Appalti: avvalimento ed iscrizione Albo gestori Ambientali

Avvalimento e iscrizione all’albo gestori Ambientali
CDS sez. V 30.4.2015 n. 2191
segnalazione a cura Studio Legale Ambiente


Il Consiglio di Stato conferma l’esclusione dalla possibilità di usufruire dell’avvalimento con riferimento alla iscrizione all’albo Gestori ambientali di cui cui all’art. 212 Dlgs. 152/2006.
Il Consiglio di Stato precisa nella sentenza che tale principio è applicabile anche alle fattispecie e ai bandi precedenti alla entrata in vigore dell’art. 49 comma 1bis Dlgs. 163/2006 (11.9.2014) in quanto tale modifica legislativa, che appunto esclude dalla normativa sull’avvalimento le società che non godono dei requisiti soggettivi di cui all’art. 212 citato, è frutto del mero consolidamento di quanto già espresso dalla giurisprudenza e dall’AVLP.
leggi sentenza CDS n. 2191/2015  Cds avvalimento

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Circolari e DURC – CdS n. 2413/2013

Circolari e DURC – Consiglio di Stato Ordinanza 2413/2013
 A cura di avv. Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente


La ordinanza sottolinea le valutazioni di illegittimità che spesso accompagnano le “Circolari” delle P.A..

Circolari che dilagano imperative e troppo spesso con contenuti illegittimi difficili da estirpare.
Il Consiglio di Stato si esprime sul DURC affermando che non esiste legge primaria che imponga un DURC per ogni gara. Le molteplici circolari che hanno imposto, invece, il DURC per ogni gara sono palesemente illegittime.


 Il Consiglio di Stato, nel decidere la questione di appello cautelare con ordinanza, si esprime con riferimento alla efficacia probatoria del DURC:
“..considerato , quanto alla contestata efficacia probatoria di tale documentazione, che non vi sono norme primarie che prescrivano che il DURC per la partecipazione alle gare di appalto debba riferirsi alla specifica gara di appalto, mentre disposizioni contenute in circolari (come, ad esempio, nella circolare INAIL 5 febbraio 2008, n. 7; ma si veda anche la circolare del Ministero del lavoro 8 ottobre 2010, n. 35, e la circolare INPS 17 novembre 2010, n. 145), invocate dall’appellante, non appaiono rilevanti, non potendo essere considerate rilevanti le circolari che risultino contra legem (cfr., sul punto, Cons. St., sez. VI, 18.12.2012, n. 6487);


 
Leggi anche articolo su questo sito “Affidamento ai pareri della PA”.

 

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Servizio Idrico: tariffa/restituzioni

Tariffa e Servizio Idrico
A cura di Cinzia Silvestri-Studio Legale Ambiente
Il referendum abrogativo dell’ art. 154 comma 1 Dlgs. 152/20016 del luglio 2011 ha sancito che il costo della remunerazione del capitale al gestore non può essere imposta all’utente finale.
. Il Consiglio di Stato con parere n. 267 del 26.1.2013 si è’ espresso con riguardo alle dovute restituzioni agli utenti delle somme versate in eccedenza con riferimento al servizio idrico.
Con delibera n. 38 l’Autorita’ per L’ energia ha disposto le modalità di restituzione ovvero i criteri, destinati agli Enti, per le restituzioni.
Delibera Autorità’ Energia n. 38/2013 pubblicata 1.2.2013

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Energia: limiti alle Regioni

