Convegno Remtech- Ferrara

Si ringrazia per la partecipazione numerosa al Convegno.
A breve su questo sito verra’ pubblicato il materiale relativo agli interventi del convegno.
Potete iscriverVi alle mailing list per ricevere le News..
 inviare proprio nominativo/azienda/societa’ e indirizzo mail al seguente indirizzo mail
studioambiente@silvestricinzia.191.it
Il Convegno si e’ tenuto alle ore 9.30 di Mercoledì 19 settembre 2012 presso la Fiera Remtech a Ferrara sala B.
Clicca per leggere il programma del Convegno.

Convegno tratterà i seguenti temi

” “ Terre e rocce da scavo/materiali da riporto alla luce delle novità legislative” Il punto su tema complesso alla luce della recente normativa –a cura di Studio Legale Ambiente – avv. Cinzia Silvestri

 “ Alcuni casi pratici e problematiche applicative” Un approfondimento anche alla complessa questione del  “riutilizzo in sito “ –  “riutilizzo fuori sito (tutto o in parte)” –  “ riutilizzo fuori sito con deposito in sito o mappale confinante “ – a cura di dott. Francesco Codato

  Il supporto nei SGA e dei certificati per la gestione operativa del Dlgs. n. 231/2001 e Dlgs. n. 121/2011″ a cura di Prof. A. Segale della Università degli Studi di Milano
 
 

adminConvegno Remtech- Ferrara
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Terre e Rocce: Linee Guida Comunitarie

Terreno in situ : Linee Guida Direttiva 2008/98 Rifiuti –  (punto 2.2 Linee Guida)
 a cura di avvocato Cinzia Silvestri
Approfondimento di questo tema sarà trattato dallo Studio Legale Ambiente con convegno a Ferrara , 19 settembre 2012 ore 9.30/12.30 REMTECH.
Le linee Guida Comunitarie affrontano la complessa materia della esclusione  prevista per i terreni (in situ), suolo contaminato non escavato e gli edifici  ma anche il suolo non contaminato, altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione.
La lettura delle linee Guida sul tema offre spunto per ricordare che l’inciso di cui alla lettera c) ovvero il riferimento al “suolo e altro materiale “ sono stati assimilati anche alla terre e rocce da scavo; mentre l’inciso relativo allo “stato naturale” porta ad escludere le terre e rocce contaminate o comunque terre che hanno subito un processo di alterazione, ccontaminazione,  (si pensi appunto alla escavazione , costruzione ecc..).
Le Linee Guida Comunitarie tentano di chiarire l’annoso problema che lega le terre, al suolo, al sito, al terreno.
L’articolo 2 (1) (b)[1] della direttiva quadro (riprodotta all’art. 185 comma 1 lettera b) Dlgs. 152/2006) esclude l’ applicazione della direttiva :
1)   suolo contaminato non escavato
2)   gli edifici collegati permanentemente al terreno
3)   terreno in situ
‘In situ’ , precisano le linee Guida, significa “non scavato” ovvero nella sua posizione originaria.
L’esclusione si riferisce alla terra, al suolo e agli edifici che sono nella loro posizione originale e non sono disturbati, ad esempio tramite scavo o demolizione.
Un suolo contaminato non costituisce di per se’ rifiuto.
La Commissione Europea cita invero la sentenza  Van de Walle del 7 sttembre 2004 (pur sotto la vigenza della direttiva 75/442) dove la CGUE affronta il caso di terreno accidentalmente contaminato da sversamento occasionale di idrocarburi. Solo gli idrocarburi sono risultati essere qualificati come rifiuti, di conseguenza, è stato consoderato contaminato il suolo e dunque considerati rifiuti.
Ciò ha portato a discussioni su come coordinare la legislazione sui rifiuti con la legislazione di protezione del suolo.
Come deve essere inteso il termine ‘terreno contaminato”? (Linee Guida 2.2)
‘Terreno contaminato’ non è definito nella direttiva quadro o in altri atti giuridici a livello comunitario.
Un criterio minimo da applicare da parte delle autorità competenti per determinare se il suolo è considerato contaminato è la presenza di una delle ‘proprietà di rifiuti che lo rendono pericoloso ‘ come da Allegato III[2] della direttiva quadro.
Inoltre, il termine ‘Contaminato’ può essere chiarito tramite confronto con il suo opposto ovvero il ‘suolo incontaminato’ il termine di cui all’articolo 2 (1) (c), della direttiva quadro.
Dal tenore letterale di tale disposizione suolo incontaminato ‘ è il materiale allo stato naturale .
 



[1] Direttiva 2008/98 : b) terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non escavato e
gli edifici collegati permanentemente al terreno;
c) suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale
escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che
il materiale sarà utilizzato a fini di costruzione allo stato
naturale nello stesso sito in cui è stato escavato;
[2] ALLEGATO III – CARATTERISTICHE DI PERICOLO PER I RIFIUTI
H 1 «Esplosivo»: sostanze e preparati che possono esplodere per effetto della fiamma o che sono sensibili agli urti e
agli attriti più del dinitrobenzene.
H 2 «Comburente»: sostanze e preparati che, a contatto con altre sostanze, soprattutto se infiammabili, presentano
una forte reazione esotermica.
H 3-A «Facilmente infiammabile……
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Sistri: bisogna pagare il contributo?

Sistri: bisogna pagare il contributo 2012?
a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi

Sulla Gazzetta Ufficiale del 23 agosto 2012 n. 196 è stato pubblicato il decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 141 del 25 maggio 2012 che ha come oggetto il “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 18 febbraio 2011, n. 52″.

Il decreto che entrerà in vigore il prossimo 7 settembre, introduce importanti modifiche al DM 52/2011 che ha istituito il sistema di controllo telematico della tracciabilità dei rifiuti – mai partito a regime e sospeso prima dell’estate dallo stesso Ministero attraverso il cd. Decreto Crescita del 22 giugno n. 83.

 Vero è che rimangono di fatto sospese a livello operativo  le novità introdotte….così come rimarrà sospeso l’intero sistema Sistri.
Tali modifiche e integrazioni entrano in vigore a tutti gli effetti solo quando e se  il sistema di tracciabilità verrà  ripristinato.
Per quanto riguarda il contributo annuale per l’iscrizione al sistema telematico, in attesa di conferme ufficiali, si ritiene ( e si auspica) che per il 2012 tale pagamento sia …sospeso. La disposizione introdotta dal Dm n.141/2012 (decreto attuativo) contrasta palesemente, infatti, con quanto disposto dalla norma primaria (gerarchicamente superiore) contenuta nel decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 art. 52, comma 2.

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RAEE: Direttiva 2012/19/UE

RAEE: Nuova direttiva pubblicata 24.7.2012
Direttiva 2012/19/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) 
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Il 24 luglio 2012 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, L 197, la nuova Direttiva 2012/19/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) che abroga la precedente Direttiva 2002/96/CE.
AMBITO DI APPLICAZIONE
I PRODOTTI
La direttiva entrerà in vigore il 13 agosto p.v (20 giorni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale europea) come precisato all’art. 26. Da quella data sono previste, due fasi di attuazione: un periodo transitorio e un periodo a regime.
Periodo transitorio: per i primi 6 anni dall’entrata in vigore della direttiva (si sottolinea come il termine iniziale coincida con l’entrata in vigore della Direttiva e non con quello di attuazione della stessa con normativa nazionale da parte dei singoli Stati Membri ai quali, sono dati 18 mesi di tempo per legiferare – 14 febbraio 2014 termine recepimento) non è previsto alcun cambiamento all’ambito delle 10 classi di prodotti coperti (allegato I e II) salvo alcune modifiche e integrazioni come l’aggiunta da subito dei pannelli fotovoltaici, che vengono abbinati al gruppo degli apparecchi di consumo, delle apparecchiature facenti parti di impianti fissi di grandi dimensione che svolgono la loro funzione anche ove non siano elementi degli stessi, non essendo state progettate e installate precisamente in quanto elemento di detti impianti (come ad esempio, oltre ai predetti moduli fotovoltaici, le attrezzature di illuminazione), dei veicoli elettrici a due ruote non omologati (es. bici elettriche a pedalata assistita).
1. Grandi elettrodomestici
2. Piccoli elettrodomestici
3. Apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni
4. Apparecchiature di consumo e pannelli fotovoltaici
5. Apparecchiature di illuminazione
6. Strumenti elettrici ed elettronici (ad eccezione degli utensili industriali fissi di grandi dimensioni)
7. Giocattoli e apparecchiature per il tempo libero e lo sport
8. Dispositivi medici (ad eccezione di tutti i prodotti impiantati ed infettati)
9. Strumenti di monitoraggio e di controllo
10. Distributori automatici
Ripresentate anche le esclusioni già esistenti con l’aggiunta di alcune ulteriori esclusioni tra cui

  • apparecchiature necessarie per la tutela degli interessi essenziali della sicurezza degli Stati membri, compresi le armi, le munizioni e il materiale bellico, destinate a fini specificamente militari;

apparecchiature progettate e installate specificamente come parti di un’altra apparecchiatura, che è esclusa o non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva, che possono svolgere la propria funzione solo in quanto parti di tale apparecchiatura;
lampade a incandescenza.
Periodo a regime: dopo 6 anni, ferme comunque le predette esclusioni, il campo di applicazione della normativa RAEE si estenderà a tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) secondo il concetto di “campo di applicazione aperto“. Gli apparecchi così risultanti saranno raggruppati in 6 classi indicate dall’allegato III:
1. Apparecchiature per lo scambio di temperatura
2. Schermi monitor ed apparecchiature dotate di schermi di superficie superiore a 100 cm
3. Lampade
4. Apparecchiature di grandi dimensioni (con almeno una dimensione esterna superiore a 50 cm), compresi ma non solo: elettrodomestici; apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni; apparecchiature di consumo; lampadari; apparecchiature per riprodurre suoni o immagini, apparecchiature musicali; strumenti elettrici ed elettronici; giocattoli e apparecchiature per il tempo libero e lo sport; dispositivi medici; strumenti di monitoraggio e di controllo; distributoriautomatici; apparecchiature per la generazione di corrente elettrica.
5. Apparecchiature di piccole dimensioni (con nessuna dimensione esterna superiore a 50 cm), compresi ma non solo: elettrodomestici; apparecchiature di consumo; lampadari; apparecchiature per riprodurre suoni o immagini, apparecchiature musicali; strumenti elettrici ed elettronici; giocattoli e apparecchiature per il tempo libero e lo sport; dispositivi medici; strumenti di monitoraggio e di controllo; distributori automatici; apparecchiature per la generazione di corrente elettrica.
6. Piccole apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni (con nessuna dimensione esterna superiore a 50 cm.
 
Dopo 3 anni dalla data di entrata in vigore della direttiva la Commissione è incaricata di riesaminare l’ ambito di applicazione.
 
AMBITO DI APPLICAZIONE 
I PRODUTTORI
I soggetti che rientrano nella definizione di “Produttore” sono tre:
1 chi produce e immette sul mercato di uno Stato membro AEE recanti il suo marchio;
2 chi immette nel mercato di uno Stato membro col suo marchio (e solo col suo marchio) apparecchiature prodotte da altri;
3 chi importa (ed eventualmente esporta) immettendo nel mercato di uno stato membro AEE che riportano il marchio originale del produttore che gli ha fornito i prodotti.
 
In tutti e tre i casi, è indifferente che la vendita avvenga a distanza o meno. La nuova direttiva fa maggiore chiarezza in proposito, precisando che il “Produttore” dovrà essere “stabilito in uno Stato membro” oppure, se vende gli AEE mediante tecniche di comunicazione a distanza, potrà essere stabilito nello stesso Stato membro in cui vende gli AEE oppure in un altro Stato membro oppure in un Paese terzo.
 
