Imputato assolto: spese legali rifuse?

Imputato assolto: spese legali rifuse?

Spese legali rifuse all’imputato assolto….

Legge Bilancio n. 178/2020 – vigente dal 1.1.2021

Riflessioni

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri – 3.1.2021


– Recita il comma 1015 della Legge Bilancio 178/2020:

“.. Nel processo penale, all’imputato assolto, con sentenza divenuta irrevocabile, perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, è riconosciuto il rimborso delle spese legali nel limite massimo di euro 10.500…”.

– Da quando si può beneficiare di tale beneficio?

Pare dire il comma 1022 che tale beneficio è usufruibile per tutti coloro che subiscano sentenza dopo il 1.1.2021 e dunque anche i processi pendenti:

“1022. Le disposizioni dei commi da 1015 a 1021 si applicano nei casi di sentenze di assoluzione divenuteirrevocabili successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.

– Esistono dei casi esclusi? Certo e sono elencati nel comma 1018:

“..Il rimborso di cui al comma 1015 non è riconosciuto nei seguenti casi:

  1. assoluzione da uno o più capi di imputazione condanna per altri reati; …. continua lettura articolo  spese processo penale
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Sicurezza: rischio occulto – risponde il datore di lavoro

Sicurezza: rischio occulto – risponde il datore di lavoro
Il datore di lavoro deve prevenire anche il rischio occulto – Cass. Pen., Sez. IV, n. 12257/2016
a cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri – Nadia Tosello


Il datore di lavoro ed il direttore generale di un’impresa agricola erano stati condannati in primo e secondo grado di giudizio per lesioni gravi, commesse in violazione di norme antinfortunistiche, occorse ad un dipendente mentre si avviava all’esecuzione di alcune operazioni di sgombero e di riordino all’interno di un casolare in disuso, in adempimento degli ordini impartitigli unicamente ad iniziativa del dirigente.
In particolare, il lavoratore, privo di adeguata…… continua lettura articolo rischio-occulto

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Conferenza servizi: termine

Conferenza servizi: termine
TAR Torino n. 1291/2012
Autorizzazione unica ex art. 12 Dlgs. 387/2003
A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente
Il TAR di Torino affronta questione non pacifica.
La sentenza presenta numerosi spunti di riflessione e precisa anche in merito ai tempi concessi dal legislatore per la adozione del provvedimento finale.
Il Caso deciso dal TAR prende origine dalla richiesta di una società alla Provincia di Alessandria di autorizzazione ex art. 12 D.lgs 387/03 all’installazione e all’esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili da 195 Kwe, alimentato con biocombustibili forestali e agricoli.
Il procedimento, nel corso del quale si è riunita per tre volte la conferenza dei servizi si è concluso con la determina del 25.11.11.
La determina della Provincia di Alessandria autorizzava l’impianto in questione, subordinando l’assenso:
A) all’espressione del parere definitivo della Soprintendenza per i Beni Archeologici e all’osservanza delle prescrizioni con esso impartite;
B) al rispetto delle indicazioni contenute nel parere favorevole del Comune di Carrosio,
C) all’osservanza di ulteriori prescrizioni tecniche dettagliate in appositi allegati.
La determina veniva impugnata in via principale con varie censure.
Una delle censure, oggetto di questo breve focus, riguarda la:
violazione dei termini massimi di svolgimento della conferenza dei servizi – previsti dall’art. 14 ter L. 241/90 e 14.11 dell’allegato 1 del D.M. 10.09.10 – essendo stati sospesi per tre volte i termini per la presentazione delle integrazioni richieste alle amministrazioni, nonostante le disposizioni citate consentano la richiesta di documentazione o di chiarimenti in un’unica soluzione.
La questione relativa alle lungaggini della conferenza di servizi e’ controversa e non pacifica.
La sentenza sembra un po’ forzare la lettera della norma al fine di giustificare l’azione amministrativa
ponendosi però nel solco di un orientamento già presente nella giurisprudenza e ad oggi non più unitariamente condiviso.
TERMINI
Il TAR disserta sulla doglianza relativa alla tardività e violazione dei termini.
Il TAR osserva invero che “…solo in sede di prima conferenza dei servizi sono state richieste integrazioni alle amministrazioni partecipanti, mentre nelle altre due conferenze i termini del procedimento sono stati sospesi per 60 giorni per consentire ulteriori integrazioni spontanee da parte delle amministrazioni, sulla base delle osservazioni emerse in sede collegiale…”
-Già questo rilievo desta perplessità perché sembra porre differenza tra le integrazioni spontanee e quelle imposte; quasi che le integrazioni spontanee non abbiano valore di sospensione.
Vero e’ che il TAR richiama proprio gli articoli di riferimento ( che sembrano deporre in senso contrario) ovvero “…Sul punto vengono in rilievo
-l’art. 14 ter comma 8, L. 241/90 ( “in sede di conferenza di servizi possono essere richiesti, per una sola volta, ai proponenti dell’istanza o ai progettisti chiarimenti o ulteriore documentazione. Se questi ultimi non sono forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni, si procede all’esame del provvedimento”), e
