AIA e conferenza servizi

AIA e Conferenza Servizi
TAR Calabria 1345 del 8/11/2011
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
 
La sentenza del TAR Calabria applica la disciplina del Dlgs. 59/2005 ma contiene utili spunti di chiarimento sul rapporto tra le varie procedure VIA, VAS e AIA nel sistema previgente (Dlgs. 59/2005) e in quello oggi vigente (Dlgs. 152/2006 come riformato dal Dlgs. 128 del 29/6/2010).
La sentenza decide infine la causa precisando la natura del parere negativo reso dalla Conferenza di servizi e sulla natura decisoria od istruttoria “della Conferenza”.
LA SENTENZA
Con ricorso veniva impugnato il parere negativo reso a conclusione della Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale, indetta a seguito dell’istanza ai sensi dell’art. 5 D. Lgs. n. 59/2005, per la realizzazione, di una piattaforma depurativa di reflui speciali non pericolosi, a ridosso della zona industriale, accanto ad una cava per l’estrazione della sabbia nonché ad un impianto di depurazione a servizio degli insediamenti produttivi, in area ancora formalmente normata come “zona agricola”.
Il TAR affronta la eccezione di inammissibilità del ricorso, in quanto interposto avverso una determinazione assunta a conclusione di una conferenza di servizi, non ancora trasfusa in un provvedimento finale.
SI DISCUTE DUNQUE sulla determinazione decisoria o istruttoria della Conferenza di Sevizi.
 1) Conferenza di tipo istruttorio
Nel caso che occupa, viene impugnato il parere negativo reso dalla Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale e  trova applicazione la disciplina di cui al D.L.vo n. 59 del 2009, in base al principio “tempus regit actum” riveniente dall’art. 11 delle preleggi.
Il TAR – valutando il combinato disposto degli articoli 5 comma 10 (convocazione Conferenza Servizi) e comma 12 (rilascio autorizzazione) che si conclude con “l’autorizzazione integrata ambientale non può essere comunque rilasciata prima della conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale”nonché dell’art. 7 – conclude che “il parere … non conclude il procedimento inteso ad ottenere l’autorizzazione integrata ambientale (AIA), in quanto il modulo procedimentale rilevante, nel caso di specie, è quello della conferenza di tipo istruttorio e, quindi, non rappresenta un mezzo di manifestazione del consenso, quanto, piuttosto, un momento di emersione e di comparazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti.
In particolare, le Amministrazioni, chiamate ad esprimere il loro parere sugli insediamenti da realizzare, arricchiscono la visione e la ponderazione della scelta finale, che è, però, affidata, nel momento volitivo e decisionale, all’autorità regionale, competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale: di conseguenza, ad essa non si applicano le disposizioni volte a disciplinare l’eventuale dissenso delle Amministrazioni partecipanti in seno a conferenza di servizi avente competenze di tipo decisorio (Cons. Stato: Sez. VI, 4 giugno 2004 n. 3505; Sez. I , 13 dicembre 2010 36116).
Ne discende, per quanto rileva ai fini della definizione del presente giudizio, che il parere negativo reso dalla Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale …non si pone come atto conclusivo di un procedimento suscettibile di autonoma ed immediata impugnativa, ma si inserisce nel distinto procedimento unico che si sviluppa secondo le forme della conferenza di servizi, quale atto endoprocedimentale, che concorre alla determinazione conclusiva della conferenza stessa.
……Pertanto, nella specie, si appalesa inammissibile il gravame interposto avverso un atto endoprocedimentale, costituito dal parere negativo, … a conclusione della Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale, avviata su istanza della parte ricorrente …ai sensi dell’art. 5 D. Lgs. n. 59/2005, non ancora trafuso nel provvedimento finale di formazione della volontà dell’Autorità Amministrativa competente.
2) Dlgs. 59/2005
Prima di giungere alla decisione il TAR affronta alcuni punti.
Il Tar chiarisce che:”… l’autorizzazione integrata ambientale, prevista dalla Direttiva IPPC 96/61/C.E., introdotta in Italia dal D.L.vo n. 59 del 2005, è un provvedimento rilasciato a seguito di una istruttoria in cui vengono valutati tutti i possibili impatti di una certa attività sull’ambiente, unitariamente e contestualmente, a fini di semplificazione dell’azione amministrativa: infatti, essa sostituisce tutti i provvedimenti riportati nell’Allegato II tra cui
1)            Autorizzazione alle emissioni in atmosfera,
2)            Autorizzazione allo scarico di cui al D.L.vo 11 maggio 1999 n. 152,
3)            Autorizzazione alla realizzazione e modifica di impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti di cui al D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 art. 27).
Come la V.I.A., anche l’A.I.A. è uno strumento a carattere “preventivo e globale”.
…..L’art. 7 D.L.vo n. 59 del 2005 dispone che le informazioni o conclusioni pertinenti risultanti dall’applicazione della normativa sulla V.I.A. devono essere prese in considerazione per il rilascio dell’A.I.A.
 
AIA e VIA: differenze.
Il TAR precisa la differenza sostanziale tra le due procedure:
1)L’autorizzazione integrata ambientale è, quindi, un provvedimento che incide specificamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, mentre
2)  la procedura di V.I.A. investe, più propriamente, i profili localizzativi e strutturali.
 
Nel Dlgs. 59/2005 le due autorizzazioni (VIA ed AIA) e i due procedimenti, rimangono, distinti anche nel caso in cui uno stesso progetto debba essere sottoposto sia a V.I.A. che ad A.I.A..
 