Energia: limiti alle Regioni – prevalenza del diritto Comunitario
Consiglio di Stato 10 settembre 2012 n. 4768
A cura di Cinzia Silvestri-Studio Legale Ambiente
L’ ” Impatto Ambientale delle energie alternative/rinnovabili” e’ il tema del convegno organizzato da Studio Legale Ambiente, che si terrà ad Ecomondo – Sabato, 10 novembre 2012 alle 9.00/13.00 a Rimini -Ecomondo – Key Energy.
Il Convegno tratterà anche il difficile rapporto tra la normativa Nazionale e Regionale e la prevalenza del diritto comunitario.
Buon esempio della prevalenza del diritto Comunitario e’ la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 4768/2012 che ha deciso su sentenza del TAR Basilicata di diniego di autorizzazione di impianto eolico.
LA SENTENZA
La Legge Regionale della Basilicata n. 9/2007 e’ in violazione “delle norme internazionali vigenti (protocollo di Kyoto) e comunitarie (articolo 3 direttiva n. 2001/77/Ce), le quali incentivano lo sviluppo delle suddette fonti di energia rinnovabile ed in particolare della direttiva 2001/77/Ce”.
LA LEGGE REGIONALE NON PUÒ FISSARE LIMITI DI PRODUZIONE
Cita la sentenza:” L’interpretazione ora riconosciuta alla normativa varata dalla Regione Basilicata porta innegabilmente alla chiusura del mercato della produzione di energia eolica e ciò, sebbene stabilito con un limite temporale, si manifesta lesivo di importanti e basilari principi caratterizzanti gli ordinamenti europeo ed italiano, in particolare la direttiva già richiamata 2001/77/Ce, secondo cui la produzione di energia anche da fonti rinnovabili avviene in regime di libero mercato concorrenziale senza la previsione di limiti alla produzione.
“…. I regimi di sostegno dei singoli Stati membri devono comunque promuovere efficacemente l’uso delle fonti energetiche rinnovabili – articolo 4 – ed ancor più, soprattutto, andranno ridotti “gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili” – articolo 6.
A fronte di tale quadro di riferimento generale, si deve escludere che il Legislatore nazionale, statale o regionale che sia, possa introdurre un limite massimo alla produzione di energia elettrica rinnovabile, poiché tale limite si dimostra in contrasto radicale con il favor della normativa europea, laddove questa fissa limiti minimi e rivede in generale riduzione degli ostacoli normativi all’aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili….
…Il Dlgs 29 dicembre 2003 n. 387, recante recepimento nell’ordinamento interno della direttiva in parola, ha poi confermato i propositi del legislatore comunitario ed ha previsto inoltre che le Regioni — articolo 10 — possano adottare “misure per promuovere l’aumento del consumo di elettricità da fonti rinnovabili nei rispettivi territori, aggiuntive rispetto a quelle nazionali”, quindi senza incentivare i criteri che potessero portare a stabilire tetti massimi di produzione.
È poi necessario il richiamo alla successiva direttiva 2009/28/Ce che ha sostituito la direttiva 2001/77/Ce, con cui si è tra l’altro precisato nelle premesse – punto 14 – che “la principale finalità di obiettivi nazionali obbligatori e creare certezza per gli investitori nonché stimolare lo sviluppo costante di tecnologie capaci di generare energia a partire da ogni tipo di fonte rinnovabile. Non è opportuno rinviare la decisione sul carattere obbligatorio di un obiettivo in attesa di eventi futuri”.
DISAPPLICAZIONE
….
In conclusione, in accoglimento dell’appello in esame, l’articolo 3 della legge regionale 26 aprile 2007 n. 9 della Regione Basilicata deve essere disapplicato laddove pone un limite massimo alla produzione di energia elettrica derivante da fonte eolica, in quanto contrastante con l’articolo 6 della direttiva 2001/77/Ce con il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati ..”
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AIA e VIA/biomasse e inceneritore