-l’art. 14.11 del D.M. 10.09.2010 (“nel rispetto del principio di non aggravamento del procedimento di cui all’articolo 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990, l’ulteriore documentazione o i chiarimenti ritenuti necessari per la valutazione dell’intervento sono richiesti, anche su impulso delle altre amministrazioni interessate, dall’Amministrazione procedente in un’unica soluzione ed entro 90 giorni dall’avvio del procedimento. Se il proponente non fornisce la documentazione integrativa entro i successivi 30 giorni, salvo proroga per un massimo di ulteriori 30 giorni concessa a fronte di comprovate esigenze tecniche, si procede all’esame del progetto sulla base degli elementi disponibili”).
TERMINE ACCELERATORIO
Il richiamo normativo però’ non risolve la questione nel senso voluto dal TAR che subito conclude: “….In mancanza delle indispensabili specificazioni da parte della norma in ordine agli effetti ed alle conseguenze dell’inerzia, il Collegio ritiene che si tratti di termini acceleratori, il cui superamento non priva l’ente procedente del potere di adottare il provvedimento finale, bensì abilita il soggetto richiedente a sollecitare, anche giudizialmente, la conclusione del procedimento.
Il TAR dunque torna a quell’orientamento che ritiene non essenziale e non perentorio il termine del procedimento per l’adozione del provvedimento finale in seno alla conferenza dei servizi.
Continua il TAR:
“Nello stesso senso è un precedente di questo Tribunale secondo il quale la norma che impone che le integrazioni documentali siano richieste in un’unica soluzione “non correla alcun effetto preclusivo all’eventuale reiterazione delle richieste medesime”.
PRINCIPIO DI NON AGGRAVAMENTO DEL PROCEDIMENTO
Di interesse il prosieguo del ragionamento del TAR che apre ad una interpretazione su cui riflettere.
Il TAR dopo avere asserito che la violazione del termine in se’ non comporta la illegittimità del provvedimento in quanto l’amministrazione può utilmente provvedere anche in un secondo momento precisa che semmai:
“… potendo l’illegittimità scaturire unicamente dalla violazione del principio di non aggravamento del procedimento che sottende la disposizione in parola, per cui la violazione va accertata non tanto in base alla formale presenza di due richieste di chiarimenti da parte dell’amministrazione, quanto accertando se ciò si sia tradotto in una protrazione ingiustificata della procedura” …
La illegittimità discende dalla protrazione ingiustificata della procedura.
Nulla di più discrezionale, dunque.
Il TAR procede a verificare se le ulteriori richieste di documentazione – che sono frutto delle molteplici conferenze di servizi – concretino la ingiustificata protrazione del procedimento e dunque l’ aggravio dello stesso.
Continua il TAR:
“…D’altra parte, l’art. 14 ter comma 8, L. 241/90 tanto prevede al chiaro fine di non aggravare il procedimento, nel rispetto del principio di cui all’art. 1, co. 2, della stessa legge ed in favore del soggetto proponente; nel caso di specie le due integrazioni (successive alla prima conferenza) sono state originate da specifiche richieste delle Amministrazioni coinvolte nel procedimento, a cui la Provincia ha corrisposto, in tal modo consentendo di approfondire l’esame del progetto e di migliorarne le caratteristiche tecniche….”
E’ palese che questa motivazione – che giustifica l’indiscriminato dilatarsi dei tempi per la conclusione del procedimento a discrezione della amministrazione – e’ facile pretesto, stante la genericità, per ogni amministrazione .
RIPENSAMENTO
Ed invero il TAR sembra accorgersi della debolezza dell’assunto e chiude il proprio ragionamento attribuendo invero ad altra motivazione la cesura della doglianza.
Conclude il TAR:
“…Resta da rilevare che, se la norma in esame è stata predisposta dal Legislatore nell’interesse del soggetto che ha presentato l’istanza oggetto di delibazione in seno alla conferenza di servizi – in quanto volta a consentire la rapida conclusione del procedimento e la più celere evasione dell’istanza medesima – legittimato a dolersi della sua violazione è unicamente il soggetto promotore del progetto, discendendone che la censura in tal modo spiegata dai ricorrenti, che rivestono il ruolo di parte controinteressata sostanziale, si configura inammissibile per carenza di legittimazione (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. I, 25 settembre 2009 n. 2292).
La doglianza sulla violazione del termine di conclusione del procedimento dunque non viene accolta solo perché è stata sollevata da soggetto non legittimato ….e non perché adottata nei termini.
Giova anche evidenziare che il TAR richiama la ratio della stessa conferenza dei servizi che stride con quanto precisato dalla stessa sentenza “…in quanto volta a consentire la rapida conclusione del procedimento e la più celere evasione dell’istanza medesima…”.
La dissertazione sul termine pare dunque inutile ed anzi foriera di interpretazioni che avvallano la lesione della rapida conclusione del procedimento, come ricordato dallo stesso TAR e come ribadito da altre sentenze.