3) Dlgs. 128/2010 (art. 10 Dlgs. 152/2006)
Con il D. Lgs. 29.6.2010 n.128 l’AIA viene, invece, ad affiancarsi alla valutazione ambientale strategica (V.A.S.) e alla valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), in tal modo eliminando una delle più macroscopiche anomalie del sistema previgente realizzando la disciplina unitaria e coerente delle autorizzazioni ambientali.
Attraverso una rilevante modifica dell’art. 10 del T.U., “sono stati poi meglio definiti i rapporti tra V.I.A. e A.I.A., in modo da evitare le duplicazioni e le disfunzioni che ancora connotavano il funzionamento dei due istituti.
La lettura dell’art. 10 D.Lgs. 152/06 è  utile per comprendere i rapporti con la VAS.
L’ultimo comma dell’art. 10 permette che nella elaborazione dell’impatto ambientale VIA possano essere impiegate le informazioni contenute nella relazione del rapporto ambientale e in particolare la documentazione e le conclusioni della VAS.
Si noti che  per il rilascio della VIA può essere impiegata l’istruttoria già eseguita per la VAS   “realizzando quella disciplina unitaria e coerente delle autorizzazioni ambientali che costituiva uno degli obiettivi dell’originaria legge delega 15.12.2004, n. 308” (TAR Campania, 8.11.2011, n. 1345).
Ed invero, l’art. 10 al comma 1 bis specifica che, in caso di richiesta congiunta di rilascio di VIA e AIA per impianti la cui valutazione spetta allo Stato, “lo studio di impatto ambientale e gli elaborati progettuali contengono anche le informazioni previste ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 29 ter e il provvedimento finale “ disponga altresì tutte le prescrizioni che l’AIA avrebbe contenuto in caso di istanza ad hoc.
La VIA e l’AIA, pur essendo entrambe provvedimenti a carattere “preventivo e globale”, sono infatti autonomi, in quanto “l’autorizzazione integrata ambientale è…un provvedimento che incide specificatamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, mentre la procedura di VIA investe più propriamente i profili localizzativi e strutturali” (TAR Campania, 8.11.2011, n. 1345).
 ______________________________________
Vero è che l’articolo 10, come modificato dal Dlgs. 128 del 29/6/2010, suggerisce la gerarchia tra le varie procedure di Via VAS e AIA evidenziando:
1)    Preminenza della Via sull’Aia (comma 1)
2)    La VIA può “assorbire “ l’AIA (comma 1)
3)    Aia coordinata nell’ambito dei procedimenti di VIA (comma 2)
4)    Casi di coincidenza di VIA e AIA (ma è la VIA che fa luogo dell’AIA)
Si riporta testualmente l’articolo oggi vigente:
10. Norme per il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti.
1. Il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale fa luogo dell’autorizzazione integrata ambientale per i progetti per i quali la relativa valutazione spetta allo Stato e che ricadono nel campo di applicazione dell’allegato XII del presente decreto. Qualora si tratti di progetti rientranti nella previsione di cui al comma 7 dell’articolo 6, l’autorizzazione integrata ambientale può essere richiesta solo dopo che, ad esito della verifica di cui all’articolo 20, l’autorità competente valuti di non assoggettare i progetti a VIA
1-bis. Nei casi di cui al comma 1, lo studio di impatto ambientale e gli elaborati progettuali contengono anche le informazioni previste ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 29-ter e il provvedimento finale le condizioni e le misure supplementari previste dagli articoli 29-sexies e 29-septies del presente decreto. Qualora la documentazione prodotta risulti incompleta, si applica il comma 4 dell’articolo 23
1-ter. Nei casi di cui al comma 1, il monitoraggio e i controlli successivi al rilascio del provvedimento di valutazione di impatto ambientale avviene anche con le modalità di cui agli articoli 29-decies e 29-undecies
2. Le regioni e le province autonome assicurano che, per i progetti per i quali la valutazione d’impatto ambientale sia di loro attribuzione e che ricadano nel campo di applicazione dell’allegato VIII del presente decreto, la procedura per il rilascio di autorizzazione integrata ambientale sia coordinata nell’ambito del procedimento di VIA. È in ogni caso disposta l’unicità della consultazione del pubblico per le due procedure. Se l’autorità competente in materia di VIA coincide con quella competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, le disposizioni regionali e delle province autonome possono prevedere che il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale faccia luogo anche di quella autorizzazione. In questo caso, si applica il comma 1-bis del presente articolo
3. La VAS e la VIA comprendono le procedure di valutazione d’incidenza di cui all’articolo 5 del decreto n. 357 del 1997; a tal fine, il rapporto ambientale, lo studio preliminare ambientale o lo studio di impatto ambientale contengono gli elementi di cui all’allegato G dello stesso decreto n. 357 del 1997 e la valutazione dell’autorità competente si estende alle finalità di conservazione proprie della valutazione d’incidenza oppure dovrà dare atto degli esiti della valutazione di incidenza. Le modalità di informazione del pubblico danno specifica evidenza della integrazione procedurale.
4. La verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 20 può essere condotta, nel rispetto delle disposizioni contenute nel presente decreto, nell’ambito della VAS. In tal caso le modalità di informazione del pubblico danno specifica evidenza della integrazione procedurale.
5. Nella redazione dello studio di impatto ambientale di cui all’articolo 22, relativo a progetti previsti da piani o programmi già sottoposti a valutazione ambientale, possono essere utilizzate le informazioni e le analisi contenute nel rapporto ambientale. Nel corso della redazione dei progetti e nella fase della loro valutazione, sono tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della VAS
 
