Aria: reato ambientale e danno
nota a Corte di Cassazione Sentenza 28 dicembre 2011, n. 48474
a cura di avv. Cinzia Silvestri
L’art. 279 Dlgs. 152/2006 chiude la parte V relative alle emissioni in atmosfera indicando le sanzioni.
L’articolo è stato riformato dal Dlgs. 128/2010 che ha modificato i primi 4 commi.
L’articolo inoltre in virtù del combinato disposto dei commi 2 e 5 è interessato anche dalla responsabilità amministrativa della società ex Dlgs. 231/2001 art. 25-undecies (cfr. articolo pubblicato su questo sito).
Ebbene.
Recente sentenza della cassazione ha precisato con riferimento all’art. 279 comma 1
1) la natura formale del reato
2) la continuità rispetto alla normativa DPR 203/88
Il legislatore anticipa l’intervento punitivo. Non occorre il danno all’ambiente ma è bastevole il pericolo della lesione.
l reato integra il cosidetto reato formale di pericolo perché mira a realizzare a scopo di prevenzione un controllo anticipato da parte dell’autorità”.
Questa tesi per certi versi collide con il principio di offensività.
Ebbene la sentenza in commento si pone sul solco di questa giurisprudenza.
LA SENTENZA
Il legale rappresentante di una Ditta esercente l’attivita di stampaggio di materie plastiche veniva condannato dal Tribunale ex art. 279 Dlgs. 152/2006 perché gestiva un impianto che generava emissioni in atmosfera senza autorizzazione” (reato commesso il 18 giugno 2006) e lo condannava alla pena di € 200,00 di ammenda assolvendolo invece da altre residue imputazioni.
Il reato dunque veniva commesso sotto la vigenza del Dlgs. 152/2006 (vigente da aprile 2006).
L’imputato impugnava precisando che la norma violata
1) implica la lesione o messa in pericolo derivante dalla presenza nelle sostanze emesse di caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo;
2) l’attivita istruttoria non aveva consentito di provare la natura inquinante delle emissioni e il conseguente pericolo per la salute umana e per l’ambiente circostante.
3) oggetto dell’attività era lo stampaggio di materie plastiche la cui lavorazione determinava delle emissioni asseritamente moleste ma non accertate nella realtà
La Corte decide il ricorso come infondato.
La Corte precisa che il Tribunale aveva correttamente affermato che la responsabilità penale dell’imputato sussisteva per il fatto che
1) l’impianto produttivo rientrava tra quelli potenzialmente produttivi di emissioni inquinanti,
2) l’impianto produceva in concreto odori molesti constatati dagli Ispettori dell’Arpam cui si erano rivolti con diverse segnalazioni i residenti della zona.
3) la presenza di emissioni diffuse maleodoranti in assenza delle doverose precauzioni e gli accorgimenti da parte del titolare dell’impianto atti ad impedire il verificarsi del fenomeno.
La responsabilità può essere esclusa laddove sia fornita prova che l’impianto presenta una mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti.
CONTINUITA’ TRA DPR 203/88 E ART. 279 DLGS. 152/2006
Il reato previsto dall’articolo 279 del Dlgs 152/06, afferma la cassazione si pone in rapporto di continuità normativa con la precedente disciplina di cui al Dpr 203/88 — così Cass. Sez. III 14 aprile 2010 n. 18774, Migali, Rv. 247173).
PROVA E REATO FORMALE di pericolo
Il Tribunale ha ritenuto, sulla base di una prova specifica attestante la presenza di emissioni inquinanti , che l’assenza di autorizzazione integrasse l’elemento costitutivo del reato: questo, oltretutto si configura come reato non di danno ma formale, mirando la norma a garantire il controllo preventivo da parte della P.a. sul piano della funzionalità e della potenzialità inquinante di un impianto industriale (Cass. Sez. III 28 giugno 2007 n.35232, Fongaro, Rv. 237383).
il reato de quo è configurabile indipendentemente dalla circostanza che le emissioni superino i valori limite stabiliti, dovendosi fare invece riferimento alla presenza di emissioni comunque moleste ed inquinanti ex se connaturate quindi alla natura formale del reato (v. Cass. n. 352321/07 cit.).
