AIA e conferenza servizi

AIA e Conferenza Servizi
TAR Calabria 1345 del 8/11/2011
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
 
La sentenza del TAR Calabria applica la disciplina del Dlgs. 59/2005 ma contiene utili spunti di chiarimento sul rapporto tra le varie procedure VIA, VAS e AIA nel sistema previgente (Dlgs. 59/2005) e in quello oggi vigente (Dlgs. 152/2006 come riformato dal Dlgs. 128 del 29/6/2010).
La sentenza decide infine la causa precisando la natura del parere negativo reso dalla Conferenza di servizi e sulla natura decisoria od istruttoria “della Conferenza”.
LA SENTENZA
Con ricorso veniva impugnato il parere negativo reso a conclusione della Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale, indetta a seguito dell’istanza ai sensi dell’art. 5 D. Lgs. n. 59/2005, per la realizzazione, di una piattaforma depurativa di reflui speciali non pericolosi, a ridosso della zona industriale, accanto ad una cava per l’estrazione della sabbia nonché ad un impianto di depurazione a servizio degli insediamenti produttivi, in area ancora formalmente normata come “zona agricola”.
Il TAR affronta la eccezione di inammissibilità del ricorso, in quanto interposto avverso una determinazione assunta a conclusione di una conferenza di servizi, non ancora trasfusa in un provvedimento finale.
SI DISCUTE DUNQUE sulla determinazione decisoria o istruttoria della Conferenza di Sevizi.
 1) Conferenza di tipo istruttorio
Nel caso che occupa, viene impugnato il parere negativo reso dalla Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale e  trova applicazione la disciplina di cui al D.L.vo n. 59 del 2009, in base al principio “tempus regit actum” riveniente dall’art. 11 delle preleggi.
Il TAR – valutando il combinato disposto degli articoli 5 comma 10 (convocazione Conferenza Servizi) e comma 12 (rilascio autorizzazione) che si conclude con “l’autorizzazione integrata ambientale non può essere comunque rilasciata prima della conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale”nonché dell’art. 7 – conclude che “il parere … non conclude il procedimento inteso ad ottenere l’autorizzazione integrata ambientale (AIA), in quanto il modulo procedimentale rilevante, nel caso di specie, è quello della conferenza di tipo istruttorio e, quindi, non rappresenta un mezzo di manifestazione del consenso, quanto, piuttosto, un momento di emersione e di comparazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti.
In particolare, le Amministrazioni, chiamate ad esprimere il loro parere sugli insediamenti da realizzare, arricchiscono la visione e la ponderazione della scelta finale, che è, però, affidata, nel momento volitivo e decisionale, all’autorità regionale, competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale: di conseguenza, ad essa non si applicano le disposizioni volte a disciplinare l’eventuale dissenso delle Amministrazioni partecipanti in seno a conferenza di servizi avente competenze di tipo decisorio (Cons. Stato: Sez. VI, 4 giugno 2004 n. 3505; Sez. I , 13 dicembre 2010 36116).
Ne discende, per quanto rileva ai fini della definizione del presente giudizio, che il parere negativo reso dalla Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale …non si pone come atto conclusivo di un procedimento suscettibile di autonoma ed immediata impugnativa, ma si inserisce nel distinto procedimento unico che si sviluppa secondo le forme della conferenza di servizi, quale atto endoprocedimentale, che concorre alla determinazione conclusiva della conferenza stessa.
……Pertanto, nella specie, si appalesa inammissibile il gravame interposto avverso un atto endoprocedimentale, costituito dal parere negativo, … a conclusione della Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale, avviata su istanza della parte ricorrente …ai sensi dell’art. 5 D. Lgs. n. 59/2005, non ancora trafuso nel provvedimento finale di formazione della volontà dell’Autorità Amministrativa competente.
2) Dlgs. 59/2005
Prima di giungere alla decisione il TAR affronta alcuni punti.
Il Tar chiarisce che:”… l’autorizzazione integrata ambientale, prevista dalla Direttiva IPPC 96/61/C.E., introdotta in Italia dal D.L.vo n. 59 del 2005, è un provvedimento rilasciato a seguito di una istruttoria in cui vengono valutati tutti i possibili impatti di una certa attività sull’ambiente, unitariamente e contestualmente, a fini di semplificazione dell’azione amministrativa: infatti, essa sostituisce tutti i provvedimenti riportati nell’Allegato II tra cui
1)            Autorizzazione alle emissioni in atmosfera,
2)            Autorizzazione allo scarico di cui al D.L.vo 11 maggio 1999 n. 152,
3)            Autorizzazione alla realizzazione e modifica di impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti di cui al D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 art. 27).
Come la V.I.A., anche l’A.I.A. è uno strumento a carattere “preventivo e globale”.
…..L’art. 7 D.L.vo n. 59 del 2005 dispone che le informazioni o conclusioni pertinenti risultanti dall’applicazione della normativa sulla V.I.A. devono essere prese in considerazione per il rilascio dell’A.I.A.
 
AIA e VIA: differenze.
Il TAR precisa la differenza sostanziale tra le due procedure:
1)L’autorizzazione integrata ambientale è, quindi, un provvedimento che incide specificamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, mentre
2)  la procedura di V.I.A. investe, più propriamente, i profili localizzativi e strutturali.
 
Nel Dlgs. 59/2005 le due autorizzazioni (VIA ed AIA) e i due procedimenti, rimangono, distinti anche nel caso in cui uno stesso progetto debba essere sottoposto sia a V.I.A. che ad A.I.A..
 
3) Dlgs. 128/2010 (art. 10 Dlgs. 152/2006)
Con il D. Lgs. 29.6.2010 n.128 l’AIA viene, invece, ad affiancarsi alla valutazione ambientale strategica (V.A.S.) e alla valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), in tal modo eliminando una delle più macroscopiche anomalie del sistema previgente realizzando la disciplina unitaria e coerente delle autorizzazioni ambientali.
Attraverso una rilevante modifica dell’art. 10 del T.U., “sono stati poi meglio definiti i rapporti tra V.I.A. e A.I.A., in modo da evitare le duplicazioni e le disfunzioni che ancora connotavano il funzionamento dei due istituti.
La lettura dell’art. 10 D.Lgs. 152/06 è  utile per comprendere i rapporti con la VAS.
L’ultimo comma dell’art. 10 permette che nella elaborazione dell’impatto ambientale VIA possano essere impiegate le informazioni contenute nella relazione del rapporto ambientale e in particolare la documentazione e le conclusioni della VAS.
Si noti che  per il rilascio della VIA può essere impiegata l’istruttoria già eseguita per la VAS   “realizzando quella disciplina unitaria e coerente delle autorizzazioni ambientali che costituiva uno degli obiettivi dell’originaria legge delega 15.12.2004, n. 308” (TAR Campania, 8.11.2011, n. 1345).
Ed invero, l’art. 10 al comma 1 bis specifica che, in caso di richiesta congiunta di rilascio di VIA e AIA per impianti la cui valutazione spetta allo Stato, “lo studio di impatto ambientale e gli elaborati progettuali contengono anche le informazioni previste ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 29 ter e il provvedimento finale “ disponga altresì tutte le prescrizioni che l’AIA avrebbe contenuto in caso di istanza ad hoc.
La VIA e l’AIA, pur essendo entrambe provvedimenti a carattere “preventivo e globale”, sono infatti autonomi, in quanto “l’autorizzazione integrata ambientale è…un provvedimento che incide specificatamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, mentre la procedura di VIA investe più propriamente i profili localizzativi e strutturali” (TAR Campania, 8.11.2011, n. 1345).
 ______________________________________
Vero è che l’articolo 10, come modificato dal Dlgs. 128 del 29/6/2010, suggerisce la gerarchia tra le varie procedure di Via VAS e AIA evidenziando:
1)    Preminenza della Via sull’Aia (comma 1)
2)    La VIA può “assorbire “ l’AIA (comma 1)
3)    Aia coordinata nell’ambito dei procedimenti di VIA (comma 2)
4)    Casi di coincidenza di VIA e AIA (ma è la VIA che fa luogo dell’AIA)
Si riporta testualmente l’articolo oggi vigente:
10. Norme per il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti.
1. Il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale fa luogo dell’autorizzazione integrata ambientale per i progetti per i quali la relativa valutazione spetta allo Stato e che ricadono nel campo di applicazione dell’allegato XII del presente decreto. Qualora si tratti di progetti rientranti nella previsione di cui al comma 7 dell’articolo 6, l’autorizzazione integrata ambientale può essere richiesta solo dopo che, ad esito della verifica di cui all’articolo 20, l’autorità competente valuti di non assoggettare i progetti a VIA
1-bis. Nei casi di cui al comma 1, lo studio di impatto ambientale e gli elaborati progettuali contengono anche le informazioni previste ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 29-ter e il provvedimento finale le condizioni e le misure supplementari previste dagli articoli 29-sexies e 29-septies del presente decreto. Qualora la documentazione prodotta risulti incompleta, si applica il comma 4 dell’articolo 23
1-ter. Nei casi di cui al comma 1, il monitoraggio e i controlli successivi al rilascio del provvedimento di valutazione di impatto ambientale avviene anche con le modalità di cui agli articoli 29-decies e 29-undecies
2. Le regioni e le province autonome assicurano che, per i progetti per i quali la valutazione d’impatto ambientale sia di loro attribuzione e che ricadano nel campo di applicazione dell’allegato VIII del presente decreto, la procedura per il rilascio di autorizzazione integrata ambientale sia coordinata nell’ambito del procedimento di VIA. È in ogni caso disposta l’unicità della consultazione del pubblico per le due procedure. Se l’autorità competente in materia di VIA coincide con quella competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, le disposizioni regionali e delle province autonome possono prevedere che il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale faccia luogo anche di quella autorizzazione. In questo caso, si applica il comma 1-bis del presente articolo
3. La VAS e la VIA comprendono le procedure di valutazione d’incidenza di cui all’articolo 5 del decreto n. 357 del 1997; a tal fine, il rapporto ambientale, lo studio preliminare ambientale o lo studio di impatto ambientale contengono gli elementi di cui all’allegato G dello stesso decreto n. 357 del 1997 e la valutazione dell’autorità competente si estende alle finalità di conservazione proprie della valutazione d’incidenza oppure dovrà dare atto degli esiti della valutazione di incidenza. Le modalità di informazione del pubblico danno specifica evidenza della integrazione procedurale.
4. La verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 20 può essere condotta, nel rispetto delle disposizioni contenute nel presente decreto, nell’ambito della VAS. In tal caso le modalità di informazione del pubblico danno specifica evidenza della integrazione procedurale.
5. Nella redazione dello studio di impatto ambientale di cui all’articolo 22, relativo a progetti previsti da piani o programmi già sottoposti a valutazione ambientale, possono essere utilizzate le informazioni e le analisi contenute nel rapporto ambientale. Nel corso della redazione dei progetti e nella fase della loro valutazione, sono tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della VAS
 
 

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Cancellazione iscrizione ex art. 212 co. 8 Dlgs. 152/2006

CANCELLAZIONE iscrizione ex art. 212 co. 8 Dlgs. 152/2006 – scadenza al 25.12.2011

