Presunzione di innocenza…d.lgs. 118/2021

Presunzione di innocenza…d.lgs. 118/2021
Cinzia SilvestriPresunzione di innocenza…d.lgs. 118/2021
Leggi Tutto

Sanzioni Covid, non è reato

Sanzioni Covid, non è reato

Sanzioni Covid …non è reato

Cassazione penale n. 7988/2021 

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente


La Cassazione riconosce le ragioni dell’ illegittimità della qualifica come reato delle sanzioni Covid. Precisa con completezza che tali sanzioni sono state depenalizzate e dunque semmai possono essere contestate quali illeciti amministrativi.

Così recita la sentenza:

La disposizione del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, art. 3, comma 4, – che qualificava “reato”

punibile ai sensi dell’art. 650 c.p., il mancato rispetto delle misure di contenimento emanate

per fronteggiare lo stato di emergenza dovuto alla diffusione del Covid-19 – è stata sostituita

dal D.L. 25 marzo 2020, n. 19, art. 4, comma 1, in vigore dal giorno successivo e convertito

con modificazioni dalla L. 22 maggio 2020, n. 35, che ha depenalizzato, trasformandola in

illecito amministrativo, la condotta di mancato rispetto delle citate misure di contenimento.

Poichè nella sentenza impugnata non è dato comprendere la porzione di pena applicata dal

Tribunale per tale condotta e comunque non vi è possibilità di modificare il patto intervenuto

tra le parti, la sentenza medesima deve essere annullata senza rinvio e gli atti restituiti al

Tribunale di Bergamo per l’ulteriore corso.

Cinzia SilvestriSanzioni Covid, non è reato
Leggi Tutto

Responsabilità' Societa': nuovo reato

Responsabilità Societa’: nuovo reato
Art. 25 duodecies Dlgs. n. 231/2001 – Dlgs. 16 luglio 2012 n. 109
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il Dlgs. n. 109/2012 che entrerà in vigore il 9 agosto 2012 ( decreto immigrazione ) suggerisce alle Società la revisione dei protocolli per il Modello cosiddetto “231”.
Il testo attua la direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno e’ irregolare.
L’art. 2 detta la Disposizione sanzionatoria e precisa:
1. Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dopo l’articolo
“25-undecies” e’ inserito il seguente:
“25-duodecies. (Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno e’ irregolare).
1. In relazione alla commissione del delitto di cui all’articolo 22, comma 12-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, entro il limite di 150.000 euro.”.
L’ art. 22 comma 12 Del Decreto immigrazione ( Dlgs 286/1998) precisa il reato del datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri
1) privi del permesso di soggiorno
2) Permesso scaduto
3) Permesso non rinnovato, revocato o annullato
Il datore e’ punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la sanzione di € 5000 per ogni lavoratore impiegato.
Il richiamo esplicito all’ art. 12 bis (art. 25 duodecies Dlgs. 231/2001) sembra limitare la responsabilità dell’ Ente alle sole ipotesi aggravate dell’ art. 12 bis .
Il comma 12 bis viene peraltro modificato dallo stesso Dlgs. 109/2012 che così recita:
12-bis. Le pene per il fatto previsto dal comma 12 sono aumentate da un terzo alla meta’:
a) se i lavoratori occupati sono in numero superiore a tre;
b) se i lavoratori occupati sono minori in eta’ non lavorativa;
c) se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare sfruttamento di cui al terzo comma dell’articolo 603-bis del codice penale.