 

adminAIA e conferenza servizi
Leggi Tutto

Acque: Servizio Idrico Integrato – Corte Cost. n. 320/2011

 Acque: Servizio Idrico Integrato –Corte Cost. n. 320/2011
A  cura di avv. Cinzia Silvestri
La Corte costituzionale in data 25.11.2011 ha assunto importante decisione in merito alle problematiche delle funzioni dell’ATO; alle gare di affidamento del servizio; alla possibilità degli enti di costituire una società patrimoniale d’ambito; sulla proprietà pubblica delle reti ed il loro trasferimento a società fosse anche a partecipazione pubblica.
La Legge Regionale della Lombardia subisce la sentenza della Corte costituzionale che contiene però indicazioni foriere di larga applicazione in altri ambiti.
Per completezza si richiama l’intera sentenza nella sua complessità con riserva di segnalare in successive news i punti di interesse e si riporta invece il dispositivo finale che riconosce la illegittimità costituzionale
“dichiara l’illegittimità costituzionale dei commi 2 e 4 dell’art. 49 della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), introdotti dall’art. 1, comma 1, lettera t), della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2010, n. 21, recante «Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), in attuazione dell’articolo 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191»;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della lettera c) del comma 6 dell’art. 49, della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003, introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera t), della legge reg. Lombardia n. 21 del 2010, proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e), l), m) e s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
 
 

adminAcque: Servizio Idrico Integrato – Corte Cost. n. 320/2011
Leggi Tutto

Fanghi: quando sono rifiuti?

QUANDO I FANGHI DA DEPURAZIONE DIVENGONO RIFIUTI?
NOTE A CASS. PEN. N. 36096 DEL 5.1.2011.
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Il legale rappresentante di una società cui era affidata la gestione dell’impianto di depurazione delle acque reflue urbane era accusato di aver effettuato il deposito incontrollato dei rifiuti costituiti dai fanghi di depurazione del predetto impianto avendone omesso lo smaltimento.
La sentenza affronta il momento di passaggio dei “fanghi” alla disciplina sui “rifiuti”.
Utile la cronologia delle modifiche all’art. 127 :
1) L’art. 48 dell’ormai abrogato Dlgs 152/99 stabiliva: “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 e successive modifiche, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta ciò risulti appropriato“.
2) L’art. 127 del Dlgs 152/2006, nell’originaria formulazione, specificava: “ferma restando la disciplina di cui al Dlgs 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”.
3) L’articolo 127, comma primo Dlgs 152/2006, nell’attuale formulazione dopo le modifiche apportate dal Dlgs 4/2008, così recita: “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”.
Le modifiche apportate all’articolo 127, recita la sentenza, spostano dunque il momento in cui la disciplina dei rifiuti deve applicarsi ai fanghi al termine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione, ragion per cui è essenziale individuare il momento finale di tale trattamento.
La sentenza approfondisce concludendo che se manca il trattamento finalizzato allo smaltimento e/o riutilizzo, ovvero quando tale procedura sia svolta in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio, i fanghi derivanti dalla depurazione di acque reflue devono considerarsi RIFIUTI.
Questo è il principio di diritto sancito dalla Cassazione Penale con sentenza n. 36096 del 5.10.2011, che ha rigettato il ricorso di un gestore di un impianto di depurazione di acque reflue urbane condannato per aver effettuato un deposito incontrollato di rifiuti costituiti da fanghi di depurazione non smaltiti.
Sul punto però il legislatore nulla ha statuito, anche perché, come riconosciuto dalla stessa Cassazione, la procedura di trattamento dei fanghi dipende da molti fattori (attrezzature impiegate, luogo in cui avviene l’essiccamento, agenti atmosferici, natura dei fanghi, destinazione dei letti di essiccamento) e sarebbe dunque impossibile determinare un momento finale adeguato e certo.
La Cassazione richiede pertanto un accertamento concreto della natura dei fanghi e delle modalità di trattamento degli stessi.
Nella fattispecie oggetto della sentenza, la mancanza di operazioni di scarico dei rifiuti nell’apposito registro e la presenza di vegetazione sui fanghi costituivano elementi fattuali che a parere della Cassazione dimostravano al di là di ogni ragionevole dubbio l’omesso trattamento dei fanghi ed il prolungato tempo di permanenza degli stessi nelle vasche di essicazione.
I fanghi dunque non erano destinati né allo smaltimento, né al loro recupero, ma costituivano rifiuti.
Il gestore non aveva peraltro provato l’avvio del trattamento, né aveva motivato il ritardo e questo costituiva ulteriore riprova dell’omesso trattamento.
La sentenza 36096/2011 è anche occasione per la Cassazione di ribadire che l’onere della prova incombe proprio sul produttore dei rifiuti, “in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria”.
 
 