IDENTIFICAZIONE DEI RAEE PROFESSIONALI
Come nella precedente direttiva, i RAEE professionali seguono un regime finanziario e di raccolta diverso da quello per i domestici. Infatti, mentre nel caso dei RAEE domestici la raccolta primaria dei rifiuti non è a carico del Produttore, nel caso dei RAEE professionali il singolo Produttore è tenuto a farsi carico di ritirare i RAEE presso l’acquirente finale di un suo prodotto (AEE), oltre che naturalmente curare a sue spese il trattamento di tali rifiuti.
È pertanto importante distinguere i RAEE domestici da quelli professionali e viceversa. Il che, come noto, non è sempre agevole, anzi.
A tal proposito la nuova Direttiva stabilisce che gli apparecchi “Dual Use”, ossia quegli apparecchi (un personal computer, un Pc / telefono palmare, certi tipi di stampanti multifunzionali) che si prestano per qualità, prezzo, canale di vendita a uso sia domestico sia professionale, sono trattati, quando diventano rifiuti, come RAEE domestici e non professionali.
La nuova direttiva non fornisce tuttavia alcuna indicazione sui criteri da utilizzare per identificare gli apparecchi “Dual Use” (ad esempio: quando una stampante è effettivamente un apparecchio sia domestico sia professionale? Sulla base del prezzo? Sulla base del canale di vendita? Per requisiti tecnici interni? Se sì quali? ecc. ecc.).
RACCOLTA E FINANZIAMENTO
Raccolta: al contrario di quanto ipotizzato nei vari testi considerati durante l’iter di elaborazione della direttiva, non vengono posti in capo ai Produttori nuovi oneri di raccolta a domicilio: i Produttori, infatti, sono tenuti, come ora, a finanziare la gestione dei rifiuti solo (almeno) dai centri di raccolta in poi; è però innovativamente previsto il dovere per gli Stati Membri di consentire “ai detentori finali e ai distributori di rendere almeno gratuitamente tali rifiuti” e la loro facoltà di “incoraggiare i produttori a finanziare anche i costi legati alla raccolta dei RAEE dai nuclei domestici”.
RAEE Storici: viene ribadito che la gestione dei RAEE “storici”, ovvero dei rifiuti generati da AEE immesse nel mercato prima del 13.08.2005 – data che per l’Italia, a seguito di emendamenti legislativi nazionali, corrisponde al 31.12.2010 – i Produttori sono tenuti ad aderire a un sistema collettivo, essendo solidamente responsabili.
RAEE “Nuovi”: quanto ai RAEE generati da AEE immesse nel mercato dopo il 13.08.2005 (ossia, quanto all’Italia, dopo il 31.12.2010) viene ribadito che i Produttori sono responsabili individualmente del finanziamento della gestione di tali rifiuti. È opportuno ricordare che nel caso dell’Italia, a seguito di un emendamento contenuto nella legge Comunitaria 2009, quanto ai RAEE nuovi i Produttori possono attualmente scegliere tra un regime collettivo e uno individuale: si deve ritenere e auspicare che il diritto a tale scelta sia mantenuto anche a seguito dell’attuazione della nuova direttiva.
RAEE “Nuovi” e “Visibile fee”: la “Visible Fee”, detta in Italia E.C.R. (Eco Contributo RAEE) é attualmente prevista per alcuni RAEE “Storici”(condizionatori ed elettrodomestici “bianchi”), fino al 13.02.2013; essa permette ai Produttori di indicare separatamente in fattura, rispetto al prezzo di vendita, i costi di raccolta e trattamento a loro carico. Orbene, stando alla nuova Direttiva, questo sistema di finanziamento non muore definitivamente ma agli Stati Membri è lasciata la facoltà di stabilire o mantenere l’ECR (per tutti o alcuni AEE) a livello nazionale purché i costi così indicati “non superino la migliore stima delle spese effettivamente sostenute”.
Distributori: oltre al ritiro “1 contro 1” previsto dalla normativa corrente a fronte di AEE nuove vendute, i Distributori sono tenuti anche alla raccolta “1 contro 0” ossia alla raccolta indipendentemente dalla vendita o meno di un prodotto nuovo, seppure in tal caso limitatamente agli esercizi di almeno 400 mq circa dedicati alla vendita di AEE e con riferimento ai soli RAEE di piccolissime dimensioni (dimensioni esterne inferiori a 25 cm) “salvo ove una valutazione dimostri che regimi di raccolta alternativa esistenti non siano almeno altrettanto efficaci”.
RAEE “Professionali”: attualmente gli oneri finanziari della gestione dei RAEE professionali (inclusa la raccolta primaria) sono totalmente a carico dei Produttori. La nuova direttiva prevede innovativamente che “gli Stati Membri possono in alternativa, disporre che gli utenti […] professionali […] siano anch’essi totalmente o parzialmente responsabili di tale finanziamento”.
OBIETTIVI DI RACCOLTA
Gli obiettivi di raccolta sono stabiliti con il seguente criterio di gradualità (sono fatti salvi obiettivi più “ambiziosi” da parte dei singoli Stati):
–      in via intermedia, continua ad applicarsi, per i primi tre anni dalla data di entrata in vigore della direttiva, l’obiettivo minimo attuale di 4Kg l’anno per abitante “oppure lo stesso volume di peso medio di RAEE raccolto nello Stato membro in questione nei tre anni precedenti considerando il valore più alto”.
–      il primo obiettivo (minimo) è del 45% del peso medio annuale delle AEE immesse nel mercato nella media i tre anni precedenti e decorre solo dopo i primi 4 anni dall’entrata in vigore della nuova direttiva RAEE.
–      il secondo obiettivo è da raggiungere con gradualità, con un’evoluzione continua che porti ad almeno il 65% del peso medio annuale delle AEE immesse nel mercato nei tre anni precedenti o, alternativamente, all’85% dei RAEE prodotti nel territorio; esso decorre dopo 7 anni dall’entrata in vigore della nuova direttiva.
La Commissione dovrà sviluppare una metodologia di calcolo ai fini del monitoraggio degli obiettivi e, entro 3 anni dall’entrata in vigore della nuova direttiva, proporre eventuali emendamenti rispetto agli obiettivi di massima sopra indicati (con particolare riguardo ai pannelli fotovoltaici, alle apparecchiature di piccole dimensioni e alle lampade contenenti mercurio).
OBIETTIVI DI RECUPERO, RICICLAGGIO E RIUTILIZZO
Può esser utile ricordare anzitutto che per “Recupero” si intende genericamente la conversione dei rifiuti in materia o in energia al fine di fare svolgere ai medesimi un qualche ruolo utile. Per “Riciclaggio” si intende un’attività specifica del recupero, ossia il nuovo uso di materiali o sostanze provenienti dai rifiuti (es. riciclo del rame contenuto del motore di una lavastoviglie).
Per riutilizzo o, meglio, “Preparazione al riutilizzo” si intende infine un’attività anch’essa rientrante nel recupero, ossia il reimpiego di un rifiuto o di parti del medesimo per lo stesso scopo originario (ad esempio, lo smontaggio per il riutilizzo delle serpentine esterne per la dissipazione del calore del retro dei frigoriferi).
Ciò premesso, la nuova direttiva – dopo avere indicato nelle premesse alcuni obiettivi prioritari tra cui, oltre a quelli tradizionali della tutela della salute e dell’ambiente, anche quello della preservazione delle materie prime intese come risorsa essenziale per lo sviluppo europeo – stabilisce all’allegato V nuovi obiettivi di recupero, riciclaggio e preparazione al riutilizzo che variano per categoria di prodotto e per periodo di tempo (ad esempio, nel caso delle apparecchiature informatiche e per le telecomunicazioni, delle apparecchiature di consumo e dei pannelli fotovoltaici, sono previsti per i primi tre anni obiettivi di recupero del 75% e di riciclaggio del 65 %). Inoltre, gli Stati membri sono tenuti ad attuare la registrazione dei materiali in uscita dagli impianti di trattamento onde fornire questi dati alla Commissione che li utilizzerà per una possibile ridefinizione degli obiettivi.
PROGETTAZIONE, RIUTILIZZO E RICICLABILITÀ
La direttiva stabilisce che gli Stati Membri devono favorire:
–      la collaborazione tra riciclatori e produttori nello stadio preliminare all’immissione in commercio degli AEE (ossia: progettazione degli AEE secondo i criteri della Direttiva c.d.”ecodesign” 2009/125/CE sui prodotti correlati all’uso di energia);
–      la collaborazione tra riciclatori e riutilizzatori quando gli AEE, divenuti RAEE, giacciono presso i centri di trattamento; in tal caso, infatti, i riciclatori dovranno effettuare la separazione dei RAEE da preparare per il riutilizzo dagli altri RAEE raccolti separatamente e quindi assicurare l’accesso ai centri di trattamento ai riutilizzatori affinché questi ultimi siano in grado di identificare e ritirare i RAEE suscettibili di ridiventare AEE, ossia di essere ulteriormente utilizzati, previe se del caso operazioni di ripristino.
 
La direttiva conferma altresì l’obbligo già attualmente previsto in capo ai Produttori di fornire agli operatori del riutilizzo, ai trattatori e ai riciclatori le informazioni utili e necessarie ai fini di
tali attività per ogni nuovo modello di AEE immesso in commercio.
 
REGISTRO NAZIONALE
Non viene istituito alcun registro AEE europeo (in altri termini la registrazione rimane nazionale) ma viene riconosciuta ai Produttori residenti in altro Stato membro la possibilità di iscriversi al registro tramite un rappresentante autorizzato.
Vale la pena di ricordare che questa è già la disciplina in vigore in Italia (peraltro non solo per i RAEE ma anche per i rifiuti di pile e accumulatori) in virtù della normativa nazionale di attuazione qui vigente: infatti, il Produttore che introduce AEE nel nostro Paese e ha sede in un altro Stato membro o in Paesi terzi, si iscrive al registro AEE (e, come si é detto, se del caso, anche a quello relativo ai rifiuti di pile e accumulatori) tramite un rappresentante in Italia, incaricato dei correlativi adempimenti.
 
VENDITE A DISTANZA DI AEE DOMESTICI DA STATO MEMBRO A STATO MEMBRO
I venditori a distanza di AEE destinate a nuclei domestici devono registrarsi nello Stato membro in cui effettuano la vendita, se del caso tramite il rappresentante autorizzato e farsi carico di tutti gli oneri anche finanziari previsti in capo ai Produttori dalla normativa RAEE. La nuova direttiva prevede alcune misure di coordinamento, informazione e collaborazione tra i vari registri nazionali.
ELABORAZIONE DI NORME ARMONIZZATE SUL TRATTAMENTO DEI RAEE
È prevista l’elaborazione di standard armonizzati a livello europeo nel trattamento dei RAEE sì da rispecchiare “il più recente livello tecnico”, da svilupparsi dalle organizzazioni di armonizzazione normativa europee e da adottarsi a seguito del vaglio del comitato tecnico di armonizzazione. Gli Stati membri potranno a loro volta elaborare standard nazionali aggiuntivi, di cui dovranno informare la Commissione. L’allegato VII disciplina i trattamenti selettivi dei RAEE: tale disciplina potrà essere emendata solo dalla Commissione, la quale valuterà a tal fine la possibilità di estenderla anche ai nanomateriali.
 

adminRAEE: Direttiva 2012/19/UE
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Corte di Giustizia Europea/Trattamento Acque reflue urbane

Corte di Giustizia Europea/Trattamento Acque reflue urbane
A cura di avv. Cinzia Silvestri
SENTENZA DELLA CORTE (Settima Sezione) 19 luglio 2012
«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 91/271/CEE – Trattamento delle acque reflue urbane – Articoli 3, 4 e 10 – Rete fognaria – Trattamento secondario o equivalente – Impianti di trattamento – Campioni rappresentativi» / causa C565/10,
LA Corte ricorda gli obblighi comunitari allo Stato italiano che risulta inadempiente e viene condannato alle spese.
La Corte prende in considerazione la situazione di molti agglomerati ( principalmente al sud) ma anche in Liguria, Veneto (Vicenza),Trieste (ed altri) non in regola con gli adempimenti imposti dalla direttiva 91/271/CEE.
Tra le righe della sentenza emergono riferimenti utili anche per quegli agglomerati non nominati dalla sentenza; riferimenti dimenticati anche dalle nostre amministrazioni.
Di particolare interesse e’ l’inciso delle Corte ai doveri di progettazione e costruzione di impianti che tengano conto dei diversi flussi turistici estivi e delle maggiori portate conseguenti; nonché il rilievo al numero dei campionamenti annuo, alle variazioni climatiche ecc…
CONTESTO NORMATIVO
La Corte definisce prima il Contesto normativo utile ad inquadrare la contestazione:
“…..2        A termini dell’articolo 1, primo comma, della direttiva 91/271, quest’ultima concerne la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane, nonché il trattamento e lo scarico delle acque reflue originate da taluni settori industriali. Ai sensi del secondo comma del citato articolo 1, tale direttiva ha lo scopo di proteggere l’ambiente dalle ripercussioni negative provocate dagli scarichi di acque reflue.
3        L’articolo 3 della direttiva 91/271 dispone quanto segue:
«1.      Gli Stati membri provvedono affinché tutti gli agglomerati siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane,
–        entro il 31 dicembre 2000 per quelli con un numero di abitanti equivalenti (a.e.) superiore a 15 000
(…)
Laddove la realizzazione di una rete fognaria non sia giustificata o perché non presenterebbe vantaggi dal punto di vista ambientale o perché comporterebbe costi eccessivi, occorrerà avvalersi di sistemi individuali o di altri sistemi adeguati che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale.
2.      Le reti fognarie di cui al paragrafo 1 devono soddisfare i requisiti pertinenti dell’allegato I, sezione A. (…)».
4        L’articolo 4 di tale direttiva prevede quanto segue:
«1.      Gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, secondo le seguenti modalità:
–        al più tardi entro il 31 dicembre 2000 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 15 000 a.e.
(…)
3.      Gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane descritti ai paragrafi 1 e 2 devono soddisfare i requisiti pertinenti previsti all’allegato I, sezione B. (…)
4.      Il carico espresso in a.e. va calcolato sulla base del carico medio settimanale massimo in ingresso all’impianto di trattamento nel corso dell’anno escludendo situazioni inconsuete, quali quelle dovute a piogge abbondanti».
5        Ai sensi dell’articolo 10 della citata direttiva:
«Gli Stati membri provvedono affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati agli articoli da 4 a 7 siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali. La progettazione degli impianti deve tenere conto delle variazioni stagionali di carico».
6        L’allegato I della direttiva 91/271, intitolato «Requisiti relativi alle acque reflue urbane», prevede, alla sezione A, le prescrizioni che devono essere seguite per le reti fognarie e, alla sezione B, quelle applicabili agli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane ed immessi in acque recipienti. Tra queste ultime figura quella in base alla quale la progettazione o la modifica di detti impianti va effettuata in modo da poter prelevare campioni rappresentativi sia delle acque reflue in arrivo sia dei liquami trattati, prima del loro scarico nelle acque recipienti. Per quanto riguarda gli impianti di trattamento la cui dimensione corrisponde a un numero di abitanti equivalenti compreso tra 10 000 e 49 999, la sezione D del suddetto allegato I fissa a 12 il numero minimo annuo di campioni da raccogliere ad intervalli regolari nel corso dell’anno.
GIUDIZIO DELLA CORTE
1) La Corte condanna l’Italia per non aver adempiuto agli obblighi di collettamento fognario entro il termine imposto dalla comunità europea ovvero il 31 dicembre 2000 ovvero in violazione dell’ art. 3 Direttiva 91/271.
“…. Sull’addebito relativo a una violazione dell’articolo 3 della direttiva 91/271…
21      Conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, primo trattino, della direttiva 91/271, gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15 000 avrebbero dovuto essere provvisti di reti fognarie per le loro acque reflue urbane entro il 31 dicembre 2000…..
….24      Orbene, come riconosciuto dalla stessa Repubblica italiana, occorre rilevare che, alla scadenza del termine impartito nel parere motivato, gli agglomerati di ………non erano provvisti di reti fognarie idonee a raccogliere e convogliare la totalità delle loro acque reflue urbane.
25      Relativamente agli agglomerati di…….., i lavori diretti a dotare detti agglomerati di reti fognarie per le loro acque reflue urbane non erano ultimati.
26      Dalle medesime indicazioni risulta altresì che, ……la raccolta di tutte le acque reflue urbane degli agglomerati di……non era garantita……
30      Ciò considerato, si deve dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire che gli agglomerati di……….), aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 15 000 e che scaricano in acque recipienti non considerate «aree sensibili» ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 91/271, siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 3 della citata direttiva.
TRATTAMENTO SECONDARIO
La corte condanna l’Italia per la violazione  dell’ 4, paragrafo 1, della direttiva 91/271 che prevede che, negli agglomerati con oltre 15 000 a.e., la totalità delle acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie devono, prima dello scarico, essere sottoposte ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, al più tardi entro il 31 dicembre 2000.
prosegue la sentenza:
“…32      Inoltre, a termini del citato articolo 4, paragrafo 3, tale trattamento secondario o tale trattamento equivalente deve essere garantito mediante impianti di trattamento i cui scarichi soddisfino i requisiti dell’allegato I, sezione B, della direttiva 91/271.
33      Si deve osservare che la Repubblica italiana non contesta che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, l’obbligo di sottoporre le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, previsto all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 91/271, non era rispettato negli agglomerati di …..
34      Per quanto attiene agli agglomerati di…….), è sufficiente constatare che, dal momento che tali agglomerati non erano provvisti di reti fognarie idonee a raccogliere e convogliare la totalità delle loro acque reflue urbane, l’obbligo di sottoporre tutti gli scarichi ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, previsto all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 91/271, non era dunque a fortiori adempiuto (sentenze del 25 ottobre 2007, Commissione/Grecia, C440/06, punto 25, e del 7 maggio 2009, Commissione/Portogallo, C530/07, punto 55).
35      Inoltre, dalle indicazioni fornite dalla Repubblica italiana risulta che, alla scadenza del termine impartito nel parere motivato, gli impianti di trattamento degli agglomerati di ……i quali, conformemente all’articolo 4, paragrafi 1 e 3, della direttiva 91/271, sono diretti ad assicurare il trattamento secondario o il trattamento equivalente della totalità delle acque urbane che confluiscono nelle reti fognarie e a garantire che gli scarichi da essi provenienti soddisfino i requisiti di cui alla sezione B dell’allegato I della medesima direttiva, non erano in funzione.
Numero di campioni annuo
Di particolare interesse la statuizione della corte in merito al numero dei campioni annuo . Campionamento precisato dal legislatore comunitario ed anche italiano e costantemente disatteso anche dalle nostre amministrazioni. L’omissione del campionamento annuo comporta la impossibilita di valutare la conformità del campionamento.
“….36      Con riguardo all’agglomerato di Campobasso 1 (Molise), occorre ricordare che, se è vero che la Commissione, nella memoria di replica, ha ritenuto che non fosse più necessario chiedere la dichiarazione dell’inadempimento dell’articolo 3 della direttiva 91/271, essa ha tuttavia mantenuto il suo addebito relativo a una violazione dell’articolo 4 della medesima direttiva, asserendo che, stando al controricorso della Repubblica italiana e agli allegati allo stesso, il numero annuo di campioni prelevati non corrispondeva al minimo previsto all’allegato I, sezione D, della citata direttiva.
37      Orbene, poiché la Repubblica italiana ha prodotto,….., il numero minimo di campioni che devono essere prelevati ad intervalli regolari nel corso dell’anno, conformemente al suddetto allegato I, sezione D, non occorre dichiarare l’inadempimento dell’articolo 4 della direttiva 91/271 con riguardo al suddetto agglomerato.
38      Per contro, gli scarichi provenienti dall’impianto di trattamento dell’agglomerato di Casarano (Puglia) non possono essere ritenuti conformi al citato articolo 4 a causa dell’insufficiente numero di campioni prelevati. Infatti, la Repubblica italiana non ha fornito alcun campione per il 2009 e il 2010. Inoltre, come precisato da tale Stato membro nel controricorso, l’impianto in parola è entrato in esercizio in una data posteriore a quella della scadenza del termine fissato nel parere motivato.
39      Lo stesso dicasi per gli scarichi provenienti dall’impianto di trattamento dell’agglomerato di Menfi (Sicilia), poiché la Repubblica italiana non ha prodotto campioni relativi a tali scarichi per il 2009.
40      Ciò considerato, si deve dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire che, negli agglomerati…….. aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 15 000 e che scaricano in acque recipienti non considerate «aree sensibili» ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 91/271, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 4, paragrafi 1 e 3, della citata direttiva.
PROGETTAZIONE E COSTRUZIONE
Sull’addebito relativo a una violazione dell’articolo 10 della direttiva 91/271
…41      Si deve ricordare che l’articolo 10 della direttiva 91/271 prevede che la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati agli articoli 47 debbano essere condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e tenendo conto delle variazioni stagionali di carico.
42      Ne consegue che il rispetto dell’obbligo sancito dal citato articolo 10 presuppone in particolare che siano soddisfatti i requisiti di cui all’articolo 4 della direttiva 91/271.
43      Pertanto, il suddetto obbligo non può considerarsi assolto negli agglomerati in cui il trattamento secondario o il trattamento equivalente della totalità delle acque urbane che confluiscono nelle reti fognarie non è garantito mediante impianti di trattamento i cui scarichi soddisfino i requisiti di cui all’allegato I, sezione B, della direttiva 91/271.
44      Ciò considerato, si deve dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso di prendere le disposizioni necessarie affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati agli articoli 47 della direttiva 91/271 siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico negli agglomerati, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 10 della direttiva 91/271.