 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi

L’art. 212 comma 8 come sostituito dal dlgs. 205/2010 prevede che :
“I produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonche’
i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi in quantita’ non eccedenti trenta chilogrammi o trenta litri al giorno,
non sono soggetti alle disposizioni di cui ai commi 5, 6, e 7 a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti..
Detti soggetti
1)   non sono tenuti alla prestazione delle garanzie finanziarie e
2)    sono iscritti in un’apposita sezione dell’Albo in base alla presentazione di una comunicazione alla sezione regionale o provinciale dell’Albo territorialmente competente che rilascia il relativo provvedimento entro i successivi trenta giorni.
Con la comunicazione l’interessato attesta sotto la sua responsabilita’, ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 241 del 1990:
a) la sede dell’impresa, l’attivita’ o le attivita’ dai quali sono prodotti i rifiuti;
b) le caratteristiche, la natura dei rifiuti prodotti;
c) gli estremi identificativi e l’idoneita’ tecnica dei mezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti, tenuto anche conto delle modalita’ di effettuazione del trasporto medesimo;
d) l’avvenuto versamento del diritto annuale di registrazione di 50 euro rideterminabile ai sensi dell’articolo 21 del decreto del Ministro dell’ambiente 28 aprile 1998, n. 406.
L’iscrizione deve essere rinnovata ogni 10 anni e l’impresa e’ tenuta a comunicare ogni variazione intervenuta successivamente all’iscrizione.
Le iscrizioni di cui al presente comma, effettuate entro il 14 aprile 2008 ai sensi e per gli effetti della normativa vigente a quella data, dovranno essere aggiornate entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione .
 SCADENZA ENTRO IL 25.12.2011.
Con deliberazione del 26 ottobre 2011 il Comitato Nazionale dell’Albo ha disposto che le imprese che non abbiano presentato richiesta di aggiornamento dell’iscrizione entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 dicembre 2010 n. 205 (e quindi entro il 25 dicembre 2011) saranno cancellate d’ufficio dall’Albo, ritenendo che la mancata presentazione del rinnovo debba essere considerata quale “mancanza di interesse al permanere dell’iscrizione” .
Dando seguito all’attuazione di tale disposizione il Comitato, con delibera del 16 dicembre 2011 ha precisato che le Sezioni Regionali dell’Albo dovranno deliberare entro e non oltre il 20 gennaio 2012  la cancellazione di quelle imprese iscritte all’Albo che non abbiano provveduto a presentare domanda di aggiornamento dell’iscrizione entro il 27 dicembre 2011. Le Sezioni regionali ne daranno poi comunicazione al Comitato che, anche ai fini della comunicazione agli interessati, adotterà una delibera ricognitiva dei provvedimenti di cancellazione, il cui comunicato sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Infine il Comitato ha specificato che:
1) le imprese che non abbiano provveduto a presentare la richiesta di rinnovo dell’iscrizione entro il 27 dicembre 2011 saranno cancellate d’ufficio a decorrere dalla data di pubblicazione in G.U. del comunicato sopra richiamato.
2) non saranno prese in considerazione le domande inviate successivamente al 27 dicembre
3) le imprese  che abbiano presentato la domanda di aggiornamento entro il termine previsto potranno continuare ad operare fino alla notifica del provvedimento di aggiornamento dell’iscrizione o del provvedimento di rigetto della domanda con conseguente cancellazione dall’Albo.
Per completezza d’informazione si allega il testo integrale della deliberazione 


Allegato I: Albo gestori comunicazione  Albo 16 dicembre 2011

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Sicurezza: ambienti sospetti di inquinamento

Tutela della salute e sicurezza negli “ambienti confinati”
DPR 14 settembre 2011 n.177 – in vigore dal 23 novembre  2011
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
E’ stato pubblicato il D.P.R. 14 settembre 2011 n. 177 sul “Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell’art. 6 comma 8  lett. g)  del d.lgs. 81/08” (Gazzetta Ufficiale n. 260 dell’8 novembre 2011)
Il provvedimento, approvato dal Consiglio dei Ministri nell’agosto scorso (entrerà in vigore il prossimo 23 novembre (decorsi cioè i quindici giorni dalla sua pubblicazione in G.U.).
Si richiamano di seguito le principali disposizioni introdotte dal decreto in parola.
Il regolamento si applica ai lavori in ambienti sospetti di inquinamento di cui agli articoli 66 (pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie,  caldaie, cisterne),  121  (scavi)  e negli ambienti confinati di cui all’allegato IV punto 3  del d.lgs. 81/08 (vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti e silos).
Secondo quanto previsto dall’art. 2, per svolgere un’attività lavorativa in ambienti confinati, le imprese o i lavoratori autonomi devono possedere come requisiti:
1)  essere in regola con le disposizioni riguardanti la valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria e gestione delle emergenze; 2) nel caso di imprese familiari e lavoratori autonomi obbligatorietà della formazione e sorveglianza sanitaria; 3) presenza di personale (in percentuale non inferiore al 30%) con esperienza almeno triennale in “ambienti confinati”, assunta con contratto di lavoro subordinato o con altri contratti (in tal caso certificati ai sensi del D.lgs. 276/03); 4) aver ricevuto specifica formazione e informazione compresa l’attività di addestramento di tutto il personale – incluso il datore di lavoro – relativamente all’applicazione delle procedure di sicurezza; 5) possedere dispositivi di protezione individuale (es. maschere protettive, imbracature di sicurezza) e una strumentazione e attrezzature di lavoro (es. rilevatori di gas, respiratori etc.)  idonei a prevenire i rischi propri di tali attività lavorative; 6) rispetto integrale degli obblighi in materia  di Documento Unico di regolarità Contributiva (DURC) e relativi alla parte normativa ed economica della contrattazione collettiva di settore
Il subappalto è consentito solo a condizione che sia espressamente autorizzato dal datore di lavoro committente, che dovrà anche verificare  il possesso da parte dell’impresa subappaltatrice dei requisiti di qualificazione;
Quando i lavori siano svolti tramite  appalto, deve essere garantito  che, prima dell’accesso nei luoghi di lavoro, tutti i lavoratori che verranno impegnati nell’attività siano puntualmente e dettagliatamente informati dal datore di lavoro committente dei rischi che possono essere presenti nell’area di lavoro;
Il datore di lavoro committente è inoltre tenuto ad individuare un proprio rappresentante, adeguatamente formato e addestrato, incaricato di vigilare sulle attività lavorative e con funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività svolte dai lavoratori impiegati dalla impresa appaltatrice o dai lavoratori autonomi, per limitare i rischi da interferenze.
Durante tutte le fasi di lavorazioni in “ambienti confinati”  deve essere adottata una procedura di lavoro specificamente diretta ad eliminare o quantomeno a ridurre al minimo i rischi propri dell’attività e che consenta, in caso di necessità, un intervento immediato del Servizio Sanitario nazionale e dei Vigili del Fuoco.
Il mancato rispetto di tutte le disposizioni previste dal D.P.R.  comporterà il venir meno della qualificazione necessaria da parte delle imprese per operare in ambienti confinati.
Per completezza di informazione si allega il testo integrale del provvedimento  DPR n. 177/2011
 

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TIA e TARSU: abrogazione al 2013?


 TIA E TARSU: abrogazione al 2013? Nuovo Tributo: R.E.S. (Rifiuti e Servizi)

 a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi

 Il Consiglio dei ministri del 24 ottobre u.s., ha approvato, in prima lettura, schema di decreto legislativo (Allegato I) che incide anche sul Dlgs. del 14.3.2011 n. 23 inserendo dopo l’art. 14 … l’intera disciplina relativa a nuovo tributo chiamato RES (Rifiuti e Servizi).

RES che accorpa, innova, interpreta e rielabora la TIA e la TARSU1 (..abrogandole).

 Le disposizioni fissano al 1° gennaio 2013 l’entrata in vigore del TRIBUTO COMUNALE RIFIUTI E SERVIZI (RES). Il futuro tributo comprende, oltre alla quota ambientale per lo smaltimento dei rifiuti, anche una quota “servizi” per la sicurezza, l’illuminazione e la gestione delle strade (manutenzione, pulizia).

 La componente “rifiuti” assomiglierà più alla Tariffa di igiene ambientale (TIA) che alla Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) nonostante entrambe risultino abrogate dall’entrata in vigore del Res. La nuova tariffa dovrà essere determinata, infatti, da determinarsi attraverso un regolamento da emanarsi entro il 31 ottobre 2012, sarà proporzionata “alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotte per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte” mentre la componente “servizi” sarà calcolata in base al valore dell’immobile attraverso un’aliquota comunale.

 Res: rifiuti – La nuova tariffa si comporrà :

  1. rifiuti: pagati da chiunque possegga, occupa o detiene a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte s

    uscettibili di produrre rifiuti. Il pagamento della tariffa sarà annuale e proporzionato alla quantità e qualità media ordinaria di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte.

    Tariffe determinate tenendo conto della quota relativa al costo del servizio e di quella rapportata alla quantità di rifiuti relativi al servizio fornito e ai costi di gestione.

  2. I Comuni, inoltre, potranno decidere di diminuire la tariffa o anche di prevedere agevolazioni o esenzioni in caso di ridotta produzione di rifiuti e prevedere agevolazioni per situazioni di particolare disagio sociale (ad esempio casi di particolare difficoltà economiche). I comuni più all’avanguardia che hanno realizzato sistemi di misurazione della quantità di rifiuti conferiti potranno applicare una tariffa «avente natura corrispettiva». Ma questa norma (art.14 undecies inserito dal dlgs correttivo all’interno del decreto legislativo n.23/2011) è stata oggetto di critiche da parte del Ministero dell’Ambiente e potrebbe essere modificata. In un parere (Allegato II) inviato a palazzo Chigi e al Ministero dell’Economia, il Ministero dell’Ambiente ha sollevato dubbi, in particolare, su quale sia l’amministrazione centrale a cui spetterà redigere il regolamento che metterà nero su bianco i criteri per determinare il costo del servizio. In sede comunitaria, fa notare il Ministero, «risulta controverso se il modello della liquidazione esatta dei costi debba essere applicato allo smaltimento dei rifiuti urbani». Una causa su questo punto è tutt’ora pendente davanti alla Corte di giustizia Ue. Inoltre, se il Res si configurasse come tariffa (e dunque come prelievo di natura non tributaria), ci sarebbe più di un dubbio sulla sua conformità con i criteri direttivi della legge delega sul federalismo (n.42/2009) che fa riferimento solo alla razionalizzazione della fiscalità degli enti. Qualora invece la bozza di dlgs tendesse a fare del Res un tributo, emergerebbero «alcuni profili di estrema criticità» con riferimento alla normativa in materia di servizi pubblici locali.

    Res: servizi – Res avrà come presupposto l’occupazione, a qualsiasi titolo (quindi non solo proprietà ma anche locazione, uso, usufrutto ecc.) di immobili ad uso abitativo (classificati alle categorie catastali da A1 a A9) da parte di soggetti anagraficamente residenti nel territorio del comune. Questa quota della nuova “service tax” sarà dovuta da tutte le persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio del comune che occupano fabbricati. La base imponibile del Res, limitatamente alla componente relativa ai servizi indivisibili, sarà il valore dei fabbricati e delle relative pertinenze determinato moltiplicando per 100 la rendita catastale. A questa cifra si applicherà un’aliquota definita dal consiglio comunale. Anche in questo caso sono previste agevolazioni e riduzioni in base al reddito e al numero di familiari a carico. Per esempio, stando alla prima bozza di decreto, viene stabilita una no tax area per i residenti il cui reddito non superi il primo scaglione dell’Irpef (15 mila euro). C
    ostoro non pagheranno nulla, ma il diritto all’esenzione verrà meno se la somma dei redditi dei soggetti che vivono sotto lo stesso tetto supera tale soglia. Per chi vive in affitto e ha un reddito complessivo a livello di nucleo familiare non superiore al limite previsto per il secondo scaglione Irpef (28 mila euro) il tributo sarà ridotto della metà. Lo stesso dicasi per i proprietari (o titolari di diritto di usufrutto, uso, abitazione o superficie) già assoggettati ad Ici o Imu.