adminFanghi: quando sono rifiuti?
Leggi Tutto

Sicurezza: Regolamento prevenzione incendi

Sicurezza: Regolamento di prevenzione incendi
Ministero dell’Interno, L.C. 6 ottobre 2011, Prot. 13061
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
 Lo scorso 7 ottobre è entrato in vigore il nuovo regolamento di prevenzione incendi (D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151)
Il regolamento, nell’introdurre importanti elementi innovativi nella vigente disciplina della prevenzione incendi, ha inteso raccordare l’attuale quadro normativo con l’introduzione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e dello sportello unico per le attività produttive e, al tempo stesso, garantire il bilanciamento degli interessi fondamentali di tutela della sicurezza delle persone e dell’integrità dei beni con le esigenze di semplificazione amministrativa e di riduzione degli oneri a carico delle imprese e dei cittadini.
Al fine di offrire indirizzi applicativi uniformi sul territorio, il Ministero dell’Interno ha emanato, in data 6 ottobre 2011, la Circolare Prot. 13061 con la quale vengono fornite alcune importanti indicazioni utili per una più chiara lettura della nuova regolamentazione in attesa dell’emanazione dei decreti attuativi. Nella lettera circolare sono trattati, nello specifico, i seguenti temi:
1. Le novità introdotte dal nuovo Regolamento
3. Nuovi procedimenti volontari
4. Procedimenti nel periodo transitorio
5. Documentazione e modulistica a corredo delle pratiche
6. Il sistema tariffario nel transitorio
7. Gestione transitoria dell’applicativo prevenzione incendi
 LE NOVITÀ INTRODOTTE DAL NUOVO REGOLAMENTO
Attraverso il nuovo regolamento di semplificazione del procedimento di prevenzione incendi viene perseguito un duplice obiettivo:
1)    rendere più snella e veloce l’azione amministrativa,
2)    rendere più efficace l’opera di controllo dei Comandi provinciali che hanno la possibilità di concentrare la gran parte delle verifiche tecniche sulle attività con rischio di incendio più elevato.
A tal fine il nuovo regolamento distingue le attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi in tre categorie A, B e C, elencate nell’allegato I al d.P.R. 151/11 che sono assoggettate a una disciplina differenziata in relazione al rischio connesso all’attività, alla presenza di specifiche regole tecniche e alle esigenze di tutela della pubblica incolumità.
Vengono quindi abrogati:
–       il decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1959, n. 689, che nelle tabelle A e B riportava le aziende e lavorazioni soggette al controllo del vigili del fuoco ai fini della prevenzione degli incendi, ai sensi dell’articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547;
–       il decreto del Ministro dell’interno 16 febbraio 1982, che nella tabella allegata conteneva l’elenco dei depositi e industrie pericolose soggetti alle visite ed ai controlli di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 4 della legge 26 luglio 1965, n. 966.
Gli adempimenti connessi alla valutazione dei progetti vengono differenziati in relazione alle esigenze di tutela degli interessi pubblici: per le attività di cui alla categoria A, che sono soggette a regole tecniche e che per la loro standardizzazione non presentano particolare complessità, non è più previsto il preventivo parere di conformità dei Comandi.
In allegato si trasmette una sintesi dettagliata della circolare ministeriale. E’ possibile scaricare il testo integrale del provvedimento, unitamente alla modulistica, al seguente indirizzo internet: http://www.vigilfuoco.it/aspx/notizia.aspx?codnews=12832
 
 
 

adminSicurezza: Regolamento prevenzione incendi
Leggi Tutto

ACQUE E RUMORE: SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA

Atto Governo n. 369 (reperibile in www.parlamento.it)

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Novità in materia di assimilazione delle acque e autorizzazione nonché qualche agevolazione in materia di rumore.
Per quanto riguarda il Veneto sembra potersi affermare che le eventuali estensioni delle acque assimilate domestiche sono già disciplinate dall’art. 34 PTA 2009; mentre applicabile appare la novità in materia di rinnovo autorizzazioni.
È al vaglio del Parlamento  testo di DPR predisposto in attuazione dell’art. 49 comma 4 quater D.L: 31.5.2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla L. 30.7.2010, n. 122 avente la finalità, “senza modificare le disposizione di cui al D. Lgs. 3.4.2006, n. 152 e alla legge 26.10.1995, n. 447, semplificare(re) gli adempimenti amministrativi gravanti sulle imprese in riferimento alla disciplina delle acque reflue e alla documentazione di impatto acustico, lasciando inalterati i livelli di tutela ambientale(relazione illustrativa DPR) .
Il testo, laddove approvato ed emanato, troverà applicazione solo per le micro, piccole e medie imprese (art. 1).
Le tabelle, non trovano applicazione in Veneto, stante la vigenza dell’art. 34 NTA del PTA Veneto.
Si precisa che la materia ambientale è di competenza esclusiva statale e, dunque, è precluso il potere legislativo in capo alle Regioni
Il PTA è un piano di settore, strumento di obbligatoria emanazione, stante l’art. 121 D. Lgs. 152/06 e volto alla sola indicazione del panorama attuale dello stato del patrimonio idrico regionale e a disporre, laddove opportuno in base alle condizioni territoriali, i valori dei parametri di cui all’all. 5 parte III TUA.
AUTORIZZAZIONE SCARICHI ACQUE REFLUE INDUSTRIALI
L’articolo 3 è finalizzato a “semplificare  la procedura di rinnovo dell’autorizzazione che attualmente risulta onerosa quanto una nuova autorizzazione” (relazione illustrativa).
Laddove non vi siano verificate modifiche di carattere strutturale, ovvero non vi siano mutamenti quali-quantitativi dello scarico è sufficiente una autocertificazione da inoltrare alla Provincia entro 6 mesi prima della scadenza dell’autorizzazione.
La semplificazione amministrativa non vale se lo scarico contiene sostanze pericolose (art. 3 comma 2).
 
*****
RUMORE
SEMPLIFICAZIONE DOCUMENTAZIONE IMPATTO ACUSTICO (ART. 4).
L’art. 8 L. 447/95 richiede il deposito di una valutazione di impatto acustico unitamente al progetto per la edificazione/realizzazione di un’infrastruttura, un’esercizio commerciale oppure un’attività.
Lo Stato italiano ha verificato che le imprese spendono otre 3.000 € per gli adempimenti in materia acustica, costo che potrebbe essere evitato grazie al DPR in fase di studio.
Il testo di legge, infatti, disciplina all’art. 4 quali casi possano sostituire la valutazione dell’esperto acustico con una autodichiarazione, “fornendo dunque un quadro regolatorio caratterizzato da maggiore certezza nell’ottica di ridurre il rischio che le imprese sostengano oneri amministrativi superflui rispetto alle effettive esigenze di tutela dall’inquinamento acustico” (relazione illustrativa).
 