AIA, VIA e impianti di incenerimento
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 4 maggio – 17 ottobre 2012, n. 5299
A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente
Il Consiglio di Stato precisa i rapporti tra AIA e VIA e soprattutto indica la differenza spesso dimenticata tra impianto di incenerimento e coincenerimento.
La sentenza e’ articolata ma si selezionano alcuni passaggi importanti e significativi:
RAPPORTI TRA VIA e AIA
Spesso si dimentica la finalità delle due procedure previste dal Dlgs. 152/2006; procedure che dialogano tra loro ma mantengono autonomia.
Cita la sentenza: “….In ordine ai rapporti tra valutazione di impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale deve rilevarsi che mentre
-la prima si sostanzia in una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio – economica, tenuto conto anche delle alternativi possibili e dei riflessi sulla c.d. opzione zero (C.d.S., sez. V, 18 aprile 2012, n. 2234; 30 settembre 2009, n. 5893; sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246), investendo propriamente gli aspetti localizzativi e strutturali di un impianto (e più in generale dell’opera da realizzare),
-la seconda, introdotta nel nostro ordinamento in attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, è atto che sostituisce, con un unico titolo abilitativo, tutti i numerosi titoli che erano invece precedentemente necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante (assicurando così efficacia, efficienza, speditezza ed economicità all’azione amministrativa nel giusto contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco) e incide quindi sugli aspetti gestionali dell’impianto.
PROGETTO: ESATTA QUALIFICAZIONE
La questione discussa in sentenza trae origine dalla qualificazione dell’impianto come centrale di produzione elettrica da alimentare con fonti rinnovabili biomasse oppure impianto di incenerimento.
La sentenza precisa: “….Come si evince dal già menzionato Supplemento al Rapporto Istruttorio, la Società….. ha presentato in data 25 gennaio 2008, quale autorità proponente, la domanda di avvio del procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale relativa al progetto di “Ammodernamento tecnologico e interventi di riqualificazione ambientale ed energetica della centrale elettrica di Scarlino da alimentare con fonti rinnovabili (biomasse) e non convenzionali (CDR e CDR-Q)”.
E’ solo rispetto a tale progetto che è stato avviato il relativo procedimento (con relativa pubblicità) ed è rispetto ad esso che, come risulta sempre dal predetto Rapporto, il Comitato d’inchiesta pubblica ha evidenziato (punto 1 e punto 10) che il combustibile da utilizzare previsto nel progetto rendeva l’impianto diverso da quello già esistente, trasformandolo da centrale di energia elettrica in inceneritore: sul punto lo stesso soggetto proponente, già in sede di osservazioni alle valutazioni del Comitato di inchiesta pubblica, ha sostanzialmente ammesso tale situazione, affermando, come riportato testualmente nel Rapporto, che “…la qualifica giuridica dell’impianto (inceneritore/coinceneritore) è irrilevante ai fini della valutazione di impatto ambientale del progetto presentato e non si traduce automaticamente in una omessa valutazione preventiva del progetto derivante dall’impiego dei rifiuti come combustibili.
QUALIFICA IMPIANTO
Continua la sentenza:”…La qualificazione dell’impianto come inceneritore oppure come un coinceneritore rileva esclusivamente in fase di esercizio e, dunque, è una valutazione tipica dell’autorizzazione integrata ambientale, tanto che il D. Lgs. N. 133/2005 impone prescrizioni di esercizio diverse in relazione alle due tipologie di impianti”.
Giova aggiungere che il Rapporto in questione sul punto in esame conclude nel senso che “…considerato che dagli elementi resi disponibili non si evidenzia una prevalenza certa della “funzione principale” dell’impianto nella produzione di energia, si ritiene che detto impianto debba essere qualificato come impianto di incenerimento. La qualificazione è coerente con la documentazione progettuale presentata in sede di VIA che descrive un impianto per il trattamento termico dei rifiuti (CDR). Tale qualificazione fornisce, inoltre, maggiori garanzie di tutela per l’ambiente e per la salute”.
8.2. Sennonché proprio tali conclusioni confermano la correttezza della sentenza impugnata.
Infatti, anche ammesso che nel corso del procedimento il progetto originariamente presentato dalla società Scarlino Energia s.r.l. non sia stato minimamente modificato, non può nondimeno negarsi che esso concerneva (solo) l’ammodernamento tecnologico ed interventi di riqualificazione ambientale ed energetica della centrale elettrica esistente e non già la realizzazione di (o la sua trasformazione in) un inceneritore.
Né è decisiva, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, la circostanza che la centrale elettrica fosse alimentata con fonti rinnovabili (biomasse) e non convenzionali (CDR o CDR-Q) e che in particolare, essendo il CDR ed il CDR – Q un rifiuto, si fosse evidentemente in presenza di un inceneritore.
E’ sufficiente al riguardo rilevare che la materia dell’incenerimento dei rifiuti è oggetto di una speciale normativa (D. Lgs. 11 maggio 2005, n. 133 “Attuazione della direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti, di cui peraltro non vi è traccia di sicura e puntuale osservanza nella fattispecie in esame, non essendo sufficiente a tal fine meri generici riferimenti), dalla quale si evince che costituisce impianto di incenerimento (art. 2, lett. d), “qualsiasi unità o attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico dei rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione” e che costituisce impianto di coincenerimento (art. 2, lett. e) “qualsiasi impianto fisso o mobile, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia e di materiali che utilizzano rifiuti come combustibile normale o accessorio o in cui i rifiuti sono sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento. L’ultimo periodo della citata lett. e) dell’articolo 2 precisa che “Se il coincenerimento avviene in modo che la funzione principale dell’impianto non consista nella produzione di energia o di materiali, bensì nel trattamento termico dei rifiuti, l’impianto è considerato un impianto di incenerimento ai sensi della lettera d)”.
AMMINISTRAZIONE
Pertanto, l’amministrazione, appurata tale divergenza (che non è meramente formale e non rileva soltanto dal punto di vista terminologico), piuttosto che concludere il procedimento di V.I.A., imponendo prescrizioni ai fini del successivo rilascio dell’A.I.A., avrebbe dovuto invitare la società proponente il progetto a precisare e specificare effettivamente il progetto presentato, chiarendo se esso consisteva effettivamente in un ammodernamento di quello procedente oppure in una trasformazione di quello già esistente in inceneritore, ciò non solo ai fini della correttezza della fase di pubblicità, ma anche al fine di valutare la adeguatezza e la completezza del procedimento di V.I.A. (proprio in ragione della diversità dell’impianto).
Si rinvia alla sentenza