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Sicurezza, Valutazione rischi: differimento termini

Sicurezza nei luoghi di lavoro e Valutazione rischi: differimento termini

L. 101/2012 di Conversione del DL 57/2012

 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Si comunica che è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 13 luglio 2012   la Legge 12 luglio 2012 n. 101 di conversione, con modificazioni, del decreto legge 12 maggio 2012 n. 57,  recante disposizioni urgenti  in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nel settore dei trasporti e delle microimprese.
La legge modifica con vigenza al 14.7.2012 il testo
1) art. 3 comma 2 Dlgs. 81/2008 , così il nuovo testo:

3. ((Fino all'emanazione dei decreti di cui al comma 2,))  sono
fatte salve le disposizioni attuative dell'articolo 1, comma  2,  del
decreto  legislativo  19  settembre  1994,   n.   626,   nonche'   le
disposizioni di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271, al
decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272, al decreto legislativo 17
agosto 1999, n. 298, e  le  disposizioni  tecniche  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, e del decreto del
Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, richiamate  dalla
legge 26 aprile 1974, n. 191, e dai relativi  decreti  di  attuazione
((. . .)).((Gli schemi dei decreti di cui al citato comma 2 del presente articolo 
sono trasmessi alle Camere per l'espressione del parere da parte delle 
Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro trenta giorni dalla 
data di assegnazione)).

2)  art. 29 comma 5 Dlgs. 81/2008 (valutazione rischio), così il nuovo testo: 

5. I datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori  effettuano
la valutazione dei rischi di cui  al  presente  articolo  sulla  base
delle procedure  standardizzate  di  cui  all'articolo  6,  comma  8,
lettera f).
((Fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore 
del decreto interministeriale di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f), e, 
comunque, non oltre il 31 dicembre 2012)),
gli stessi datori di lavoro possono  autocertificare
l'effettuazione della valutazione dei  rischi.  Quanto  previsto  nel
precedente periodo non si applica alle attivita' di cui  all'articolo
31, comma 6, lettere a), b), c), d) nonche g).

La Legge
Il testo della Legge 101/2012, che si compone di un unico articolo, prevede il differimento di alcuni termini previsti nel D.Lgs 81/08 e s.m.i.
Al comma 1 dell’art. 1 viene disposto che, fino alla emanazione degli appositi decreti interministeriali (che andranno a dettare disposizioni di coordinamento del Testo Unico sulla sicurezza con la normativa relativa ai settori ferroviario, marittimo e portuale) continua ad applicarsi la disciplina attualmente vigente relativamente ai settori soprarichiamati.
Viene inoltre esteso da quarantotto a cinquantacinque  (55) mesi il termine entro il quale dovranno essere emanati i decreti in materia di sicurezza sul lavoro nei confronti delle Forze armate, di polizia, dei Carabinieri, della protezione civile, tenuto conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato.
Gli schemi dei decreti di cui sopra dovranno essere trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti.
Il comma 2, che è rimasto invariato rispetto al decreto legge, dispone che, in attesa della definizione del decreto sulle procedure standardizzate per la valutazione dei rischi per le imprese che occupano fino a 10 dipendenti, il termine del 30 giugno 2012 è sostituito dal seguente inciso: “fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale” che andrà a recepire dette procedure  e comunque non oltre il 31 dicembre del 2012.

 Di seguito il testo della Legge:

Art. 1      ((01.  All’articolo  3,  comma  2,  secondo  periodo,  del  decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81,  e  successive  modificazioni,  le parole: “entro quarantotto  mesi”  sono  sostituite  dalle  seguenti: “entro cinquantacinque mesi”)).    1. All’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 9 aprile  2008, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:      a) le parole: “Fino alla scadenza del termine di cui al comma 2,” sono sostituite dalle seguenti: “Fino all’emanazione dei  decreti  di cui al comma 2,”;      b) le parole da:” ; decorso” a : ” decreto” sono soppresse.      ((b-bis) e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo:  “Gli  schemi dei decreti di cui al citato  comma  2  del  presente  articolo  sono trasmessi alle Camere per l’espressione del  parere  da  parte  delle Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro  trenta  giorni dalla data di assegnazione”)).    2. Per consentire la definizione delle procedure standardizzate  di valutazione dei rischi di cui all’articolo 6, comma  8,  lettera  f), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, all’articolo 29,  comma 5, secondo periodo, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81,  e successive  modificazioni,  le  parole:  “Fino  alla   scadenza   del diciottesimo mese successivo alla  data  di  entrata  in  vigore  del decreto interministeriale di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f), e, comunque, non oltre il  30  giugno  2012”  sono  sostituite  dalle seguenti: “Fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data  di entrata in vigore del decreto interministeriale di  cui  all’articolo 6, comma 8, lettera f), e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2012”.
 

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Responsabilità della società solo se esiste vantaggio

Responsabilità della Societa’ solo se esiste vantaggio
Ipotesi di omesso modello organizzativo
Vantaggio e interesse ex art. 5 Dlgs. 231/2001 – Sentenza GUP Tolmezzo
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il caso:
A fronte di un guasto all’impianto elettrico un dipendente, con mansioni di tecnico conduttore, seppure a conoscenza della fallita procedura di messa fuori servizio della linea da 20KV interveniva, con porta del quadro elettrico aperta, nel tentativo di rimuovere gli elementi del quadro Apierre, allentando con chiave fissa quattro bulloni che vincolavano il coperchio del quadro.
A seguito di tale apertura un secondo dipendente “entrava” con il capo nell’armadio contenente il quadro e vi rimaneva folgorato.
Il reato ascritto alla società:
Il Pubblico Ministero chiedeva il rinvio a giudizio anche della società per responsabilità amministrativa da reato dipendente ex artt. 5, 6 e 25 septies co.2 D.Lgs. 231/2001 “perché traeva interesse o vantaggio dal delitto p.e.p. dagli artt. 40, 113 e 589 c.p., commesso in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro da (omissis) agendo questi in veste di datore di lavoro/dirigente della (omissis), responsabile dell’impianto in forza di procura speciale …avendo la società omesso di adottare ed efficacemente attivare un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire il reato sopra specificato per difetto di adeguate misure di interdizione all’accesso alla cabina elettrica di cui sopra in presenza di condizioni di pericolo per l’incolumità del personale ivi operante……beneficiando di cd. risparmio di spesa”.
Il Giudice dell’Udienza Preliminare GUP di Tolmezzo 18/12 depositata il 3.2.2012 pronunciava sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. perché “il fatto non sussiste” nei confronti della societa’ imputata ex artt. 5 e 6 D.Lgs. 231/2001 perché:
– non sussiste interesse / vantaggio dal reato dipendente;
– l’ assenza di modello organizzativo non costituisce di per sé reato.
Il ragionamento del GUP:
La responsabilità dell’ente sussiste, ex art. 5 D.Lgs. 231/2001, solo in caso di
– vantaggio o
– interesse
dell’ente tratto dal reato commesso dal dipendente o dal soggetto che riveste una posizione apicale all’interno dello stesso.
Nel caso di specie il Giudice ha ravvisato l’impossibilità di individuare il vantaggio o l’interesse in capo all’agente nel reato di lesioni gravissime, da cui è derivata la morte del dipendente.
Da qui la necessità di una lettura interpretativa del D.Lgs. 231/2001 per poter applicare l’art. 5 D.Lgs 231/01 che altrimenti rimarrebbe inoperativo per i reati colposi di evento.
Afferma il GUP di Tolmezzo, riprendendo una giurisprudenza recente interrogatasi sul medesimo problema, che l’interesse/vantaggio ex art. 5 vadano ricercati non nell’evento (lesione – morte del dipendente), bensì nella condotta che viola le disposizioni a tutela della sicurezza negli ambienti di lavoro (GUP Cagliari 4.7.2011, GUP Novara 26.10.2010, GUP Pinerolo 23.9.2010, Trib. Trani, sez. Molfetta 11.1.2010).
Il vantaggio, infatti, è dato dal risparmio dei costi connessi alla formazione e all’adozione di misure atte a prevenire gli infortuni, oppure nell’omissione di misure per accelerare la produzione e la prestazione aziendale.
Non è quindi sufficiente una semplice imperizia, né la sottovalutazione dei rischi, ma violazioni frutto di esplicite deliberazioni volitive finalisticamente orientate a soddisfare un interesse dell’ente, che il Giudice deve accertare …e il PM provare.
Essendo tale la ratio del D.Lgs. 231/2001, l’assenza del modello organizzativo non costituisce di per se’ motivo di responsabilità, che va invece ricercata nel concreto.
Né tale omissione è ipotesi di reato.
Nel caso di specie era stato accertato che esistevano procedure di sicurezza e sistemi produttivi, non funzionanti per mancata lubrificazione dei meccanismi.
La società, dunque, aveva adottato i sistemi di sicurezza necessari, il cui mancato funzionamento va addebitato non all’ente bensì al personale a ciò incaricato.
Manca quindi il vantaggio dell’ente ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. 231/01 poiché la società aveva adottato le misure preventive e di sicurezza.
L’infortunio è stato causato da negligenza e dunque solo le persone fisiche che hanno agito con colpa andranno soggette a pena (per omessa manutenzione nel caso di dipendente, ovvero per omessa vigilanza nel caso del rappresentante legale).

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Sistri "sospeso" e FIR: quali conseguenze?

Sistri “sospeso” e FIR: quali conseguenze?
A cura di avv. Cinzia Silvestri
L’articolo 52 del DL 83/2012 ha sospeso l’operatività del Sistri fino al 30.6.2012
Il Dlgs. 205/2010 ha innovato il Dlgs. 152/2006 definendo nuovi contenuti alla luce dell’intervenuto Sistri.
La parte IV Dlgs. 152/2006 sui rifiuti ha subito vera rivoluzione anche letterale.
La “sospensione” del sistema Sistri rende, di fatto, e per legge inapplicabile quel nucleo di norme pensate per sostenere il Sistema di Tracciabilità.
Dopo aver disposto la sospensione il Governo si preoccupa di dirimere la questione su ciò che deve essere applicato e scrive all’art. 52 DL 83/2012:
“…..fermo  restando,  in  ogni  caso,  che  essi rimangono comunque tenuti agli adempimenti di cui agli articoli 190 e 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152  ed  all’osservanza della   relativa    disciplina,    anche    sanzionatoria,    vigente antecedentemente all’entrata in vigore del decreto legislativo del  3 dicembre 2010, n. 205….”.
Bisogna recuperare l’art. 190 e 193 vigenti prima della novella del 2010?
E che dire di tutti gli altri articoli disseminati nel codice ambientale che richiedono per la loro applicazione l’operatività del Sistri?
Accontentiamoci di Governo richiama espressamente solo gli articoli 190 e 193 “vecchia maniera”.
Si è portati dunque a riprendere il “vecchio” testo e considerarlo interamente applicabile (?).
Ci siamo dimenticati dell’art. 16 Dlgs. 205/2010 comma 2 ha condizionato la vigenza degli articoli 188, 188 bis e ter, 189, 190 e 193 alla operatività del Sistri.
Di fatto si devono considerare mai entrati in vigore tali articoli.
 
E’ visibile dalla lettura comparata del testo prima e dopo novella 2010, che alcuni commi sono rimasti invariati o  hanno subito cesure solo letterali (ad esempio il comma 2 e il comma 3 trasfuso nel nuovo comma 4 )
 
Vero è che il legislatore è intervenuto sul testo dell’art. 193 successivamente alla novella. Il recente comma 9bis, ad esempio, era stato inserito con la recente novella (DL 5/2012) e portava il beneficio della esclusione del FIR in capo alle imprese agricole a certe condizioni. Questo articolo non richiede la operatività del Sistri e dunque, bisogna chiedersi se è vigente.
 
 
La lettura dell’art. 193, come dell’art. 190, deve portare alla “sospensione” solo di quella parte del testo che richiede quale presupposto la operatività del Sistri?
 
Che dire a contrario del previgente art. 193 comma 4bis; comma che non risulta riportato nel nuovo testo del 193?
 
Si indica schema:
 

art. 193 Trasporto rifiuti

Testo vigente fino al 24.12.2010 e poi modificato e sostituito dal Dlgs. 205/2010. Testo introdotto dal Dlgs. 205/2010 e vigente dal 25.12.2010 (oggi “sospeso”) Note
  1. Durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di  identificazione  dal  quale  devono risultare almeno i seguenti dati:

a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore;
b) origine, tipologia e quantita’ del rifiuto;
c) impianto di destinazione;
d) data e percorso dell’istradamento;
e) nome ed indirizzo del destinatario.
 

    1. Per gli enti e le  imprese  che  raccolgono  e  trasportano  i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8, e che non aderiscono su base  volontaria  al  sistema  di  controllo  dellatracciabilita’ dei rifiuti  (SISTRI)  di  cui  all´articolo  188-bis, comma 2,  lett.  a)  i  rifiuti  devono  essere  accompagnati  da  un formulario di identificazione dal quale  devono  risultare  almeno  i seguenti dati:a)  nome  ed  indirizzo  del  produttore  dei  rifiuti  e   del detentore;
b) origine, tipologia e quantita’ del rifiuto;
c)impianto di destinazione;
d) data e percorso dell’istradamento;
e) nome ed indirizzo del destinatario.
2. Il formulario di identificazione di cui al comma 1  deve  essere redatto  in  quattro  esemplari,  compilato,  datato  e  firmato  dal produttore  o  dal  detentore  dei  rifiuti   e   controfirmato   dal trasportatore. Una copia  del  formulario  deve  rimanere  presso  il produttore o il detentore e le altre tre, controfirmate e  datate  inarrivo dal destinatario, sono acquisite una dal  destinatario  e  due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al  detentore.Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni.
 
2. Il formulario di identificazione di cui al comma 1 deve essere redatto  in  quattro  esemplari,  compilato,  datato  e  firmato  dal produttore dei rifiuti e controfirmate dal trasportatore che  in  tal modo da’ atto di aver ricevuto i rifiuti. Una  copia  del  formulario deve rimanere presso il produttore e le altre  tre,  controfirmate  e datate  in  arrivo  dal  destinatario,   sono   acquisite   una   dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al predetto produttore dei rifiuti. Le copie  del  formulario  devono essere conservate per cinque anni. *Applicabile il comma 2 che presenta continuità con il previgente
3. Durante la raccolta ed il trasporto i rifiuti pericolosi  devono essere imballati ed etichettati in conformita’ alle norme vigenti  in materia. 3. Il trasportatore non e’ responsabile per quanto indicato nella Scheda  SISTRI  –   Area   movimentazione   o   nel   formulario   di identificazione di cui al comma 1 dal produttore o dal detentore  dei rifiuti e per le eventuali difformita’ tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva natura e  consistenza,  fatta  eccezione  per  le difformita’ riscontrabili con la  diligenza  richiesta  dalla  natura dell’incarico . *NON applicabile in parte.IPotrebbe applicarsi nella parte che richiama il comma 1 e seguente.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano al  trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che  gestisce  il  servizio pubblico ne’ ai trasporti di rifiuti non  pericolosi  effettuati  dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e  saltuario,  che non eccedano la quantita’ di trenta chilogrammi o di trenta litri. 4. Durante la raccolta  ed  il  trasporto  i  rifiuti  pericolosi devono essere imballati ed  etichettati  in  conformita’  alle  norme vigenti in materia di  imballaggio  e  etichettatura  delle  sostanze pericolose. *Il comma 4 nuova formulazione richiama invero il comma 3 previgente salvo la precisazione sulle sostanze pericolose.
4-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano  altresi’ nel caso di trasporto di rifiuti speciali di cui  all’articolo  184, comma 3, lettera a), effettuato dal produttore dei rifiuti stessi  inmodo occasionale e saltuario e finalizzato al conferimento al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani con il quale siastata stipulata una convenzione, purche’ tali rifiuti non eccedano la
quantita’ di trenta chilogrammi o di trenta litri.
 