Laddove dunque l’attività esercitata non superi i limiti stabiliti nei piani di zonizzazione acustica approvati dai Comuni ovvero, in mancanza, da quanto disposto dal DPCM 14.11.1997, la valutazione dell’esperto non è necessaria.
 
..il problema è che deve essere verificato il rispetto dei limiti e ciò richiede proprio l’intervento di un esperto……
Si evidenzia altresì un’altra problematica: l’attuale testo del DPR richiama soltanto il DPCM 14.11.1997, ma non quello del 1991 e ciò nonostante l’art. 6 DPCM 1.3.1991, che stabilisce proprio i limiti suppletivi, in attesa della classificazione acustica operata dai Comuni.


In particolare si evidenzia:
ART. 2: ACQUE ASSIMILATE A QUELLE DOMESTICHE:
Il DPR stabilisce due tabelle:
la prima contiene i valori che le acque devono presentare prima del trattamento depurativo;
la seconda indica le attività da cui devono derivare i reflui.
Le tabelle si applicano in assenza di disciplina regionale (art. 2 comma 2)
Tabella 1

  parametro/sostanza Unità di misura Valore limite di emissione
1 Portata Mc/giorno ≤ 15
2 pH   5,5-9,5
3 Temperatura ≤30
4 Colore   Non percettibile con diluizione 1:40
5 Materiali grossolani   Assenti
6 Solidi iSospesi Totali Mg/l ≤700
7 BOD5 (come ossigeno) Mg/l ≤300
8 COD (come ossigeno) Mg/l ≤700
9 Rapporto COD/BOD5   ≤2,2
10 Fosforo totale (come P) Mg/l ≤30
11 Azoto ammoniacale (come NH4) Mg/l ≤50
12 Azoto nitroso (come N) Mg/l ≤0,6
13 Azoto nitrico (come N) Mg/l ≤30
14 Grassi e oli animali/vegetali Mg/l ≤40
15 Tensioattivi Mg/l ≤20

 
Per i restanti parametri o sostanze, qualora siano presenti, valgono i valori limite previsti alla Tabella 3 dell’Allegato 5 alla parte terza del decreto 4.4.2006, n. 152 per le emissioni in acque superficiali.
 
Tabella 2 – attività che generano acque reflue assimilate alle acque reflue domestiche
(si riportano solo i primi 13 attività rimandando per la completa lettura al sito www.parlamento.it)

  ATTIVITÀ
1 attività alberghiera, rifugi montani, villaggi turistici, residence, agriturismi, campeggi
2 Attvità di ristorazione (anche self service), mense, trattorie, rosticcerie, friggitorie, pizzerie, osterie e birrerie con cucina
3 Attività ricreativa
4 Attività turistica
5 Attività sportiva
6 Attività culturale
7 Servizi di intermediazione monetaria, finanziaria e immobiliare
8 Attività informatica
9 Laboratori di parrucchiera, barbiere ed istituti di bellezza con un consumo idrico giornaliero inferiore a 1 m3 al momento di massima attività
10 Lavanderie e stirerie con impiego di lavatrici ad acque analoghe a quelle di uso domestico e che effettivamente trattino non più di 100 kg di biancheria al giorno
11 Attività di vendita al dettaglio di generi alimentari, bevande e tabacco o altro commercio al dettaglio
12 Laboratori artigianali per la produzione di dolciumi, gelati, pane, biscotti e prodotti alimentari freschi, con un consumo idrico giornaliero inferiori a 5 mc nel periodo di massima attività

 

adminACQUE E RUMORE: SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA
Leggi Tutto

RIFIUTI: SOTTOPRODOTTI -VINACCE ESAUSTE

Tribunale penale di Asti Ordinanza  13 gennaio 2011

A cura di avvocato Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati


 
 
La vicenda trattata dal Tribunale presenta interesse laddove affronta la questione relativa a ciò che è rifiuto e a ciò che non lo è; affronta la questione relativa dunque al “sottoprodotto”.
 
La L. n. 205/2008 art. 2bis[1], che si riporta, aveva escluso le vinacce esauste dal novero dei rifiuti laddove esistenti alcune caratteristiche e si badi finalizzata, tale esclusione, al recupero energetico.
La legge 205/2008 invero richiama l’allegato della parte V  relativa alle “caratteristiche delle biomasse combustibili e relative condizioni di utilizzo”.
 
 
Ebbene il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Asti ha sollevato questione di legittimità costituzionale con ordinanza 13.1.2011 in relazione alle vinacce esauste la cui disciplina, dettata dall’art. 2 bis della L. 30.12.2008 n. 205, contrasterebbe con la Direttiva sui rifiuti 2006/12/CE.
 
Certo il Giudice richiama normativa nazionale (L. 205/2008) e comunitaria (Direttiva 2006/12) che ad oggi deve essere letta alla luce della L. 205/2010 di riforma della parte IV del codice ambientale e dunque degli articoli come riformati di cui art. 183 ss e in particolare dell’art. 184 bis nonché della Direttiva 2008/98/CE.
 
Ciò nonostante il ragionamento del Giudice presenta una sua attualità laddove richiama un principio importante: la natura di sottoprodotto deve essere sempre verificata.
 