adminResponsabilità' Societa': nuovo reato
Leggi Tutto

Circolare GDF 83607/2012: il tentativo

Circolare GDF 83607/2012: il tentativo…
A cura di avv. Cinzia Silvestri
La lettura della circolare del GDF obbliga ad alcune precisazioni.
Non bisogna dimenticare che la circolare e’ destinata agli operatori della GDF e non ai …destinatari del controllo.
La Circolare può essere considerata Linea Guida ed esprime correttamente l’intento dell’ organo che ha redatto il documento.
L ‘ attenzione, infatti, cade sul punto 4 della parte terza della Circolare che si esprime in ordine alla “necessita'” di prevedere la responsabilità amministrativa dell’Ente anche alle ipotesi di ...reato tentato.
Non pare  corretto indicare ” reato tentato” ….senza precisare.
Il reato comprende DELITTI e CONTRAVVENZIONI.
Il tentativo e’ applicabile solo ai DELITTI.
La Circolare non specifica e trasferisce la genericità dell’affermazione, trasferisce una informazione che può essere equivocata e creare procedimenti che possono essere evitati sin dall’origine.
S’intende che si confida nella magistratura quale filtro dovuto ad eventuali segnalazioni non rispondenti alla legge.
Ed invero si ricorda che il tentativo di reato (a. 56 c.p.) e’ applicabile solo ai DELITTI e non alle contravvenzioni ( art. 39 e 17 c.p.).
In particolare la necessita’ di estendere la punibilità al tentativo trova limite per le contravvenzioni.
In materia ambientale, si badi, i reati contemplati integrano per lo piu’ contravvenzioni ( che richiedono per la punibilità anche la sola colpa) e dunque il tentativo di “reato” (rectius delitto) non può essere esteso.
L’art. 26 del Dlgs. 231/2001 si esprime correttamente nominando i soli DELITTI.
Prevede che qualora il delitto tentato sia commesso dal soggetto agente  allora la società vedrà ….ridotte le sanzioni pecuniarie ed interdittive.
Si potrebbe dire che l’art. 26 citato estende dunque il beneficio della riduzione della pena del tentativo (qualora accertato) anche alla Società.
La sentenza della Cassazione penale n. 7718/2009 si riferisce a dire il vero al delitto di truffa ai danni dello stato e dunque non soffre eccezione.
Ciò che si rileva e’ la formulazione letterale del punto 4 (ed altri unti) della circolare  sembra attribuire all’art. 26 Dlgs. 231/2001 la forza di affermare una estensione di responsabilità per tentativo che certo non può essere attribuita.
Il tentativo trova la sua disciplina nel codice penale all’ art. 56 ed il limite della sua applicabilità non e’ derogato dall’articolo 26 che si limita, in conformità, a prevedere la semplice riduzione delle sanzioni pecuniarie (multa) e delle sanzioni interdittive eventualmente previste nel caso di delitti.
Si trascrive quanto rinvenuto in circolare GDF n. 83607/2012 (www.ilsole24ore.com):
“‘4. La rilevanza del tentativo
Non sussistono dubbi sulla necessità di prevedere che la responsabilità amministrativa dell’ente debba essere estesa anche alle ipotesi di reato tentato. Lo si ricava dalla legge delega che, “pur non nominando il tentativo, fa riferimento ai reati la cui forma di manifestazione è quella consumata o tentata”, come affermato dalla relazione di accompagnamento al D. Lgs. n. 231/2001.
La norma dell’articolo 26, al comma 1, statuisce che “Le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà in relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei delitti indicati nel presente decreto”, mentre al comma 2 prevede che “L’ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento”.
La Corte di Cassazione, Sez. V, con la sentenza n. 7718/2009 ha affrontato – per la prima volta – il tema della responsabilità degli enti in relazione al delitto tentato in ordine ad una truffa ai danni dello stato, concludendo per una sua rilevanza ai fini dell‟applicazione dell‟impianto normativo di cui al D. Lgs. n. 231/2001.

adminCircolare GDF 83607/2012: il tentativo
Leggi Tutto

Modello "231": quali responsabilità?