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Tariffa Rifiuti (TIA): obbligo di motivazione

Tariffa Rifiuti (TIA) : la PA deve motivare
Consiglio di Stato n. 539/2012
A cura di Cinzia Silvestri
L’“ampio potere discrezionale dell’ente locale …non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e non può pertanto essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento che, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono caratterizzare l’azione amministrativa….”
Il Comune deve motivare l’applicazione della tariffa ai massimi consentiti.
Leggi anche articolo “ il cittadino non e’ suddito”
Alcune associazioni di professionisti chiedevano al TAR di Toscana l’annullamento delle delibere del Comune di Prato relative al regolamento per la tariffa Rifiuti.
“.. i ricorrenti sostenevano l’illegittimità della istituzione della tariffa di igiene ambientale per le utenze non domestiche appartenenti alla categoria 11 (uffici, agenzie, studi professionali) nella misura più elevata possibile…… senza alcuna motivazione che giustificassero tale massima imposizione e senza dar minimamente conto dei criteri applicati nell’ambito dei valori minimi e massimi indicati nell’allegato al D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158; ciò senza contare che non solo alcun criterio omogeneo risultava seguito per le varie categorie di contribuenti (per alcune delle quali (nn. 1, 4, 13, 17, 18, 19, 20, 21) erano stati applicati i coefficienti minimi e per altre (n. 11) quelli massimi), per quanto la tariffa, secondo la previsione di cui all’articolo 4, terzo comma, del D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, doveva essere differenziata per zone, con riferimento alla destinazione a livello di pianificazione urbanistica e territoriale, alla densità abitativa, alla frequenza e qualità dei servizi da fornire.
LA Corte accoglie la doglianza.
Scrive la Corte:”…L’art. 49 del D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, nel prevedere l’istituzione della tariffa in questione, stabilisce al comma 4 che essa è composta da
una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e
da una quota rapportata
alle quantità di rifiuti,
al servizio fornito, e
all’entità dei costi di gestione,
in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
Il successivo comma 5 rimette al Ministro dell’ambiente …., l’elaborazione di un metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento…”
TARIFFA
La tariffa, prosegue la Corte:”…. deve essere articolata per fasce (comma 6) e costituisce la base per la determinazione della tariffa e per orientare e graduare nel tempo gli adeguamenti tariffari derivanti dall’applicazione dello stesso decreto legislativo (comma 7).
Il regolamento per l’elaborazione del metodo normalizzato per la definizione della tariffa di gestione del ciclo dei rifiuti urbani, approvato col già citato d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, dopo aver precisato all’articolo 2 che “la tariffa di riferimento rappresenta l’insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali” (comma 1) e ribadito all’articolo 3, comma 1, che “la tariffa è composta da
una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e
da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione”,
all’articolo 4 (“Articolazione della tariffa) prevede che la tariffa è articolata nelle fasce di utenza domestica e non domestica (comma 1), stabilendo che l’ente locale ripartisce tra le categorie di utenza domestica e non domestica l’insieme dei costi da coprire attraverso la tariffa secondo criteri razionali (assicurando l’agevolazione per l’utenza domestica di cui all’art. 49, comma 10, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) (comma 2) e aggiungendo che a livello territoriale la tariffa è articolata con riferimento alle caratteristiche delle diverse zone del territorio comunale ed in particolare alla loro destinazione a livello di pianificazione urbanistica e territoriale, alla densità abitativa, alla frequenza e alla qualità dei servizi da fornire, secondo modalità stabilite dal comune (comma 3).