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Tariffa Rifiuti (TIA): obbligo di motivazione

Tariffa Rifiuti (TIA) : la PA deve motivare
Consiglio di Stato n. 539/2012
A cura di Cinzia Silvestri
L’“ampio potere discrezionale dell’ente locale …non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e non può pertanto essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento che, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono caratterizzare l’azione amministrativa….”
Il Comune deve motivare l’applicazione della tariffa ai massimi consentiti.
Leggi anche articolo “ il cittadino non e’ suddito”
Alcune associazioni di professionisti chiedevano al TAR di Toscana l’annullamento delle delibere del Comune di Prato relative al regolamento per la tariffa Rifiuti.
“.. i ricorrenti sostenevano l’illegittimità della istituzione della tariffa di igiene ambientale per le utenze non domestiche appartenenti alla categoria 11 (uffici, agenzie, studi professionali) nella misura più elevata possibile…… senza alcuna motivazione che giustificassero tale massima imposizione e senza dar minimamente conto dei criteri applicati nell’ambito dei valori minimi e massimi indicati nell’allegato al D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158; ciò senza contare che non solo alcun criterio omogeneo risultava seguito per le varie categorie di contribuenti (per alcune delle quali (nn. 1, 4, 13, 17, 18, 19, 20, 21) erano stati applicati i coefficienti minimi e per altre (n. 11) quelli massimi), per quanto la tariffa, secondo la previsione di cui all’articolo 4, terzo comma, del D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, doveva essere differenziata per zone, con riferimento alla destinazione a livello di pianificazione urbanistica e territoriale, alla densità abitativa, alla frequenza e qualità dei servizi da fornire.
LA Corte accoglie la doglianza.
Scrive la Corte:”…L’art. 49 del D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, nel prevedere l’istituzione della tariffa in questione, stabilisce al comma 4 che essa è composta da
una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e
da una quota rapportata
alle quantità di rifiuti,
al servizio fornito, e
all’entità dei costi di gestione,
in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
Il successivo comma 5 rimette al Ministro dell’ambiente …., l’elaborazione di un metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento…”
TARIFFA
La tariffa, prosegue la Corte:”…. deve essere articolata per fasce (comma 6) e costituisce la base per la determinazione della tariffa e per orientare e graduare nel tempo gli adeguamenti tariffari derivanti dall’applicazione dello stesso decreto legislativo (comma 7).
Il regolamento per l’elaborazione del metodo normalizzato per la definizione della tariffa di gestione del ciclo dei rifiuti urbani, approvato col già citato d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, dopo aver precisato all’articolo 2 che “la tariffa di riferimento rappresenta l’insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali” (comma 1) e ribadito all’articolo 3, comma 1, che “la tariffa è composta da
una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e
da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione”,
all’articolo 4 (“Articolazione della tariffa) prevede che la tariffa è articolata nelle fasce di utenza domestica e non domestica (comma 1), stabilendo che l’ente locale ripartisce tra le categorie di utenza domestica e non domestica l’insieme dei costi da coprire attraverso la tariffa secondo criteri razionali (assicurando l’agevolazione per l’utenza domestica di cui all’art. 49, comma 10, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) (comma 2) e aggiungendo che a livello territoriale la tariffa è articolata con riferimento alle caratteristiche delle diverse zone del territorio comunale ed in particolare alla loro destinazione a livello di pianificazione urbanistica e territoriale, alla densità abitativa, alla frequenza e alla qualità dei servizi da fornire, secondo modalità stabilite dal comune (comma 3).
Ai fini del calcolo della tariffa per le utenze domestiche, in particolare, l’articolo 6 stabilisce, al primo comma, che “Per le comunità, per le attività commerciali, industriali, professionali e per le attività produttive in genere, la parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa e determinato dal comune nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3. dell’allegato 1 al presente decreto”, e, al secondo comma, che “Per l’attribuzione della parte variabile della tariffa gli enti locali organizzano e strutturano sistemi di misurazione delle quantità di rifiuti effettivamente conferiti dalle singole utenze. Gli enti locali non ancora organizzati applicano un sistema presuntivo, prendendo a riferimento per singola tipologia di attività la produzione annua per mq. ritenuta congrua nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.4. dell’allegato 1.
4.3.2.2. Alla luce del delineato substrato normativo non può ragionevolmente dubitarsi della sussistenza del vizio di motivazione che, come eccepito dagli appellanti, inficia gli atti impugnati.
Invero, ancorché non possa dubitarsi della natura di atto generale del provvedimento istitutivo della tariffa e del relativo regolamento, non può tuttavia negarsi che esso, proprio in quanto costituisce applicazione concreta anche delle disposizioni contenute nel ricordato d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, ha un contenuto composito, in parte regolamentare ed in parte provvedimentale, con particolare riferimento a quella parte in cui stabilisce il costo del servizio e la determinazione della tariffa, le modalità di applicazione della tariffa, le agevolazioni e le riduzioni tariffarie, le modalità di riscossione della tariffa, i coefficienti per l’attribuzione della parte fissa e della parte variabile della tariffa.
La determinazione di tali peculiari elementi, che implica, come si ricava dalle richiamate disposizioni, l’individuazione dei costi da coprire, la loro ripartizione tra le categoria di utenza domestica e non domestica, la articolazione della tariffa stessa in ragione delle caratteristiche delle diverse zone del territorio comunali, secondo la loro destinazione urbanistica, è frutto di un ampio potere discrezionale dell’ente locale che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e non può pertanto essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento che, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono caratterizzare l’azione amministrativa.
Ma, anche a voler prescindere dalle considerazioni fin qui svolte, un decisivo argomento letterale a conforto della tesi dell’obbligo di motivazione di cui si discute è rintracciabile nelle disposizioni dell’articolo 6 del d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, che, disciplinando il calcolo della tariffa per le utenze non domestiche, facoltizza i comuni a determinare la parte fissa della tariffa “…nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3. dell’allegato 1 al decreto” (comma 1) e quella variabile prendendo a riferimento per singola tipologia di attività la produzione annua per metri quadrati “…ritenuta congrua nell’abito degli intervalli indicati al punto 4.4. dell’allegato 1” (comma 2): invero, proprio il potere di scelta nell’ambito di un intervallo, delimitato da un minimo ed un M., imponeva all’ente locale appellato l’obbligo di motivare le ragioni della scelta dei coefficienti massimi, non essendovi del resto alcun elemento (né essendo stato in alcun modo indicato) negli atti impugnati idoneo a rendere manifesto e comprensibile l’iter logico – giuridico seguito dall’amministrazione e dunque le ragioni della scelta.
È appena il caso di evidenziare che a tale vulnus non potrebbe porsi rimedio in occasione dell’emanazione dei singoli atti impositivi e della loro eventuale impugnazione, dal momento che essi, in quanto meramente applicativi, sfuggono essi stessi all’obbligo e particolareggiato obbligo di motivazione (essendo sufficiente per la loro legittimità il rinvio per relationem proprio all’atto istitutivo della tariffa ed al regolamento di applicazione, di contenuto, come si è visto, composito).
In tali sensi la censura di difetto di motivazione deve essere considerata fondata (ed assorbente anche rispetto alla dedotta carenza di istruttoria)

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P.A. e cittadino: ".. il cittadino non è suddito…"

P.A. e CITTADINO: “..il cittadino non è suddito bensì utente..”.
Tribunale di Venezia n. 2391/2007 –  “Cosa significa agire secondo correttezza ed imparzialità?
 
Segnalazione a cura di avv. Cinzia Silvestri
 
L’attenzione cade sulla sentenza del Tribunale di Venezia del 2007 di particolare attualità, coraggiosa, e che fissa principi forse un po’ dimenticati.
Un esempio di come la magistratura, può ricondurre a giusto equilibrio le azioni ed i diritti e un esempio di merito all’avvocatura che ha avuto la forza di adire la giustizia e chiedere il dovuto ristoro…nonostante tutto.
 
La sentenza del Tribunale risale al 2007 (Tribunale di Venezia – Sezione terza civile – sentenza 19 marzo 23 aprile 2007, n. 2391) – Giudice Stefani.
 
Il Caso coinvolge una coppia di coniugi che si avvaleva di commercialista peraltro condannato  per appropriazione indebita; l’inadempimento del professionista aveva determinato per la coppia l’inizio di una vera tragedia giudiziale, un percorso costoso e grave puntellato di procedimenti penali, tributari ecc….una odissea non imputabile al comportamento dei coniugi.
 
Il pregio della sentenza è di sottolineare il principio costituzionale dell’art. 97 estensibile a ogni attività della Pubblica amministrazione.
L’atto di per se’ legittimo della P.A.  può rivelarsi persecutorio laddove la P.A., pur riconoscendo la estraneità del comportamento censurabile in capo all’utente, non appresti i dovuti rimedi tempestivi per la soluzione della controversia.
 
Ebbene.
 