Avvalimento e iscrizione Albo gestori ambientali
Avvalimento e Iscrizione Albo gestori ambientali – Sentenza Tar Lazio del 22.12.2011
Il requisito della iscrizione all Albo NGA, avendo natura prevalentemente soggettiva, non può essere oggetto di avvalimento.
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Il TAR di Roma ha emesso importante sentenza sulla possibilità di ricorrere all’istituto dell’avvalimento per l’attestazione del possesso del requisito dell’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori in materia ambientale, al fine di poter legittimamente partecipare alle gare pubbliche.
Conclude il TAR per l’accoglimento del ricorso incidentale e afferma che la società ricorrente “non essendo personalmente in possesso del requisito di iscrizione all’Albo Nazionale dei gestori in materia ambientale di cui all’art. 212 del D.lgs n. 152 del 2006, avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara di che trattasi”.
La sentenza pone rilevante principio.
Esclude la possibilità di far ricorso all’istituto dell’avvalimento per la dimostrazione del possesso del requisito dell’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, con la conseguenza che la società che partecipa alla gara pubblica deve essere personalmente in possesso del requisito in questione richiesto nei documenti di gara a pena di esclusione.
Pertanto, alla luce delle sopra esposte considerazioni, il TAR esclude la possibilità di far ricorso all’avvalimento per dimostrare il possesso del requisito dell’iscrizione all’Albo, evidenziando proprio l’incompatibilità tra l’istituto in questione ed il requisito: “Ora, sebbene l’avvalimento risponda all’esigenza di assicurare una maggiore concorrenza nel mercato, le caratteristiche (sopra descritte dell’istituto) non sono conciliabili con interessi di primario rilievo come la tutela dell’ambiente che, nel caso di specie, il legislatore nazionale ha inteso garantire prevedendo, per i soggetti che gestiscono rifiuti (anche pericolosi, come l’amianto), l’obbligo di iscrizione all’Albo Nazionale dei gestori in materia ambientale”.
Il TAR precisa con chiarezza alcuni fondamenti:
“È noto, invero, che, per partecipare ad una procedura selettiva per l’affidamento di un appalto pubblico, è necessario il possesso di determinati requisiti richiesti dal bando che, in via generale, si distinguono in
a) “soggettivi” che attengono alla situazione personale del soggetto, alla sua affidabilità morale e professionale, non sono suscettibili di alcuna forma di sostituzione, né per essi è possibile ricorrere all’avvalimento
b) “oggettivi” che fanno invece riferimento alle caratteristiche dell’operatore economico considerato sotto il profilo dell’attività espletata e della sua organizzazione. A quest’ultima categoria appartengono i requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale che, di regola, possono essere oggetto di avvalimento da parte dell’impresa che ne è sprovvista, proprio perché si tratta di acquisire la disponibilità di risorse e mezzi e non di situazioni meramente soggettive.
“L’art. 49, comma 1, del D.lgs n. 163 del 2006 fa altresì espresso riferimento alle attestazioni SOA che, invero, costituiscono un attestato obbligatorio che comprova la capacità economica e tecnica di un’impresa di qualificarsi per l’esecuzione di appalti pubblici di lavori di importo maggiore a euro 150.000,00, e conferma inoltre che il soggetto certificato è in possesso dei requisiti necessari per contrattare con i soggetti pubblici”.
FINALITA’ DELL’AVVALIMENTO
L’istituto dell’avvalimento è da ritenersi finalizzato a soddisfare quei requisiti strettamente connessi alla prova della capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale, nel senso che l’impresa ausiliata può far fronte alle proprie carenze (in termini di solidità economica-finanziaria e di struttura organizzativa composta, in particolare, da esperienza e da risorse umane e strumentali) avvalendosi e quindi utilizzando, quando necessario per l’espletamento dell’appalto, i requisiti posseduti dall’impresa ausiliaria.