 Modello “231” – Responsabilità dell’Ente /Società: un chiarimento
Nota a sent. Cass. pen. Sez. VI, Sent. del  16-07-2010, n. 27735
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
 La sentenza della Cassazione penale n. 27735/2010 precisa la natura della responsabilità della Società.
Con chiarezza espositiva riassume l’orientamento maggioritario e declina i passaggi fondamentali della disciplina.
Si riporta tra “virgolette” il testo della sentenza che esprime i passaggi logici e giuridici che permettono l’attribuzione di responsabilità alla Società, precisando anche in merito all’onere probatorio.
Di interesse il passaggio che riguarda l’adozione del Modello “231”; ovvero del modello organizzativo volto a prevenire la commissione dell’illecito da parte delle persone apicali (e non apicali) della Società.
Qualora l’accusa (PM) provi la commissione dell’illecito della persona fisica (es. dirigente) nell’interesse  (ad esempio) della Società accade che la stessa sia responsabile per non aver adottato tutti quegli accorgimenti necessari ad evitare l’evento e dunque sia colpevole nella sua “dis-organizzazione” e tenuta a rispondere in proprio dell’illecito, a mezzo del pagamento della somma statuita dal Giudice.
La non obbligatorietà/non adozione del Modello “231” si traduce nella:
1)perdita di prova liberatoria;
2) colpa in “organizzazione”.
La Cassazione dribla il dogma della responsabilità oggettiva che… incombe.
In particolare:
1) RESPONSABILITA’ PROPRIA DELLA SOCIETA’
La Cassazione precisa la natura propria della responsabilità che si fonda nel rapporto di immedesimazione organica. Ciò permette che la società risponda di fatto commesso da altro soggetto.
“Il fatto – reato commesso dal soggetto inserito nella compagine della societas, in vista del perseguimento dell’interesse o del vantaggio di questa, è qualificabile come “proprio” anche della persona giuridica, e ciò in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla seconda: la persona fisica che opera nell’ambito delle sue competenze societarie, nell’interesse dell’ente, agisce come organo e non come soggetto da questo distinto; nè la degenerazione di tale attività funzionale in illecito penale è di ostacolo all’ immedesimazione.
2) TERTIUM GENUS
“Il D.Lgs. n. 231 del 2001 ha introdotto un tertium genus di responsabilità rispetto ai sistemi tradizionali di responsabilità penale e di responsabilità amministrativa, prevedendo un’autonoma responsabilità amministrativa dell’ente in caso di commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei reati espressamente elencati nella sezione 3^ da parte un soggetto che riveste una posizione apicale, sul presupposto che il fatto-reato “è fatto della società, di cui essa deve rispondere“.
Conclusivamente, in forza del citato rapporto di immedesimazione organica con il suo dirigente apicale, l’ente risponde per fatto proprio, senza coinvolgere il principio costituzionale del divieto di responsabilità penale per fatto altrui (art. 27 Cost.).
3) RESPONSABILITA’ OGGETTIVA
 “Nè il D.Lgs. n. 231 delinea un’ipotesi di responsabilità oggettiva, prevedendo, al contrario, la necessità che sussista la c.d. “colpa di organizzazione” dell’ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo”.
4) ONERE DI PROVA
“Grava sull’Accusa l’onere di dimostrare l’esistenza e l’accertamento dell’illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della societas e che abbia agito nell’interesse di questa; tale accertata responsabilità si estende “per rimbalzo” dall’individuo all’ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo.
5) MODELLO 231 – EFFETTO LIBERATORIO
“Militano, inoltre, a favore dell’ente, con effetti liberatori, le previsioni probatorie di segno contrario di cui al D.Lgs. n. 231, art. 6, e, specificamente, l’onere per l’ente di provare, per contrastare gli elementi di accusa a suo carico, “che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi” (art. 6, lett. a) e che, sulla base di tale presupposto, ricorrono le altre previsioni elencate nelle successive lettere del citato art. 6.
Nessuna inversione dell’onere della prova è, pertanto, ravvisabile nella disciplina che regola la responsabilità da reato dell’ente, gravando comunque sull’Accusa l’onere di dimostrare la commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui al D.Lgs. n. 231, art. 5, e la carente regolamentazione interna dell’ente. Quest’ultimo ha ampia facoltà di fornire prova liberatoria.

adminModello "231": quali responsabilità?
Leggi Tutto

Rumore : reato solo se “diffuso”

Rumore : reato solo se “diffuso” (art. 659 comma 1)
Cassazione penale del 14.12.2011 n. 270
a Cura di avv. Cinzia Silvestri
 
La Cassazione penale precisa l’ambito di applicazione della fattispecie di cui al comma 659 comma 1 c.p. che richiede il disturbo ad un numero indeterminato e diffuso di soggetti.
Se il disturbo è arrecato a persone determinate quali ad esempio ad un solo nucleo familiare di un appartamento o ad alcuni soggetti precisati allora il fatto rumoroso può costituire semmai illecito civile.
Dunque.
Il caso attiene al disturbo arrecato dal condizionatore d’aria di una gioielleria.
La Corte esclude innanzitutto che la gioielleria possa essere inclusa tra le attività “rumorose (esercizio della professione o di un mestiere rumoroso) ex art. 659 comma 2 c.p..
La persona offesa si costituiva parte civile e venivano assunti testi.
Senonchè la Corte nel caso di specie non rinviene gli elementi costitutivi del reato di cui al primo comma dell’art. 659 c.p.
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, i rumori e gli schiamazzi vietati, per essere penalmente rilevanti “…debbono incidere sulla tranquillità pubblica – essendo l’interesse ..tutelato dal legislatore quello della pubblica tranquillità .. della pubblica quiete, la quale implica,.. l’assenza di cause di disturbo per la generalità dei consociati.”
Il disturbo deve avere “…potenzialità diffusa …. potenzialità di essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se, poi, in concreto soltanto alcune persone se ne possano lamentare”.
Prosegue la Cassazione: “ Ne consegue che la contravvenzione in esame non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo,come nel caso di specie, ai soli occupanti di un appartamento, all’interno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio in cui è inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti: infatti, in tale ipotesi non si produce il disturbo, effettivo o potenziale, della tranquillità di un numero indeterminato di soggetti, ma soltanto di quella di definite persone, sicchè un fatto del genere può costituire, se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di danno, ma giammai assurgere a violazione penalmente sanzionabile” .
 

adminRumore : reato solo se “diffuso”
Leggi Tutto

Aria: reato ambientale e danno?