RESPONSABILITA’ DEL COMMERCIALISTA
Scrive il Tribunale nella indicazione del fatto e con riferimento al percorso subito dalla coppia: “ ….una complessa ed articolata nonché annosa vicenda tributaria, non trascurando vicende penali, peraltro risoltesi con assoluzione e/o con archiviazione, per l’esponente e la di lui consorte; che innumerevoli contestazioni fiscali erano conseguite alla condotta del professionista il quale, a fronte di quanto documentato, ometteva i relativi versamenti; che v’era stato anche lungo contenzioso tributario; che per intervenuta amnistia talune condotte del commercialista erano state dichiarate estinte, con la conseguenza di agire per l’accertamento in sede civile della non imputabilità all’esponente delle contestazioni susseguitesi nel tempo; che aveva ottenuto sentenza di condanna di risarcimento del danno nei confronti del predetto commercialista XXX…”
 
RESPONSABILITA’ P.A.
Il Tribunale però affonda e individua anche la responsabilità della Pubblica amministrazione e precisa , sempre nella descrizione del fatto: “ ….. che esisteva, tanto premesso, responsabilità della P.A. convenuta; che tanto derivava da
omissioni e/o ritardi, con violazione della regola d’imparzialità e correttezza, non trascurando il buon andamento;
che tanto derivava dall’annosità dei procedimenti e relative contestazioni fiscali, con inutile e infondata reiterazione di contestazioni infondate, attesa la sola responsabilità del predetto professionista;
che erano stati chiesti documenti già in possesso dell’Amministrazione, in violazione dell’art. 6 di cui allo statuto 27.7.2000;
che in ogni caso l’Amministrazione era tenuta a risolvere con decisione unitaria la posizione dell’esponente;
che inutili si erano rivelati tentativi di definire definitivamente e in modo bonario il contenzioso tributario; che si erano scontrati con intoppi burocratici e prassi interpretative non coerenti;
che anche dopo la condanna del commercialista l’Amministrazione non aveva provveduto a sgravare gli attori delle comminate sanzioni e interessi;
che la condotta della convenuta costituiva fatto illecito con violazione di diritti soggettivi assoluti e perfetti;
che il danno sofferto poteva essere quantificato in complessive lire 139.000.000; oltre ulteriori lire 89.000.000; non trascurando le spese sostenute, quantificate in lire 20.000.000;
che le vicende di cui sopra avevano arrecato danni anche alla famiglia e alla serenità degli esponenti, sino alla contrazione di patologie del tutto apprezzabili, ebbene agivano per il ristoro del danno sofferto.
 
Il Tribunale nell’affrontare la questione in diritto afferma innazitutto che il caso configura ipotesi di responsabilità extracontrattuale della P.A. nel confronti del contribuente.
E’ ovvio che la condotta materiale in quanto tale, se ed in quanto causa di danno, può essere vagliata.
 
NEL MERITO
Nel merito il Tribunale affonda:
“…..Non si tratta di vagliare la legittimità formale delle condotte degli uffici di volta in volta preposti quanto, piuttosto, di valutare se, note essendo le cause delle vicissitudini degli attori, la cui buona fede non è punto contestata, ebbene dette vicende e/o vicissitudini avrebbero o meno dovuto imporre all’Amministrazione convenuta, complessivamente intesa, certo non trascurando evidenti difficoltà di collegamento tra i singoli uffici, né trascurando la qual certa automaticità dei meccanismi di contestazione fiscale, una condotta, complessivamente, appunto, diversa ovvero alternativa rispetto a quell’attuata.
In fondo la domanda si fonda sul principio costituzionale di buon andamento e d’imparzialità, norma certo precettiva, ed è in quest’ambito che si ritiene di trattare le vicende di causa nella loro complessità ed articolazione.
 
STILLICIDIO DI CONTESTAZIONI
….Si tratta del sostanziale stillicidio di contestazioni, a catena, pervenute con ritardi non indifferenti.
Si tratta ancora, come accennato, di valutare se una volta posta nella condizione di comprendere la peculiarità del caso di specie si potesse esigere da parte dell’Amministrazione convenuta una condotta alternativa.
…..Si ribadisce, dunque, che la posizione attorea, nei limiti quivi esaminabili, il danno sofferto ex art. 2043 c.c., per comportamenti successivi al maggio 1997…..investe la condotta della P.A. complessivamente intesa, e dunque come facente capo al convenuto Ministero e non già alle diramazioni territoriali.
Era esigibile una condotta diversa?
Attesa la nota vicenda che aveva involontariamente investito i contribuenti, cui, in effetti, nessun profilo di colpa può essere mosso, essendosi sempre attivati con dispendio non indifferente d’energie per mettere la parola fine sull’intera questione, ebbene, in base ai citati principi costituzionali, era esigibile una condotta diversa della parte convenuta, in termini di collaborazione, convocazione, complessiva e definitiva valutazione dell’intero annoso iter, piuttosto che una condotta, lecita e formalmente ineccepibile e, in ogni caso, quanto agli aspetti tecnicamente tributari quivi non esaminabili, strettamente, appunto formale.
 
AGIRE CORRETTO E IMPARZIALE
“….Cosa significa agire secondo correttezza ed imparzialità?
Cosa significa agire, nell’esercizio del legittimo potere impositivo e fiscale, nel rapporto con il contribuente, secondo canoni di buona fede?
….Come ricordato gli accertamenti intervenivano in limine.
Certo è legittimo.
Tuttavia, si osserva.
Anche il limite massimo di velocità consentito nelle sedi urbane, 50 chilometri orari, non costituisce la misura in ogni caso consentita: la condotta va sempre parametrata alle condizioni oggettive esistenti.
Non importa rilevare eventuali difetti di collegamento tra i singoli uffici preposti, trattandosi di problema che semmai interessa parte convenuta, non già, e certo, gli attori.
Esistevano le condizioni, sostanziali ed oggettive, in ottemperanza ai principi costituzionali, per offrire agli attori una soluzione, una qualunque, in qualche modo definitiva che, tenendo conto dell’evidente collaborazione ed attenzione degli attori medesimi, ponesse fine alle tribolazioni sofferte?
La risposta è positiva.
Le citate deposizioni vanno apprezzate proprio dal punto di vista ora citato.
Preso atto della (presunta) dolosa condotta del professionista gli attori, lungi dal sottrarsi ad ogni responsabilità, si sono rivolti agli uffici competenti per un chiarimento ovvero chiarimenti in qualche modo definitivi, o quasi.
La continua ricezione, in limine prescrizionale, di cartelle e contestazioni si è risolta, come detto e, di fatto, in uno stillicidio che gli attori oggettivamente non meritavano, essendosi attivati nel senso predetto.
Si tratta, in buona sostanza, di stabilire se la condotta della P.A. convenuta si sia connotata o meno, come doveroso per precetti costituzionali, per buon andamento ovvero, alternativamente, se, quand’anche per ragioni burocratiche e seppure sulla scorta d’atti del tutto legittimi, non sia, invero, tradotta, in fatto, in comportamento, appunto fattuale, irragionevole, contrario all’interesse del contribuente e dei cittadini oggi attori; se, ancora, una vicenda protrattasi per lungo tempo in termini finanche paradossali, dal punto di vista dell’impossibilità di trovare un interlocutore definitivo, non si potesse risolvere alternativamente con sano realismo e correttezza.
Orbene, come anticipato, non pare davvero che la condotta si sia connotata secondo principi di sana e buona amministrazione.
Gli attori, come troppe volte accade, sono divenuti numeri, non più cittadini, e così le cartelle esattoriali che si susseguivano nel tempo, senza mai porre la parola fine sul contenzioso.
Che questa parola, quando e dove, sarà mai posta non rientra nella competenza giurisdizionale del Tribunale.
 