REQUISITI DI INCERTA NATURA
Esistono requisiti di natura incerta in cui non è semplice stablire la natura soggettiva od oggettiva come ad esempio il requisito della
a) Iscrizione all’albo ex art. 212 del D.lgs n. 152 del 2006
b) Certificazione di qualità
EBBENE il possesso del requisito dell’iscrizione all’Albo Nazionale dei gestori in materia ambientale è previsto obbligatoriamente dalla normativa nazionale (art. 212 del D.lgs n. 152 del 2006) e dalla lex specialis di gara e presuppone comunque una specifica organizzazione aziendale, necessaria per assicurare il corretto espletamento di attività delicate e/o pericolose e caratterizzate dall’impiego di attrezzature particolari e di competenze specifiche. Ciò concretizza una soggettività dell’iscrizione che non è equiparabile ad un requisito da poter prestare se disgiunto dall’organizzazione che l’ha conseguita.
A ciò si aggiunga che il requisito dell’iscrizione all’albo di che trattasi costituisce un requisito che si pone a monte dell’attività di gestione dei rifiuti in quanto costituisce titolo autorizzatorio al suo esercizio, previsto in via obbligatoria dalla legge.
L’art. 212, comma 5, del D.lgs n. 152 del 2006 prevede, invero, che “l’iscrizione all’Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto…”, dal che deriva che la normativa nazionale, proprio per la delicatezza e rilevanza delle funzioni svolte da tali soggetti (dal punto di vista ambientale ed igienico-sanitario), ritiene necessario che questi siano in possesso di caratteristiche aziendali ed organizzative tali da connotarli a livello soggettivo e da non consentire lo svolgimento delle attività da parte di soggetti terzi che ne siano privi. …
Ciò significa che la possibilità di avvalersi della struttura aziendale dell’impresa ausiliaria non soddisfa i requisiti previsti dalla normativa nazionale a tutela del bene ambientale proprio perché non può essere rimessa alla libera scelta dell’impresa ausiliata l’individuazione delle modalità (e della “quantità”) di utilizzo delle risorse della struttura aziendale ausiliaria che è in possesso dell’autorizzazione a svolgere l’attività di che trattasi.
Ciò che si vuole dire è che l’avvalimento, a differenza dell’istituto del raggruppamento temporaneo di impresa (RTI), serve all’impresa ausiliata per colmare – come detto – la mancanza dei requisiti oggettivi per la partecipazione alla gara ma ciò non significa che il “prestito” operato dalla società ausiliaria si traduca poi nell’utilizzo effettivo di quelle risorse nella fase esecutiva della prestazione nel senso che è rimessa poi alla scelta organizzativa dell’impresa ausiliata se e come avvalersi, durante l’esecuzione, di quanto messo a disposizione dalla ditta ausiliaria.
Nel caso dei raggruppamenti temporanei di imprese, invece, tale forma di collaborazione tra imprese distinte deve trovare una chiara corrispondenza sia nella fase di selezione pubblica che in quella esecutiva della prestazione, come prevede l’art. 37 del D.lgs n. 163 del 2006 laddove dispone che “i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento” (comma 11), a riprova del fatto che ogni impresa del raggruppamento si impegna, già in sede di gara, ad eseguire una parte del servizio corrispondente alle qualificazioni possedute e dimostrate durante la fase pubblica di selezione.
Nel caso dell’avvalimento, come detto, l’impresa ausiliaria non si obbliga a svolgere una parte del servizio oggetto della gara, ma si limita a mettere a disposizione i propri requisiti economici e tecnici che l’impresa ausiliata potrà, se del caso, utilizzare durante la fase esecutiva.
Ora, sebbene l’avvalimento risponda all’esigenza di assicurare una maggiore concorrenza nel mercato, le caratteristiche (sopra descritte) dell’istituto non sono conciliabili con interessi di primario rilievo come la tutela dell’ambiente che, nel caso di specie, il legislatore nazionale ha inteso garantire prevedendo, per i soggetti che gestiscono rifiuti (anche pericolosi, come l’amianto), l’obbligo di iscrizione all’Albo Nazionale dei gestori in materia ambientale.