L’incidente di costituzionalità trae origine dalla richiesta del Pubblico Ministero che, nella formulazione del capo di imputazione del titolare di una distilleria, aveva richiesto anche la condanna ai sensi dell’art. 256 comma 1 lett. a) in relazione all’art. 214 D. Lgs. 152/2006 dato il recupero energetico dei rifiuti prodotti dalla attività di distillazione costituiti da vinacce esauste in assenza di iscrizione nel registro provinciale delle imprese di recupero rifiuti non pericolosi.
Ebbene, il Tribunale prendeva atto che  le vinacce costituivano, infatti, sottoprodotti ai sensi dell’art. 2 bis L. 205/2008, non rientrando più tra i rifiuti derivati dall’industria agroalimentare ai sensi del DM 5.2.1998 ( cfr. all.1 sub1 punto 11.7 e all. 2 suball.1).
In quanto non rifiuti, l’uso improprio delle vinacce non costituisce reato ai sensi dell’art. 256 D. Lgs. 152/2006.
 
Il PM tuttavia rilevava che la L. 205/2008 stabilisce una presunzione assoluta, non permettendo di verificare nel concreto l’impiego effettivo delle vinacce e ciò sarebbe contrario alla ratio della Direttiva 2006/12/CE, che fa leva, invece, anche su elementi estrinseci e sui comportamenti dei soggetti produttori ed utilizzatori, non limitandosi alla sola natura del materiale (es: sfruttamento economico, rendita, operazioni di recupero).
così operando la normativa del 2008 ha creato un’ingiustificata riduzione della sfera di operatività della direttiva sui rifiuti che l’Italia è invece obbligata a trasporre mediante apposite norme interne” (ordinanza GIP)
 
Il Giudice nazionale non può disapplicare la disposizione italiana contrastante, preferendo la direttiva comunitaria, e dunque, qualora la ritenga in conflitto con la disciplina europea, unico rimedio, è investire la Corte Costituzionale della questione (sentenza Corte Costituzionale 25.1.2010, n. 28).
Sulla scorta delle argomentazioni del PM il GIP del Tribunale di Asti ha ritenuto non manifestamente infondata e rilevante la questione e ha adito la Consulta perché l’art.2bis L. 205/2008  viola l’art. 11 e 117 comma 1 Cost.
La Corte costituzionale dunque è chiamata a statuire sulla legittimità della L. 205/2008 laddove precisa la natura di sottoprodotto delle vinacce esauste.
Si rimane in attesa della pronuncia del Giudice delle leggi.


[1] “Art. 2bis.
Disposizioni in materia di biomasse combustibili relative alla vinaccia esausta ed al biogas nei processi di distillazione
 
1. Le vinacce vergini nonche’ le vinacce esauste ed i loro componenti, bucce, vinaccioli e raspi, derivanti dai processi di vinificazione e di distillazione, che subiscono esclusivamente trattamenti di tipo meccanico fisico, compreso il lavaggio con acqua o l’essiccazione, destinati alla combustione nel medesimo ciclo produttivo sono da considerare sottoprodotti soggetti alla disciplina di cui alla sezione 4 della parte II dell’allegato X alla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

2. E’ sottoprodotto della distillazione anche il biogas derivante da processi anaerobici di depurazione delle borlande della distillazione destinato alla combustione nel medesimo ciclo produttivo, ai sensi della sezione 6 della parte II dell’allegato X alla parte quinta del citato decreto legislativo n. 152 del 2006».

 

adminRIFIUTI: SOTTOPRODOTTI -VINACCE ESAUSTE
Leggi Tutto

Sistri: Testo Unico?

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 aprile 2011  il DM 18 febbraio 2001 n. 5[1]2
 
A CURA DI AVV. CINZIA SILVESTRI E DOTT. DARIO GIARDI
 
Il provvedimento riunifica in un solo testo tutti i cinque decreti finora emanati sul Sistri che, dal prossimo 11 maggio (data di entrata in vigore del cosidetto “Testo Unico”), cesseranno di produrre effetti.
Resteranno salve, tuttavia, le proroghe intervenute per:
o   l’avvio operativo del sistema fissato al 1 giugno 2011;
o   la trasmissione dei dati di quanto prodotto e smaltito o recuperato nel 2010  e nel 2011 (da effettuarsi rispettivamente entro il 30 aprile ed il 31 dicembre 2011).
 
Il Dm non incide nella sostanza sul Quadro esistente relativo al nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti. Vengono, tuttavia, introdotte importanti modifiche che è opportuno evidenziare:
 

  • VERSAMENTO CONTRIBUTO
  • viene DIFFERITO dal 31 gennaio al 30 aprile il temine entro il quale è possibile versare il contributo annuo. Si tratta di un vero e proprio mutamento della disciplina di base. Infatti, il 30 aprile rappresenterà il nuovo termine per i versamenti da effettuare anche in futuro. Per il 2011 è evidente il disallineamento temporale tra il pagamento entro il 30 aprile e l’entrata in vigore del Dm (11 maggio). Tale disallineamento non genererà però conseguenze dato che il quadro sanzionatorio entrerà in vigore a partire dal 1 giugno 2011;

 

  • TRASPORTATORI IN CONTO TERZI
  • è prevista la possibilità per i trasportatori in conto terzi (articolo 212, comma 5, Dlgs 152/2006) di dotarsi del dispositivo Usb (la chiavetta) relativo alla sola sede legale oppure, in alternativa, di un’ulteriore chiavetta per ciascuna unità locale. In questo secondo caso, il contributo va versato per ogni unità locale dotata di chiavetta. Resta fermo l’obbligo di pagare il contributo annuale e di dotarsi di una chiavetta per ogni veicolo a motore adibito al trasporto di rifiuti;

 