Aria: reato ambientale e danno
nota a Corte di Cassazione Sentenza 28 dicembre 2011, n. 48474
a cura di avv. Cinzia Silvestri 
L’art. 279 Dlgs. 152/2006 chiude la parte V relative alle emissioni in atmosfera indicando le sanzioni.
L’articolo è stato riformato dal Dlgs. 128/2010 che ha modificato i primi 4 commi.
L’articolo inoltre in virtù del combinato disposto dei commi 2 e 5 è interessato anche dalla responsabilità amministrativa della società ex Dlgs. 231/2001 art. 25-undecies (cfr. articolo pubblicato su questo sito).
Ebbene.
Recente sentenza della cassazione ha precisato con riferimento all’art. 279 comma 1
1)   la natura formale del reato
2)   la continuità rispetto alla normativa DPR 203/88
Il legislatore anticipa l’intervento punitivo. Non occorre il danno all’ambiente ma è bastevole il pericolo della lesione.
l reato integra il cosidetto reato formale di pericolo perché mira a realizzare a scopo di prevenzione un controllo anticipato da parte dell’autorità”.
Questa tesi per certi versi collide con il principio di offensività.
Ebbene la sentenza in commento si pone sul solco di questa giurisprudenza.
LA SENTENZA
Il legale rappresentante di una Ditta esercente l’attivita di stampaggio di materie plastiche veniva condannato dal Tribunale ex art. 279 Dlgs. 152/2006 perché gestiva un impianto che generava emissioni in atmosfera senza autorizzazione” (reato commesso il 18 giugno 2006) e lo condannava alla pena di € 200,00 di ammenda assolvendolo invece da altre residue imputazioni.
Il reato dunque veniva commesso sotto la vigenza del Dlgs. 152/2006 (vigente da aprile 2006).
L’imputato impugnava precisando che la norma violata
1)   implica la lesione o messa in pericolo derivante dalla presenza nelle sostanze emesse di caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo;
2)   l’attivita istruttoria non aveva consentito di provare la natura inquinante delle emissioni e il conseguente pericolo per la salute umana e per l’ambiente circostante.
3)    oggetto dell’attività era lo stampaggio di materie plastiche la cui lavorazione determinava delle emissioni asseritamente moleste ma non accertate nella realtà
 
La Corte decide il ricorso come infondato.
La Corte precisa che il Tribunale aveva correttamente affermato che la responsabilità penale dell’imputato sussisteva per il fatto che
1)    l’impianto produttivo rientrava tra quelli potenzialmente produttivi di emissioni inquinanti,
2)    l’impianto produceva in concreto odori molesti constatati dagli Ispettori dell’Arpam cui si erano rivolti con diverse segnalazioni i residenti della zona.
3)    la presenza di emissioni diffuse maleodoranti in assenza delle doverose precauzioni e gli accorgimenti da parte del titolare dell’impianto atti ad impedire il verificarsi del fenomeno.
La responsabilità può essere esclusa laddove sia fornita prova che l’impianto presenta una mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti.
 
CONTINUITA’ TRA DPR 203/88 E ART. 279 DLGS. 152/2006
Il reato previsto dall’articolo 279 del Dlgs 152/06, afferma la cassazione si pone in rapporto di continuità normativa con la precedente disciplina di cui al Dpr 203/88 — così Cass. Sez. III 14 aprile 2010 n. 18774, Migali, Rv. 247173).
 
PROVA E REATO FORMALE di pericolo
Il Tribunale ha ritenuto, sulla base di una prova specifica attestante la presenza di emissioni inquinanti , che l’assenza di autorizzazione integrasse l’elemento costitutivo del reato: questo, oltretutto si configura come reato non di danno ma formale, mirando la norma a garantire il controllo preventivo da parte della P.a. sul piano della funzionalità e della potenzialità inquinante di un impianto industriale (Cass. Sez. III 28 giugno 2007 n.35232, Fongaro, Rv. 237383).
il reato de quo è configurabile indipendentemente dalla circostanza che le emissioni superino i valori limite stabiliti, dovendosi fare invece riferimento alla presenza di emissioni comunque moleste ed inquinanti ex se connaturate quindi alla natura formale del reato (v. Cass. n. 352321/07 cit.).
 