Per quanto riguarda gli adempimenti, i contribuenti dovranno presentare la dichiarazione relativa alla «Res» entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di inizio del possesso. La riscossione potrà essere affidata anche all’ente erogatore dell’energia elettrica. E nel caso in cui il contribuente non paghi il tributo per due volte consecutive, l’ente gestore potrà arrivare alla sospensione dell’energia elettrica.

 11Vale la pena di ricordare che la TARSU trova disciplina nel Dlgs. 507/93 ed è applicata dai Comuni quale tassa per il costo del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani oltre che per lo spazzamento delle strade pubbliche; la tassa si parametra alla superficie dei locali di abitazione e di attività dove possono avere origine rifiuti di varia natura.

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V.I.A.: Regione Veneto

 
REGIONE VENETO – V.I.A. – DGRV 1539/2011
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
La  procedura VIA ha subito due importanti interventi legislativi che hanno rielaborato interamente l’istituto dapprima con il Dlgs. 16.1.2008 n. 84 e da ultimo con Dlgs. 128/2010 (in vigore dal 28.8.2010).
Ebbene la Regione adegua la propria normativa (LRV 10/999) al Dlgs. 128/2010 (Dlgs. 152/2006) con DGRV n. 1539 del 27.9.2011.
Il testo riformato del Dlgs. 152/2006 (art. 35 comma 1) prevede che le Regioni, laddove necessario ADEGUANO il proprio ordinamento alle disposizioni del Dlgs. 152/2006 entro 12 mesi dall’entrata in vigore (ovvero entro il 28.8.2011).
In mancanza di norme vigenti regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al Dlgs. 152/2006 (come riformato).
Continua l’art. 35 al comma 2: Trascorso il termine di cui al comma 1 (28.8.2011) trovano diretta applicazione le disposizioni del presente decreto, ovvero le disposizioni regionali IN QUANTO COMPATIBILI.
Il legislatore Statale dunque affida alle Regioni il solo potere di adeguamento e di compatibilità .
Ne discende che eventuali norme “innovative” delle Regioni – non compatibili con il dettato Statale – non possono essere prese in considerazione.
Vero è che l’intervento della Regione di adeguamento, che sembra essere anche tardivo rispetto alla data del 28.8.2011, avviene tramite una DGRV (Delibera di Giunta 1539/2011 del 27.9.2011 in BURV n. 76 dell’11.10.2011)
La lettura della DGRV deve essere considerata una sorta di Linea Guida (priva di valore  modificativo sia a livello di legge regionale che Statale)…la DGRV  secondo la gerarchia delle fonti, non può modificare un atto legislativo (anche Regionale).
L’intento della Delibera di Giunta è apprezzabile perché cerca di indicare ciò che resta della Legge Regionale.
Tuttavia non bisogna dimenticare che il dettato Regionale non è legge (tantomeno tramtite DGRV) e dunque eventuali indicazioni che permettano il permanere di disposizioni incompatibili con il dettato Statale …. sono sempre contestabili e non applicabili.
Lo Studio Legale  Ambiente offre in allegato breve lettura della LRV n. 10/99 oggi vigente a mezzo di prospetto finalizzato alla semplice visione del testo (senza alcun valore ufficiale).
Il testo è tratto dal sito della Regione Veneto.
L.R.V n.10/99

adminV.I.A.: Regione Veneto
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Sacchetti di plastica: Produzione, Commercializzazione ed Utilizzo Le novità del quadro normativo

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


Si ritiene utile presentare un riepilogo del quadro normativo europeo e nazionale, relativo alla produzione, commercializzazione ed utilizzo dei sacchetti in plastica.

Il fine della sintesi proposta è quello di informare il sistema, chiarendo alcuni aspetti particolarmente critici circa le novità che diventeranno operative a partire dal 1 gennaio 2011 (relativamente al divieto alla produzione, commercializzazione ed utilizzo dei sacchetti in plastica non biodegradabili così come definiti dalla norma tecnica EN 13432).
La norma europea EN 13432 “Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione”, adottata anche in Italia con la denominazione UNI EN 13432, definisce le caratteristiche che un materiale deve possedere per poter essere definito “compostabile”:
–         Biodegradabilità, ossia la conversione metabolica del materiale compostabile in anidride carbonica;
–         Disintegrabilità, cioè la frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale (assenza di contaminazione visiva);
–         Bassi livelli di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost (esempio: riduzione del valore agronomico e presenza di effetti ecotossicologici sulla crescita delle piante).
L’inquinamento dei sacchetti è duplice: c’è il problema dello smaltimento e quello della produzione. Si stima, infatti, che per produrne 200 mila tonnellate vengano bruciate 430  mila tonnellate di petrolio. Le alternative esistono e sono i sacchetti di tela e cotone o i sacchetti di carta riciclata capaci di portare fino a 7 kg di peso ma c’è di più. Sono gli ecoshopper che dovranno essere realizzati in bio plastica ricavata da olio di girasole, amido di mais e da altre materie vegetali e dovranno essere riutilizzabili.
La norma UNI EN 13432 è una norma armonizzata, ossia fornisce presunzione di conformità alla Direttiva Europea 2004/12/CE che modifica la direttiva 94/62/CE 94/62 EC, sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio.
I dettami di tali disposizioni sono stati recepiti dalla “Finanziaria 2007” Legge 27 dicembre 2006 n.296. In particolare si riportano i due commi dell’art.1 specificatamente dedicati a tale tematica:
“1129. Ai fini della riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, del rafforzamento della protezione ambientale e del sostegno alle filiere agroindustriali nel campo dei biomateriali, è avviato, a partire dall’anno 2007, un programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l’asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili. 1130. Il programma di cui al comma 1129, definito con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del Mare e con il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, è finalizzato ad individuare le misure da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1 gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario.”
All’art. 23, del Decreto  decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, (nella Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 150 del 1 luglio 2009), coordinato con la legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, recante: «Provvedimenti anticrisi, nonche’ proroga di termini, viene introdotto il comma 21-novies che proroga al 1° gennaio 2011 il termine originariamente previsto al 1° gennaio 2010 che vieta la commercializzazione dei sacchetti non biodegradabili.
Ciò in quanto non è ancora stato definito il programma (da notificarsi in sede comunitaria)  che dovrà prevedere specifiche misure  da introdurre nell’ordinamento per avviare una graduale dismissione di tali sacchetti.
La confusione intorno alla ipotetica messa al bando, dal 1 gennaio 2010, dei sacchetti in plastica parte dalla Legge Finanziaria 2007 che prevedeva, ai commi 1129 1130, l’avvio di un programma sperimentale volto alla progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l’asporto delle merci non biodegradabili, nonché il rinvio a due decreti ministeriali, mai pubblicati, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge (quindi, entro il 30 aprile 2007); questi avrebbero dovuto individuare misure “da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1 gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci”.
Il Ministero – si legge nella circolare FGP – ha precisato che sono emerse difficoltà a formulare, entro aprile 2007 (data indicata dalla Finanziaria per l’emanazione dei decreti, ndr), il programma sperimentale per la progressiva riduzione dell’immissione in commercio di sacchetti in materiali non biodegradabili. Peraltro, ha dichiarato il Ministero, sono stati valutati gli effetti della norma sull’assetto produttivo, cui hanno fatto seguito valutazioni che hanno indotto a ritenere necessaria la determinazione di un più ampio periodo di transizione rispetto ai tre anni indicati dalla norma.
Nelle intenzioni del legislatore, lo slittamento di un anno dovrebbe, quindi, consentire di adeguare le strutture produttive e distributive alla nuova disciplina considerata “la non semplice definizione sul piano operativo del programma” e per consentire, si legge nella relazione “un impatto morbido sul sistema produttivo e di distribuzione commerciale”.
 

adminSacchetti di plastica: Produzione, Commercializzazione ed Utilizzo Le novità del quadro normativo
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Sicurezza: infortunio sul lavoro e responsabilità direttore

Corte di Cassazione Sentenza 3 febbraio 2011, n. 4106
a cura di avv. Cinzia Silvestri


Precisare le responsabilità in caso di infortunio sul lavoro non è semplice tanto più in aziende di grandi dimensioni.
La sentenza in esame evidenzia proprio questa difficoltà laddove la corretta valutazione della responsabilità ha dovuto attraversare tre gradi di giudizio.
Merito della sentenza è la valutazione della posizione sostanziale di ogni figura rispetto agli obblighi di prevenzione.
Laddove esista figura destinata al controllo e direzione di un certo settore, anche nella gestione dei lavoratori e del lavoro , pur non essendo RSPP , esiste un obbligo diretto a provvedere alla sicurezza laddove, si intende, esista, quantomeno, un budget di intervento, un certo potere decisionale.
La sentenza elude la questione della delega aziendale e ne prescinde in quanto ritiene che esista un obbligo diretto, e non delegato dal datore di lavoro.
Laddove, infatti, al fine della sicurezza dei lavoratori l’intervento anche economico (come l’acquisto di una scaletta) rientri nel budget del direttore assegnato alla filiale questi è tenuto, per proprio dovere e nell’ambito dei suioi poteri, ad intervenire a tutela della sicurezza.
La responsabilità non può dunque essere imputata al datore di lavoro, in quanto tale, solo perchè non è stata provata la esistenza di una delega o perchè non era stato nominato RSPP.
La sentenza della Cassazione, dunque, esonera il datore di lavoro dalla responsabilità ed onera invece il direttore di filiale per non essere intervenuto all’acquisto della scaletta nell’ambito del suo potere di spesa e decisionale.
****
In particolare:
Veniva condannato con sentenza del Tribunale alla pena di mesi due di reclusione per il reato di lesioni colpose in seguito ad infortunio sul lavoro in quanto responsabile di avere omesso, in qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della ditta, “…di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate, in particolare una scala pedana di dimensione e conformazione tali da realizzare un posto di lavoro stabile e sicuro per eseguire le attività inerenti la manutenzione della pressa a iniezione, sita nello stabilimento della sopra indicata impresa.”
In particolare descrive la sentenza del Tribunale : “…Il lavoratore addetto alla pressa nello stabilimento della ditta, nell’ispezionare l’interno della tramoggia, annessa alla pressa a iniezione, in mancanza di supporto adeguato, perdeva l’equilibrio e, nel tentativo di proteggersi, si agganciava al bordo tagliente della tramoggia con la mano destra, riportando ferita lacero contusa al terzo dito della mano destra con lesioni tendinee al flessore profondo con prognosi di 81 giorni ed invalidità permanente pari al 3%….”.
Veniva proprosto appello alla Corte di Trieste che però confermava la sentenza del Tribunale.
Seguiva impugnazione avanti alla Corte di Cassazione.
Affermava il ricorrente di essere legale rappresentante di una società che opera in sette stabilimenti dislocati in due regioni (Friuli Venezia Giulia e Veneto), che occupa oltre 600 dipendenti e che ha un fatturato annuo di circa 140 milioni di euro e che nello stabilimento nel quale si è verificato l’infortunio c’era un direttore, il quale aveva poteri ed autonomia di spesa almeno fino a 5000 euro, senza alcuna necessità di preventiva autorizzazione, il quale per delega disponeva le manutenzioni necessarie. Nella fattispecie il ruolo di “datore di lavoro” era soltanto del ricorrente (che è già stato condannato), nè il ricorrente poteva condividere l’assunto della Corte territoriale secondo cui sarebbe stata necessaria la prova rigorosa ed esaustiva dell’esistenza di una delega anche non scritta, in quanto tale asserzione poteva riferirsi solo all’insussistenza di una valida delega di tipo generale per coprire ogni tipo di deficienza nelle attrezzature messe a disposizione del lavoratore.
Non poteva invece ritenersi necessaria la prova rigorosa della delega per affermare la responsabilità esclusiva del direttore di stabilimento per tutti quegli infortuni che dipendevano o da carenze nelle modalità operative o da inidoneità di attrezzature alle quali egli doveva e poteva porre rimedio in quanto la spesa necessaria rientrava nei limiti della sua autonomia, come appunto nel caso che ci occupa.
La Corte di appello ha ritenuto sussistente la responsabilità del ricorrente (datore di lavoro) principalmente sulla base dei seguenti argomenti:

  1. il mancato accertamento dell’esistenza di una delega scritta e dell’esistenza di una delega ancorchè non scritta;
  2. la mancata nomina di un responsabile della sicurezza;
  3. la circostanza che il direttore dello stabilimento non poteva essere considerato “datore di lavoro”, dal momento che aveva un potere di spesa limitato solo alle situazioni di emergenza, come poteva desumersi dalle affermazioni del teste (.