ECCESSIVAMENTE BUROCRATICA
Certamente, tuttavia, il Tribunale può definire la condotta dei singoli uffici come sostanzialmente eccessivamente burocratica e irragionevole: gli attori non sono stati posti nelle condizioni di conoscere come e in che termini, esatti, sanare la propria condizione, hanno ricevuto notizie discordanti, sono stati vittime di prassi applicative cangianti.
Inevitabile?
Certo, la risposta sarebbe positiva, secondo una concezione della P.A. quale ente puro erogatore di servizi ed ente esattore.
Non così secondo l’art. 97 della Costituzione Repubblicana per la quale il cittadino non è suddito bensì utente….”
 
Conclude  il Tribunale e condanna la PA al ristoro del danno esistenziale.

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AIA: sanzioni

AIA – prescrizioni e sanzioni
Art. 29 quattordecies Comma 2 Dlgs. 152/06
Cassazione penale n. 2127/2012

A cura di avv. Cinzia Silvestri
Quattro socie vengono condannate alla medesima pena per lo spandimento di liquami zootecnici provenienti da terreno agricolo e aver provocato inquinamento.
Le imputate vengono condannate con riferimento all’ art. 16 comma 2 Dlgs. 59/2005 ovvero per non aver osservato le prescrizioni della AIA o quelle dell’autorità.
La Cassazione si distingue per la corretta applicazione del principio di responsabilità ….laddove sempre più si assiste a condanne che applicano la responsabilità oggettiva e che vengono variamente motivate.
Precisa la Cassazione che la responsabilità penale deve essere accertata con riferimento al grado di contribuzione causale ….
La Cassazione ritiene che non si può attribuire responsabilità sulla base della sola qualifica societaria rivestita.
La Cassazione affronta i seguenti punti:
1)Riconosce continuità normativa tra l’articolo 16 comma 2 del Dlgs. 59/2005 e l’art. 29 quattordecies comma 2 ( Dlgs. 128/2010):
“2. Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, si applica la sola pena dell’ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorita’ competente.
2) La sentenza 2127/2012 non condivide la decisione del GIp di Piacenza che aveva condannato le socie senza accertare la effettiva responsabilità’ delle stesse ed anzi  prevedendo condanna sulla sola verifica della qualità di …socie..
Il GIP aveva omesso infatti di “verificare se e chi tra esse avesse uno specifico compito di vigilanza e controllo sulla consistenza e sul grado di imbibizione del terreno agricolo sul quale doveva essere sparso il liquame”.
“Ne’ può ritenersi rispondente ai criteri della logica l’affermazione di responsabilità indifferenziata delle quattro odierne ricorrenti poggiate sul mero dato formale di essere tutte socie con pari potere….”…
La Cassazione afferma che l’irrogazione di sanzione NON è diretta conseguenza della qualifica ricoperta, dovendosi invece accertare, “secondo i canoni della responsabilità”, chi svolga nel concreto, secondo l’organigramma societario, specifici compiti di vigilanza e controllo.
Avverte la Cassazione che la responsabilità indifferenziata porta alla responsabilità oggettiva.
E ciò costituisce violazione del principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 comma 2 Cost.

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RIFIUTI: trasporto illecito

RIFIUTI: TRASPORTO ILLECITO
Art. 256 coma 4 Dlgs. 152/2006
Corte di Cassazione – Sentenza 10 maggio 2012, n. 17460
A cura avv. Cinzia Silvestri
La sentenza pone il rilevante dubbio sulla individuazione della mera attività di movimentazione e quella di trasporto in relazione al sito in cui si svolge il deposito temporaneo ed anche con riferimento alle attività svolte sotto l’egida dell’ art. 230.
Pur dovendo fare riferimento al caso specifico trattato -che presenta particolarità – la sentenza suggerisce un ripensamento in concreto delle attività svolte ai fini della corretta applicazione della normativa sui rifiuti.
Il caso:
Veniva disposto il sequestro preventivo di autocarro utilizzato per trasporto di rifiuti speciali (terre, sabbie, sassi, conglomerati cementizi e pezzi di asfalto di varie dimensioni) effettuato senza l’osservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nell’atto abilitativo rilasciato da societa’ proprietaria del veicolo per violazione dell’art. 256 comma 4 Dlgs. 152/2006.
II Tribunale del riesame contesta alla società, regolarmente iscritta all’albo, che il titolo abilitativo “non è esteso al trasporto di rifiuti diversi dalle “terre” ed in esso viene prescritto altresì che il trasporto di queste ultime ……deve essere accompagnato da copia del provvedimento di iscrizione corredata dalla dichiarazione di conformità all’originale resa dal legale rappresentante dell’impresa.
Nella specie, invece, il trasporto effettuato dall’autocarro in sequestro riguardava anche sassi, conglomerati cementizi e pezzi di asfalto di varie dimensioni ed esso non era accompagnato da alcun documento…”.
RIFIUTI DA MANUTENZIONE
Il Tribunale riporta la tesi difensiva volta a inquadrare il trasporto nella attivita’ manutentiva ex art. 266 comma 4 Dlgs. 152/2006.
” Si prospetta in ricorso che l’autocarro sequestrato non stesse effettuando un trasporto di “rifiuti, poiché, ai sensi dell’articolo 266, 4° comma, del Dlgs 152/2006, “I rifiuti provenienti da attività di manutenzione … si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività”.
Il materiale trasportato……avrebbe assunto la qualificazione di “rifiuto” solo dopo avere raggiunto il sito dove sarebbe stato legittimamente scaricato in “deposito temporaneo” in quanto si tratterebbe di area di cui la (societa’) avrebbe ottenuto la disponibilità dalla società …(appaltante)…”
Tale collegamento consentirebbe di considerare anche detta area “luogo di produzione dei rifiuti”, poiché essa sarebbe assimilabile alla sede/domicillo della società che materialmente eseguiva i lavori di manutenzione (la cui sede legale era ….. in Brescia).
Art. 230 Dlgs. 152/2006
Risponde il Collegio che “…più pertinente sarebbe stato il richiamo al primo comma dell’articolo 230 del Dlgs 152/2006, ove viene prevista una eccezione alla regola generale del divieto di creazione del deposito temporaneo in luogo diverso da quello di produzione nelle ipotesi non di manutenzione generica bensì di manutenzione specifica di reti ed infrastrutture…”
CONTESTAZIONE
Vero e’ che non si discute nel caso in esame di deposito temporaneo bensi’ “...
di un trasporto di rifiuti, verso il luogo individuato per il deposito temporaneo, senza l’osservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione; sicché, in relazione alla …… violazione dell’articolo 256, 4° comma, del Dlgs 152/2006, non può certo affermarsi che a quelle prescrizioni non dovesse ottemperarsi quando pure il luogo di deposito temporaneo potesse ritenersi legittimamente individuato.
MOVIMENTAZIONE e TRASPORTO
Il Collegio richiama la distinzione tra l’attività di :
“movimentazione”: non necessita di alcuna autorizzazione
“trasporto” dei rifiuti, : rientra nella “gestione” ai sensi dell’articolo 183, comma 1 — lett. n), oggetto di specifica autorizzazione in quanto tale (con la conseguenza che solo dopo l’inizio del deposito temporaneo comincerebbe la gestione dei rifiuti in senso tecnico e l’obbligo di rispettarne regole e prescrizioni).
GESTIONE
Precisa la Corte che “non può affermarsi la decorrenza della gestione dei rifiuti in senso tecnico solo dopo l’inizio del deposito temporaneo:
a) sia perché nulla è dato sapere circa l’effettiva osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge per considerare legittima detta forma di deposito;
b) sia perché non vi è stata movimentazione all’interno di uno stesso compendio nel luogo reale di produzione dei rifiuti, bensì trasferimento comportante instradamento da tale luogo a quello giuridico di produzione.
In tale situazione il trasporto in sé va considerato già attività di gestione di rifiuti e per “rifiuto”, ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi (o abbia l’intenzlone o l’obbIigo di disfarsi), restando irrilevante se ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto ovvero tramite il suo recupero.