 
 
 

adminAria: reato ambientale e danno?
Leggi Tutto

Reato ambientale: art. 256 comma 4

Dlgs. 231/2001 e reato ex art. 256 comma 4
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
Lo Studio Legale Ambiente propone secondo schema di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001 per i reati di cui al Dlgs. 152/2006; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
 
IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela  penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.

Particolare attenzione all’ art. 256 comma 4 Dlgs. 152/2006.
Il comma 6 dell’art. 25 undecies del Dlgs. 231/2001 prevede la riduzione a metà della pena per le ipotesi di reato di cui all’art. 256 comma 4 Dlgs. 152/2006 con riferimento alle sanzioni di cui al comma 2 lettera b)  dell’art. 25 undecies Dlgs. 231/2001.
Recita il comma 4 dell’art. 256: Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni.
Il reato prevede due diverse condotte ovvero:
1)    inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni;
2)    carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizionicomunicazioni.
Il riferimento dunque è solamente alla violazione dell’art. 256 comma 1 lett. a) e b) ; comma 3 primo e secondo periodo.
 
In particolare le pene previste per il trasgressore (Dlgs. 152/2006) e per la Società (Dlgs. 231/2001) risultano:
 

reato

Art. 256 comma 4

Pena ex Dlgs. 152/2006

Sanzione Ente

ex Dlgs. 231/2001

Sanzioni interdittive

art. 256

comma 1 lett. a)

(gestione non autorizzata)

pena dell’arresto da 1 mese e mezzo a 6 mesi

o

con l’ammenda da 1300 euro a

13000 euro

Fino a 125 quote

Non prevista

Art. 256

comma 1 lett. b)

(getione non autorizzata/rifiuti pericolosi)

pena dell’arresto da 3 mesi a 1 anno

e

con l’ammenda da 1300 euro a

13000 euro

Da 75 a 125 quote

Non prevista

Art. 256

comma 3 primo periodo

(discarica non autorizzata)

pena dell’arresto da 3 mesi a 1 anno

e

con l’ammenda da 1300 euro a

13000 euro.

Da 75 a 125 quote

Non prevista

Art. 256

comma 3 secondo periodo

(discarica finalizzata smaltimento rifiuti pericolosi)

arresto da 6 mesi  a 1 anno e mezzo

e

dell’ammenda da euro 2600 a

euro 26000

Da 100 a 150 quote

Si applicano le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 per una durata non superiore a 3 mesi

 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 
Si ricorda che le sanzioni interdittive descritte dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 sono:
a) interdizione dall’esercizio dell’attività;
b) sospensione  o revoca della autorizzazione, licenze, o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni e servizi.
 

adminReato ambientale: art. 256 comma 4
Leggi Tutto

Rifiuti: Trasporto rifiuti senza FIR – non è reato?

Art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 – Cass. penale 27.7.2011 n. 29973
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
 
Il caso prende origine dal viaggio senza FIR, di veicoli incidentati destinati alla demolizione. Rifiuti considerati pericolosi.
Il fatto si consumava sotto la vigenza dell’art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 prima della riforma avvenuta  con Dlgs. 205/2010 che modificava l’art. 258 alla luce del SISTRI.
La Cassazione si pone il problema della applicazione del nuovo art. 258, come modificato, in quanto norma più favorevole al reo (favor rei ex art. 2 c.p.).
 
La Corte di Cassazione, dunque con sentenza n. 29773/2011 ritiene depenalizzato il reato di trasporto rifiuti in assenza di formulario o con FIR incompleto proprio in quanto ipotesi illecita non più statuita dal nuovo TUA e come tale più favorevole al reo.

A dire il vero la Sentenza è un po’ confusa in quanto disserta sul punto della applicabilità del nuovo articolo 258 senza però porre a fondamento della decisione tale dissertazione.
La sentenza inoltre non può tenere conto della intervenuta abrogazione del sistema Sistri operata dal DL. 138/2011.
 