Dalla istruttoria processuale risultava altresì che il direttore aveva poteri legati all’emergenza, ed anche il potere di far fronte alle spese di modesta entità, avendo a tale scopo una disponibilità di cassa di circa 1000,00 euro ; l’intervento sulla scala messa a disposizione del lavoratore comportava peraltro una spesa di circa 500,00 euro; spesa dunque che poteva rientrare nella disponibilità del direttore.
Secondo la Cassazione invece non risulta pertanto necessaria la prova rigorosa della sussistenza di una delega al direttore dello stabilimento.
Il Dlgs n. 626 del 1994, articolo 2, lettera b), 1 periodo, così come modificato dal Dlgs n. 242 del 1996, considera datore di lavoro “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore”comunque “il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, quale definita dalla lettera i) in quanto titolare dei poteri decisionali di spesa”.
Con l’avverbio “comunque” il legislatore ha inteso dare netta preminenza al criterio sostanziale che deve essere in ogni caso rispettato e che prevale quando vi è discordanza tra la situazione formale e quella reale.
Conclude la Cassazione: “ ….Quindi, ……nelle aziende di grandi dimensioni è frequente il caso in cui il soggetto dotato della legale rappresentanza non coincide con quello in grado di esercitare l’effettivo potere di organizzazione dell’azienda e del lavoro dei dipendenti ed è a quest’ultimo che dovranno attribuirsi le connesseresponsabilità prevenzionali.
Secondo la univoca giurisprudenza di questa Corte, pertanto, (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 4, Sent. n. 49819 del 5 dicembre 2003) il dato normativo consente di distinguere un datore di lavoro in senso giuslavoristico da uno o più datori di lavoro (sussistendo distinte unità produttive) in senso prevenzionale. E evidente che la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell’unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali.
Egli pertanto sarà qualificabile come datore di lavoro ai fini della sicurezza solo se gli saranno attribuiti poteri e disponibilità finanziarie adeguate ad effettuare gli adempimenti prescritti dalla legge e solo entro quei limiti, mentre, per tutti gli altri adempimenti per i quali non dispone dei mezzi e dei poteri per realizzarli, le eventuali violazioni (e relative conseguenze) non saranno a lui ascrivibili.
Pertanto, nella fattispecie di cui è processo, il direttore dello stabilimento , rientrando l’intervento sulla scala nel suo potere di spesa e nell’autonomia di cui disponeva, era autonomamente onerato a titolo originario e non già per delega del legale rappresentante della Spa”.
 

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Iscrizioni Produttori entro 30.6.2011

Circolare Albo Nazionale Gestori Ambientali
Iscrizioni ai sensi dell’ articolo 212, comma 8, del D. Lgs. 152/06[1]

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi

 

 
Il Comitato Nazionale dell’Albo Gestori Ambientali ha diramato la circolare 15 marzo 2011 n.432 che fornisce indicazioni circa l’iscrizione dei
1)   produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonché
2)   le iscrizioni dei produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedente trenta chilogrammi o trenta litri al giorno.
 
In particolare, secondo quanto previsto dall’ articolo 212, comma 8, del D. Lgs. 152/06, come modificato dal D. Lgs. 205/10, tali iscrizioni devono essere rinnovate ogni 10 anni. Viene specificato, inoltre, che le iscrizioni effettuate entro il 14 aprile 2008 devono essere aggiornate entro un anno dalla data di entrata in vigore del D.Lgs 205/10.
 
Al fine di disciplinare la procedura relativa all’aggiornamento delle suddette iscrizioni, è stato predisposto un apposito modello di domanda contenuto nell’allegato “A” alla circolare.
 
Considerato l’elevato numero di iscrizioni oggetto di aggiornamento e i termini previsti per l’espletamento delle relative procedure (entro il 25 dicembre 2011), le domande dovranno essere presentate entro il 30 giugno 2011.
 
Infine, il Comitato nazionale, in ordine ai termini di decorrenza dei dieci anni di durata delle iscrizioni all’Albo, effettuate alla data di entrata in vigore del D.Lgs 205/10, ha specificato quanto segue:

  • per le iscrizioni effettuate entro il 14 aprile 2008, ai sensi e per gli effetti della normativa vigente a quella data, il suddetto termine deve intendersi riferito alla data della delibera di aggiornamento dell’iscrizione;
  • per le iscrizioni effettuate successivamente alle modifiche apportate dal D.Lgs 4/08, il termine deve intendersi riferito alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n.205/2010.

 
Per completezza d’informazione si ritiene utile allegare il testo integrale della circolare.
 

Allegato n. 432 del 15 marzo 2011

[1] 8. I produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonché i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedenti trenta chilogrammi o trenta litri al giorno, non sono soggetti alle disposizioni di cui ai commi 5, 6, e 7 a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti. Detti soggetti non sono tenuti alla prestazione delle garanzie finanziarie e sono iscritti in un’apposita sezione dell’Albo in base alla presentazione di una comunicazione alla sezione regionale o provinciale dell’Albo territorialmente competente che rilascia il relativo provvedimento entro i successivi trenta giorni. Con la comunicazione l’interessato attesta sotto la sua responsabilità, ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 241 del 1990:
a) la sede dell’impresa, l’attività o le attività dai quali sono prodotti i rifiuti;
b) le caratteristiche, la natura dei rifiuti prodotti;
c) gli estremi identificativi e l’idoneità tecnica dei mezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti, tenuto anche conto delle modalità di effettuazione del trasporto medesimo;
d) l’avvenuto versamento del diritto annuale di registrazione di 50 euro rideterminabile ai sensi dell’articolo 21 del decreto del Ministro dell’ambiente 28 aprile 1998, n. 406.
L’iscrizione deve essere rinnovata ogni 10 anni e l’impresa è tenuta a comunicare ogni variazione intervenuta successivamente all’iscrizione. Le iscrizioni di cui al presente comma, effettuate entro il 14 aprile 2008 ai sensi e per gli effetti della normativa vigente a quella data, dovranno essere aggiornate entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

 

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Terreni agricoli ed energia

Firmato dal presidente della Repubblica il Dlgs sulle energie rinnovabili

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


E’ stato firmato dal Presidente della Repubblica il Dlgs sulle energie rinnovabili ed ora si attende solo la imminente pubblicazione (Consiglio dei Ministri del 3 marzo 2011 ha approvato in via definitiva D.Lgs recante “Attuazione della Direttiva 2009/28/CE del parlamento europeo e del consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”).
 
Rispetto alla versione approvata in via preliminare il 30 novembre 2010  il testo presenta numerosi cambiamenti.
 
Viene confermata la soglia di 5 MegaWatt che distingue i due sistemi incentivanti validi per gli impianti rinnovabili che entreranno in esercizio dopo il 31 dicembre 2012:
–       < 5 MW sistema d’incentivazione del feed in tariff (incentivo sull’energia prodotta);
–       > 5 MW previsione di aste al ribasso gestite dalla società GSE S.p.A.
 
Le modalità per l’attuazione dei due nuovi sistemi d’incentivazione restano affidate a un decreto ministeriale che però dovrà essere adottato non più entro 12 mesi ma entro 6 mesi.
 
Tra le modifiche più rilevanti introdotte si evidenzia la disposizione contenuta al comma 9-bis dell’articolo 23 che prevede un limite temporale all’attuale sistema d’incentivazione dell’energia prodotta da impianti fotovoltaici, di cui al D.M. 6 agosto 2010.
 
Nel dettaglio, viene previsto che il regime introdotto dal D.M. 6 agosto 2010 (sistema entrato in vigore a partire dal 1° gennaio 2011) sarà ancora valido solo per gli impianti solari fotovoltaici per i quali l’allacciamento alla rete elettrica avverrà entro il 31 maggio 2011.
 
Un ulteriore decreto ministeriale, da emanare entro il 30 aprile 2011, disciplinerà l’incentivazione degli impianti allacciati alla rete dopo il 31 maggio 2011 sulla base di scaglioni annuali di potenza massima incentivabile e prevedendo la possibilità di differenziare le tariffe sulla base della classificazione urbanistica del lotto da incentivare.
 
Sempre in materia di fotovoltaico, viene rivista la disciplina degli impianti costruiti su terreni agricoli[1]. L’art. 10 comma comma 4, dispone infatti che, dalla data di entrata in vigore del provvedimento, nelle aree agricole saranno agevolati solo gli impianti a terra fino a 1 MW e “nel caso di terreni appartenenti al medesimo proprietario”, gli impianti dovranno essere collocati a una distanza non inferiore ai 2 km. Inoltre per potere usufruire delle agevolazioni non deve essere destinato “all’installazione degli impianti più del 10% della superficie del terreno agricolo nella disponibilità del proponente”. Tali limitazioni, tuttavia, non si applicano ai terreni abbandonati da almeno cinque anni.
 
Un’ulteriore novità riguarda il sistema incentivante dei certificati verdi per il quale, viene prevista una riduzione del 22% (non più del 30%) del prezzo di ritiro dei CV in eccesso per gli anni dal 2011 al 2015.
 
Infine si evidenzia che, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento, saranno definiti con decreto ministeriale gli obiettivi regionali in materia di fonti rinnovabili e le modalità di gestione dei casi di mancato raggiungimento dei target.
 
 
 
 
 
 


[1] Art. 10
(Requisiti e specifiche tecniche)  1. Decorso un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, gli impianti alimentati da fonti rinnovabili accedono agli incentivi statali a condizione che rispettino i requisiti e le specifiche tecniche di cui all’allegato 2. Sono fatte salve le diverse decorrenze indicate nel medesimo allegato 2.  Entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e successivamente con frequenza almeno biennale, UNI e CEI trasmettono al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare una rassegna della vigente normativa tecnica europea, tra cui i marchi di qualità ecologica, le etichette energetiche e gli altri sistemi di riferimento tecnico creati da organismi europei di normalizzazione, applicabili ai componenti, agli impianti e ai sistemi che utilizzano fonti rinnovabili. La rassegna include informazioni sulle norme tecniche in elaborazione. 3. Sulla base della documentazione di cui al comma 2, l’allegato 2 è periodicamente aggiornato con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. La decorrenza dell’efficacia del decreto è stabilita tenendo conto dei tempi necessari all’adeguamento alle norme tecniche con riguardo alle diverse taglie di impianto e non può essere fissata prima di un anno dalla sua pubblicazione. 4. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, l’accesso agli incentivi statali è consentito a condizione che, in aggiunta ai requisiti previsti dall’allegato 2: a) la potenza nominale di ciascun impianto non sia superiore a 1 MW e, nel caso di terreni appartenenti al medesimo proprietario, gli impianti siano collocati ad una distanza non inferiore a 2 chilometri; b) non sia destinato all’installazione degli impianti più del 10 per cento della superficie del terreno agricolo nella disponibilità del proponente.