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Rifiuti: responsabilità dirigente comunale ( e non solo)

Rifiuti: responsabilita’ dirigente Comunale (e non solo)
Cassazione penale Sentenza 12 aprile 2012, n. 13927
Art. 256 Dlgs. 152/2006

A cura avv. Cinzia Silvestri
Il caso:
Il Tribunale di Lecce condannava alla pena di 2 mila euro di ammenda per il reato di cui agli articoli 110 e 81 C.p., e Dlgs 152/2006, articolo 256, comma 1, lett. a), perché,
A) in qualità di dirigente del Comune di Lecce, in concorso con
B) il titolare dell’impresa Srl “, autorizzata alla raccolta ed al trasporto di rifiuti, e
C) direttore di cantiere dell’impresa (assolti invece con la formula “perché il fatto non costituisce reato”)
in relazione al deposito senza autorizzazione di masse di alghe marine (rifiuti organici) su terreno di proprietà del Comune di Lecce dove erano state depositate circa 4000 me di alghe prelevate dalla darsena e due aree agricole dove erano state depositate alghe per circa 220 me di alghe prelevate dal porticciolo di proprietà di privati .
Il Dirigente dell’ ufficio patrimonio comunale (imputato) impugnava la sentenza.
Il dirigente si difendeva adducendo, di aver agito sotto l’egida di ordinanza contingibile ed urgente emanata dal Sindaco e anche di non essere responsabile per il solo fatto di essere il dirigente dell’ ufficio patrimonio comunale; ed anzi che il soggetto tenuto all’adempimento era il dirigente del settore ambiente, munito dei poteri per la gestione dei rifiuti.
La sentenza accoglie proprio questo punto.
La Corte precisa alcuni punti utili non solo per il dirigente pubblico ma anche per i privati o societa’.
Spesso infatti si assiste a procedimenti penali o amministrativi incardinati nei confronti di soggetti estranei all’ illecito e coinvolti solo perche’ rivestono uno certa qualifica. La sentenza richiama il concetto della riferibilita’ della responsabilità quale presupposto stesso per attribuire anche la colpa. La consapevolezza si pone su piano diverso!

Ebbene la Corte “….ha affermato il principio secondo il quale “l’amministratore o il legale rappresentante di un ente non può essere automaticamente ritenuto responsabile, a causa della carica ricoperta, di tutte le infrazioni penali verificatesi nella gestione dell’ente“, quando nell’ambito dell’ente “l’attività funzionale sia stata preventivamente suddivisa in settori, rami o servizi, e che a ciascuno di essi siano in concreto preposti soggetti qualificati ed idonei, dotati della necessaria autonomia e dei poteri indispensabili per la gestione completa degli affari di quel servizio”.
In particolare in tema di rifiuti, è stato precisato che, “anche a seguito dell’entrata in vigore dell’ordinamento degli enti locali (Dlgs 267 del 2000, e successive integrazioni), che ha conferito ai dirigenti amministrativi autonomi poteri di organizzazione delle risorse, permane in capo al sindaco sia il compito di programmazione dell’attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sia il potere di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti; sia il dovere di controllo sul corretto esercizio delle attività autorizzate.
2. Orbene, nella vicenda in esame, il giudice di merito ha dato atto che
l’ufficio competente a gestire il progetto relativo all’utilizzazione delle alghe (posidonea oceanica) era quello del settore ambiente ed ufficio unico dei rifiuti. .
…. l’imputato, preposto al settore patrimonio e strategie territoriali del Comune di Lecce, aveva dato esecuzione all’ordinanza del Sindaco,…emessa nella sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza, con la quale si disponeva la rimozione del materiale che ostruiva la darsena “per ripristinare la sicurezza e la navigabilità”.
Il giudice di merito ha erroneamente ritenuto neutra la portata di tale ordinanza rispetto all’operato dell’ imputato….”
“……Di certo sembra che l’ordinanza sindacale non avesse conferito espressamente all’imputato poteri rientranti nelle funzioni del dirigente del Settore ambiente.
Sul punto la sentenza non ha …chiarito gli esatti profili della posizione di garanzia …..base della responsabilità dell’imputato, chiamato a rispondere di deposito abusivo di rifiuti per non avere richiesto le autorizzazioni quanto al deposito delle alghe, atteso che la gestione dei rifiuti, come anche del progetto di utilizzare le alghe per contrastare i fenomeni erosivi delle spiagge, risultava invece direttamente riferibile alla competenza del Settore ambientale del Comune e del suo dirigente…”.
3. “Quindi la sentenza risulta ….carente anche quanto alla ricostruzione della
A) sussistenza del profilo soggettivo di responsabilità, in quanto se è vero che il reato ascritto può essere commesso anche a titolo di colpa, la non riferibilità all’imputato delle funzioni in materia ambientale ed il fatto che lo stesso avesse coinvolto il dirigente del Settore ambientale ……per i contatti con la Provincia in riferimento alla problematica delle alghe, devono indurre ad una rivalutazione del giudizio espresso dal giudice di prime cure, che si è limitato ad ancorare la responsabilità colposa alla mera consapevolezza che l’imputato aveva di operare in materia di rifiuti….”
B).”…nessun rimprovero può essere posto a carico del dirigente del Settore patrimonio se allo stesso non siano stati conferiti i compiti specifici relativi alle procedure in materia di rifiuti, posto che il Tribunale ha dato atto che lo stesso, nel corso dell’esecuzione dell’ordinanza del Sindaco, ebbe a svolgere tale attività anche coordinandosi con il dirigente del Settore ambiente competente (questo sì munito dei relativi poteri).
È stato infatti precisato che “i dirigenti comunali possono essere titolari di posizioni di garanzia nello svolgimento dei compiti di gestione amministrativa a loro devoluti, residuando in capo al Sindaco unicamente poteri di sorveglianza e controllo…..
 