5. Fatto salvo quanto previsto per  i  comuni  e  le  imprese  di trasporto dei rifiuti urbani nel territorio della  regione  Campania, tenuti ad aderire al sistema di controllo  della  tracciabilita’  dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo  188-bis,  comma  2,  lett.  a), nonche’ per i comuni e le imprese di trasporto di rifiuti  urbani  in regioni diverse dalla regione Campania di cui  all´articolo  188-ter, comma 2, lett. e), che  aderiscono  al  sistema  di  controllo  della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI), le disposizioni di cui al  comma 1 non si applicano al trasporto  di  rifiuti  urbani  effettuato  dal soggetto che gestisce il  servizio  pubblico,  ne’  ai  trasporti  di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti  stessi, in modo occasionale e saltuario, che non  eccedano  la  quantita’  di trenta chilogrammi o di trenta litri, ne’  al  trasporto  di  rifiuti urbani effettuato dal produttore degli stessi ai centri  di  raccolta di cui  all’articolo  183,  comma  1,  lett.  mm).  Sono  considerati occasionali  e  saltuari   i   trasporti   di   rifiuti,   effettuati complessivamente per non piu’ di quattro volte l’anno non eccedenti i trenta chilogrammi o trenta litri al  giorno  e,  comunque,  i  cento chilogrammi o cento litri l’anno.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
LA SECONDA PARTE appare applicabile in quanto richiama e specifica il previgente comma 4.
 
5. La  disciplina  di  carattere  nazionale  relativa  al  presente articolo e’ definita con decreto del Ministro dell’ambiente e dellatutela del territorio e del mare da emanarsi entro sessanta  giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto.  Sinoall’emanazione del  predetto  decreto  continuano  ad  applicarsi  le
disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente  1°  aprile
1998, n. 145.
 
6. In ordine alla definizione del modello  e  dei  contenuti  del formulario di identificazione, si applica  il  decreto  del  Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145. *Il comma 6 rimane applicabile.
6. La definizione del modello e dei  contenuti  del  formulario  di identificazione e le modalita’  di  numerazione, di  vidimazione  ai sensi  della  lettera   b)   e   di   gestione   dei   formulari   di identificazione,   nonche’    la    disciplina    delle    specifiche responsabilita’ del produttore o detentore, del trasportatore  e  del destinatario sono fissati con decreto del Ministro dell’ambiente  edella  tutela  del  territorio  e  del  mare tenendo  conto  delle specifiche  modalita’  delle  singole  tipologie  di  trasporto,  con particolare riferimento ai trasporti intermodali,  ai  trasporti  perferrovia e  alla  microraccolta.  Sino  all’emanazione  del  predetto decreto continuano ad applicarsi le seguenti disposizioni:
a) relativamente alla definizione del modello e dei contenuti del
formulario di identificazione, si applica  il  decreto  del  Ministro
dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145;
b) relativamente alla numerazione e vidimazione, i  formulari  di
identificazione  devono  essere  numerati  e  vidimati  dagli  uffici
dell’Agenzia delle entrate o dalle Camere  di  commercio,  industria,
artigianato e agricoltura o  dagli  uffici  regionali  e  provinciali
competenti in  materia  di  rifiuti  e  devono  essere  annotati  sul
registro IVA acquisti.  La  vidimazione  dei  predetti  formulari  di
identificazione e’ gratuita e non e’  soggetta  ad  alcun  diritto  o
imposizione tributaria.
 
7. I  formulari  di  identificazione  devono  essere  numerati  e vidimati dagli uffici dell’Agenzia delle entrate o  dalle  Camere  di commercio, industria,  artigianato  e  agricoltura  o  dagli  uffici regionali e provinciali competenti in materia  di  rifiuti  e  devono essere  annotati  sul  registro  Iva  acquisti.  La  vidimazione  dei predetti formulari di identificazione e’ gratuita e non  e’  soggetta ad alcun diritto o imposizione tributaria.
7. Il  formulario  di  cui  al  presente  articolo  e’  validamente sostituito, per i rifiuti oggetto di spedizioni transfrontaliere, dai documenti previsti dalla normativa comunitaria  di  cui  all’articolo 194, anche con riguardo alla tratta percorsa su territorio nazionale 8. Per le imprese che raccolgono e trasportano i  propri  rifiuti non pericolosi che non aderiscono su base volontaria  al  sistema  di controllo  della  tracciabilita’  dei   rifiuti   (SISTRI)   di   cui all´articolo  188-bis,  comma  2,  lett.   a),   il   formulario   di identificazione e’ validamente sostituito, per i rifiuti  oggetto  di spedizioni transfrontaliere, dai documenti previsti  dalla  normativa comunitaria di cui all’articolo 194, anche con riguardo  alla  tratta percorsa su territorio nazionale. *
8. La scheda di accompagnamento di cui all’articolo 13 del  decretolegislativo 27 gennaio 1992, n. 99,relativo  all’utilizzazione  dei fanghi di depurazione in agricoltura, e’ sostituita dal formulario di identificazione di cui al comma 1. Le specifiche informazioni di  cui all’allegato IIIA del decreto legislativo n. 99 del 1992 non previste nel modello del formulario di cui al comma 1 devono  essere  indicate nello spazio relativo alle annotazioni del medesimo formulario.  9. La scheda  di  accompagnamento  di  cui  all’articolo  13  del decreto   legislativo   27   gennaio   1992,    n.    99,    relativa all’utilizzazione  dei  fanghi  di  depurazione  in  agricoltura,  e’ sostituita dalla Scheda  SISTRI  –  Area  movimentazione  di  cui  al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela  del  territorio  e del mare in  data  17  dicembre  2009  o,  per  le  imprese  che  non aderiscono  su  base  volontaria  al  sistema  di   controllo   della  tracciabilita’ dei rifiuti  (SISTRI)  di  cui  all´articolo  188-bis, comma 2, lett. a), dal formulario di identificazione di cui al  comma 1. Le specifiche informazioni di cui all’allegato  IIIA  del  decreto legislativo n. 99  del  1992  devono  essere  indicate  nello  spazio relativo  alle  annotazioni  della  medesima  Scheda  SISTRI  –  Area movimentazione o nel formulario di identificazione. La movimentazione dei  rifiuti  esclusivamente  all’interno  di  aree  private  non  e’ considerata  trasporto  ai  fini  della  parte  quarta  del  presente decreto. *

 
 
 

adminSistri "sospeso" e FIR: quali conseguenze?
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Tariffa Rifiuti (TIA): obbligo di motivazione

Tariffa Rifiuti (TIA) : la PA deve motivare
Consiglio di Stato n. 539/2012
A cura di Cinzia Silvestri
L’“ampio potere discrezionale dell’ente locale …non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e non può pertanto essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento che, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono caratterizzare l’azione amministrativa….”
Il Comune deve motivare l’applicazione della tariffa ai massimi consentiti.
Leggi anche articolo “ il cittadino non e’ suddito”
Alcune associazioni di professionisti chiedevano al TAR di Toscana l’annullamento delle delibere del Comune di Prato relative al regolamento per la tariffa Rifiuti.
“.. i ricorrenti sostenevano l’illegittimità della istituzione della tariffa di igiene ambientale per le utenze non domestiche appartenenti alla categoria 11 (uffici, agenzie, studi professionali) nella misura più elevata possibile…… senza alcuna motivazione che giustificassero tale massima imposizione e senza dar minimamente conto dei criteri applicati nell’ambito dei valori minimi e massimi indicati nell’allegato al D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158; ciò senza contare che non solo alcun criterio omogeneo risultava seguito per le varie categorie di contribuenti (per alcune delle quali (nn. 1, 4, 13, 17, 18, 19, 20, 21) erano stati applicati i coefficienti minimi e per altre (n. 11) quelli massimi), per quanto la tariffa, secondo la previsione di cui all’articolo 4, terzo comma, del D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, doveva essere differenziata per zone, con riferimento alla destinazione a livello di pianificazione urbanistica e territoriale, alla densità abitativa, alla frequenza e qualità dei servizi da fornire.
LA Corte accoglie la doglianza.
Scrive la Corte:”…L’art. 49 del D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, nel prevedere l’istituzione della tariffa in questione, stabilisce al comma 4 che essa è composta da
una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e
da una quota rapportata
alle quantità di rifiuti,
al servizio fornito, e
all’entità dei costi di gestione,
in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
Il successivo comma 5 rimette al Ministro dell’ambiente …., l’elaborazione di un metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento…”
TARIFFA
La tariffa, prosegue la Corte:”…. deve essere articolata per fasce (comma 6) e costituisce la base per la determinazione della tariffa e per orientare e graduare nel tempo gli adeguamenti tariffari derivanti dall’applicazione dello stesso decreto legislativo (comma 7).
Il regolamento per l’elaborazione del metodo normalizzato per la definizione della tariffa di gestione del ciclo dei rifiuti urbani, approvato col già citato d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, dopo aver precisato all’articolo 2 che “la tariffa di riferimento rappresenta l’insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali” (comma 1) e ribadito all’articolo 3, comma 1, che “la tariffa è composta da
una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e
da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione”,
all’articolo 4 (“Articolazione della tariffa) prevede che la tariffa è articolata nelle fasce di utenza domestica e non domestica (comma 1), stabilendo che l’ente locale ripartisce tra le categorie di utenza domestica e non domestica l’insieme dei costi da coprire attraverso la tariffa secondo criteri razionali (assicurando l’agevolazione per l’utenza domestica di cui all’art. 49, comma 10, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) (comma 2) e aggiungendo che a livello territoriale la tariffa è articolata con riferimento alle caratteristiche delle diverse zone del territorio comunale ed in particolare alla loro destinazione a livello di pianificazione urbanistica e territoriale, alla densità abitativa, alla frequenza e alla qualità dei servizi da fornire, secondo modalità stabilite dal comune (comma 3).
Ai fini del calcolo della tariffa per le utenze domestiche, in particolare, l’articolo 6 stabilisce, al primo comma, che “Per le comunità, per le attività commerciali, industriali, professionali e per le attività produttive in genere, la parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa e determinato dal comune nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3. dell’allegato 1 al presente decreto”, e, al secondo comma, che “Per l’attribuzione della parte variabile della tariffa gli enti locali organizzano e strutturano sistemi di misurazione delle quantità di rifiuti effettivamente conferiti dalle singole utenze. Gli enti locali non ancora organizzati applicano un sistema presuntivo, prendendo a riferimento per singola tipologia di attività la produzione annua per mq. ritenuta congrua nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.4. dell’allegato 1.
4.3.2.2. Alla luce del delineato substrato normativo non può ragionevolmente dubitarsi della sussistenza del vizio di motivazione che, come eccepito dagli appellanti, inficia gli atti impugnati.
Invero, ancorché non possa dubitarsi della natura di atto generale del provvedimento istitutivo della tariffa e del relativo regolamento, non può tuttavia negarsi che esso, proprio in quanto costituisce applicazione concreta anche delle disposizioni contenute nel ricordato d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, ha un contenuto composito, in parte regolamentare ed in parte provvedimentale, con particolare riferimento a quella parte in cui stabilisce il costo del servizio e la determinazione della tariffa, le modalità di applicazione della tariffa, le agevolazioni e le riduzioni tariffarie, le modalità di riscossione della tariffa, i coefficienti per l’attribuzione della parte fissa e della parte variabile della tariffa.
La determinazione di tali peculiari elementi, che implica, come si ricava dalle richiamate disposizioni, l’individuazione dei costi da coprire, la loro ripartizione tra le categoria di utenza domestica e non domestica, la articolazione della tariffa stessa in ragione delle caratteristiche delle diverse zone del territorio comunali, secondo la loro destinazione urbanistica, è frutto di un ampio potere discrezionale dell’ente locale che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e non può pertanto essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento che, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono caratterizzare l’azione amministrativa.
Ma, anche a voler prescindere dalle considerazioni fin qui svolte, un decisivo argomento letterale a conforto della tesi dell’obbligo di motivazione di cui si discute è rintracciabile nelle disposizioni dell’articolo 6 del d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, che, disciplinando il calcolo della tariffa per le utenze non domestiche, facoltizza i comuni a determinare la parte fissa della tariffa “…nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3. dell’allegato 1 al decreto” (comma 1) e quella variabile prendendo a riferimento per singola tipologia di attività la produzione annua per metri quadrati “…ritenuta congrua nell’abito degli intervalli indicati al punto 4.4. dell’allegato 1” (comma 2): invero, proprio il potere di scelta nell’ambito di un intervallo, delimitato da un minimo ed un M., imponeva all’ente locale appellato l’obbligo di motivare le ragioni della scelta dei coefficienti massimi, non essendovi del resto alcun elemento (né essendo stato in alcun modo indicato) negli atti impugnati idoneo a rendere manifesto e comprensibile l’iter logico – giuridico seguito dall’amministrazione e dunque le ragioni della scelta.
È appena il caso di evidenziare che a tale vulnus non potrebbe porsi rimedio in occasione dell’emanazione dei singoli atti impositivi e della loro eventuale impugnazione, dal momento che essi, in quanto meramente applicativi, sfuggono essi stessi all’obbligo e particolareggiato obbligo di motivazione (essendo sufficiente per la loro legittimità il rinvio per relationem proprio all’atto istitutivo della tariffa ed al regolamento di applicazione, di contenuto, come si è visto, composito).
In tali sensi la censura di difetto di motivazione deve essere considerata fondata (ed assorbente anche rispetto alla dedotta carenza di istruttoria)

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P.A. e cittadino: ".. il cittadino non è suddito…"

P.A. e CITTADINO: “..il cittadino non è suddito bensì utente..”.
Tribunale di Venezia n. 2391/2007 –  “Cosa significa agire secondo correttezza ed imparzialità?
 
Segnalazione a cura di avv. Cinzia Silvestri
 
L’attenzione cade sulla sentenza del Tribunale di Venezia del 2007 di particolare attualità, coraggiosa, e che fissa principi forse un po’ dimenticati.
Un esempio di come la magistratura, può ricondurre a giusto equilibrio le azioni ed i diritti e un esempio di merito all’avvocatura che ha avuto la forza di adire la giustizia e chiedere il dovuto ristoro…nonostante tutto.
 
La sentenza del Tribunale risale al 2007 (Tribunale di Venezia – Sezione terza civile – sentenza 19 marzo 23 aprile 2007, n. 2391) – Giudice Stefani.
 
Il Caso coinvolge una coppia di coniugi che si avvaleva di commercialista peraltro condannato  per appropriazione indebita; l’inadempimento del professionista aveva determinato per la coppia l’inizio di una vera tragedia giudiziale, un percorso costoso e grave puntellato di procedimenti penali, tributari ecc….una odissea non imputabile al comportamento dei coniugi.
 
Il pregio della sentenza è di sottolineare il principio costituzionale dell’art. 97 estensibile a ogni attività della Pubblica amministrazione.
L’atto di per se’ legittimo della P.A.  può rivelarsi persecutorio laddove la P.A., pur riconoscendo la estraneità del comportamento censurabile in capo all’utente, non appresti i dovuti rimedi tempestivi per la soluzione della controversia.
 
Ebbene.
 