 

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Sicurezza e Amianto – Esposizioni sporadiche e di debole intensità all’amianto

Indicazioni della Commissione consultiva

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi




 
La Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro, nella seduta del 19 gennaio 2011, ha approvato, come prescritto dall’art. 249, comma 4, del D.Lgs 81/08, gli orientamenti pratici per la determinazione delle esposizioni sporadiche e di debole intensità (ESEDI) all’amianto la cui presenza esonera il datore di lavoro dall’applicazione degli articoli 250 (notifica all’organo di vigilanza), 251, comma 1 (misure di prevenzione e protezione), 259 (sorveglianza sanitaria) e 260, comma 1 (Registro di esposizione e cartelle sanitarie e di rischio) del D.Lgs 81/08 a condizione, tuttavia, che le attività lavorative che oggettivamente possano essere considerate sporadiche, espongano i lavoratori a concentrazioni molto basse di fibre di amianto, le cui condizioni espositive risultano generare un rischio il cui livello medio è dello stesso ordine di grandezza di quello medio definito accettabile per la popolazione generale, come stabilito dall’OMS (WHO, 2000).
 
Nello specifico, le attività “ESEDI”, di cui all’art. 249 comma 2 del D.Lgs 81/2008 vengono identificate nelle attività che vengono effettuate per un massimo di 60 ore l’anno, per non più di 4 ore per singolo intervento e per non più di due interventi al mese, e che corrispondono ad un livello massimo di esposizione a fibre di amianto pari a 10 F/L calcolate rispetto ad un periodo di riferimento di otto ore.
 
La durata dell’intervento si intende comprensiva del tempo per la pulizia del sito, la messa in sicurezza dei rifiuti e la decontaminazione dell’operatore. All’intervento non devono essere adibiti in modo diretto più di 3 addetti contemporaneamente e, laddove ciò non sia possibile, il numero dei lavoratori esposti durante l’intervento deve essere limitato al numero più basso possibile. A titolo indicativo e non esaustivo è, in seguito, riportato un primo elenco di attività che, sulla base delle attuali conoscenze e nel rispetto delle limitazioni temporali ed espositive sopra descritte, possono rientrare nelle attività “ESEDI”.
 
a)     Brevi attività non continuative di manutenzione durante le quali il lavoro viene effettuato solo su materiali non friabili:
1)     interventi di manutenzione riguardanti il fissaggio di lastre in MCA compatto in buono stato di conservazione senza intervento traumatico sulle stesse;
2)     riparazione di una superficie ridotta (massimo di 10 m2) di lastre o mattonelle in vinil-amianto mediante applicazione di collanti, impregnanti, sigillanti o con limitati riporti di guaine ricoprenti, o prodotti similari;
3)     applicazione di prodotti inertizzanti in elementi di impianto contenenti MCA non friabile in buone condizioni (ad es. rivestimenti di tubature);
4)     spostamento non traumatico di lastre di MCA compatto non degradate abbandonate a terra, previo trattamento incapsulante;
5)     interventi conseguenti alla necessità di ripristinare la funzionalità, limitatamente a superfici ridotte (massimo di 10 m2), di coperture o pannellature in MCA non friabile mediante lastre non contenenti amianto;
6)     interventi di manutenzione a parti di impianto (ad eccezione degli impianti frenanti), attrezzature, macchine, motori, ecc., contenenti MCA non friabile, senza azione diretta su MCA;
7)     attività di conservazione dell’incapsulamento con ripristino del ricoprente;
8)     inserimento, all’interno di canne fumarie in MCA non friabile, di tratti a sezione inferiore senza usura o rimozione di materiale;
9)     interventi di emergenza per rottura, su condotte idriche solo finalizzati al ripristino del flusso e che non necessitino l’impiego di attrezzature da taglio con asportazione di truciolo.
 
b) Rimozione senza deterioramento di materiali non degradati in cui le fibre di amianto sono fermamente legate ad una matrice:
1)     rimozione di vasche e cassoni per acqua, qualora questi manufatti possano essere rimossi dalla loro sede senza dover ricorrere a rotture degli stessi;
2)     rimozione di una superficie limitata (massimo di 10 m2) di mattonelle in vinil-amianto, lastre poste internamente ad edificio o manufatti simili in MCA non friabile, qualora questi manufatti possano essere rimossi dalla loro sede senza dover ricorrere a rotture degli stessi;
3)     raccolta di piccoli pezzi (in quantità non superiore all’equivalente di 10 m2) di MCA non friabile, caduto e disperso a seguito di eventi improvvisi ed imprevisti, previo trattamento con incapsulante.
 
c) Incapsulamento e confinamento di materiali contenenti amianto che si trovano in buono stato:
1)     interventi su MCA non friabile in buono stato di conservazione volti alla conservazione stessa del manufatto e/o del materiale ed attuati senza trattamento preliminare;
2)     messa in sicurezza di materiale frammentato (in quantità non superiore all’equivalente di 10 m2), con posa di telo in materiale plastico (ad es. polietilene) sullo stesso e delimitazione dell’area, senza alcun intervento o movimentazione del materiale stesso.
 
d) Sorveglianza e controllo dell’aria e prelievo dei campioni ai fini dell’individuazione della presenza di amianto in un determinato materiale:
1)     campionamento ed analisi di campioni aerei o massivi ed attività di sopralluogo per accertare lo stato di conservazione dei manufatti installati.
 
Gli elenchi sopra riportati potranno essere periodicamente aggiornati dalla Commissione Consultiva Permanente in base all’evoluzione delle conoscenze. Da quanto su esposto si ritiene che le attività “ESEDI” sopra riportate, possano essere svolte anche da meccanici, idraulici, lattonieri, elettricisti, muratori e operatori, che si trovino nella condizione di svolgere attività con materiali contenenti amianto (MCA) come previsto dall’art. 249, comma 2, del D.Lgs 81/2008 e che abbiano ricevuto una formazione sufficiente ed adeguata, a intervalli regolari secondo il dettato normativo previsto dall’art. 258 del medesimo decreto.
 
Si ritiene utile sottolineare che, in ogni caso, durante l’effettuazione delle attività “ESEDI”, dovrà essere assicurato il rispetto delle misure igieniche dell’art. 252 del D.Lgs 81/08 con particolare riguardo ai dispositivi di protezione individuale (D.P.I.) delle vie respiratorie, che dovranno avere un fattore di protezione operativo non inferiore a 30.
 

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Acque: dal 4.1.2011 riformata parte terza Dlgs. n. 152/2006

Focus: art. 74 comma 2 Dlgs . n. 152/2006
a cura di avv. Cinzia Silvestri


Il CdM con Dlgs. del 10 dicembre 2010 n. 219 (pubblicato in G.Uff. Del 20 dicembre 2010) ha dato attuazione alla direttiva 2008/105/CE relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque e della direttiva 2009/90/CE che sabilisce specifiche tecniche per l’analisi chimica ed il monitoraggio dello stato delle acque.
La parte terza viene dunque modificata in alcune sue parti e nell’allegato I.
Le modifiche di particolare rilevanza anche applicativa si rinvengono agli articoli 74 e 78 della parte terza.
Si declina di seguito breve schema delle modifiche apportate all’art. 74 al fine di segnalare alcune corpose novità.

Articolo 74 comma 2 Dlgs. 152/2006 come modificato dal
Dlgs. n. 219/2010
 
Art. 74 comma 2 lett.z) Dlgs. n. 152/2006: sostituita z) buono stato chimico delle acque superficiali: lo statochimico richiesto per conseguire, entro il 22 dicembre 2015, gli obiettivi ambientali per le acque superficiali fissati dalla presente sezione ossia lo stato raggiunto da un corpo idrico superficiale nel quale la concentrazione degli inquinanti non superi gli standard di qualità ambientali fissati per le sostanze dell’elenco di priorità di cui alla tabella 1/A della lettera A.2.6 dell’allegato 1 alla parte terza;’
 
Art. 74 comma 2 Dlgs. n. 152/2006: inserite lett. uu-bis; uu-ter; uu-quater; uu-quinquies uu-bis) limite di rivelabilità: il segnale in uscita o il valore di concentrazione al di sopra del quale si può affermare, con un livello di fiducia dichiarato, che un dato campione è diverso da un bianco che non contiene l’analita;
uu-ter) limite di quantificazione: un multiplo dichiarato del limite di rivelabilità a una concentrazione dell’analita che può ragionevolmente essere determinata con accettabile accuratezza e precisione. Il limite di quantificazione può essere calcolato servendosi di un materiale di riferimento o di un campione adeguato e può essere ottenuto dal punto di taratura piu’ basso sulla curva di taratura, dopo la sottrazione del bianco;
uu-quater) incertezza di misura: un parametro non negativo che caratterizza la dispersione dei valori quantitativi attribuiti a un misurando sulla base delle informazioni utilizzate;
uu-quinquies) materiale di riferimento: materiale sufficientemente omogeneo e stabile rispetto a proprietà specificate, che si è stabilito essere idonee per un determinato utilizzo in una misurazione o nell’esame di proprietà nominali.’;

 

adminAcque: dal 4.1.2011 riformata parte terza Dlgs. n. 152/2006
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Stress lavoro correlato

art. 28 comma 1-bis Dlgs. 81/2008[1] . La Commissione consultiva ha approvato le linee guida di valutazione
a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi