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Acque: violazione tabellare

Acque: fermo dell’impianto e campionamento
Sentenza Tar Napoli 13 febbraio 2012, n. 746 – Violazioni tabellari e accertamento.
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
La sentenza ha il pregio di precisare e porre limite agli accertamenti finalizzati alla contestazione di violazioni tabellari degli scarichi.
La Corte collega il “diritto” alla “realtà” operativa degli impianti di depurazione.
L’accertamento,che rileva violazione di limiti tabellari, deve essere considerato alla luce della operatività del sistema di depurazione; sistema mai perfetto, soggetto a variabili spesso imponderabili.
Ecco, dunque, che l’accertamento eseguito subito dopo un periodo di fermo dell’impianto  non concreta, necessariamente, sanzione per la violazione tabellare.
Emerge il concetto che il campionamento deve essere “rappresentativo” della normale gestione dell’impianto e dunque qualsiasi accadimento fisiologico o tecnico, purchè proprio della vita dell’impianto, mina la  attendibilità  del campionamento stesso.
In particolare la sentenza ha anche il pregio, ormai raro, di avere chiarezza espositiva che permette la semplice parafrasi:
 
Ordinanza sindacale: divieto
Con ricorso una societa’ esercente nel proprio stabilimento  attività di produzione di carta per uso igienico e sanitario, impugnava, l’ordinanza con il quale il Comune  in base al rapporto di prova per il quale “le analisi eseguite hanno evidenziato il superamento del limite fissato dall’atto autorizzativo per i parametri, solidi sospesi totali, BOD e COD”, respingeva l’istanza di revoca inoltrata dalla s.r.l.”, reiterando a carico di quest’ultima l’ordine sindacale  recante, divieto di immettere acque reflue provenienti dallo stabilimento nel Rio, fino a quando non venissero ripristinate le condizioni idonee al rispetto dei limiti di emissione normativamente previsti.
 
La societa’ rappresentava:
— di essere munita dell’autorizzazione allo scarico delle acque reflue industriali, civili e meteoriche provenienti dalla rete fognaria dell’opificio con immissione nel fosso stradale adiacente lo stabilimento e confluente nel Rio Pantano,
— nella giornata del campionamento, al momento della riapertura dell’azienda dopo la pausa delle festività di fine anno, i funzionari dell’ ARPAC in occasione di un sopralluogo nell’impianto al fine di verificare la regolarità degli scarichi, dai risultati delle analisi effettuate sui campioni di acqua prelevati, rilevavano che le acque provenienti dall’impianto contenevano una quantità di solidi sospesi totali, di COD e di BOS 5 superiori ai limiti normativamente previsti;
— in virtù di tale accertamento, nonostante le indicate irregolarità fossero riconducibili alla normale sedimentazione del materiale fibroso creatasi nella conduttura finale dello scarico per effetto del protratto inutilizzo nella giornate di chiusura festiva, l’Asl proponeva al sindaco di vietare alla società l’immissione delle acque reflue nel vicino fosso stradale confluente nel Rio Pantano;
—il Sindaco, con ordinanza, ingiungeva alla ricorrente di interrompere ad horas lo scarico delle acque reflue fino a quando non venissero ripristinate le condizioni idonee al rispetto dei limiti di emissione normativamente previsti;
— la società, chiedeva la revoca del provvedimento di sospensione in quanto le criticità accertate all’atto del sopralluogo erano state determinate unicamente dalla chiusura dell’impianto per effetto del protratto inutilizzo delle giornate di chiusura festiva e dalla conseguente normale sedimentazione di materiale fibroso nelle tubature, essendo, viceversa lo scarico assolutamente regolare nei periodi attività, come dimostrato dalle analisi mensili puntualmente trasmesse alla Provincia;
—   in attesa della determinazione in autotutela del Comune, la  Srl si conformava al divieto di scarico
—   al fine di non interrompere la produzione, entrava in gestione di riutilizzo di acque a ciclo chiuso,
—   l’Arpac, nel corso della rinnovata istruttoria, effettuava un nuovo sopralluogo ed, anche al momento di tale ispezione lo scarico non era attivo, in ottemperanza all’ordinanza sindacale ed a causa di tale circostanza, verbalizzata dagli stessi funzionari, le analisi dei prelievi effettuati evidenziavano il superamento del limite relativo ai solidi sospesi totali (non più anche dei BOD 5 e dei COD), superamento provocato, come nel caso precedente, dalle fibre cellulosiche depositatesi lungo la conduttura di scarico durante il periodo i fermo forzoso.
 