RESPONSABILITA’ DEL COMMERCIALISTA
Scrive il Tribunale nella indicazione del fatto e con riferimento al percorso subito dalla coppia: “ ….una complessa ed articolata nonché annosa vicenda tributaria, non trascurando vicende penali, peraltro risoltesi con assoluzione e/o con archiviazione, per l’esponente e la di lui consorte; che innumerevoli contestazioni fiscali erano conseguite alla condotta del professionista il quale, a fronte di quanto documentato, ometteva i relativi versamenti; che v’era stato anche lungo contenzioso tributario; che per intervenuta amnistia talune condotte del commercialista erano state dichiarate estinte, con la conseguenza di agire per l’accertamento in sede civile della non imputabilità all’esponente delle contestazioni susseguitesi nel tempo; che aveva ottenuto sentenza di condanna di risarcimento del danno nei confronti del predetto commercialista XXX…”
 
RESPONSABILITA’ P.A.
Il Tribunale però affonda e individua anche la responsabilità della Pubblica amministrazione e precisa , sempre nella descrizione del fatto: “ ….. che esisteva, tanto premesso, responsabilità della P.A. convenuta; che tanto derivava da
omissioni e/o ritardi, con violazione della regola d’imparzialità e correttezza, non trascurando il buon andamento;
che tanto derivava dall’annosità dei procedimenti e relative contestazioni fiscali, con inutile e infondata reiterazione di contestazioni infondate, attesa la sola responsabilità del predetto professionista;
che erano stati chiesti documenti già in possesso dell’Amministrazione, in violazione dell’art. 6 di cui allo statuto 27.7.2000;
che in ogni caso l’Amministrazione era tenuta a risolvere con decisione unitaria la posizione dell’esponente;
che inutili si erano rivelati tentativi di definire definitivamente e in modo bonario il contenzioso tributario; che si erano scontrati con intoppi burocratici e prassi interpretative non coerenti;
che anche dopo la condanna del commercialista l’Amministrazione non aveva provveduto a sgravare gli attori delle comminate sanzioni e interessi;
che la condotta della convenuta costituiva fatto illecito con violazione di diritti soggettivi assoluti e perfetti;
che il danno sofferto poteva essere quantificato in complessive lire 139.000.000; oltre ulteriori lire 89.000.000; non trascurando le spese sostenute, quantificate in lire 20.000.000;
che le vicende di cui sopra avevano arrecato danni anche alla famiglia e alla serenità degli esponenti, sino alla contrazione di patologie del tutto apprezzabili, ebbene agivano per il ristoro del danno sofferto.
 
Il Tribunale nell’affrontare la questione in diritto afferma innazitutto che il caso configura ipotesi di responsabilità extracontrattuale della P.A. nel confronti del contribuente.
E’ ovvio che la condotta materiale in quanto tale, se ed in quanto causa di danno, può essere vagliata.
 
NEL MERITO
Nel merito il Tribunale affonda:
“…..Non si tratta di vagliare la legittimità formale delle condotte degli uffici di volta in volta preposti quanto, piuttosto, di valutare se, note essendo le cause delle vicissitudini degli attori, la cui buona fede non è punto contestata, ebbene dette vicende e/o vicissitudini avrebbero o meno dovuto imporre all’Amministrazione convenuta, complessivamente intesa, certo non trascurando evidenti difficoltà di collegamento tra i singoli uffici, né trascurando la qual certa automaticità dei meccanismi di contestazione fiscale, una condotta, complessivamente, appunto, diversa ovvero alternativa rispetto a quell’attuata.
In fondo la domanda si fonda sul principio costituzionale di buon andamento e d’imparzialità, norma certo precettiva, ed è in quest’ambito che si ritiene di trattare le vicende di causa nella loro complessità ed articolazione.
 
STILLICIDIO DI CONTESTAZIONI
….Si tratta del sostanziale stillicidio di contestazioni, a catena, pervenute con ritardi non indifferenti.
Si tratta ancora, come accennato, di valutare se una volta posta nella condizione di comprendere la peculiarità del caso di specie si potesse esigere da parte dell’Amministrazione convenuta una condotta alternativa.
…..Si ribadisce, dunque, che la posizione attorea, nei limiti quivi esaminabili, il danno sofferto ex art. 2043 c.c., per comportamenti successivi al maggio 1997…..investe la condotta della P.A. complessivamente intesa, e dunque come facente capo al convenuto Ministero e non già alle diramazioni territoriali.
Era esigibile una condotta diversa?
Attesa la nota vicenda che aveva involontariamente investito i contribuenti, cui, in effetti, nessun profilo di colpa può essere mosso, essendosi sempre attivati con dispendio non indifferente d’energie per mettere la parola fine sull’intera questione, ebbene, in base ai citati principi costituzionali, era esigibile una condotta diversa della parte convenuta, in termini di collaborazione, convocazione, complessiva e definitiva valutazione dell’intero annoso iter, piuttosto che una condotta, lecita e formalmente ineccepibile e, in ogni caso, quanto agli aspetti tecnicamente tributari quivi non esaminabili, strettamente, appunto formale.
 
AGIRE CORRETTO E IMPARZIALE
“….Cosa significa agire secondo correttezza ed imparzialità?
Cosa significa agire, nell’esercizio del legittimo potere impositivo e fiscale, nel rapporto con il contribuente, secondo canoni di buona fede?
….Come ricordato gli accertamenti intervenivano in limine.
Certo è legittimo.
Tuttavia, si osserva.
Anche il limite massimo di velocità consentito nelle sedi urbane, 50 chilometri orari, non costituisce la misura in ogni caso consentita: la condotta va sempre parametrata alle condizioni oggettive esistenti.
Non importa rilevare eventuali difetti di collegamento tra i singoli uffici preposti, trattandosi di problema che semmai interessa parte convenuta, non già, e certo, gli attori.
Esistevano le condizioni, sostanziali ed oggettive, in ottemperanza ai principi costituzionali, per offrire agli attori una soluzione, una qualunque, in qualche modo definitiva che, tenendo conto dell’evidente collaborazione ed attenzione degli attori medesimi, ponesse fine alle tribolazioni sofferte?
La risposta è positiva.
Le citate deposizioni vanno apprezzate proprio dal punto di vista ora citato.
Preso atto della (presunta) dolosa condotta del professionista gli attori, lungi dal sottrarsi ad ogni responsabilità, si sono rivolti agli uffici competenti per un chiarimento ovvero chiarimenti in qualche modo definitivi, o quasi.
La continua ricezione, in limine prescrizionale, di cartelle e contestazioni si è risolta, come detto e, di fatto, in uno stillicidio che gli attori oggettivamente non meritavano, essendosi attivati nel senso predetto.
Si tratta, in buona sostanza, di stabilire se la condotta della P.A. convenuta si sia connotata o meno, come doveroso per precetti costituzionali, per buon andamento ovvero, alternativamente, se, quand’anche per ragioni burocratiche e seppure sulla scorta d’atti del tutto legittimi, non sia, invero, tradotta, in fatto, in comportamento, appunto fattuale, irragionevole, contrario all’interesse del contribuente e dei cittadini oggi attori; se, ancora, una vicenda protrattasi per lungo tempo in termini finanche paradossali, dal punto di vista dell’impossibilità di trovare un interlocutore definitivo, non si potesse risolvere alternativamente con sano realismo e correttezza.
Orbene, come anticipato, non pare davvero che la condotta si sia connotata secondo principi di sana e buona amministrazione.
Gli attori, come troppe volte accade, sono divenuti numeri, non più cittadini, e così le cartelle esattoriali che si susseguivano nel tempo, senza mai porre la parola fine sul contenzioso.
Che questa parola, quando e dove, sarà mai posta non rientra nella competenza giurisdizionale del Tribunale.
 
ECCESSIVAMENTE BUROCRATICA
Certamente, tuttavia, il Tribunale può definire la condotta dei singoli uffici come sostanzialmente eccessivamente burocratica e irragionevole: gli attori non sono stati posti nelle condizioni di conoscere come e in che termini, esatti, sanare la propria condizione, hanno ricevuto notizie discordanti, sono stati vittime di prassi applicative cangianti.
Inevitabile?
Certo, la risposta sarebbe positiva, secondo una concezione della P.A. quale ente puro erogatore di servizi ed ente esattore.
Non così secondo l’art. 97 della Costituzione Repubblicana per la quale il cittadino non è suddito bensì utente….”
 
Conclude  il Tribunale e condanna la PA al ristoro del danno esistenziale.

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Appalti: determina AVLP 1/2012

Appalti: Determinazione 1 AVLP 16.5.2012
Indicazioni applicative sui requisiti di ordine generale  per l’affidamento dei contratti pubblici (Gazz. Uff. n. 141 del 19.6.2012

A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
L’Autorita’, con la determinazione n. 1/2010, «Requisiti di  ordine
generale per l’affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture ai sensi dell’art. 38 del  decreto  legislativo  12  aprile
2006, n. 163 nonche’  per  gli  affidamenti  di  subappalti.  Profili
interpretativi ed applicativi», ha fornito indicazioni interpretative
in merito ai requisiti generali per la partecipazione alle  procedure
di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
 
Precisa la determina che ”…Successivamente alla  consultazione,  sono  sopravvenuti  ulteriori interventi normativi …” e dunque “ … l’Autorita’ ritiene opportuno intervenire nuovamente  sulla  materia,offrendo indicazioni integrative rispetto alla  determinazione  n.  1 del 2010….”
 
Di interesse la lettura del provvedimento che affronta anche questi temi:

  1. Misure di prevenzione (articolo 38, comma 1, lett. b).
  2.  Sentenze di  condanna  per  reati  che  incidono  sulla  moralita’  professionale  e  reati  di  partecipazione  ad   organizzazione   criminale, corruzione, frode, riciclaggio articolo  38,  comma  1,  lett. c).
  3.  Divieto di intestazione fiduciaria (articolo 38,  comma  1,  lett.  d).
  4.  Irregolarita’ fiscali (articolo 38, comma 1, lett. g).
  5. Falsa dichiarazione (articolo 38, comma 1, lett. h).
  6. Irregolarita’ contributive (articolo 38, comma 1, lett. i).
  7. Sospensione o revoca dell’attestazione SOA (articolo 38, comma  1,  lett. m-bis)…..

8.. Omessa denuncia dei reati di concussione ed  estorsione  (articolo  38, comma 1, lett. m-ter)…..

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ACQUE: Regione Veneto e Piano Tutela/DGRV 842/2012

Acque: DGRV n. 842/2012 – PTA 2009/Regione Veneto
 Revisione e chiarimenti del PIANO DI TUTELA DELLE ACQUE  del 2009


A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
La Giunta della Regione del Veneto ha emanato la delibera n. 842 del 15.5.2012 con cui sono state in parte modificate le Norme Tecniche di attuazione del Piano di Tutela delle Acque 2009 (DCRV 107/2009).
La delibera, pubblicata in BURV 43 del 5.6.2012, è emanata ai sensi dell’art. 4 NTA del PTA, che conferisce alla Giunta il potere di modificare con propria delibera le NTA per il raggiungimento degli obiettivi di qualità fissati per i corpi idrici, tenuto conto della mutata disciplina statale in materia di tutela idrica e alle osservazioni pervenute nel corso del biennio di vigenza del Piano di Tutela delle Acque.
Si ricorda che nel 2011 si sono susseguite ben 4 DGRV che hanno interessato la lettura del PTA del 2009, in particolare
1)   DGRV 80 del 27.4.2011(cosidette linee guida)
2)   DGRV 145 del 15.2.2011
3)   DGRV 1580 del 4.10.2011
4)   DGRV 141/CR del 13.12.2011
La DGRV 842/2012  specifica il suo intento:
In particolare, in ragione di alcune difficoltà emerse dall’applicazione pratica di talune disposizioni del Piano che comportano la necessità di adeguamenti impiantistici, con conseguente dimostrata insostenibilità economica, è emersa l’esigenza di modificare alcune disposizioni del PTA.
Inoltre, l’entrata in vigore di nuovi decreti a livello nazionale che modificano i criteri di classificazione delle acque, sia per quanto riguarda il loro stato ambientale che la qualità per specifica destinazione, rende necessaria l’aggiornamento dei relativi articoli delle NTA in recepimento delle nuove normative nazionali. Le principali novità hanno riguardato la classificazione dello stato ecologico ed ambientale delle acque, la designazione e il monitoraggio delle acque utilizzate per l’estrazione di acqua da destinare al consumo umano, il monitoraggio e la classificazione delle acque destinate alla balneazione.
Infine, si coglie l’occasione per correggere alcune sviste ed errori materiali occorsi nella stesura del Piano approvato”.
Il PTA (come revisionato dalla DGRV 842/2012) precisa:
1) modifica la definizione di
– acque reflue industriali (art. 6), intervenendo sulla disciplina dello scarico in Pubblica fognatura (art. 38)
– acque reflue assimilabili alle acque reflue domestiche (art. 34);
– acque di dilavamento e di prima pioggia (artt. 6 e 39 );
2) adegua il Piano di Tutela delle Acque alla mutata disciplina statale in tema di:
– acque potabili e a specifica destinazione (art. 9)
– sostanze pericolose: standard e limiti tabellari (art. 10 e tabella 1 allegato A).
Un esempio:
 

PTA 2009 DGRV 842/2012 (allegato A3)
Art. 6 lett. h) : Acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o impianti di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e, in generale, dalle acque meteoriche di dilavamento; sono riconducibili alle acque reflue industriali anche le acque meteoriche di dilavamento che dilavano superfici ove di sia la presenza di depositi di rifiuti, materie prime, prodotti non protetti dall’azione degli agenti atmosferici, oppure in cui avvengano lavorazioni, comprese operazioni di carico e scarico, o ricorrano altre circostanze, che comportino la possibilità di dilavamento di sostanze pericolose o comunque di sostanze in grado di determinare effettivi pregiudizi ambientali. Art. 6 lett. h): Acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o impianti di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e, in generale, dalle acque meteoriche di dilavamento.

 
 

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Appalti: Direttore tecnico/Responsabile tecnico

APPALTI: DIRETTORE TECNICO E RESPONSABILE TECNICO RIFIUTI 

ART. 38 CODICE APPALTI (Dlgs. 163/2006 ss.m.) – Consiglio di Stato n. 2820/2012

A cura di avv. Cinzia Silvestri

Due società partecipavano alla gara per l’aggiudicazione del servizio di ritiro, selezione, trasporto e trattamento di rifiuti urbani ingombranti.

La questione coinvolge la dichiarazione del DIRETTORE TECNICO ex art. 38 comma 1 lett. b) e c) laddove prevede la esclusione dalla partecipazione dalle gare della società, con riferimento a: 

1) “ b) nei cui confronti é pendente procedimento per lʹapplicazione di una delle misure di prevenzione …..o di una delle cause ostative previste dallʹarticolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575; lʹesclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; i soci o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, o il socio unico persona fisica, ovvero il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società; …

2) c) nei cui confronti é stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dellʹarticolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; é comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a unʹorganizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati allʹarticolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; lʹesclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomanditasemplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. …..”

La società interessata dalla esclusione non produceva la dichiarazione ex art. 38 D.Lgs. 163/06 sostenendo di non essere tenuta alla dichiarazione del Direttore tecnico in quanto:

a) manca nell’organigramma la figura del direttore tecnico;

b) è presente solo il RESPONSABILE TECNICO RIFIUTI, , come previsto per l’iscrizione all’albo dei gestori ambientali;

c) l’art. 38 si riferisce al solo direttore tecnico

DUNQUE  l’obbligo di presentazione della domanda non è dovuto.
Ebbene.

Il TAR rigetta tale ricostruzione e la sentenza viene confermata dal Cons. Stato 2820/2012 in quanto:

il direttore tecnico e il responsabile tecnico sono figure equivalenti, svolgendo compiti e funzioni assimilabili

Ne consegue che anche il responsabile tecnico deve allegare alla domanda di partecipazione alla gara, così come tutte le figure tipiche presenti nell’organigramma di un’impresa di servizi, perché  “pur nominalmente diverse ma a quella (direttore tecnico) sostanzialmente analoghe perché investite di compiti parimenti analoghi rilevanti ai fini dell’esecuzione dell’appalto” (Cons. Stato 83/12, richiamata da Cons. Stato 2027/12).