L’articolo 28, comma 1, del D.Lgs 9 aprile 2008, n. 81 ha previsto che la valutazione dei rischi debba essere effettuata tenendo conto, tra l’altro, dei rischi da stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004.
In ragione delle difficoltà operative segnalate in ordine all’individuazione delle corrette modalità di attuazione di tale previsione legislativa, in sede di adozione delle disposizioni integrative e correttive al D.Lgs 81/2008, è stato introdotto all’articolo 28 il comma 1-bis, con il quale si è attribuito alla Commissione consultiva[2] il compito di formulare indicazioni  metodologiche in ordine al corretto adempimento dell’obbligo, finalizzate a indirizzare le attività dei datori di lavoro, dei loro consulenti e degli organi di vigilanza[3].
Il documento presenta elementi di forte positività sia per la sua articolazione strutturale, semplice e lineare, sia per i contenuti che appaiono in linea con quanto previsto dalla normativa vigente e, in particolare, dall’accordo interconfederale 9 giugno 2008.
Ebbene la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, al pari di quanto avviene per tutti gli altri rischi, deve essere effettuata:1)  dal datore di lavoro 2) nell’ambito della propria organizzazione e 3) secondo i criteri già delineati dal quadro normativo vigente, nonché:
–     Non tutti i luoghi di lavoro sono necessariamente interessati dallo stress (art. 1, comma 2)
–     Non tutte le manifestazioni di stress sono necessariamente negative (art. 3, comma 2)
–     Lo stress non è una malattia (art. 3, comma 3)
–     Non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato (art. 3, comma 4)
–     L’individuazione dello stress può implicare analisi di fattori oggettivi e soggettivi (art. 4, comma, 2)
–     Il compito di stabilire le misure per prevenire, eliminare o ridurre lo stress spetta al datore di lavoro e le misure sono adottate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti (art. 4,comma 5)
–     La gestione dei problemi di stress può essere condotta sulla scorta del generale processo di valutazione dei rischi (art. 5, comma 2)
–     Laddove nel luogo di lavoro non siano presenti professionalità adeguate, possono essere chiamati esperti esterni (art. 6, comma 2)
Le indicazioni ministeriali inoltre, nel ribadire con estrema chiarezza che la valutazione del rischio stress lavoro-correlato è parte integrante della valutazione dei rischi e che deve essere effettuata (come per tutti gli altri fattori di rischio) dal datore di lavoro avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS/RLST),  indicano un percorso logico e metodologico inteso a permettere una corretta identificazione dei fattori di rischio da stress lavoro-correlato e, conseguentemente, a consentire al datore di lavoro la pianificazione e la realizzazione di misure di eliminazione o, quando essa non sia possibile, di riduzione al minimo di tale fattore di rischio.
A tale scopo, viene chiarito che le necessarie attività devono essere compiute con riferimento a 1) tutti i lavoratori, compresi dirigenti e preposti. La valutazione, inoltre, deve prendere in esame 2) non singoli ma gruppi omogenei di lavoratori (per esempio per mansioni o partizioni organizzative) che risultino esposti a rischi dello stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di lavoro può autonomamente effettuare in ragione della effettiva organizzazione aziendale (potrebbero essere, ad esempio, i turnisti, i dipendenti di un determinato settore oppure chi svolge la medesima mansione, etc).
3) Un ulteriore elemento di rilievo contenuto nelle linee guida riguarda l’interpretazione circa la data di decorrenza della valutazione. Viene infatti previsto che la data del 31 dicembre 2010, di decorrenza dell’obbligo previsto dall’articolo 28, comma 1-bis, del D.Lgs n. 81/2008, debba essere intesa come data di avvio delle attività di valutazione.
4) La programmazione temporale delle suddette  attività di valutazione e l’indicazione del termine finale di espletamento delle stesse devono essere riportate nel documento di valutazione dei rischi.
5) Gli organi di vigilanza, ai fini dell’adozione dei provvedimenti di propria competenza, terranno conto della decorrenza e della programmazione temporale di cui al precedente periodo.
Si evidenzia, inoltre, che i  datori di lavoro che, alla data della pubblicazione delle indicazioni metodologiche, abbiano già effettuato la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato coerentemente ai contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, come recepito dall’accordo interconfederale del 9 giugno 2008, non debbano ripetere l’indagine ma siano unicamente tenuti all’aggiornamento della medesima nelle ipotesi previste dall’art. 29, comma 3, del D.Lgs n. 81/2008.
La valutazione si articola in due fasi: una necessaria (valutazione preliminare); l’altra eventuale, da attivare nel caso in cui la valutazione preliminare riveli elementi di rischio da stress lavoro correlato e le misure di correzione adottate a seguito della stessa, dal datore di lavoro, si rivelino inefficaci.
A) Valutazione preliminare (necessaria): analisi condizioni oggettive La fase preliminare consiste nella rilevazione, da parte del datore di lavoro, di indicatori oggettivi e verificabili, ove possibile numericamente apprezzabili, appartenenti quanto meno a tre distinte famiglie:
1.   Eventi sentinella quali ad esempio: indici infortunisticiassenze per malattia; turnover; procedimenti e sanzioni; segnalazioni del medico competente; specifiche e frequenti lamentale formalizzate da parte dei lavoratori. I predetti eventi sono da valutarsi anche sulla base di parametri omogenei individuati internamente alla azienda (es. andamento nel tempo degli indici infortunistici rilevati in azienda).
2.   Fattori di contenuto del lavoro quali ad esempio: ambiente di lavoro e attrezzature; carichi e ritmi di lavoro; orario di lavoro e turni; corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti.
3.   Fattori di contesto del lavoro quali ad esempio: ruolo nell’ambito dell’organizzazione, autonomia decisionale e controllo; conflitti interpersonali al lavoro; evoluzione e sviluppo di carriera; comunicazione (es. incertezza in ordine alle prestazioni richieste). In questa prima fase possono essere utilizzate liste di controllo applicabili anche dai soggetti aziendali della prevenzione che consentano una valutazione oggettiva, complessiva e, quando possibile, parametrica dei fattori dei punti che precedono.   In relazione alla valutazione dei fattori di contesto e di contenuto di cui sopra (punti 2 e 3 dell’elenco) occorre sentire i lavoratori e/o i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS/RLST).
Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile sentire un campione rappresentativo di lavoratori. La scelta delle modalità tramite cui sentire i lavoratori è rimessa al datore di lavoro anche in relazione alla metodologia di valutazione adottata.Ove dalla valutazione preliminare non emergano elementi di rischio da stress lavoro correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, il datore di lavoro sarà unicamente tenuto a darne conto nel Documento di Valutazione del Rischio (DVR) e a prevedere un piano di monitoraggio. Diversamente, nel caso in cui si rilevino elementi di rischio da stress lavoro correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive,  si procede alla pianificazione ed alla adozione degli opportuni interventi correttivi (ad esempio, interventi organizzativi, tecnici, procedurali, comunicativi, formativi, etc). Ove gli interventi correttivi risultino inefficaci, si procede, nei tempi che la stessa impresa definisce nella pianificazione degli interventi, alla fase di valutazione successiva (c.d. valutazione approfondita).
B) Valutazione approfondita (eventuale): analisi condizioni soggettive
La valutazione approfondita prevede la valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori, ad esempio attraverso differenti strumenti quali questionari, focus group, interviste semistrutturate, sulle famiglie di fattori/indicatori di cui all’elenco sopra riportato. Tale fase fa riferimento ovviamente ai gruppi omogenei di lavoratori rispetto ai quali sono state rilevate le problematiche.  Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile che tale fase di indagine venga realizzata tramite un campione rappresentativo di lavoratori. Nelle imprese che occupano fino a 5 lavoratori in luogo dei predetti strumenti di valutazione approfondita, il datore di lavoro può scegliere di utilizzare modalità di valutazione (es. riunione) che garantiscano il coinvolgimento dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica della loro efficacia.


[1] Art. 28. Oggetto della valutazione dei rischi 1….1-bis. La valutazione dello stress lavoro-correlato di cui al comma 1 è effettuata nel rispetto delle indicazioni di cuiall’articolo 6, comma 8, lettera m-quater), e il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data dal 1° agosto 2010.
[2] art. 6 comma 8 m-quater): .. elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro correlato.
[3] La Commissione ha costituito un proprio comitato a composizione tripartita il quale, a seguito di ampio confronto tra i propri componenti, ha elaborato un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro pubblici e privati, licenziato dalla Commissione consultiva nella propria riunione del 17 novembre 2010.

 

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SISTRI – SANZIONI

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
È al vaglio del Consiglio dei Ministri lo schema di Decreto Legislativo che andrà a revisionare la parte IV del TUA (Dlgs. 152/2006) a fronte del recepimento della direttiva Comunitaria 2008/98; e ciò a seguito delle prescrizioni ed i pareri formulati dalle Camere sullo schema del testo normativo presentato dal Governo.
Non è buona regola commentare o anticipare modifiche di testi legislativi non ancora definitivi poiché l’iter di approvazione può riservare modifiche radicali che pongono nel nulla ogni commento.Tuttavia nel caso di specie il Dlgs. di recepimento, sebbene ancora modificabile, si distingue per la riscrittura completa dell’art. 32 ovvero dell’art. 260 bis del Dlgs. 152/2006 sul “Sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti).
La normativa, infatti, sopperisce alla lacuna del DM SISTRI e successivi correttivi che non hanno stabilito alcuna sanzione per l’inosservanza delle condotte e degli obblighi prescritti in tema di tracciabilità dei rifiuti.
DISCIPLINA TRANSITORIA (art. 34)
Anche l’articolo 34 dello Schema di DLgs. di recepimento è stato “sostituito”.
Recita l’art. 34 comma 1 che le sanzioni stabilite dal Decreto Legislativo sui Rifiuti saranno applicabili solo a partire dall’ 1.01.2011 (giorno successivo alla scadenza del termine ex art. 12 DM SISTRI come novellato dall’ultimo correttivo – DM 28.9.2010) (art. 34 comma 1).
Sul punto si attende già proroga. È previsto un periodo di applicazione del sistema del controllo della tracciabilità dei rifiuti: l’art. 34 comma 2 prescrive, fermo l’obbligo di iscrizione e di pagamento del relativo contributo  – iscrizione e/o pagamento contributo al SISTRI entro il 30.6.2011: sanzione del 5% dell’importo annuale per ciascun mese o frazione di mese di ritardo;- iscrizione e/o pagamento contributo al SISTRI entro il 31.12.02010: sanzione del 50% dell’importo annuale per ciascun mese o frazione di mese di ritardo- fino al 31.12.2011 sono esclusi dall’obbligo di iscrizione al SISTRI gli imprenditori agricoli che producono e trasportano ad una piattaforma di conferimento, oppure conferiscono ad un circuito organizzato di raccolta, i propri rifiuti pericolosi in modo occasionale e saltuario[1] (art.34 comma 7-bis)
Art. 32 (art. 260 bis Dlgs. 152/2006)
Salvo quanto previsto dalla disciplina transitoria e quanto alle sanzioni per fatti diversi alla mancata iscrizione e/o pagamento contributo, le sanzioni articolate dallo Schema in commento saranno le seguenti (se emanato il Decreto Legislativo):

TIPOLOGIA
Art. 260 bis Dlgs. 152/2006
RIFIUTINON PERICOLOSI RIFIUTI PERICOLOSI
Omessa iscrizione nei termini (comma 1) da  € 2.600 a € 15.500 da € 15.500 a € 93.000
Omesso pagamento del contributo (comma 1-bis) da  € 2.600 a € 15.500 da € 15.500 a € 93.000
Omessa compilazione del registro cronologico o la scheda sistri – area movimentazione nei termini e forme previste (comma 2) –  da  € 2.600 a € 15.500 per imprese con >15 dipendenti- da € 1.040 a € 6.200 per imprese con < 15 dipendenti[2]: –  da € 15.500 a € 93.000 + sospensione da 1 mese ad 1 anno della carica rivestita dal reo per imprese con >15 dipendenti – da € 2.070 a € 12.400 per imprese con <15 dipendenti[3] (comma 3)
Informazioni incomplete, inesatte, alterazione fraudolenta di un dispositivo tecnologico, accessorio al SISTRI, ovvero chi ne impedisce in qualsiasi modo il corretto funzionamento (comma 2) –  da  € 2.600 a € 15.500 per imprese con >15 dipendenti- da € 1.040 a € 6.200 per imprese con < 15 dipendenti –  da € 15.500 a € 93.000 + sospensione da 1 mese ad 1 anno della carica rivestita dal reo per imprese con >15 dipendenti- da € 2.070 a € 12.400 per imprese con <15 dipendenti[4] (comma 3)
Indicazioni incomplete o inesatte MA non pregiudicanti la tracciabilità dei rifiuti (comma 2) da € 260 a € 1.550 da € 520 a € 3.100 (comma 3)
Ulteriori obblighi imposti dal SISTRI (valenza residuale) (comma 4) da  € 2.600 a € 15.500 da € 15.500 a € 93.000
Certificato di analisi rifiuti con false indicazioni su: natura rifiuto, composizione e caratteristiche chimico-fisiche (comma 5) Art. 483 c.p.[5] Art. 483 c.p.
Inserimento di certificato falso nei dati da fornire ai fini SISTRI Art. 483 c.p. Art. 483 c.p.