In questo quadro di riferimento la Corte accoglie il ricorso della società rilevando:
 
La Corte “… in relazione ai due sopralluoghi effettuati, ….. ed a seguito dei quali sarebbe stato imposta l’interruzione dello scarico delle acque reflue provenienti dall’impianto, dubita dell’attendibilità delle risultanze istruttorie in quanto le attività ispettive e di prelievi di campioni sarebbero state effettuate dall’Arpac, in entrambe le circostanze, in un momento straordinario, ossia all’atto della riapertura dell’impianto dopo giorni di chiusura…”
La società nel corso del processo produceva perizia “…..da cui emergerebbe che, nel periodo di fermo si formerebbero delle “naturali incrostazioni lungo le tubazioni di scarico (prevalentemente fibre di cellulosa)” che verrebbero trascinate via al momento della riattivazione dello scarico, terminando una iniziale torbidità dell’acqua; viceversa con il funzionamento dell’impianto a pieno regime, le emissioni rispetterebbero tutti i limiti quantitativi prescritti dalla tabella 3 dell’Allegato 5 al Dlgs 152/2006, come sarebbe dimostrato dagli esiti delle analisi mensili (versate in atti) che la ditta trasmetterebbe alla Provincia di Napoli.
La tesi prospettata dalla difesa tecnica del ricorrente suppone, all’evidenza, che l’inconveniente segnalato consistente nel superamento del COD e del BOD5, sia in occasione delle analisi effettuate in occasione del sopralluogo ……..sarebbero compatibili con il fermo dello stabilimento e con la connessa sedimentazione di materiale fibroso nella fognatura interna, mentre non dovrebbero registrarsi in occasione del funzionamento dell’impianto a regime.
 
Seguiva istruttoria e l’articolazione delle difese e si giungeva alla conclusione che “ ….
le criticità accertate nei precedenti sopralluoghi (eccedenza di solidi sospesi, BOD e COD5) dipendevano unicamente dall’inutilizzo dello scarico nei periodi di fermo e dalla conseguente sedimentazione di materiale fibroso nella fognatura interna.
Viceversa, con il funzionamento dell’impianto a pieno regime, è stato verificato che le emissioni rispettano i relativi limiti quantitativi prescritti dalla tabella 3 dell’Allegato 5 al Dlgs 152/2006…”
Ed ancora la Corte precisa ”…..Invero all’esito del riesame dei campioni analizzati è stata data prova che il quadro istruttorio posto a base del provvedimento impugnato è, in realtà, incompleto e non esaustivo in quanto il superamento dei parametri relativi ai solidi sospesi, al BOD e al COD5 (ossia le specifiche ed uniche contestazioni mosse in sede procedimentale) non si verifica con il funzionamento dello scarico a pieno regime….”
 

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Aria: reato ambientale e danno?

Aria: reato ambientale e danno
nota a Corte di Cassazione Sentenza 28 dicembre 2011, n. 48474
a cura di avv. Cinzia Silvestri 
L’art. 279 Dlgs. 152/2006 chiude la parte V relative alle emissioni in atmosfera indicando le sanzioni.
L’articolo è stato riformato dal Dlgs. 128/2010 che ha modificato i primi 4 commi.
L’articolo inoltre in virtù del combinato disposto dei commi 2 e 5 è interessato anche dalla responsabilità amministrativa della società ex Dlgs. 231/2001 art. 25-undecies (cfr. articolo pubblicato su questo sito).
Ebbene.
Recente sentenza della cassazione ha precisato con riferimento all’art. 279 comma 1
1)   la natura formale del reato
2)   la continuità rispetto alla normativa DPR 203/88
Il legislatore anticipa l’intervento punitivo. Non occorre il danno all’ambiente ma è bastevole il pericolo della lesione.
l reato integra il cosidetto reato formale di pericolo perché mira a realizzare a scopo di prevenzione un controllo anticipato da parte dell’autorità”.
Questa tesi per certi versi collide con il principio di offensività.
Ebbene la sentenza in commento si pone sul solco di questa giurisprudenza.
LA SENTENZA
Il legale rappresentante di una Ditta esercente l’attivita di stampaggio di materie plastiche veniva condannato dal Tribunale ex art. 279 Dlgs. 152/2006 perché gestiva un impianto che generava emissioni in atmosfera senza autorizzazione” (reato commesso il 18 giugno 2006) e lo condannava alla pena di € 200,00 di ammenda assolvendolo invece da altre residue imputazioni.
Il reato dunque veniva commesso sotto la vigenza del Dlgs. 152/2006 (vigente da aprile 2006).
L’imputato impugnava precisando che la norma violata
1)   implica la lesione o messa in pericolo derivante dalla presenza nelle sostanze emesse di caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo;
2)   l’attivita istruttoria non aveva consentito di provare la natura inquinante delle emissioni e il conseguente pericolo per la salute umana e per l’ambiente circostante.
3)    oggetto dell’attività era lo stampaggio di materie plastiche la cui lavorazione determinava delle emissioni asseritamente moleste ma non accertate nella realtà
 
La Corte decide il ricorso come infondato.
La Corte precisa che il Tribunale aveva correttamente affermato che la responsabilità penale dell’imputato sussisteva per il fatto che
1)    l’impianto produttivo rientrava tra quelli potenzialmente produttivi di emissioni inquinanti,
2)    l’impianto produceva in concreto odori molesti constatati dagli Ispettori dell’Arpam cui si erano rivolti con diverse segnalazioni i residenti della zona.
3)    la presenza di emissioni diffuse maleodoranti in assenza delle doverose precauzioni e gli accorgimenti da parte del titolare dell’impianto atti ad impedire il verificarsi del fenomeno.
La responsabilità può essere esclusa laddove sia fornita prova che l’impianto presenta una mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti.
 
CONTINUITA’ TRA DPR 203/88 E ART. 279 DLGS. 152/2006
Il reato previsto dall’articolo 279 del Dlgs 152/06, afferma la cassazione si pone in rapporto di continuità normativa con la precedente disciplina di cui al Dpr 203/88 — così Cass. Sez. III 14 aprile 2010 n. 18774, Migali, Rv. 247173).
 
PROVA E REATO FORMALE di pericolo
Il Tribunale ha ritenuto, sulla base di una prova specifica attestante la presenza di emissioni inquinanti , che l’assenza di autorizzazione integrasse l’elemento costitutivo del reato: questo, oltretutto si configura come reato non di danno ma formale, mirando la norma a garantire il controllo preventivo da parte della P.a. sul piano della funzionalità e della potenzialità inquinante di un impianto industriale (Cass. Sez. III 28 giugno 2007 n.35232, Fongaro, Rv. 237383).
il reato de quo è configurabile indipendentemente dalla circostanza che le emissioni superino i valori limite stabiliti, dovendosi fare invece riferimento alla presenza di emissioni comunque moleste ed inquinanti ex se connaturate quindi alla natura formale del reato (v. Cass. n. 352321/07 cit.).
 
 
 
 

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