L’omessa dichiarazione ex art. 38 Codice Appalti preclude la partecipazione alla gara per l’affidamento della gestione dei rifiuti se espressamente richiesta dalla Stazione Appaltante.
Sul punto la giurisprudenza del Consiglio di Stato è consolidata e si segnala, da ultimo, sentenza 2820 del 17.5.2012.

 L’art. 38 D. Lgs. 163/2006[1] stabilisce i requisiti di idoneità morale che devono essere espressi da tutti i soggetti con funzioni e poteri rappresentativi dell’impresa, a nulla rilevando l’eventuale ripartizione interna di compiti e/o deleghe (Cons. Stato 8535/10 e 1471/2012).

L’omessa presentazione di tale dichiarazione comporta ope legis l’esclusione dalla gara.
A dire il vero parte della Giurisprudenza, ad oggi minoritaria, tende a permettere la partecipazione alle gare pubbliche pur in assenza di dichiarazione, laddove, in concreto, sussistano e siano dunque dimostrabili i requisiti di cui all’art. 38 Codice Appalti.

1. l’art. 45 Direttiva 2004/18 correla “l’esclusione dalla gara alle sole ipotesi di grave colpevolezza e di false dichiarazioni nel fornire informazioni, non rinvenibile nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in termini competitivi” (Cons. Stato 1017/2010).

2. l’art. 38 comma 1 Codice Appalti esclude dalla partecipazione alle gare pubbliche i soggetti che si trovano nelle condizioni di seguito elencate, mentre la medesima sanzione non è prevista in caso di omessa o incompleta dichiarazione, disciplinata al comma 2 del medesimo articolo.

La mancata allegazione della dichiarazione contenente i requisiti morali configura, dunque, secondo tale impostazione un falso innocuo, da cui non sembra  derivare pregiudizio.

La sentenza Cons. Stato 2820/2012 subordina invece le conseguenze dell’omessa dichiarazione ex art. 38 D.LGs. 163/06 a quanto statuito dalla Stazione Appaltante: il capitolato del contratto, infatti, costituisce legge speciale, che integra il dettato della norma generale.

Laddove la legge speciale preveda espressamente l’esclusione della gara per la mancata osservanza di puntuali prescrizioni su modalità e oggetto delle dichiarazioni da fornire allora la dichiarazione ex art. 38 diventa conditio sine qua non.

 


[1] Art. 38. Requisiti di ordine generale

(art. 45, direttiva 2004/18; art. 75, d.P.R. n. 554/1999; art. 17, d.P.R. n. 34/2000)

1. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:

a) che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni;

b) nei cui confronti é pendente procedimento per lʹapplicazione di una delle misure di prevenzione di cui allʹarticolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di una delle cause ostative previste dallʹarticolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575; lʹesclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; i soci o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, o il socio unico persona fisica, ovvero il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società; (lettera così modificata dall’art.4, comma 2, lett.b) del DL 13/05/2011 n. 70 in vigore dal 14/05/2011, e ulteriormente modificato dalla legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106, in vigore dal 13/07/2011)

c) nei cui confronti é stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dellʹarticolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; é comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a unʹorganizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati allʹarticolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; lʹesclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomanditasemplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso lʹesclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nellʹanno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora lʹimpresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; lʹesclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato é stato depenalizzato ovvero quando é intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato é stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima; (lettera così modificata dall’art.4, comma 2, lett.b) del DL 13/05/2011 n. 70 in vigore dal 14/05/2011, e ulteriormente modificato dalla legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106, in vigore dal 13/07/2011)

rovenienza.

adminAppalti: Direttore tecnico/Responsabile tecnico
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Emas: incentivi

Promozione dei sistemi di gestione ambientale nelle PMI.
EMAS, UNI EN ISO 14001 / Decreto direttoriale 313/2012

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi

Estensione delle categorie ammesse ed elevati gli importi concessi.
Nella G.U. n. 123 del 28/05/2012 è stato pubblicato, mediante avviso, il decreto direttoriale n° 313 del 26/04/2012 in modifica e adeguamento al decreto direttoriale n° 2230 del 7/05/2003 recante “Promozione dei Sistemi di Gestione Ambientale nelle piccole e medie imprese. Procedura per la concessione di contributi ai sensi dalla Delibera CIPE n. 63 del 02 agosto 2002 “Legge n. 388/2000, art. 109, modificato dall’art. 62 della Legge 448/2001 – Fondo per la promozione dello sviluppo sostenibile: programma di attività per gli anni finanziari 2001 e 2002”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 279 del 28 novembre 2002”.
Si ricorda che i contributi in questione sono finalizzati a favorire l’acquisizione di servizi reali da parte delle PMI per una sola delle seguenti tipologie di intervento:
verifica e registrazione dell’organizzazione ai sensi del Regolamento EMAS;
certificazione del Sistema di Gestione Ambientale ai sensi della norma internazionale UNI EN ISO 14001;
verifica e registrazione EMAS di organizzazioni già certificate ai sensi della norma internazionale UNI EN ISO 14001.
In particolare il decreto in oggetto stanzia per le suddette misure € 2.500.000, residui dello stanziamento iniziale contenuto nel d.d. 2230/2003 e ammontante a € 8.000.000.
L’adeguamento e le modifiche riguardano un ampliamento delle categorie economiche ammissibili alle agevolazioni. Infatti, mentre il d.d. 2230/2003 individuava esclusivamente le categorie di imprese che potevano usufruire delle agevolazioni:
(estrazioni minerarie, attività manifatturiere, produzione e distribuzione di energia elettrica e acqua, costruzioni, alberghi,smaltimento di rifiuti solidi, acque di scarico e simili),
IMPRESE ESCLUSE
Il presente decreto individua le tipologie di aziende che non potranno usufruirne, di seguito elencate, ampliando di conseguenza la platea di quelle che ne potranno fare richiesta:
imprese appartenenti al settore della pesca e dell’acquacoltura;
imprese attive nel settore della produzione primaria dei prodotti agricoli di cui all’Allegato I del Trattato CE;
imprese attive nel settore della trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli elencati nell’Allegato 1 del Trattato CE, nei casi previsti dai punti i) e ii) della lettera c) del medesimo art. 1;
imprese che operano in attività connesse all’esportazione (aiuti connessi ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti inerenti all’attività di esportazione);
imprese attive nel settore carbonifero.
Inoltre ai sensi dell’art. 2 del Regolamento 1998/2006/CE l’importo degli aiuti in questione, erogati in regime “de minimis”, è stato innalzato da € 100.000 a € 200.000 nell’arco di tre esercizi finanziari, tranne che per il settore di trasporto di merci su strada per il quali il limite rimane a € 100.000.
Aggiornamenti sono stati apportati anche alle dichiarazioni da presentare contestualmente alla domanda; in particolare, per la dichiarazione relativa alla classificazione economica dell’attività, si fa riferimento al Codice ATECO 2007 in sostituzione al Codice ISTAT ’91. Inoltre, per la dichiarazione relativa alla classificazione come PMI, l’azienda richiedente dovrà fare riferimento al Regolamento (CE) N. 800/2008 e non più ai requisiti fissati in data 18/09/1997 dall’allora Ministero dell’Industria.
Infine, ai sensi della Legge 296/2006 art. 1 comma 1223, dovrà essere presentata la dichiarazione “di non rientrare tra coloro che hanno ricevuto e successivamente non rimborsato o depositato in un conto bloccato gli aiuti che sono stati individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione Europea” (cd. Clausola Deggendorf)”.
Per le procedure e le modalità di presentazione della domanda, per consultare il testo completo del decreto e per i recapiti della Segreteria Tecnica istituita dal MATTM si rimanda alla pagina web dedicata al progetto:
http://www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/menu/menu_attivita/&m=argomenti.html|Sviluppo_sostenibile__SvS_.html|Incentivi_per_le_certificazioni_delle_PM.html

adminEmas: incentivi
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Società miste e responsabilità ex Dlgs. n. 231/2001

Società miste e responsabilità amministrativa.

Cassazione penale 26 ottobre 2010 n. 234

A cura di avv. Cinzia Silvestri

La Cassazione penale n. 234/2010 riprende quanto già statuito dalla Cassazione penale 28699/2010 in punto di società miste.

Il caso rileva che la natura di una società quale ente pubblico economico non basta ad escluderla dalla applicazione del Dlgs. 231/2001”…. basando l’esclusione con riferimento allo svolgimento di funzioni pubbliche proprie degli enti territoriali, a seguito del trasferimento da parte dei Comuni della provincia di Enna delle loro funzioni appunto all’A.T.O. Enna”.

Prosegue la sentenza: “Una tale conclusione non può essere condivisa. La ratio dell’esenzione è infatti quella di escludere dall’applicazione delle misure cautelari e delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001, enti non solo pubblici, ma che svolgano funzioni non economiche, istituzionalemente rilevanti, sotto il profilo dell’assetto costituzionale dello Stato amministrazione.

In questo caso, infatti, …….necessità di evitare la sospensione di funzioni essenziali nel quadro degli equilibri dell’organizzazione costituzionale del Paese.

Nella fattispecie in esame tuttavia proprio la preminente, se non esclusiva, attività di impresa che deve essere riconosciuta alla Società….. non può essere messa in dubbio dallo svolgimento di una attività, che ha sicuramente ricadute indirette su beni costituzionalmente garantiti, quali ad esempio

il diritto alla salute (art. 32 Cost.),

il diritto all’ambiente (art. 9 Cost.),

ma che innanzitutto si caratterizza per una attività e per un servizio che, per statuto, sono impostati su criteri di economicità, ravvisabili nella tendenziale equiparazione tra i costi ed i ricavi, per consentire la totale copertura dei costi della gestione integrata ed integrale del ciclo dei rifiuti.

Non si tratta dunque di avallare un criterio “formale” di applicazione della norma, ma di individuare ……il suo corretto ambito applicativo….”

L’attribuzione di funzioni di rilevanza costituzionale, quali sono riconosciute agli enti pubblici territoriali, come i comuni, non possono …. essere riconosciute a soggetti che hanno la struttura di una società per azioni, in cui la funzione di realizzare un utile economico, è comunque un dato caratterizzante la loro costituzione.

Una conclusione diversa porterebbe all’inaccettabile conclusione, …. di escludere dall’ambito di applicazione della disciplina in esame un numero pressochè illimitato di enti operanti non solo nel settore dello

smaltimento dei rifiuti,

e quindi con attività in cui viene in rilievo, come interesse diffuso, il diritto alla salute e all’ambiente, ma anche là dove viene in rilievo quello all’informazione, alla sicurezza antinfortunistica, all’igiene del lavoro, alla tutela del patrimonio storico e artistico, all’istruzione e alla ricerca scientifica, in sostanza in tutti i casi in cui vengono ad essere coinvolti, seppur indirettamente, dall’attività degli enti interessati, i valori costituzionali di cui alla parte prima della Costituzione …”…

adminSocietà miste e responsabilità ex Dlgs. n. 231/2001
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RIFIUTI: trasporto illecito

RIFIUTI: TRASPORTO ILLECITO
Art. 256 coma 4 Dlgs. 152/2006
Corte di Cassazione – Sentenza 10 maggio 2012, n. 17460
A cura avv. Cinzia Silvestri
La sentenza pone il rilevante dubbio sulla individuazione della mera attività di movimentazione e quella di trasporto in relazione al sito in cui si svolge il deposito temporaneo ed anche con riferimento alle attività svolte sotto l’egida dell’ art. 230.
Pur dovendo fare riferimento al caso specifico trattato -che presenta particolarità – la sentenza suggerisce un ripensamento in concreto delle attività svolte ai fini della corretta applicazione della normativa sui rifiuti.
Il caso:
Veniva disposto il sequestro preventivo di autocarro utilizzato per trasporto di rifiuti speciali (terre, sabbie, sassi, conglomerati cementizi e pezzi di asfalto di varie dimensioni) effettuato senza l’osservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nell’atto abilitativo rilasciato da societa’ proprietaria del veicolo per violazione dell’art. 256 comma 4 Dlgs. 152/2006.
II Tribunale del riesame contesta alla società, regolarmente iscritta all’albo, che il titolo abilitativo “non è esteso al trasporto di rifiuti diversi dalle “terre” ed in esso viene prescritto altresì che il trasporto di queste ultime ……deve essere accompagnato da copia del provvedimento di iscrizione corredata dalla dichiarazione di conformità all’originale resa dal legale rappresentante dell’impresa.
Nella specie, invece, il trasporto effettuato dall’autocarro in sequestro riguardava anche sassi, conglomerati cementizi e pezzi di asfalto di varie dimensioni ed esso non era accompagnato da alcun documento…”.
RIFIUTI DA MANUTENZIONE
Il Tribunale riporta la tesi difensiva volta a inquadrare il trasporto nella attivita’ manutentiva ex art. 266 comma 4 Dlgs. 152/2006.
” Si prospetta in ricorso che l’autocarro sequestrato non stesse effettuando un trasporto di “rifiuti, poiché, ai sensi dell’articolo 266, 4° comma, del Dlgs 152/2006, “I rifiuti provenienti da attività di manutenzione … si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività”.
Il materiale trasportato……avrebbe assunto la qualificazione di “rifiuto” solo dopo avere raggiunto il sito dove sarebbe stato legittimamente scaricato in “deposito temporaneo” in quanto si tratterebbe di area di cui la (societa’) avrebbe ottenuto la disponibilità dalla società …(appaltante)…”
Tale collegamento consentirebbe di considerare anche detta area “luogo di produzione dei rifiuti”, poiché essa sarebbe assimilabile alla sede/domicillo della società che materialmente eseguiva i lavori di manutenzione (la cui sede legale era ….. in Brescia).
Art. 230 Dlgs. 152/2006
Risponde il Collegio che “…più pertinente sarebbe stato il richiamo al primo comma dell’articolo 230 del Dlgs 152/2006, ove viene prevista una eccezione alla regola generale del divieto di creazione del deposito temporaneo in luogo diverso da quello di produzione nelle ipotesi non di manutenzione generica bensì di manutenzione specifica di reti ed infrastrutture…”
CONTESTAZIONE
Vero e’ che non si discute nel caso in esame di deposito temporaneo bensi’ “...
di un trasporto di rifiuti, verso il luogo individuato per il deposito temporaneo, senza l’osservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione; sicché, in relazione alla …… violazione dell’articolo 256, 4° comma, del Dlgs 152/2006, non può certo affermarsi che a quelle prescrizioni non dovesse ottemperarsi quando pure il luogo di deposito temporaneo potesse ritenersi legittimamente individuato.
MOVIMENTAZIONE e TRASPORTO
Il Collegio richiama la distinzione tra l’attività di :
“movimentazione”: non necessita di alcuna autorizzazione
“trasporto” dei rifiuti, : rientra nella “gestione” ai sensi dell’articolo 183, comma 1 — lett. n), oggetto di specifica autorizzazione in quanto tale (con la conseguenza che solo dopo l’inizio del deposito temporaneo comincerebbe la gestione dei rifiuti in senso tecnico e l’obbligo di rispettarne regole e prescrizioni).
GESTIONE
Precisa la Corte che “non può affermarsi la decorrenza della gestione dei rifiuti in senso tecnico solo dopo l’inizio del deposito temporaneo:
a) sia perché nulla è dato sapere circa l’effettiva osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge per considerare legittima detta forma di deposito;
b) sia perché non vi è stata movimentazione all’interno di uno stesso compendio nel luogo reale di produzione dei rifiuti, bensì trasferimento comportante instradamento da tale luogo a quello giuridico di produzione.
In tale situazione il trasporto in sé va considerato già attività di gestione di rifiuti e per “rifiuto”, ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi (o abbia l’intenzlone o l’obbIigo di disfarsi), restando irrilevante se ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto ovvero tramite il suo recupero.

adminRIFIUTI: trasporto illecito
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Rifiuti: deposito temporaneo (durata)

Rifiuti: Deposito temporaneo – Durata
Art. 256 Dlgs. 152/206 – Sentenza Corte di Cassazione 8 maggio 2012, n. 16988