Ai fini del calcolo della tariffa per le utenze domestiche, in particolare, l’articolo 6 stabilisce, al primo comma, che “Per le comunità, per le attività commerciali, industriali, professionali e per le attività produttive in genere, la parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa e determinato dal comune nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3. dell’allegato 1 al presente decreto”, e, al secondo comma, che “Per l’attribuzione della parte variabile della tariffa gli enti locali organizzano e strutturano sistemi di misurazione delle quantità di rifiuti effettivamente conferiti dalle singole utenze. Gli enti locali non ancora organizzati applicano un sistema presuntivo, prendendo a riferimento per singola tipologia di attività la produzione annua per mq. ritenuta congrua nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.4. dell’allegato 1.
4.3.2.2. Alla luce del delineato substrato normativo non può ragionevolmente dubitarsi della sussistenza del vizio di motivazione che, come eccepito dagli appellanti, inficia gli atti impugnati.
Invero, ancorché non possa dubitarsi della natura di atto generale del provvedimento istitutivo della tariffa e del relativo regolamento, non può tuttavia negarsi che esso, proprio in quanto costituisce applicazione concreta anche delle disposizioni contenute nel ricordato d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, ha un contenuto composito, in parte regolamentare ed in parte provvedimentale, con particolare riferimento a quella parte in cui stabilisce il costo del servizio e la determinazione della tariffa, le modalità di applicazione della tariffa, le agevolazioni e le riduzioni tariffarie, le modalità di riscossione della tariffa, i coefficienti per l’attribuzione della parte fissa e della parte variabile della tariffa.
La determinazione di tali peculiari elementi, che implica, come si ricava dalle richiamate disposizioni, l’individuazione dei costi da coprire, la loro ripartizione tra le categoria di utenza domestica e non domestica, la articolazione della tariffa stessa in ragione delle caratteristiche delle diverse zone del territorio comunali, secondo la loro destinazione urbanistica, è frutto di un ampio potere discrezionale dell’ente locale che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e non può pertanto essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento che, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono caratterizzare l’azione amministrativa.
Ma, anche a voler prescindere dalle considerazioni fin qui svolte, un decisivo argomento letterale a conforto della tesi dell’obbligo di motivazione di cui si discute è rintracciabile nelle disposizioni dell’articolo 6 del d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, che, disciplinando il calcolo della tariffa per le utenze non domestiche, facoltizza i comuni a determinare la parte fissa della tariffa “…nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3. dell’allegato 1 al decreto” (comma 1) e quella variabile prendendo a riferimento per singola tipologia di attività la produzione annua per metri quadrati “…ritenuta congrua nell’abito degli intervalli indicati al punto 4.4. dell’allegato 1” (comma 2): invero, proprio il potere di scelta nell’ambito di un intervallo, delimitato da un minimo ed un M., imponeva all’ente locale appellato l’obbligo di motivare le ragioni della scelta dei coefficienti massimi, non essendovi del resto alcun elemento (né essendo stato in alcun modo indicato) negli atti impugnati idoneo a rendere manifesto e comprensibile l’iter logico – giuridico seguito dall’amministrazione e dunque le ragioni della scelta.
È appena il caso di evidenziare che a tale vulnus non potrebbe porsi rimedio in occasione dell’emanazione dei singoli atti impositivi e della loro eventuale impugnazione, dal momento che essi, in quanto meramente applicativi, sfuggono essi stessi all’obbligo e particolareggiato obbligo di motivazione (essendo sufficiente per la loro legittimità il rinvio per relationem proprio all’atto istitutivo della tariffa ed al regolamento di applicazione, di contenuto, come si è visto, composito).
In tali sensi la censura di difetto di motivazione deve essere considerata fondata (ed assorbente anche rispetto alla dedotta carenza di istruttoria)

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Terre e rocce da scavo: Regolamento in arrivo?