  • MICRORACCOLTA
  • viene confermata – per la microraccolta ed estesa alle attività di raccolta dei rifiuti prodotti da attività di manutenzione (purché i rifiuti siano trasportati direttamente all’impianto di recupero o smaltimento da parte del soggetto che ha effettuato la manutenzione) – la possibilità per il trasportatore che intende movimentare rifiuti pericolosi di non dover accedere necessariamente almeno due ore prima al sistema per la compilazione della scheda Sistri Area movimentazione. L’importante è che tale scheda venga compilata prima della movimentazione medesima;

 

  • TRASPORTO MARITTIMO
  • per il trasporto marittimo dei rifiuti è previsto che l’armatore o il noleggiatore che effettuano il trasporto, possano delegare gli adempimenti Sistri al raccomandatario marittimo di cui alla legge 135/77. In tal caso, il raccomandatario consegna al comandante della nave la copia compilata della scheda Sistri – Area movimentazione. All’arrivo, il comandante consegna la copia della scheda al raccomandatario rappresentante l’armatore o il noleggiatore presso il porto di destino;

 

  • RIFIUTI PERICOLOSI
  • per i produttori di rifiuti pericolosi non inquadrati in un’organizzazione di ente o di impresa è prevista la possibilità di adempiere all’obbligo di tenuta del registro di carico e scarico attraverso la conservazione, in ordine cronologico, delle copie della scheda Sistri Area movimentazione, relative ai rifiuti prodotti.

Restano soggetti al registro di carico e scarico i produttori di rifiuti non pericolosi non obbligati ad iscriversi al Sistri.
 
 
Si informa, inoltre, che sul sito www.sistri.it nella Sezione “Manuali e Guide”, è disponibile l’edizione aggiornata del Manuale Operativo 2.4 del 26 aprile u.s. (Allegato IV), in cui è stata aggiunta la procedura per la gestione degli autoveicoli fuori uso (ELV) e chiarimenti circa le modalità per allineare il registro cronologico alle giacenze reali prima del 1 giugno 2011.
 
 
 
 


[1] E’ stato pubblicato nel Supplemento Ordinario n. 107 della Gazzetta Ufficiale n.95 del 26 aprile 2011, il Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 18 febbraio 2011 n. 52 “Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti” . CFR. www.sistri.it

 

adminSistri: Testo Unico?
Leggi Tutto

FANGHI: rifiuti e reato di deposito incontrollato

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati


 
La Corte di Cassazione ,con sentenza resa all’udienza del 12.1.2011, n. 28, ha precisato la portata dell’art. 127 D. Lgs. 152/2006[1] e la disciplina applicabile ai fanghi .
Si precisa che l’art. 127 (modificato dal Dlgs. 4/08) non è stato novellato dal correttivo alla parte III del D. Lgs. 152/06 .
 
La Suprema Corte era stata adita dal Sindaco di un Comune, indagato ex art. 256 comma 2 D. Lgs. 152/2006 (deposito incontrollato di rifiuti) perché la Procura aveva accertato la presenza di cumuli di fanghi essiccati di vegetazione spontanea all’interno dell’impianto di depurazione di acque reflue comunale .
 
L’impianto era stato oggetto di sequestro preventivo, contro il quale il Sindaco aveva presentato prima istanza di riesame e, stante il rigetto della stessa, aveva poi adito la Corte.
 
Il sindaco si difendeva allegando di essere provvisto della autorizzazione per lo smaltimento e lo scarico delle acque reflue, procedimento che di fatto “inglobava lo stoccaggio dei fanghi, che non erano altro che il prodotto della prima fase di smaltimento”.
 
Ebbene con sentenza n. 28/2011 la Cassazione accoglie il ricorso e dichiara la “carenza assoluta e radicale della motivazione dell’ordinanza” resa dal Tribunale di Riesame, che aveva rigettato l’opposizione del Sindaco. Il Tribunale invero riteneva sussistere il reato di deposito incontrollato dalla mera presenza dei fanghi; presenza di per sé bastevole, a detta del Tribunale, a dimostrare il fumus del reato contestato (cioè la fondata probabilità dei presupposti per una condanna).
 
I Giudici della Suprema Corte ritengono, invece, non sufficiente per integrare il reato di deposito incontrollato la mera presenza dei fanghi; richiedono  effettiva indagine in relazione alla natura ed alla provenienza dei fanghi, in quanto “i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”.
Continua la Cassazione evidenziando che il Tribunale di riesame non ha accertato se i fanghi ritrovati nelle vasche annesse ai depuratori fossero proprio quelli esitati al termine del processo di trattamento della acque reflue


[1] Art. 127 D. Lgs. 152/2006 Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue
 
1. Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato (1).
2. È vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre.

 

adminFANGHI: rifiuti e reato di deposito incontrollato
Leggi Tutto

AATO – Disciplina transitoria della Regione veneto

Servizio integrato rifiuti


A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati




La Regione del Veneto ha pubblicato in BUR n. 98 del 31.12.2010 due Delibere della Giunta sulla disciplina transitoria delle AATO : DGR n. 2793 del 23.11.2010 e DGR di precisazione n. 3151 del 14.12.2010.
 
Le delibere non tengono conto della intervenuta proroga di vita delle AATO al 31.3.2011 ; tuttavia mantengono importanza proprio per la prossima cessazione di attività delle ATO.
 
Le Delibere integrano la lacuna normativa lasciata dalla legge statale, che ha stabilito la soppressione delle AATO, ma senza prevedere alcun periodo di transizione.
Si ricorda che:
– con Legge Finanziaria 2008 la Regione era chiamata a stabilire gli ambiti ottimali (art. 2 comma 38 L. 24.12.2007, n. 244),
– gli ATO, ai sensi dell’art. 23 bis D.L. 112/2008, convertito con L.133/2008, sono servizi pubblici di rilevanza economica e quindi la scelta del gestore e l’affidamento del servizio devono essere decisi a mezzo di procedura ad evidenza pubblica.
– con L 42/2010 di conversione del D.L. 2/2010 è stato introdotto il comma 186 bis all’art. 2 della Legge Finanziaria 2010, con cui sono state soppresse le AATO.
 