A cura di avv. Cinzia Silvestri
La sentenza offre chiaro esempio dei riflessi applicativi della modifica intervenuta con Dlgs. 205/2010 al “deposito temporaneo”.
Si rinvia a schema sulle modifiche intervenute per il deposito temporaneo pubblicato su questo sito.
Il caso:
Con decreto veniva sequestrata (sequestro preventivo) una area adibita a deposito di rifiuti
dove erano stati rinvenuti 1400 mc. di rifiuti derivanti da attività di demolizioni edilizie.
L’ imputato (art. 256 comma 1 lett. a)) svolgeva la sua difesa argomentando anche sul fatto che si trattava “…di deposito temporaneo e di azienda iscritta all’Albo nazionale dei gestori di rifiuti”.
Il Tribunale rispondeva che “il deposito temporaneo è consentito fino ad un quantitativo massimo di 20 mc. ai sensi dell’articolo 183 lett. m) n. 2) del Dlgs 152/2006.”
La sentenza affronta la questione del deposito temporaneo alla luce delle modifiche intervenute con il DLgs. 205/2010..
Ed invero si denuncia l’errata applicazione dell’articolo 183 lett. bb) n. 2) del Dlgs 152/2006.
Ovvero: “…Si deduce che la disposizione citata in materia di deposito temporaneo dei rifiuti è stata modificata dal Dlgs 205/2010. Il testo attualmente vigente non pone più un limite quantitativo per configurare il deposito temporaneo di rifiuti, ma solo quello temporale dello smaltimento del rifluti entro tre mesi. I rifiuti di cui si tratta provenivano da lavori di demolizione e rifacimento del piazzale dell’azienda ed erano stati regolarmente registrati nel registro di carico e scarico e avviati allo smaltimento con cadenza regolare fino alla data del sequestro, così come risultante dal predetto registro e dai formulari, che vengono citati…”.
L’articolo 183, che ai sensi dell’articolo 10 del Dlgs 205/2010 ha sostituito il corrispondente articolo del Dlgs 152/2006, disciplina al comma 1, lett. bb) n. 2), il deposito temporaneo di rifiuti.
“La nuova norma …..ha solo modificato parzialmente il limite quantitativo del deposito temporaneo di rifiuti che e’ consentito :
oltre il termine di tre mesi e
fino ad un massimo di un anno,
elevandolo a complessivi trenta metri cubi (di cui al massimo dieci metri cubi di rifiuti pericolosi).
Nella sostanza, nella precedente versione della norma il detentore dei rifiuti speciali era obbligato a provvedere al loro smaltimento
entro tre mesi allorché il deposito, trattandosi di rifiuti non pericolosi, raggiungeva
i venti metri cubi (non pericolosi) o
i dieci metri cubi se si trattava di rifiuti pericolosi.
Attualmente il citato limite quantitativo è stato elevato fino al massimo di trenta metri cubi, se si tratta solo di rifiuti non pericolosi, ovvero nel caso di rifiuti misti tale limite quantitativo può comprendere rifiuti pericolosi in misura che non superi i dieci metri cubi.
Resta fermo il disposto secondo il quale il deposito temporaneo è consentito senza limiti quantitativi allorché lo smaltimento venga effettuato con cadenza trimestrale.
Era stato, infatti, già precisato da questa Corte che, a seguito dell’entrata in vigore del Dlgs 3 aprile 2006 n. 152, articolo 183 lett. m), il produttore può decidere di conservare i rifiuti in deposito per tre mesi in qualsiasi quantità, prima di avviarli allo smaltimento o al recupero, privilegiando così il limite temporale, oppure può scegliere di conservare i rifiuti in deposito per un anno, purché la quantità non raggiunga i venti metri cubi, in applicazione del limite quantitativo.
La Cassazione dunque non condivide la decisione del Tribunale in ordine al sequestro e precisa: “…. il Tribunale ha ritenuto che fosse sufficiente il superamento del limite quantitativo previsto dalla norma, peraltro nella formulazione precedente alle modifiche introdotte dal Dlgs 205/2010, per qualificare come irregolare il deposito di rifiuti, senza accertare anche la violazione del limite temporale del termine di tre mesi entro il quale i rifiuti speciali possono essere depositati senza l’osservanza di detto limite quantitativo….”
La Cassazione annulla l’ordinanza del Tribunale e rinvia per un nuovo esame che tenga conto degli enunciati principi di diritto.

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Circolare GDF 83607/2012: il tentativo

Circolare GDF 83607/2012: il tentativo…
A cura di avv. Cinzia Silvestri
La lettura della circolare del GDF obbliga ad alcune precisazioni.
Non bisogna dimenticare che la circolare e’ destinata agli operatori della GDF e non ai …destinatari del controllo.
La Circolare può essere considerata Linea Guida ed esprime correttamente l’intento dell’ organo che ha redatto il documento.
L ‘ attenzione, infatti, cade sul punto 4 della parte terza della Circolare che si esprime in ordine alla “necessita'” di prevedere la responsabilità amministrativa dell’Ente anche alle ipotesi di ...reato tentato.
Non pare  corretto indicare ” reato tentato” ….senza precisare.
Il reato comprende DELITTI e CONTRAVVENZIONI.
Il tentativo e’ applicabile solo ai DELITTI.
La Circolare non specifica e trasferisce la genericità dell’affermazione, trasferisce una informazione che può essere equivocata e creare procedimenti che possono essere evitati sin dall’origine.
S’intende che si confida nella magistratura quale filtro dovuto ad eventuali segnalazioni non rispondenti alla legge.
Ed invero si ricorda che il tentativo di reato (a. 56 c.p.) e’ applicabile solo ai DELITTI e non alle contravvenzioni ( art. 39 e 17 c.p.).
In particolare la necessita’ di estendere la punibilità al tentativo trova limite per le contravvenzioni.
In materia ambientale, si badi, i reati contemplati integrano per lo piu’ contravvenzioni ( che richiedono per la punibilità anche la sola colpa) e dunque il tentativo di “reato” (rectius delitto) non può essere esteso.
L’art. 26 del Dlgs. 231/2001 si esprime correttamente nominando i soli DELITTI.
Prevede che qualora il delitto tentato sia commesso dal soggetto agente  allora la società vedrà ….ridotte le sanzioni pecuniarie ed interdittive.
Si potrebbe dire che l’art. 26 citato estende dunque il beneficio della riduzione della pena del tentativo (qualora accertato) anche alla Società.
La sentenza della Cassazione penale n. 7718/2009 si riferisce a dire il vero al delitto di truffa ai danni dello stato e dunque non soffre eccezione.
Ciò che si rileva e’ la formulazione letterale del punto 4 (ed altri unti) della circolare  sembra attribuire all’art. 26 Dlgs. 231/2001 la forza di affermare una estensione di responsabilità per tentativo che certo non può essere attribuita.
Il tentativo trova la sua disciplina nel codice penale all’ art. 56 ed il limite della sua applicabilità non e’ derogato dall’articolo 26 che si limita, in conformità, a prevedere la semplice riduzione delle sanzioni pecuniarie (multa) e delle sanzioni interdittive eventualmente previste nel caso di delitti.
Si trascrive quanto rinvenuto in circolare GDF n. 83607/2012 (www.ilsole24ore.com):
“‘4. La rilevanza del tentativo
Non sussistono dubbi sulla necessità di prevedere che la responsabilità amministrativa dell’ente debba essere estesa anche alle ipotesi di reato tentato. Lo si ricava dalla legge delega che, “pur non nominando il tentativo, fa riferimento ai reati la cui forma di manifestazione è quella consumata o tentata”, come affermato dalla relazione di accompagnamento al D. Lgs. n. 231/2001.
La norma dell’articolo 26, al comma 1, statuisce che “Le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà in relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei delitti indicati nel presente decreto”, mentre al comma 2 prevede che “L’ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento”.
La Corte di Cassazione, Sez. V, con la sentenza n. 7718/2009 ha affrontato – per la prima volta – il tema della responsabilità degli enti in relazione al delitto tentato in ordine ad una truffa ai danni dello stato, concludendo per una sua rilevanza ai fini dell‟applicazione dell‟impianto normativo di cui al D. Lgs. n. 231/2001.

adminCircolare GDF 83607/2012: il tentativo
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Rifiuti: responsabilità dirigente comunale ( e non solo)

Rifiuti: responsabilita’ dirigente Comunale (e non solo)
Cassazione penale Sentenza 12 aprile 2012, n. 13927
Art. 256 Dlgs. 152/2006

A cura avv. Cinzia Silvestri
Il caso:
Il Tribunale di Lecce condannava alla pena di 2 mila euro di ammenda per il reato di cui agli articoli 110 e 81 C.p., e Dlgs 152/2006, articolo 256, comma 1, lett. a), perché,
A) in qualità di dirigente del Comune di Lecce, in concorso con
B) il titolare dell’impresa Srl “, autorizzata alla raccolta ed al trasporto di rifiuti, e
C) direttore di cantiere dell’impresa (assolti invece con la formula “perché il fatto non costituisce reato”)
in relazione al deposito senza autorizzazione di masse di alghe marine (rifiuti organici) su terreno di proprietà del Comune di Lecce dove erano state depositate circa 4000 me di alghe prelevate dalla darsena e due aree agricole dove erano state depositate alghe per circa 220 me di alghe prelevate dal porticciolo di proprietà di privati .
Il Dirigente dell’ ufficio patrimonio comunale (imputato) impugnava la sentenza.
Il dirigente si difendeva adducendo, di aver agito sotto l’egida di ordinanza contingibile ed urgente emanata dal Sindaco e anche di non essere responsabile per il solo fatto di essere il dirigente dell’ ufficio patrimonio comunale; ed anzi che il soggetto tenuto all’adempimento era il dirigente del settore ambiente, munito dei poteri per la gestione dei rifiuti.
La sentenza accoglie proprio questo punto.
La Corte precisa alcuni punti utili non solo per il dirigente pubblico ma anche per i privati o societa’.
Spesso infatti si assiste a procedimenti penali o amministrativi incardinati nei confronti di soggetti estranei all’ illecito e coinvolti solo perche’ rivestono uno certa qualifica. La sentenza richiama il concetto della riferibilita’ della responsabilità quale presupposto stesso per attribuire anche la colpa. La consapevolezza si pone su piano diverso!

Ebbene la Corte “….ha affermato il principio secondo il quale “l’amministratore o il legale rappresentante di un ente non può essere automaticamente ritenuto responsabile, a causa della carica ricoperta, di tutte le infrazioni penali verificatesi nella gestione dell’ente“, quando nell’ambito dell’ente “l’attività funzionale sia stata preventivamente suddivisa in settori, rami o servizi, e che a ciascuno di essi siano in concreto preposti soggetti qualificati ed idonei, dotati della necessaria autonomia e dei poteri indispensabili per la gestione completa degli affari di quel servizio”.
In particolare in tema di rifiuti, è stato precisato che, “anche a seguito dell’entrata in vigore dell’ordinamento degli enti locali (Dlgs 267 del 2000, e successive integrazioni), che ha conferito ai dirigenti amministrativi autonomi poteri di organizzazione delle risorse, permane in capo al sindaco sia il compito di programmazione dell’attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sia il potere di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti; sia il dovere di controllo sul corretto esercizio delle attività autorizzate.
2. Orbene, nella vicenda in esame, il giudice di merito ha dato atto che
l’ufficio competente a gestire il progetto relativo all’utilizzazione delle alghe (posidonea oceanica) era quello del settore ambiente ed ufficio unico dei rifiuti. .
…. l’imputato, preposto al settore patrimonio e strategie territoriali del Comune di Lecce, aveva dato esecuzione all’ordinanza del Sindaco,…emessa nella sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza, con la quale si disponeva la rimozione del materiale che ostruiva la darsena “per ripristinare la sicurezza e la navigabilità”.
Il giudice di merito ha erroneamente ritenuto neutra la portata di tale ordinanza rispetto all’operato dell’ imputato….”
“……Di certo sembra che l’ordinanza sindacale non avesse conferito espressamente all’imputato poteri rientranti nelle funzioni del dirigente del Settore ambiente.
Sul punto la sentenza non ha …chiarito gli esatti profili della posizione di garanzia …..base della responsabilità dell’imputato, chiamato a rispondere di deposito abusivo di rifiuti per non avere richiesto le autorizzazioni quanto al deposito delle alghe, atteso che la gestione dei rifiuti, come anche del progetto di utilizzare le alghe per contrastare i fenomeni erosivi delle spiagge, risultava invece direttamente riferibile alla competenza del Settore ambientale del Comune e del suo dirigente…”.
3. “Quindi la sentenza risulta ….carente anche quanto alla ricostruzione della
A) sussistenza del profilo soggettivo di responsabilità, in quanto se è vero che il reato ascritto può essere commesso anche a titolo di colpa, la non riferibilità all’imputato delle funzioni in materia ambientale ed il fatto che lo stesso avesse coinvolto il dirigente del Settore ambientale ……per i contatti con la Provincia in riferimento alla problematica delle alghe, devono indurre ad una rivalutazione del giudizio espresso dal giudice di prime cure, che si è limitato ad ancorare la responsabilità colposa alla mera consapevolezza che l’imputato aveva di operare in materia di rifiuti….”
B).”…nessun rimprovero può essere posto a carico del dirigente del Settore patrimonio se allo stesso non siano stati conferiti i compiti specifici relativi alle procedure in materia di rifiuti, posto che il Tribunale ha dato atto che lo stesso, nel corso dell’esecuzione dell’ordinanza del Sindaco, ebbe a svolgere tale attività anche coordinandosi con il dirigente del Settore ambiente competente (questo sì munito dei relativi poteri).
È stato infatti precisato che “i dirigenti comunali possono essere titolari di posizioni di garanzia nello svolgimento dei compiti di gestione amministrativa a loro devoluti, residuando in capo al Sindaco unicamente poteri di sorveglianza e controllo…..
 

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Responsabilità omesso controllo autorizzazione: art. 260 Dlgs. 152/2006

Responsabilità omesso controllo autorizzazioni – art. 260 Dlgs. 152/2006
Corte di Cassazione penale – Sentenza 10 aprile 2012, n. 13363
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il caso prende origine dalla contestazione dell’art. 53 bis del Dlgs. 22/97. (attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti – articolo inserito con L. 93/2001) che trova corrispondente nell’art. 260 Dlgs. 152/2006
 
L’art. 260 disciplina quelle attività organizzate per il traffico illecito.
Si realizza in genere a mezzo di comportamenti reiterati in violazione alle attività di GESTIONE. Coinvolge tutti i soggetti anche intermediari, commercianti ecc…
 
La sentenza attua il principio della corresponsabilità di cui all’art. 178  e chiarisce la distinzione tra la
1)   mera omissione di controllo della esistenza delle autorizzazioni altrui
2)   la consapevolezza da parte degli imputati dei provvedimenti ablativi o sospensivi delle autorizzazione degli impianti .
 