Terre e rocce da scavo
Segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente
Il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole allo schema di regolamento su terre e rocce da scavo.
Il regolamento si pone in attuazione dell’ art 49 DL 1/2012 convertito con L. 27/2012.
Si rimanda ad articolo pubblicato su questo sito.
Parere su regolamento terre e rocce da scavo

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RESPONSABILITA' P.A. E DANNO

Comportamento scorretto della p.a. – TERMOVALORIZZATORE – Danno risarcibile – RESPONSABILITA’ DELLA PA – VIOLAZIONE DELLA BUONA FEDE – APPALTI – Consiglio di Stato 12.7.2011 n. 4196
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
 L’amministrazione espleta una gara di appalto per la costruzione di un termovalorizzatore e provvede anche alla aggiudicazione.
Dopo l’aggiudicazione però non vuole stipulare il contratto di appalto sostenendo la giuridica impossibilità di realizzare il medesimo termovalorizzatore e apponendo inoltre il vincolo archeologico sull’area interessata.
ED INVERO la P.A. dopo l’aggiudicazione ed in via istruttoria scopre sull’area un sito archeologico e dunque ritiene di non poter più dare avvio alla costruzione appaltata e revoca ogni provvedimento.
Il Consiglio di Stato a dire il vero rigetta tutte le doglianze dei ricorrenti rendendo legittima la decisione della amministrazione….. tuttavia riconosce la esistenza di un danno anche alla luce dei comportamenti tenuti da alcune amministrazioni .
Questa la novità.
 Il comportamento della P.A. si pone in violazione del canone di buona fede in senso oggettivo di cui all’art. 1337 c.c; la P.A. invero viola l’ obbligo di realizzazione degli adempimenti necessari a garantire la validità, l’efficacia o l’utilità del rapporto negoziale.
La responsabilità della P.A. anche in sede precontrattuale si configura nella correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c. .
La valutazione del comportamento di buona fede in sede precontrattuale prevale sull’interesse stesso alla stipula del contratto tant’è che la stipulazione del contratto e dunque il raggiungimento dell’obiettivo non esclude la valutazione del comportamento ex art. 1337 c.c.. (cfr. Cass. civ., 8 ottobre 2008, n. 24795; Sez. Un. civ., 19 dicembre 2007, n. 26724).
La mancata stipula del contratto può dipendere da vari fattori.
Si ritiene che la P.A. possa rispondere ex art. 1337 c.c. anche se l’omessa stipulazione del contratto dipenda da fattori non imputabili alla amministrazione .
Si pensi al caso in cui intervenga il radicale mutamento della vicenda sottesa in causa (il factum principis, Cons. Stato n. 1763/2006, cit.).
Si pensi al caso in cui la P.A. ponga in essere comportamento in violazione con l’ obbligo di realizzazione degli adempimenti necessari a garantire la validità, l’efficacia o l’utilità del rapporto negoziale (nonché, prima ancora, la sua stessa finalizzazione – Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2009, n. 5245; cfr. anche Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6).
Anche la Corte di cassazione evoca il significato oggettivo della buona fede che deve avere a tutela la reciprocità dell’affidamento delle parti contrattuali e che impone dunque a ciascuna delle parti il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile (Cass. civ., 10 novembre 2010, n. 22819).
QUANTIFICAZIONE DEL DANNO
Di particolare interesse la decisione in ordine alla quantificazione del danno.
Il Collegio invero richiama i parametri dell’interesse negativo ex art. 1337 c.c. ma ritiene applicabile tale criterio solo qualora il danno sia direttamente imputabile alla amministrazione e non derivi dunque da fattori successivi esterni e meritevoli di accogliemento (scoperta sito archeologico).
Ciò che importa è che il Consiglio di Stato  ha valutato comunque il comportamento della amministrazione e ha offerto un parametro per la liquidazione del danno.
 In particolare attingendo direttamento dalla sentenza:
1) art. 34 c.p.a. comma 4
“6.2.5. Ai fini della quantificazione del danno, il Collegio ritiene di fare applicazione della previsione di cui al comma 4 dell’art. 34, c.p.a., secondo cui in caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine”.
 