TRASPORTATORE
Il Decreto Legislativo Rifiuti stabilisce altresì peculiari sanzioni a carico del trasportatore:

TIPOLOGIA
Art. 260 bis Dlgs. 152/2006
RIFIUTI NON PERICOLOSI RIFIUTI PERICOLOSI
Trasporto senza la copia cartacea della scheda sistri-movimentazione e, ove necessario, il certificato analitico di identificazione del rifiuto (comma 6) da € 1.600 a € 9.300 Art. 483 c.p.
Utilizzo di certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, composizione e caratteristiche chimico-fisiche del rifiuto (comma 6) Art. 483 c.p. Art. 483 c.p.
Trasporto accompagnato da copia cartacea della scheda sistri-area movimentazione  fraudolentemente  alterata (comma 7) Combinato disposto artt. 477[6] e 482[7] c.p. Combinato disposto artt. 477 e 482 c.p. MA la pena è aumentata fino ad un terzo.
Se le condotte sopra indicate non pregiudicano la tracciabilità dei rifiuti (comma 8) da € 260 a € 1.550 da € 260 a € 1.550

SANZIONI AMMINISTRATIVE ACCESSORIE
Si auspica una rilettura di TUTTO il testo normativo alla luce degli emendamenti del Parlamento, perché sussistono incongruenze a scapito del principio di legalità e di certezza del diritto.
Il comma 1 dell’art. 260 ter fa riferimento a violazioni di cui al comma 9 dell’art. 260 bis, che però è STATO espunto dalla revisione operata dalle Camere.Verosimile che si tratti di un mero errore materiale dovuto al mancato coordinamento, ma si spera in una correzione prima dell’emanazione del decreto legislativo.
Alla luce di quanto sopra indicato si riportano di seguito le sanzioni amministrative accessorie agli illeciti descritti:

VIOLAZIONE SANZIONE ACCESSORIA
Comma 1 art. 260 bis (comma 3) Fermo amministrativo per 12 mesi del mezzo utilizzato dal trasportatore. La revoca del fermo NON può essere disposta laddove sia accertata la mancata iscrizione e il versamento del relativo contributo.
Commi 8 e 9 (da leggersi quali commi 7 e 8 ??) (comma 1) Fermo amministrativo del veicolo utilizzato per il trasporto SE al responsabile è contestata la recidiva ex art.99 c.p.[8] o art. 8 bis[9] L.689/1981.
Trasporto non autorizzato di rifiuti pericolosi (comma 4) Confisca del veicolo e di qualunque altro mezzo utilizzato per il trasporto ex art. 240 comma 2 c.p.[10] SALVO che gli stessi appartengano a persona diversa non fittiziamente.
Art. 256 comma 1 D. Lgs. 152/2006 (comma 5) Fermo amministrativo del veicolo utilizzato per il trasporto SE al responsabile è contestata la recidiva ex art.99 c.p. o art. 8 bis L.689/1981. Confisca del veicolo e di qualunque altro mezzo utilizzato per il trasporto ex art. 240 comma 2 c.p. SALVO che gli stessi appartengano a persona diversa non fittiziamente.

[1] ai sensi dell’art. 34 comma 7 bis sono considerati occasionali e saltuari: a) i trasporti di rifiuti pericolosi ad una piattaforma di conferimento, effettuati complessivamente per non più di 4 volte l’anno per quantitativi non eccedenti i 30 kg / L al giorno e, comunque, i 100 kg/L all’anno; b) i conferimenti, anche in un’unica soluzione, di rifiuti ad un circuito organizzato di raccolta per quantitativi non eccedenti i 100 kg/L l’anno.
[2]Il numero di unità lavorative è calcolato con riferimento al numero di dipendenti occupati mediamente a tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di unità lavorative annue; ai predetti fini l’anno da prendere in considerazione è quello dell’ultimo esercizio contabile approvato, precedente il momento di accertamento dell’infrazione. (art. 32 comma 1 D.Lgs: nuovo art. 260 bis comma 2 D. Lgs. 152/2006)
[3] La sanzione accessoria non è espressamente prevista nel caso di rifiuti pericolosi, ma appare assurda l’applicazione inferiore per una fattispecie illecita più grave. Si ritiene, quindi, che la sanzione accessoria sia compresa anche per i rifiuti pericolosi.
[4] La sanzione accessoria non è espressamente prevista nel caso di rifiuti pericolosi, ma appare assurda l’applicazione inferiore per una fattispecie illecita più grave. Si ritiene, quindi, che la sanzione accessoria sia compresa anche per i rifiuti pericolosi.
[5] Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico: Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.
[6] Art. 477. Falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative:Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, contraffà o altera certificati o autorizzazioni amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa apparire adempiute le condizioni richieste per la loro validità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
[7] Art. 482. Falsità materiale commessa dal privato: Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell’esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo.
[8] Art. 99. Recidiva. Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo.
La pena può essere aumentata fino alla metà:
1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole;
2) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente;
3) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena.
Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate al secondo comma, l’aumento di pena è della metà.
Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi.
Se si tratta di uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto.
In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.
[9] Art. 8-bis Reiterazione delle violazioni: Salvo quanto previsto da speciali disposizioni di legge, si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione amministrativa, accertata con provvedimento esecutivo, lo stesso soggetto commette un’altra violazione della stessa indole. Si ha reiterazione anche quando più violazioni della stessa indole commesse nel quinquennio sono accertate con unico provvedimento esecutivo.Si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono o per le modalità della condotta, presentano una sostanziale omogeneità o caratteri fondamentali comuni.La reiterazione è specifica se è violata la medesima disposizione.Le violazioni amministrative successive alla prima non sono valutate, ai fini della reiterazione, quando sono commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria.La reiterazione determina gli effetti che la legge espressamente stabilisce. Essa non opera nel caso di pagamento in misura ridotta.Gli effetti conseguenti alla reiterazione possono essere sospesi fino a quando il provvedimento che accerta la violazione precedentemente commessa sia divenuto definitivo. La sospensione è disposta dall’autorità amministrativa competente, o in caso di opposizione dal giudice, quando possa derivare grave danno.Gli effetti della reiterazione cessano di diritto, in ogni caso, se il provvedimento che accerta la precedente violazione è annullato.
[10] Art. 240.Confisca:Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose, che ne sono il prodotto o il profitto.
E’ sempre ordinata la confisca:
1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato;
2) delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
Le disposizioni della prima parte e del n. 1 del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato.
La disposizione del n. 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.
[11] Art. 240.Confisca:Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose, che ne sono il prodotto o il profitto.
E’ sempre ordinata la confisca:
1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato;
2) delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
Le disposizioni della prima parte e del n. 1 del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato.
La disposizione del n. 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.

 

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Sicurezza sul lavoro – Coordinatore della sicurezza nei cantieri

Obbligo di nomina anche per cantieri privati
a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 7 ottobre scorso, nel procedimento C-224/09 ha dichiarato illegittima l’esenzione dall’obbligo di nomina dei coordinatori in materia di sicurezza nel caso di un cantiere di lavori privati, non soggetti a permesso di costruire e nel quale siano presenti più imprese.

Con tale sentenza la Corte di Lussemburgo ha censurato l’art. 90, comma 1, del D.lgs. 81/09 in quanto tale disposizione, nel recepire la norma europea, aveva fatto un’eccezione proprio sul coordinatore della sicurezza, escludendo dall’obbligo di nomina i cantieri privati in cui è possibile avviare i lavori con una semplice dichiarazione di inizio attività (Dia).
Secondo i giudici europei l’esonero introdotto dal legislatore interno è in netto contrasto con la direttiva, che non opera  alcuna distinzione tra cantieri pubblici e privati e stabilisce in modo inequivocabile l’esigenza di individuare la figura del coordinatore nei cantieri in cui ci sono più imprese.
Tale obbligo deve essere rispettato a prescindere anche  dal grado di rischio che comportano i lavori effettuati e la designazione deve avvenire all’atto della progettazione dell’opera o comunque prima dell’ esecuzione dei lavori.
Infine la Corte Ue ricorda che la direttiva non crea obblighi nei confronti del singolo cittadino o imprenditore a cui non può essere contestato il mancato rispetto di adempimenti non previsti dalla legge interna.
 

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Sicurezza sul lavoro – Identificazione degli addetti nei cantieri

Integrazioni alla tessera di riconoscimento

 
 

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


La legge del 13 agosto 2010 n. 136 sul “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo  in materia di normativa antimafia“ (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  del 23 agosto 2010 n. 196), ha modificato gli articoli 18 e 21 del D.Lgs 81/08 (cd. Testo Unico sulla sicurezza) prevedendo che la tessera di riconoscimento venga integrata con nuove informazioni.

In particolare, per quanto riguarda l’identificazione degli addetti nei cantieri, l’articolo 5 della legge 136/10 prevede che, nello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, il lavoratore dovrà essere munito di una tessera di riconoscimento che, oltre ad essere corredata  di fotografia, con l’indicazione delle generalità del lavoratore e del nome del datore di lavoro (come richiedeva  l’art. 18 comma 1 lett. u) del Testo Unico), contenga anche la data di assunzione e, nel caso di subappalto, la relativa autorizzazione.
Il medesimo articolo prevede che anche la tessera di riconoscimento di cui devono essere dotati i lavoratori autonomi,  ferme restando le indicazioni relative alle generalità degli stessi  e all’apposizione di fotografia (art. 21 comma 1  lett.c), debba essere integrata con l’indicazione del committente dei lavori. Resta inalterato il regime sanzionatorio disciplinante la violazione delle disposizioni sopra richiamate.
Nello specifico, l’articolo 55 comma 5  lett. i) del D.Lgs 81/08  prevede, nei confronti del datore di lavoro, la sanzione  amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ciascun lavoratore non munito di tessera di riconoscimento, mentre l’art. 60 comma 1 lett. b) del medesimo provvedimento dispone per il lavoratore autonomo sprovvisto di tessera una sanzione  amministrativa pecuniaria da 50 a 300 euro.

 
 

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Energia e Sottoprodotti: L. 13.8.2010 n. 129

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati


 
L’art. 1 comma 3 della Legge 13 agosto 2010, n. 129 (G.U. 18.08.2010, n. 192) , con cui il Parlamento ha convertito, modificandolo, il D.L. 8 luglio 2010, n. 105 (G.U. 9.7.2010, n. 158) – Misure urgenti in materia di energia – ha novellato l’art. 185 comma 2 Codice Ambiente. A decorrere dal 19 agosto u.s. la definizione di sottoprodotto è così modificata:
 

art. 185 comma 2
ANTE RIFORMA
Possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni della lettera p), comma 1 dell’articolo 183:
materiali fecali e vegetali provenienti () da attività agricole utilizzati nelle attività agricole ()
 
 
 
o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas, materiali litoidi o terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia o dal lavaggio di prodotti agricoli e riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi,eccedenze derivanti dalle preparazioni di cibi solidi, cotti o crudi, destinate, con specifici accordi, alle strutture di ricovero di animali di affezione di cui alla legge 14 agosto 1991, n. 281.
art. 185 comma 2
POST RIFORMA
Possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni della lettera p), comma 1 dell’articolo 183:
materiali fecali e vegetali provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato, oppure da attività agricole, utilizzati nelle attività agricole, anche al di fuori del luogo di produzione, ovvero ceduti a terzi, o
utilizzati in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas,materiali litoidi o terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia o dal lavaggio di prodotti agricoli e riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi,eccedenze derivanti dalle preparazioni di cibi solidi, cotti o crudi, destinate, con specifici accordi, alle strutture di ricovero di animali di affezione di cui alla legge 14 agosto 1991, n. 281.