Del resto, lo stesso art. 50, comma 4, del D.lgs n. 163 del 2006, nel prevedere che l’istituto dell’avvalimento si applica anche ai “sistemi legali vigenti di attestazione o di qualificazione nei servizi e forniture”, impone una valutazione di compatibilità rispetto alle disposizioni del medesimo articolo (cfr, TAR Puglia, sez. I, 3 giugno 2009, n. 1379) che, alla luce di quanto sopra esposto, il Collegio non ritiene sussistente, a prescindere dalla maggiore o minore ampiezza dei requisiti messi a disposizione dall’impresa ausiliaria a favore di quella ausiliata. …”
Tar Lazio 22.12.2011
Chi risponde del reato ambientale?
Cassazione pen. 1169/2011 – art. 256 comma 1 lett. a) Dlgs. 152/2006
Principio di corresponsabilità
A cura di avvocato Cinzia Silvestri
Il Tribunale di Lucera (Apricena) condannava il responsabile e socio accomandatario di una s.a.s., nella sua qualità, per il reato di cui all’art. 256 comma 1 lett. a) del Dlgs. 152/2006 in quanto“effettuava raccolta, smaltimento stoccaggio di rifiuti speciali non pericolosi misti provenienti da attività di rifacimento del manto stradale, contenenti scarti di cemento, bitume catramato e terriccio … in mancanza della prescritta autorizzazione….”.
Si badi che l’effettiva attività veniva compiuta da suo dipendente.
Il Tribunale invero attribuiva la responsabilità al socio accomandatario in quanto “l’attività medesima era riconducibile al prevenuto e non risultando provato che nell’ambito aziendale vi fosse stata una delega ad altri soggetti….”
Il Socio accomandatario impugnava la sentenza del Tribunale in quanto la condanna risulta fondata solo “sulla sua qualità di amministratore della s.a.s. non potendo essergli rimproverato alcun comportamento riconducibile all’illecito”.
La sentenza della Cassazione ha confermato la responsabilità del socio accomandatario richiamando il principio di corresponsabilita’ o responsabilità condivisa; principio già presente nel Dlgs. 22/97 agli articoli art. 2 e 10 poi trasfuso negli articoli 178 comma 3 e 188 Dlgs. 152/2006 ed oggi presente, secondo tale sentenza, negli articoli 178 comma 1 e 188 comma 1 Dlgs. 152/2006 come riformato dal Dlgs. 205/2010).
Il principio di corresponsabilità ha carattere estensivo della responsabilità; e ciò nel senso che estende la punibilità anche a soggetti che pur non avendo commesso o contribuito a commettere il fatto restano legati all’illecito.
L’esigenza di questa estensione risiede nella particolare delicatezza del sistema ambiente e nella necessità di attuare una catena di controlli pressante tra i vari soggetti uniti dalla filiera.
Il principio di corresponsabilità si è ben espresso, ed è stato accettato anche nella sua applicazione, che sconfina nella responsabilità oggettiva, proprio nel viaggio del rifiuto e nel sistema cartaceo che individua la filiera di soggetti (produttore, trasportatore, destinatario).
La Cassazione però non precisa che tale sistema confligge con il principio della responsabilità personale; principio dogma del sistema penale.
Nessuno può essere punito se non abbia operato con colpevolezza (dolo/colpa).
Non si può attribuire una responsabilità tanto più penale in forza solo di una qualifica ricoperta, mansione o altro laddove non esista e non sia provata una precisa responsabilità del soggetto agente.
Per lungo tempo la giurisprudenza penale ha rifiutato l’applicazione del principio di corresponsabilità alle fattispecie penali in quanto sconfinava nella responsabilità oggettiva.
Attribuire una responsabilità solo in quanto collegato dalla filiera/viaggio/rifiuto configura una oggettiva responsabilità invisa al sistema penale della responsabilità personale e colpevole.
Ebbene, la sentenza in commento sembra recuperare quel filone giurisprudenziale che invece riteneva possibile tale applicazione.
Appare tuttavia un po’ frettolosa la conclusione che anche il TUA ambientale – riformato dal Dlgs. 205/2010 che ha completamente riformulato sia l’art. 178 che l’art. 188 –ribadisca per esteso tale corresponsabilità.
Vero è che la Cassazione, pur richiamando il principio di corresponsabilità, cita poi sentenze e ne richiama il contenuto, che imputano responsabilità non certo in via oggettiva ma in quanto riconoscono esistere un comportamento omissivo per violazione dei doveri di diligenza (Cass. pen. 47432/2003); omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta di abbandono (Cass. pen. 2473/2007).