Evidente la necessità di una disciplina transitoria e di coniugare le singole disposizioni normative citate, decise dalla Regione Veneto con DRG 2793/2010 e precisate con DRG 3151/2010.
 
In particolare la Giunta con la Delibera n. 2793 del 23.11.2010  richiede che le Amministrazioni che svolgono  funzioni in materia digestione dei rifiuti urbani si attengano alle indicate linee guida in attesa della emanazione della Legge Regionale di individuazione dei soggetti che sostituiranno le AATO:
 
a.           gli affidamenti effettuati dalle AATO (o dai superstiti Enti responsabili di bacino) tra il 14.12.2010 e l’ 1.1.2011, nonché quelli anteriori la legge regionale di sostituzione AATO, devono rispettare la disciplina generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica ed avere una durata compatibile con gli interessi legittimi dei nuovi soggetti che verranno individuati con legge regionale ed, in ogni caso, non superiore a tre anni.
b.          I rapporti regolanti i servizi pubblici a rilevanza economica delle  AATO in scadenza prima dell’1.1.2011, possono essereragionevolmente prorogati per un periodo non superiore a due anni dalla loro scadenza, solo qualora la modalità di affidamento del servizio sia conforme alle disposizioni della nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e la prorogabilità sia espressamente prevista dal contratto in essere e l’affidamento sia stato effettuato in conformità  alla normativa allora vigente.
 

adminAATO – Disciplina transitoria della Regione veneto
Leggi Tutto

Aria: novità dal 30.9.2010 (Dlgs. n. 155/2010)

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


È stato pubblicato sulla Gu del 15 agosto il Dlgs 13 agosto 2010, n. 155, recante recepimento della direttiva comunitaria sulla qualità dell’aria (2008/50/CE), che disciplina l’intera materia della valutazione e gestione della qualità dell’aria nei paesi Ue.

Il Dlgs 155/2010 reca il nuovo quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente, cioè “l’aria esterna presente nella troposfera, ad esclusione di quella presente nei luoghi di lavoro”.
Dal 30 settembre 2010 le molteplici normative che si occupavano dell’aria saranno abrogate assieme ai provvedimenti ministeriali attuativi quali: Dlgs 351/1999 (qualità dell’aria);  Dlgs 183/2004 (ozono); il Dlgs 152/2007 (arsenico, il cadmio, il mercurio, il nichel e idrocarburi policiclici aromatici); Dpr 203/1988 (impianti industriali, già soppresso in realtà dal Dlgs 152/2006 con alcune eccezioni transitorie, fatte comunque salve dal Dlgs 155/2010).
Il provvedimento, si precisa, interviene a fissare i valori e gli obiettivi di qualità dell’aria da raggiungere o da perseguire per biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo, particolato PM10, particolato PM2.5 e l’ozono.
Due gli obiettivi che vengono raggiunti:
1) razionalizzare le attività di valutazione e di gestione della qualità dell’aria, secondo canoni di efficienza, efficacia ed economicità;
2) responsabilizzare tutti i soggetti interessati all’attuazione delle nuove disposizioni sulla base di un preciso riparto delle competenze.
E’ prevista, inoltre, la possibilità di ricorrere a misure nazionali qualora da un’apposita istruttoria risulti che tutte le possibili misure individuabili dalle regioni nei piani di qualità dell’aria non siano risolutive, in quanto i superamenti sono causati in modo decisivo da sorgenti di emissione su cui le regioni non hanno competenza amministrativa e legislativa. In tal caso si procede all’adozione di misure di carattere nazionale sulla base dei lavori di un comitato da istituire presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il recepimento della Direttiva UE si affianca alla recente modifica del codice ambiente varata dall’esecutivo il 24 giugno.  “Si realizza in questo modo – afferma il MinAmbiente – la prima parte dell’azione di contrasto dell’inquinamento atmosferico, che sarà a breve completata dal Governo italiano con il Piano anti-smog”.
Il nuovo decreto prevede la “zonizzazione”, ossia la suddivisione del territorio nazionale – soggetta al controllo del ministero dell’Ambiente – in spazi uniformi all’interno di ciascuna regione, fondata su elementi come la densità emissiva, le caratteristiche orografiche, quelle meteo-climatiche o il grado di urbanizzazione del territorio.
Viene prevista inoltre una valutazione della qualità dell’aria basata, sempre in ciascuna regione, su un programma nel quale devono essere definiti la rete di misurazione ufficiale, le misure indicative e le simulazioni. L’intera rete deve essere poi soggetta alla gestione o almeno al controllo pubblico assicurata dalle regioni o su delega dalle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. Le attività di pianificazione, volte a garantire il raggiungimento dei valori limite (concentrazioni atmosferiche fissate in base alle conoscenze scientifiche per evitare, prevenire o ridurre gli effetti dannosi sulla salute umana e sull’ambiente) o i valori obiettivo (una sorta di media annua) sulla qualità dell’aria,dovranno fare riferimento alle “sorgenti di emissione” intervenendo con misure in modo “mirato”, senza cioè l’obbligo di estendersi all’intero territorio della zona o di limitarsi a quest’ultimo.
Sarà possibile tuttavia adottare misure di risanamento nazionali qualora tutte le misure individuabili nei piani regionali non possano assicurare il raggiungimento dei valori previsti.
 

adminAria: novità dal 30.9.2010 (Dlgs. n. 155/2010)
Leggi Tutto