La sentenza invero deciderà che il reato non sussiste in quanto i rifiuti trasportati non sono pericolosi e dunque non si pone il problema della applicabilità della pena di cui all’art. 483 c.p..(258) – (oggetto del contendere era l’accertato trasporto di veicoli destinati alla rottamazione, circostanza che il P.M. aveva classificato come trasporto di rifiuti in assenza di formulario. La Cassazione, invece, ha escluso che le automobili fossero rifiuti perché non erano veicoli fuori uso, essendo ancora dotati di targa e potendo essere ancora utilizzati).
 
Vero è che la Cassazione pone attenzione alla novella dell’art. 258.
 
La novella a ben leggere ha modificato la fattispecie legislativa nei suoi elementi costitutivi, cancellando il reato di trasporto di rifiuti in assenza di formulario e sostituendolo con l’illecito di trasporto in assenza di copia cartacea della scheda di movimentazione SISTRI (la cui sanzione è statuita all’art. 260 bis T.U.A., oggi abrogato dal DL 138/2011).
La Dottrina si è già espressa, sollevando la questione affinché il Parlamento prendesse provvedimenti e suggerendo nelle more una soluzione di buon senso:continuare cioè l’applicazione del vecchio Codice Ambientale fintanto che il SISTRI non fosse divenuto operativo.
 
La sentenza dunque ha il merito di porre riflessione sulla applicazione dell’art. 258 comma 4 anche alle fattispecie contestate precedentemente alla entrata in vigore della nuova formulazione dlel’art. 258 (25.12.2010).
 
 
 
 

ART. 258 COMMA 4 vigente fino al 24/12/2010 ART. 258 COMMA 4 
vigente al 25/12/2010
Chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il formulano di cui all’articolo 193ovvero indica nel formulano stesso dati incompleti o inesatti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi. 
….
Le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI) di cui all’articolo 188-bis, comma 2, lettera a), ed effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto

 

adminRifiuti: Trasporto rifiuti senza FIR – non è reato?
Leggi Tutto

Reati ambientali – Responsabilità delle imprese

(Dlgs. n. 231/01)
Approvato schema di Decreto Legislativo che estende la responsabilità delle  imprese ai reati ambientali.

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


 
In data 7 aprile 2011, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, schema di Dlgs che estende la responsabilità amministrativa delle imprese (prevista dal decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231) agli illeciti commessi in violazione delle norme a protezione dell’ambiente.
 
Il provvedimento recepisce la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonchè la direttiva 2009/123/CE, che modifica la direttiva 2005/35/CE, relativa all’inquinamento provocato dalle navi.
 
Si ricorda che la previsione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie ed interdittive alle società per la commissione di reati ambientali ; e ciò a prescindere dalla responsabilità effettiva della pesrona fisica che ha causato il reato. Il legame tra persona fisica e persona giuridica resta delicato.
 
NUOVI REATI
Si ipotizza la formulazione di nuovi reati in misura molto ridotta rispetto alle precedenti proposte.
In particolare vengono introdotte due nuove fattispecie di reato nel codice penale:
1)   art. 727bis c.p.: sanziona la condotta di chi uccide, distrugge, preleva o possiede, fuori dai casi consentiti, esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette
2)   art. 733 bis (danneggiamento di habitat) sanziona chi distrugge o comunque deteriora in modo significativo un habitat all’interno di un sito protetto.
 
Viene esteso, inoltre, il campo di applicazione del decreto 231/2001 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche” che ha introdotto nel nostro ordinamento il concetto di responsabilità dell’impresa per reati commessi da propri dipendenti. Inizialmente circoscritto agli illeciti commessi nei rapporti tra aziende ed amministrazione pubblica, il provvedimento è stato poi esteso successivamente ai reati societari, finanziari e di sicurezza sul lavoro fino a ricomprendere, con lo schema di Dlgs in oggetto, i reati ambientali.
 
Il provvedimento, che passerà ora all’esame del parlamento, conferma il sistema sanzionatorio articolato in misure pecuniarie per quote modulari lasciando al giudice la possibilità di valutare la reale gravità della condotta (ogni quota va da un minimo di 258 euro a un massimo di 1549 euro).
 
PARTE II – AIA
Anche la violazione dell’art. 29 – quattordecies il legislatore prevede la responsabilità dell’ente con la sanzione pecuniaria fino a 250 quote.
 
PARTE IV RIFIUTI
Per quanto riguarda in particolare la Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicanoall’ente le sanzioni pecuniarie per i reati di cui:
–      articolo 256 “Attività di gestione di rifiuti non autorizzata”,
–      articolo 257 “Bonifica dei siti”,
–      articolo 258 “Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari”,
–      articolo 259 “Traffico illecito di rifiuti”,
–      articolo 260 “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”
–      articolo 260-bis “Sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti – Sistri”.
 