Conclude dunque la Cassazione che il socio accomandatario è responsabile in quanto “ non risultando …. avesse delegato ad altri ogni responsabilità in relazione allo svolgimento di quell’attività non avesse adottato tutte le misure necessarie per evitare l’illecito di cui alla contestazione …”.
A dire il vero la conclusione di responsabilità della Corte sembra ben lontana dalla applicazione del principio di corresponsabilità ed anzi si allinea, nel concreto, alla necessaria valutazione di responsabilità sotto il profilo soggettivo ed in relazione al caso in esame.
La sentenza dunque desta qualche perplessità e qualche ragionevole dubbio nel suo percorso logico ….
Formulario: bisogna indicare anche l’orario
(Cassazione civile n. 21260 del 5.10.2009)
La sentenza si distingue per la rilevanza pratica ed operativa delle sue statuizioni; statuizioni riferite ancora al D.Lgs. n. 22/97 (art. 15 e 52 comma 3) ma ad oggi ancora attuali sotto la vigenza del D.Lgs. 152/2006 ss.m..
Ed invero l’art. 193 comma 1 del D.Lgs. n. 152/2006 (ex art. 15 D.Lgs. n. 22/97) ha ribadito che “i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti dati…”.
Rispetto alla dizione di cui all’art. 15 pregresso la parola “almeno” indica che l’elenco di cui alle lettere a) b) c) d) e) costituisce requisito di base e meramente indicativo del contenuto del FIR.L’art. 193 comma 6 lett. a) richiama espressamente proprio il DM 1.4.1998 n. 145 applicabile “sino alla emanazione del decreto del Ministero…”.
Ebbene la sentenza precisa alcuni punti:
1) Formulario: bisogna indicare anche l’orario
La Corte afferma che il DM n. 145/98 ha natura integrativa del precetto contenuto nell’art. 15 DLgs. n. 22/97 (articolo che conteneva l’espressione “in particolare”) .Motiva la Corte che l’art. 1[1] della legge n. 689/81 pone per le sanzioni amministrative una riserva di legge che impedisce che le sanzioni possano essere comminate da disposizioni contenute da fonti normative subordinate. Tuttavia qualora il precetto imposto dalla legge sia sufficientemente individuato (come nel caso dell’art. 15 e odierno art. 193) può essere utilmente integrato da fonte regolamentare delegata proprio in ragione della tecnicità della richiesta. Ne consegue che poiché il DM 145/98 (ancor oggi applicabile) prescrive al punto 10 la indicazione dell’orario, l’ eventuale omissione integra la violazione dell’art. 52 comma 3 D.lgs. 22/97 (oggi art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 ss.m.).
2) Formulario: risponde anche il produttore
La Corte precisa inoltre che nel caso di formulario completo o inesatto risponde della sanzione di cui all’art. 52 comma 3 (oggi art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 ss.m.) anche il produttore (detentore). La norma sanziona infatti la condotta di “chiunque effettua il trasporto senza formulario” ovvero “ indica nel formulario stesso dati completi o inesatti”. Tale dizione coinvolge nella filiera delle responsabilità il produttore tenuto alla compilazione stessa del FIR ed il trasportatore.La Corte non affronta il problema della corresponsabilità dei soggetti tenuti alla firma del FIR. Ed invero si consideri che il FIR viene compilato proprio dal produttore (detentore) e che il trasportatore è tenuto a dovere di controllo della regolarità dello stesso a pena di corresponsabilità.
Unitarietà ciclo produttivo
La unitarietà del ciclo produttivo è soddisfatta anche dalla presenza del solo requisito della “utilizzazione preventivamente individuata” al fine di individuare il sottoprodotto. La Corte di cassazione penale del 29.7.2008 n. 31462 applica la nuova definizione di sottoprodotto ex D.Lgs. n. 4/08.
La sentenza è stata commentata dall’avv. Cinzia Silvestri sulla Rivista Ambiente&Sicurezza del sole24ore n. 21/08 pag. 75.