2)interesse negativo non liquidabile
“A tal fine si ritiene di non poter seguire in modo integrale in tradizionale orientamento secondo cui, in caso di condanna per responsabilità di carattere precontrattuale, il quantum risarcitorio deve essere parametrato per intero all’interesse negativo rappresentato dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative.”
 
3) danno emergente/occasioni perdute
Secondo l’orientamento giurisprudenziale allo stato prevalente, infatti, il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale da parte della pubblica Amministrazione a seguito della mancata stipula dal contratto, deve intendersi limitato:
a) al rimborso dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto (danno emergente), nonché
b) al ristoro della perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe stato realizzato con la stipulazione e l’esecuzione del contratto (in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, VI, 17 dicembre 2008, n. 6264; id., Sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2680; id., Sez. V, sent. 14 aprile 2008, n. 1667).
4) nesso diretto
Tuttavia, ad avviso del Collegio, il criterio in questione può essere integralmente e proficuamente utilizzato soltanto nelle ipotesi paradigmatiche in cui fra il comportamento scorretto dell’amministrazione e la mancata stipula del contratto intercorra un nesso di conseguenzialità diretta.
 5) temperamento
Al contrario, al medesimo criterio devono essere apportati dei temperamenti per le ipotesi in cui (come nel caso di specie) sussista, sì, un comportamento contrario a buona fede in senso soggettivo tenuto dall’amministrazione nel corso della fase precontrattuale, ma la mancata stipula del contratto non costituisca un effetto di tale comportamento, bensì l’effetto di fattori ulteriori autonomamente idonei, sotto il profilo causale, a determinare l’impossibilità di stipulare il contratto.
 
6) spese sostenute
In siffatte ipotesi, l’ammontare delle spese sostenute per la partecipazione alla gara può bensì essere assunta quale parametro per la determinazione del quantum risarcitorio, ma non quale posta risarcitoria in senso proprio, bensì quale criterio di computo idoneo a riempire di contenuto concreto una determinazione in via equitativa del danno risarcibile ai sensi dell’art. 1226, cod. civ.
7) congruità
Nel caso di specie, quindi, si ritiene congruo commisurare il quantum del risarcimento da corrispondere nella misura del quaranta per cento delle spese effettivamente sostenute ai fini della partecipazione alla gara (ivi comprese le spese di progettazione).
Non si ravvisano, invece, ragioni sistematiche o fattuali tali da indurre ad accogliere la domanda risarcitoria per ciò che attiene il preteso importo pari al 10 per cento del corrispettivo di gara.
Inoltre, non si ritiene di poter riconoscere il ristoro delle spese inutilmente sostenute nel corso delle trattative in vista del contratto non concluso, atteso che la società appellante non ha fornito alcun elemento di prova relativo ad ulteriori, possibili occasioni di stipulazione di contratti (altrettanto o maggiormente vantaggiosi rispetto a quello non concluso) i quali sarebbero stati impediti proprio dalle trattative indebitamente interrotte, in tal modo determinando l’obbligo di ristoro sotto il profilo del lucro cessante
Per quanto riguarda l’imputabilità soggettiva della condotta foriera di danno e la distribuzione del conseguente onere risarcitorio, si ritiene che la complessiva valutazione in ordine al comportamento delle amministrazioni appellate (e in ordine alla gravità dei relativi comportamenti) induca a distribuire il complessivo onere risarcitorio nella misura del 60 per cento a carico del Comune di Capannori e del 40 per cento a carico della Regione Toscana.
8) criteri:
in primo luogo, occorrerà determinare l’ammontare delle spese effettivamente sostenute per la partecipazione alla gara in questione (ivi comprese le somme per la predisposizione della documentazione di gara e del progetto, ove sussistenti e provate);
– le somme in tal modo determinate dovranno essere ridotte fino al quaranta per cento del loro ammontare complessivo;
– sul quantum risarcitorio in tal modo determinato, da intendersi quale debito di valore, dovranno essere computati gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria sino al giorno della pubblicazione della sentenza. Dovranno, inoltre, essere computati gli interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della decisione sino all’effettivo soddisfo.
 

adminRESPONSABILITA' P.A. E DANNO
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