 
Il Parlamento ha accolto con favore la disposizione ex art. 1 comma 3 D.L. 208/2010, perché evidente era la necessità di precisare i confini definitori della nozione di sottoprodotto:  tale intervento consente di colmare un vuoto normativo in linea con le conclusioni della dottrina e della “prassi” (Camera dei Deputati – Dossier di documentazione  A.C. 3660).
 

adminEnergia e Sottoprodotti: L. 13.8.2010 n. 129
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Accordo ANCI – Centro di Coordinamento RAEE – Distribuzione

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


 
In data 7 luglio 2010 è stato firmato Accordo di programma tra Anci, Centro di Coordinamento Raee ed organizzazioni nazionali della distribuzione, con il quale si completa il quadro di accordi tra i soggetti coinvolti dalla normativa prevista dal Dm 8 marzo 2010 n.65.


L’accordo in oggetto , in particolare, segue due precedenti accordi: quello tra Anci e centro di coordinamento dell’8 luglio u.s ed il protocollo di intesa tra Centro di coordinamento RAEE, ANCI ed Organizzazioni della distribuzione del 24 giugno u.s.
L’accordo prevede che: Il CdC RAEE assicuri, attraverso l’operatività dei Sistemi Collettivi che lo costituiscono, il ritiro gratuito dei RAEE presso i Luoghi di Raggruppamento dei RAEE che rispondano ai seguenti precisi requisiti:
      il Luogo di Raggruppamento dei RAEE deve essere idoneo a svolgere le attività ai sensi della normativa vigente in materia;
      per ogni Luogo di Raggruppamento dei RAEE deve essere indicato il nominativo di una persona di riferimento per la gestione dei ritiri, che assicurerà la sottoscrizione dei documenti necessari e previsti per legge all’accompagnamento dei RAEE in uscita da detti Luoghi di Raggruppamento dei RAEE;
      per richiedere i servizi di ritiro i gestori dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE utilizzano esclusivamente il servizio via WEB messo a disposizione dal CdC RAEE;
      all’atto dell’iscrizione dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE, i Distributori o gestori del Luogo di Raggruppamento devono comunicare e successivamente mantenere aggiornato il dato relativo agli orari ed ai giorni lavorativi in cui è possibile effettuare il ritiro: è previsto che i Luoghi di Raggruppamento siano aperti 5 giorni alla settimana per un periodo minimo di 6 ore. Gli orari comunicati faranno fede ai fini del ritiro da parte dei Sistemi Collettivi: qualora i Luoghi di Raggruppamento dei RAEE risultino chiusi o l’unità di carico risulti non accessibile ai Sistemi Collettivi per il ritiro durante l’orario di apertura indicato, i Sistemi Collettivi segnaleranno al Luogo di Raggruppamento dei RAEE e al CdC RAEE un’anomalia;
      i RAEE devono essere suddivisi in maniera conforme ai Raggruppamenti previsti. Qualora i Sistemi Collettivi accertino un’errata suddivisione dei RAEE, segnaleranno un’anomalia al Luogo di Raggruppamento dei RAEE e al CdC RAEE;
      all’interno dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE deve essere assicurata un’adeguata gestione, al fine di evitare la dispersione nell’ambiente delle sostanze pericolose e di garantire l’integrità dei RAEE, così come conferiti dal consumatore; si ricorda che il Distributore, ai sensi dell’Art. 6 comma 2 del D. Lgs. 151/05, può rifiutare “il ritiro di un RAEE nel caso in cui vi sia un rischio di contaminazione del personale incaricato dello stesso ritiro o nel caso in cui risulta evidente che l’apparecchiatura in questione non contiene i suoi componenti essenziali”.  I Distributori o i gestori dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE si impegnano espressamente a redigere il Documento di Valutazione dei Rischi Interferenziali (DUVRI), fornendo ai Sistemi Collettivi e agli operatori logistici da questi incaricati tutte le informazioni necessarie al fine di effettuare una compiuta valutazione dei rischi anche di natura interferenziale.  Qualora i Sistemi Collettivi per mezzo dei propri incaricati al ritiro accertino la presenza nelle unità di carico di RAEE fortemente danneggiati o gravemente mancanti di componenti essenziali, segnaleranno un’anomalia al Luogo di Raggruppamento dei RAEE e al CdC RAEE e potranno rifiutare il ritiro dei contenitori; la gestione dei RAEE non conformi sarà a cura e a carico del Luogo di Raggruppamento dei RAEE.  I Distributori o i gestori dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE devono assicurare uno spazio idoneo al posizionamento e alla movimentazione delle unità di carico che saranno fornite in comodato gratuito dai Sistemi Collettivi.  Tramite il portale del CdC RAEE i Distributori o i gestori dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE indicano le unità di carico ritenute necessarie; la scelta definitiva della tipologia e quantità di unità di carico è di competenza esclusiva dei Sistemi Collettivi, fatto salvo che deve essere finalizzata all’ottimizzazione degli spazi del Luogo di Raggruppamento dei RAEE e al raggiungimento dei quantitativi previsti.  Per poter accedere al servizio di ritiro dei RAEE da parte dei Sistemi Collettivi, i Distributori o i gestori dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE devono assicurare la disponibilità di spazi tali da accogliere le tipologie di unità di carico per ciascun Raggruppamento (è ammessa la gestione anche di un solo Raggruppamento). I Distributori, al fine di usufruire dei servizi di ritiro dei RAEE da parte dei Sistemi Collettivi, devono:

  • disporre di Luoghi di Raggruppamento dei RAEE conformi ai requisiti tecnico-organizzativi sopra esposti;
  • iscrivere i Luoghi di Raggruppamento dei RAEE destinatari dei servizi di ritiro al portale internet messo a disposizione dal CdC RAEE, www.cdcraee.it, nella apposita sezione, compilando la modulistica prevista ed accettando le condizioni di erogazione del servizio specificate nell’Accordo di Programma.

Non sono accettati RAEE a terra: i RAEE devono essere posizionati negli appositi contenitori a cura del soggetto che gestisce il Luogo di Raggruppamento dei RAEE.  All’atto dell’adesione al servizio il Distributore o il gestore del Luogo di Raggruppamento dei RAEE dovrà versare una cauzione per ogni Raggruppamento per cui viene richiesto il servizio.  I Distributori o i gestori dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE potranno richiedere il ritiro da parte dei Sistemi Collettivi solo per quantitativi superiori o uguali a quelli indicati nella tabella per ciascun Raggruppamento (i pesi sono verificati a destino). Qualora il Sistema Collettivo accerti un quantitativo inferiore al minimo consentito o sia effettuata una Richiesta di Ritiro per un quantitativo inferiore al minimo, il Distributore o il gestore del Luogo di Raggruppamento dei RAEE dovrà versare al Sistema Collettivo un contributo all’erogazione del servizio.  I Distributori o i gestori dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE devono fornire adeguate ed aggiornate informazioni per la compilazione della documentazione di trasporto dei RAEE in conformità alle normative vigenti. Contestualmente al ritiro i Distributori o i gestori dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE si rendono disponibili a sottoscrivere i documenti previsti dalla normativa vigente.  I Distributori o i gestori dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE che al termine di ogni annualità, a decorrere dalla data di sottoscrizione del presente accordo, avranno conferito quantitativi di RAEE superiori ai seguenti valori:

RAGGRUPPAMENTI QUANTITATIVO ANNUO (Kg.)
R1 20.000
R2 30.000
R3 25.000
R4 25.000

riceveranno un premio di efficienza che sarà in ogni caso commisurato a quello versato ai gestori dei Centri di Raccolta comunali e che inizialmente è pari a € 35,00 per ogni tonnellata ritirata nella stessa annualità. Dal computo delle quantità generate annualmente saranno esclusi i ritiri effettuati al di sotto delle soglie minime indicate. Per favorire l’accesso al servizio disciplinato dal presente accordo il premio di efficienza è aumentato di € 15,00 per ogni tonnellata per quei gestori dei Luoghi di Raggruppamento dei RAEE delegati da almeno 5 punti di vendita, ciascuno dei quali dovrà aver delegato un unico luogo di raggruppamento dei RAEE.
 

adminAccordo ANCI – Centro di Coordinamento RAEE – Distribuzione
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Difensore Civico Comunale: quando verrà soppresso?

A cura di Avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati


La Legge Finanziaria 2010 (L. 23.12.2009, n. 191 in G.U. 302 del 23.12.2009) aveva previsto la soppressione della figura del Difensore CivicoComunale e Provinciale (art. 2 comma 186, lettera a)[1].

Un taglio netto alla figura istituzionale prevista dall’art. 11 Dlgs. 267/2000 pensata per facilitare il dialogo tra cittadino e pubblica amministrazione.
Vero è che il Legislatore della L. 42/2010 (conversione in legge del DL 2/2010) ha avuto un ripensamento ed è intervenuto a limitare tale “soppressione/abrogazione”.
Il Parlamento, infatti, con legge 26.03.2010, n. 42 (in G.U. 72 del 27.3.2010) ha soppresso solo la figura del Difensore Civico Comunale, precisando che le relative funzioni possono essere attribuite, a mezzo di un’apposita convenzione, al difensore civico della provincia in cui l’ente locale è compreso.
Laddove tale accordo venga raggiunto, il difensore civico sarà pertanto denominato territoriale e svolgerà le tipiche funzioni di controllo e vigilanza sull’operato della P.A. nei confronti dei privati cittadini.
Di seguito si riporta il testo dell’art. 2 comma 186, lettera a) della Legge Finanziaria 2010, come novellato dall’art. 1-quater della L. 42/2010 (in rosso le modifiche):
Art. 2 comma 186: In relazione alle riduzioni del contributo ordinario di cui al comma 183, i comuni devono altresì adottare le seguenti misure:a) soppressione della figura del difensore civico comunale di cui all’articolo 11 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Le funzioni del difensore civico comunale possono essere attribuite, mediante apposita convenzione, al difensore civico della provincia nel cui territorio rientra il relativo comune. In tale caso il difensore civico provinciale  assume la denominazione di “difensore civico territoriale” ed è competente a garantire l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione, segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze e i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini;
Con Legge 26.03.2010, n. 42 di conversione del D.L. 2/2010 il Parlamento ha voluto precisare che la figura soppressa è unicamente quella comunale, anche se l’art. 2 comma 186 era chiaramente destinato solo agli enti locali: comuni devono altresì adottare…
Nessun dubbio che l’art. 11 T.U. 267/2000 rimanga applicabile limitatamente alla figura del difensore civico provinciale/territoriale, le cui funzioni, quindi vengono statuite dagli organi politici della Provincia e descritte nel relativo statuto.
Laddove invece venisse istituita la figura del difensore civico territoriale, questi avrebbe le medesime funzioni ma con contenuto molto più ampio e a propria discrezione, poiché non vi sarebbero i limiti imposti dallo statuto.
Quando verrà soppresso?
Con tecnica legislativa ormai nota il legislatore sopprime la figura del difensore comunale disciplinandone i tempi … per il futuro.La figura del difensore non trova fine con l’entrata in vigore della legge di conversione n. 42/2010 (26.3.2010) ma sopravvive  fino allo scadere naturale del suo mandato.
Il legislatore provvede a precisare il momento in cui il difensore comunale verrà soppresso, in sede di legge di conversione n. 42/2010 (26.3.2010) al comma 187 : “.. le disposizioni di cui all’art. 2 comma 186 lett. a)….si applicano in ogni comune interessato, dalla data di scadenza dei singoli incarichi dei difensori civici …in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.


[1] art. 2 comma 186:
In relazione alle riduzioni del contributo ordinario di cui al comma 183, i comuni devono altresì adottare le seguenti misure: a) soppressione della figura del difensore civico di cui all’art. 11[1] del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2007, n. 267.

 

adminDifensore Civico Comunale: quando verrà soppresso?
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