SANZIONI INTERDITTIVE
A completare l’intero panorama ci sono le sanzioni interdittive che si affiancano alle quote stabilendo misure possibili, in via preventiva, che possono arrivare sino al commissariamento dell’ente, alla sospensione della sua attività oppure al divieto di pubblicità ed alla revoca delle autorizzazioni o licenze. L’interdizione può essere definitiva se l’ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
 
L’introduzione della responsabilità da reato delle persone giuridiche anche per i reati ambientali
porrà alle imprese (quelle che valuteranno il rischio rappresentato dalla possibile realizzazione, durante la propria attività imprenditoriale, di uno dei reati introdotti dal decreto legislativo) l’onere di implementazione del proprio modello organizzativo, che dovrà essere idoneo alla prevenzione dell’evento vietato. Il modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, può essere inteso come il complesso delle regole interne dell’ente previste per lo svolgimento delle attività “sensibili” (nelle quali sia astrattamente ravvisabile un rischio reato) e per le funzioni di organizzazione e controllo specificatamente previste da quest’ultima normativa (costituzione e funzionamento dell’organismo di vigilanza, e quant’altro previsto negli artt. 6 e 7, D.Lgs. n. 231/2001).
 
Si ricorda che:

  • sul piano normativo, è la qualità del modello che viene ad assumere un aspetto rilevante; infatti, l’esonero di responsabilità per le persone giuridiche è espressamente collegato alla previa «adozione ed efficace attuazione» di modelli organizzativi idonei a evitare reati della specie di quello verificatosi;
  • sul piano contenutistico, è prioritaria, in ordine razionale, l’esigenza di individuare i profili di rischio reato attraverso un’attività di risk assessment.

 

adminReati ambientali – Responsabilità delle imprese
Leggi Tutto

FANGHI: rifiuti e reato di deposito incontrollato

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati


 
La Corte di Cassazione ,con sentenza resa all’udienza del 12.1.2011, n. 28, ha precisato la portata dell’art. 127 D. Lgs. 152/2006[1] e la disciplina applicabile ai fanghi .
Si precisa che l’art. 127 (modificato dal Dlgs. 4/08) non è stato novellato dal correttivo alla parte III del D. Lgs. 152/06 .
 
La Suprema Corte era stata adita dal Sindaco di un Comune, indagato ex art. 256 comma 2 D. Lgs. 152/2006 (deposito incontrollato di rifiuti) perché la Procura aveva accertato la presenza di cumuli di fanghi essiccati di vegetazione spontanea all’interno dell’impianto di depurazione di acque reflue comunale .
 
L’impianto era stato oggetto di sequestro preventivo, contro il quale il Sindaco aveva presentato prima istanza di riesame e, stante il rigetto della stessa, aveva poi adito la Corte.
 
Il sindaco si difendeva allegando di essere provvisto della autorizzazione per lo smaltimento e lo scarico delle acque reflue, procedimento che di fatto “inglobava lo stoccaggio dei fanghi, che non erano altro che il prodotto della prima fase di smaltimento”.
 
Ebbene con sentenza n. 28/2011 la Cassazione accoglie il ricorso e dichiara la “carenza assoluta e radicale della motivazione dell’ordinanza” resa dal Tribunale di Riesame, che aveva rigettato l’opposizione del Sindaco. Il Tribunale invero riteneva sussistere il reato di deposito incontrollato dalla mera presenza dei fanghi; presenza di per sé bastevole, a detta del Tribunale, a dimostrare il fumus del reato contestato (cioè la fondata probabilità dei presupposti per una condanna).
 
I Giudici della Suprema Corte ritengono, invece, non sufficiente per integrare il reato di deposito incontrollato la mera presenza dei fanghi; richiedono  effettiva indagine in relazione alla natura ed alla provenienza dei fanghi, in quanto “i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”.
Continua la Cassazione evidenziando che il Tribunale di riesame non ha accertato se i fanghi ritrovati nelle vasche annesse ai depuratori fossero proprio quelli esitati al termine del processo di trattamento della acque reflue


[1] Art. 127 D. Lgs. 152/2006 Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue
 
1. Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato (1).
2. È vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre.

