cui al comma 1 è effettuata nel rispetto delle indicazioni di cuiall’articolo 6, comma 8, lettera m-quater), e il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data dal 1° agosto 2010.
[2] art. 6 comma 8 m-quater): .. elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro correlato.
[3] La Commissione ha costituito un proprio comitato a composizione tripartita il quale, a seguito di ampio confronto tra i propri componenti, ha elaborato un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro pubblici e privati, licenziato dalla Commissione consultiva nella propria riunione del 17 novembre 2010.

 

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Sicurezza sul lavoro – Coordinatore della sicurezza nei cantieri

Obbligo di nomina anche per cantieri privati
a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 7 ottobre scorso, nel procedimento C-224/09 ha dichiarato illegittima l’esenzione dall’obbligo di nomina dei coordinatori in materia di sicurezza nel caso di un cantiere di lavori privati, non soggetti a permesso di costruire e nel quale siano presenti più imprese.

Con tale sentenza la Corte di Lussemburgo ha censurato l’art. 90, comma 1, del D.lgs. 81/09 in quanto tale disposizione, nel recepire la norma europea, aveva fatto un’eccezione proprio sul coordinatore della sicurezza, escludendo dall’obbligo di nomina i cantieri privati in cui è possibile avviare i lavori con una semplice dichiarazione di inizio attività (Dia).
Secondo i giudici europei l’esonero introdotto dal legislatore interno è in netto contrasto con la direttiva, che non opera  alcuna distinzione tra cantieri pubblici e privati e stabilisce in modo inequivocabile l’esigenza di individuare la figura del coordinatore nei cantieri in cui ci sono più imprese.
Tale obbligo deve essere rispettato a prescindere anche  dal grado di rischio che comportano i lavori effettuati e la designazione deve avvenire all’atto della progettazione dell’opera o comunque prima dell’ esecuzione dei lavori.
Infine la Corte Ue ricorda che la direttiva non crea obblighi nei confronti del singolo cittadino o imprenditore a cui non può essere contestato il mancato rispetto di adempimenti non previsti dalla legge interna.
 

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Sicurezza sul lavoro – Identificazione degli addetti nei cantieri

Integrazioni alla tessera di riconoscimento

 
 

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


La legge del 13 agosto 2010 n. 136 sul “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo  in materia di normativa antimafia“ (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  del 23 agosto 2010 n. 196), ha modificato gli articoli 18 e 21 del D.Lgs 81/08 (cd. Testo Unico sulla sicurezza) prevedendo che la tessera di riconoscimento venga integrata con nuove informazioni.

In particolare, per quanto riguarda l’identificazione degli addetti nei cantieri, l’articolo 5 della legge 136/10 prevede che, nello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, il lavoratore dovrà essere munito di una tessera di riconoscimento che, oltre ad essere corredata  di fotografia, con l’indicazione delle generalità del lavoratore e del nome del datore di lavoro (come richiedeva  l’art. 18 comma 1 lett. u) del Testo Unico), contenga anche la data di assunzione e, nel caso di subappalto, la relativa autorizzazione.
Il medesimo articolo prevede che anche la tessera di riconoscimento di cui devono essere dotati i lavoratori autonomi,  ferme restando le indicazioni relative alle generalità degli stessi  e all’apposizione di fotografia (art. 21 comma 1  lett.c), debba essere integrata con l’indicazione del committente dei lavori. Resta inalterato il regime sanzionatorio disciplinante la violazione delle disposizioni sopra richiamate.
Nello specifico, l’articolo 55 comma 5  lett. i) del D.Lgs 81/08  prevede, nei confronti del datore di lavoro, la sanzione  amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ciascun lavoratore non munito di tessera di riconoscimento, mentre l’art. 60 comma 1 lett. b) del medesimo provvedimento dispone per il lavoratore autonomo sprovvisto di tessera una sanzione  amministrativa pecuniaria da 50 a 300 euro.

 
 

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