 

adminFANGHI: rifiuti e reato di deposito incontrollato
Leggi Tutto

Videoregistrazioni e deposito rifiuti – Cassazione penale n. 2089/2010

Il titolare di una società (A) veniva condannato per abbandono di rifiuti ex art. 256 Dlgs. n. 152/2006 ss.m. in quanto provvedeva al deposito di rifiuti proveniente dalla propria attività (pallet, cellophane ecc..) nell’area antistante alla officina gestita da altra società (B).
La società (B), stante il continuo deposito di materiali avanti alla propria area di proprietà, provvedeva a videoregistrare e monitorare l’area individuando così il responsabile dell’abbandono.
In sede di giudizio penale la società (A) contestava proprio le videoregistrazioni in quanto lesive della privacy e da ritenersi quali “intercettazioni” che dovevano essere autorizzate dlla Autorità Giudiziaria ex art. 266 c.p.p..
La Suprema Corte provvedeva a valutare la differente utilizzabilità processuale delle “prove documentali”, che non necessitano di autorizzazione alcuna da parte della autorità, e delle “intercettazioni” che per loro natura, essendo potenzialmente lesive anche della privacy, devono trovare idonea giustificazione ed autorizzazione dell’autorità
Ebbene la Corte ha affermato che le videoregistrazioni di un’area, anche se di proprietà privata, non recintata , aperta al pubblico passaggio non sono lesive della libertà morale delle persone coinvolte nelle stesse. Le videoregistrazioni, eseguite in tale ambito, non sono da considerarsi “intercettazioni” bensì prove documentali ex art. 234 c.p.p. per le quali non è necessaria alcuna autorizzazione ex art. 266 c.p.p.
La Corte dunque conferma la natura di prova documentale (producibile in giudizio) delle videoriprese effettuate per registrare un reato in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Ed invero colui che commette reato in luogo pubblico o aperto al pubblico rinuncia implicitamente alla propria riservatezza.
 

adminVideoregistrazioni e deposito rifiuti – Cassazione penale n. 2089/2010
Leggi Tutto

Trasporto occasionale di rifiuti propri non pericolosi senza iscrizione Albo gestori

… è reato.
(Cassazione penale n. 9465 del 3.3.2009)
A cura dell’avv. Cinzia Silvestri
L’art. 212 comma 8 Dlgs. n. 152/2006 (come modificato dal Dlgs. n. 4/2008) stabilisce che le disposizione di cui al comma 5 (iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali), 6 (rinnovo iscrizione) e 7 (garanzie)  non si applicano :
1) ai produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti;
2) ne’ ai produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto di 30 Kg. o 30 litri al giorno dei propri rifiuti pericolosi
a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti…
Il legislatore introduce, dunque, un regime agevolato che prevede l’iscrizione in apposita sezione dell’Albo.
L’iscrizione agevolata – che non richiede ad esempio la prestazione di garanzie, il controllo sulla capacità finanziaria e la nomina del responsabile tecnico – è riferibile a quelle imprese che producono rifiuti propri (nelle ipotesi sopra descritte) e nell’ambito della propria organizzazione d’impresa .
La produzione del rifiuto proprio deve essere parte integrante ed accessoria dell’organizzazione d’ impresa.
Tale condizione, necessaria per poter ottenere la iscrizione agevolata, apre dibattito sulla questione del trasporto occasionale o che riguardi rifiuti propri ma non preventivabili in seno al ciclo produttivo.
Ed invero l’art. 212 sembra indicare l’obbligo ordinario o agevolato della iscrizione all’Albo a coloro che comunque svolgono un attività regolare e continuativa, tant’è che l’assenza di tale presupposto permette di ipotizzare che la produzione di rifiuto proprio “occasionale” esenta la società da ogni iscrizione all’Albo.
La sentenza  , invece, afferma che qualora una società produca rifiuti propri non pericolosi ma con carattere di occasionalità e in modo non preventivabile all’origine è sempre tenuta alla iscrizione all’Albo in via agevolata o in via ordinaria .
In ogni caso qualora il rifiuto proprio esuli dall’ambito descritto dal comma 5 dell’art. 212 Dlgs. n. 152/2006 ss.m. ovvero non sia riconducibile alla attività svolta dall’impresa e, dunque, sia “occasionale”, la società non può mai operare il trasporto con mezzi propri ma deve rivolgersi a società regolarmente autorizzate ed iscritte all’Albo.
Ed invero l’eventuale trasporto operato integra il reato di cui all’art. 256 comma 1 Dlgs. 152/2006 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata).
 

adminTrasporto occasionale di rifiuti propri non pericolosi senza iscrizione Albo gestori
Leggi Tutto