Ed invero gli imputati agivano nel tempo e reiteratamente con la consapevolezza della mancanza di autorizzazioni ed anche modificando il FIR.
Sulla mera omissione del controllo della esistenza delle autorizzazioni gli imputati si difendevano deducendo che : “..di verificare che il destinatario dei rifiuti sia munito delle prescritte autorizzazioni, in quanto la violazione di tale obbligo non comporta l’automatica applicazione di sanzioni ovvero la perdita automatica dell’iscrizione all’albo medesimo come affermato in sentenza.
Risponde la Corte precisando che : “la violazione dell’obbligo di verifica della regolarità delle autorizzazioni dei destinatari dei rifiuti è comunque produttiva di sanzioni,…”.
La Corte richiama l’art. 178 del Dlgs 152/2006 e l’orientamento che ritiene:
1)    “…la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse,
2)    il cui svolgimento richiede la cooperazione e la responsabilizzazione di tutti i soggetti che se ne occupano…”
 
Continua la Corte: “…Emerge, infatti, dall’esame degli articolo 188, 193 e ss. del Dlgs 152/2006 che tutti i soggetti che intervengono nel circuito della gestione dei rifiuti sono responsabili non solo della regolarità delle operazioni da essi stessi posti in essere, ma anche di quelle dei soggetti che precedono o seguono il loro intervento mediante l’accertamento della conformità dei rifiuti a quanto dichiarato dal produttore o dal trasportatore, sia pure tramite la verifica della regolarità degli appositi formulari, nonché la verifica del possesso delle prescritte autorizzazioni da parte del soggetto al quale i rifiuti sono conferiti per il successivo smaltimento.
È, perciò, evidente che l’inosservanza degli obblighi imposti dalla legge, oltre ad integrare le fattispecie contravvenzionali previste dal testo unico sull’ambiente, può essere valutata quale elemento indiziario dell’elemento psicologico che integra le ipotesi delittuose previste in detta materia….”
Si badi che la Corte precisa: “gli imputati non sono responsabili del mero omesso controllo della esistenza e validità delle autorizzazioni delle quali dovevano essere in possesso i siti di conferimento dei rifiuti, ma avevano la piena consapevolezza che dette autorizzazioni erano inesistenti o scadute di validità, cosi configurandosi gli elementi soggettivo ed oggettivo del reato loro ascritto.
La prova della “consapevolezza” e pertanto dell’agire delittuoso degli imputati viene desunto da prove processuali quali:
1)   intercettazioni telefoniche
2)   operazioni di controllo della polizia giudiziaria, “..che hanno verificato conferimenti di rifiuti all’impianto di Milano avvenuti in modo assolutamente clandestino, del tutto “in nero”.
 

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TARIFFA RIFIUTI: focus

RES/TIA 1 e 2 : “TARIFFA RIFIUTI”/considerazioni

 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi

La “querelle” tra tariffa rifiuti e IVA rimborsabile è ottimo esempio di come il legislatore italiano, gli Enti, la giurisprudenza intersecano le proprie decisioni creando confusione all’utente finale. La sentenza della Corte di Cassazione del 9.3.2012 n. 3756 ha riaperto la questione e sancito la natura della Tariffa.

La confusione regna e costituisce ottimo terreno fertile per la “interpretazione”.
Utile una breve e non esaustiva rassegna della evoluzione del concetto di Tariffa fino alla futura RES.
Ebbene.
 
L’articolo 238 del Codice Ambientale così apre il suo primo comma:
1. Chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani, è tenuto al pagamento di una tariffa. La tariffa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dall’articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36. La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.
 
Inizialmente l’art. 49 del decreto Ronchi (d.lgs. 22/97) che istituisce la “Tia 1” tariffa d’igiene ambientale prevedeva l’ entrata in vigore graduale, in ragione della percentuale di copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti raggiunto con il gettito del 1999. Con l’avvicinarsi delle scadenze graduate, il legislatore di fronte alle difficoltà di imporre una entrata di complessa applicazione, ha provveduto nel corso degli anni successivi a differire l’entrata in vigore della tariffa con le leggi finanziarie di fine anno.
Inoltre lo stesso art. 49 stabiliva che fino al momento dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà di questo prelievo, i Comuni avrebbero potuto applicare la tariffa “Ronchi” in via sperimentale, mediante apposite delibere regolamentari.
La tariffa Ronchi non è mai diventata obbligatoria per i Comuni, date le ripetute proroghe e i provvedimenti che hanno di fatto “congelato” la sua introduzione, per arrivare  alla definitiva abrogazione ad opera della “nuova”  tariffa integrata ambientale (tia2) di cui all’art. 238 del codice ambientale. (d.lgs. 152/2006).
Al comma 11 di tale articolo viene stabilito che sino alla completa attuazione della nuova tariffa, la cui procedura rimanda ad un apposito decreto ministeriale (ancora non emanato dal 2006) e l’adozione di specifiche previsioni regolamentari locali “continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti”
 Secondo l’interpretazione più accreditata con l’espressione “discipline regolamentari vigenti” devono intendersi i regolamenti comunali di introduzione e disciplina della tariffa nei propri territori, che alla data di entrata in vigore del codice ambientale erano stati già adottati.
Va detto che i Comuni hanno interpretato con grande libertà il modo di costruzione e applicazione del prelievo  (il c.d. “metodo normalizzato”  fissato dal DPR  158/99) stante la mancanza di criteri riguardanti i limiti di tale sperimentazione e pertanto tra i Comuni va registrata una estrema disomogeneità, ad esempio tra il grado di copertura dei costi, la ripartizione tra quota fissa e quota variabile, la determinazione dei coefficienti di produzione dei rifiuti.
In base a tali considerazioni dal 29 aprile 2006  (data di entrata in vigore del codice ambientale) non è più ammissibile il passaggio alla tariffa Ronchi (tia 1) in virtù del fatto che tale entrata è da ritenersi soppressa. In via transitoria  è “tollerata” la vigenza degli atti deliberativi comunali già assunti.
Con la mancanza di un quadro definito in materia di prelievo sui rifiuti,  le leggi finanziarie  dal 2007 hanno dettato una disciplina di congelamento delle delibere comunali stabilendo che restasse invariato il regime di prelievo adottato per l’anno precedente.
Successivamente il D.L.  30 dicembre 2008 n. 208  (art. 5 comma 2 quater)  ha previsto che  “Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’art. 238 del d.lgs. 152/06 non sia adottato dal Ministero dell’Ambiente entro il 30 giugno 2010, i Comuni che intendono adottare la tia possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti”.
L’interpretazione corretta di tale disposizione sembra quella di ritenere applicabile, dal 1° luglio 2010  la tia di cui all’art. 238 del codice ambientale, con applicazione del metodo normalizzato di cui al DPR 158/99, nelle more della emanazione del  decreto attuativo  dello stesso art. 238.
Su tale complessa situazione si inserisce l’interpretazione autentica fornita dall’art. 14 comma 33 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78,  il quale stabilisce la natura non tributaria  della tariffa (tia1) e devolve le controversie sorte dopo la sua entrata in vigore (31 maggio 2010)  al giudice ordinario.
Tale norma, nel tentativo di arginare gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale  del 24 luglio 2009, che aveva statuito la natura sostanzialmente tributaria  della tariffa Ronchi (l’unica applicata dai Comuni al momento e per la quale era stata versata l’Iva) confonde tuttavia tale tariffa  con quella di cui all’art. 238  del d.lgs. 152/06, cui invece il D.L. fa espresso riferimento.
La Corte costituzionale ha infatti affermato che è “indubitabile la natura tributaria della tia”  analogamente alla tarsu e che entrambi i prelievi sono estranei all’ambito di applicazione della disciplina sull’Iva non trattandosi di corrispettivi per una prestazione contrattuale, ma di un esborso caratterizzato (in entrambi i casi)  dalla doverosità della prestazione, e dalla inesistenza di un rapporto sinallagmatico.
In tale quadro normativo si inserisce la Circolare del Ministero dell’Economia e Finanze che estende anche alla tariffa Ronchi (tia1)  la natura non tributaria che l’interpretazione autentica contenuta nel D.L. 78/10 rivolgeva alla c.d. tia2 (ex art. 238).
La circolare non tiene poi conto della giurisprudenza  formatasi negli anni  secondo cui ai fini della qualificazione di una entrata non sono mai risolutive da sole le espressioni formali utilizzate dal Legislatore o il modo in cui l’entrata è denominata, dovendosi invece accertare la natura del presupposto e i suoi meccanismi interpretativi. Ciò fino ad arrivare alla sentenza della Corte di Cassazione 9 marzo 2012  n. 3756 che afferma che la tia1 (introdotta dall’art. 49 del decreto Ronchi)  è un tributo, analogamente alla tarsu e in quanto tale non è assoggettabile a Iva. Perciò solo e soltanto su tale tributo non trova applicazione l’Iva del 10%.
L’Iva pagata sulla tia 1 rimane rimborsabile solo ai privati o a coloro che non hanno provveduto alla detrazione d’imposta in regime di impresa.
In linea di principio, avendo già recuperato l’Iva assolta sulla tia, le imprese non possono chiedere il rimborso, salvo la parte dell’Iva relativa alla quota di pro-rata di indetraibilità il cui calcolo è abbastanza complesso.
Per richiedere il rimborso bisogna riprendere i bollettini di versamento, riscontrare che si tratti di tariffa ambientale di cui all’art. 49 del d.lgs. 22/1997, che sia stata applicata l’Iva, sommare l’Iva 10% non detratta relativamente alla quota di pro-rata di indetraibilità e inviare la relativa istanza.
Va sottolineato che, aggiunge la Corte di cassazione, dal 1° gennaio 2013 tarsu, Tia1 e Tia 2 sono destinate a scomparire, tutte sostituite dal nuovo Tributo comunale sui rifiuti e sevizi (RES) previsto e disciplinato dall’art. 14  d.l. 6 dicembre  2011 n. 201 (recante misure per la crescita, equità e il consolidamento dei conti pubblici). Tale tributo sarà a carico di chiunque possieda, occupi o detenga  a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Da tale data saranno quindi soppressi tutti i prelievi relativi alle gestione dei rifiuti urbani (sia di natura patrimoniale, sia di natura tributaria).
 Il tributo comprenderà, oltre alla quota ambientale per lo smaltimento dei rifiuti, anche una quota “servizi” per la sicurezza, l’illuminazione e la gestione delle strade (manutenzione, pulizia).
La componente “rifiuti” assomiglierà più alla Tariffa di igiene ambientale (TIA) che alla Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) nonostante entrambe risultino abrogate dall’entrata in vigore del Res. La nuova tariffa dovrà essere determinata, infatti, da determinarsi attraverso un regolamento da emanarsi entro il 31 ottobre 2012, sarà proporzionata “alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotte per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte” mentre la componente “servizi” sarà calcolata in base al valore dell’immobile attraverso un’aliquota comunale.
 
Res: rifiuti – Andando nello specifico, la nuova tariffa si comporrà di due aspetti importanti. Uno riguardante i rifiuti che dovranno essere pagati da chiunque possegga, occupa o detiene a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti. Il pagamento della tariffa dovrà avvenire annualmente e sarà proporzionata alla quantità e qualità media ordinaria di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte. Nel determinare le tariffe, dovrà tenersi conto sia della quota relativa al costo del servizio, sia di quella rapportata alla quantità di rifiuti relativi al servizio fornito e ai costi di gestione. I Comuni, inoltre, potranno decidere di diminuire la tariffa o anche di prevedere agevolazioni o esenzioni in caso di ridotta produzione di rifiuti e prevedere agevolazioni per situazioni di particolare disagio sociale (ad esempio casi di particolare difficoltà economiche). I comuni più all’avanguardia che hanno realizzato sistemi di misurazione della quantità di rifiuti conferiti potranno applicare una tariffa «avente natura corrispettiva». Ma questa norma (art.14 undecies inserito dal dlgs correttivo all’interno del decreto legislativo n.23/2011) è stata oggetto di critiche da parte del Ministero dell’Ambiente e potrebbe essere modificata. In un parere (Allegato II) inviato a palazzo Chigi e al Ministero dell’Economia, il Ministero dell’Ambiente ha sollevato dubbi, in particolare, su quale sia l’amministrazione centrale a cui spetterà redigere il regolamento che metterà nero su bianco i criteri per determinare il costo del servizio. In sede comunitaria, fa notare il Ministero, «risulta controverso se il modello della liquidazione esatta dei costi debba essere applicato allo smaltimento dei rifiuti urbani». Una causa su questo punto è tutt’ora pendente davanti alla Corte di giustizia Ue. Inoltre, se il Res si configurasse come tariffa (e dunque come prelievo di natura non tributaria), ci sarebbe più di un dubbio sulla sua conformità con i criteri direttivi della legge delega sul federalismo (n.42/2009) che fa riferimento solo alla razionalizzazione della fiscalità degli enti. Qualora invece la bozza di dlgs tendesse a fare del Res un tributo, emergerebbero «alcuni profili di estrema criticità» con riferimento alla normativa in materia di servizi pubblici locali.
Res: servizi – Nella sua seconda componente, relativa ai servizi, il Res avrà come presupposto l’occupazione, a qualsiasi titolo (quindi non solo proprietà ma anche locazione, uso, usufrutto ecc.) di immobili ad uso abitativo (classificati alle categorie catastali da A1 a A9) da parte di soggetti anagraficamente residenti nel territorio del comune. Questa quota della nuova “service tax” sarà dovuta da tutte le persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio del comune che occupano fabbricati. La base imponibile del Res, limitatamente alla componente relativa ai servizi indivisibili, sarà il valore dei fabbricati e delle relative pertinenze determinato moltiplicando per 100 la rendita catastale. A questa cifra si applicherà un’aliquota definita dal consiglio comunale. Anche in questo caso sono previste agevolazioni e riduzioni in base al reddito e al numero di familiari a carico. Per esempio, stando alla prima bozza di decreto, viene stabilita una no tax area per i residenti il cui reddito non superi il primo scaglione dell’Irpef (15 mila euro). Costoro non pagheranno nulla, ma il diritto all’esenzione verrà meno se la somma dei redditi dei soggetti che vivono sotto lo stesso tetto supera tale soglia. Per chi vive in affitto e ha un reddito complessivo a livello di nucleo familiare non superiore al limite previsto per il secondo scaglione Irpef (28 mila euro) il tributo sarà ridotto della metà. Lo stesso dicasi per i proprietari (o titolari di diritto di usufrutto, uso, abitazione o superficie) già assoggettati ad Ici o Imu.
 
Per quanto riguarda gli adempimenti, i contribuenti dovranno presentare la dichiarazione relativa alla «Res» entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di inizio del possesso. La riscossione potrà essere affidata anche all’ente erogatore dell’energia elettrica. E nel caso in cui il contribuente non paghi il tributo per due volte consecutive, l’ente gestore potrà arrivare alla sospensione dell’energia elettrica.

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ATO, conseguenze abrogazione

ATO, conseguenze della abrogazione
Consiglio di Stato n.  2117 del 13.4.2012
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
 
Si segnala la sentenza 2117/2012 pronunciata dal Consiglio di Stato il 13.4.2012.
La sentenza si distingue per l’attenzione a problema attuale ovvero quello delle competenze dell’ATO e delle conseguenze alla Sua abrogazione.
 Il Consiglio di Stato accoglie le doglianze della Società contro la Provincia ribaltando la decisione del TAR Latina che aveva invece accolto le doglianze della Provincia.
 
Scrive il Consiglio di Stato: “Gli a.t.o. – ora soppressi con l’art. 2 co. 186bis della L. 23 novembre 2009 n. 191 – andavano istituiti da parte delle Regioni, sentiti le province ed i comuni interessati, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. 152/06 – art. 200 co. 2 – ma tale istituzione non era obbligatoria, tanto è che le stesse Regioni potevano adottare modelli alternativi, ove fossero stati compatibili con un adeguato piano regionale dei rifiuti, nel rispetto degli obiettivi strategici fissati dalla normativa statale – art. 200 co. 7.
Il tenore della norma, la larga autonomia riservata alle Regioni rappresentata dalla non stringente obbligatorietà della formazione degli a.t.o. e l’assenza di misure sostitutive straordinarie in caso di inerzia, dimostrano che il termine di sei mesi aveva carattere ordinatorio e che dunque l’istituzione degli a.t.o. rispondeva a ragioni di buona amministrazione e non ad un termine vincolato.
Perciò dalla mancata istituzione di tali figure organizzatorie non poteva che derivare la continuatività delle competenze previste dalla legislazione anteriore, non essendo ipotizzabile la paralisi dell’esercizio dei poteri, tra l’altro in una materia sensibile come quella dei rifiuti”.
 Ebbene.
Oggetto del contendere è l’aggiornamento di AIA ad opera della Regione Lazio ad una società a partecipazione maggioritaria pubblica per la realizzazione di un impianto di trattamento, recupero e valorizzazione di rifiuti non pericolosi.
La Provincia impugnava il provvedimento di rinnovo AIA avanti al TAR, che accoglieva la difesa della P.A.
Il TAR invero riconosceva la mancata applicazione dell’art. 14 quater L. 241/90, poiché la Regione non aveva tenuto conto del dissenso manifestato dalla Amministrazione Provinciale in merito alla localizzazione dell’impianto.
 
La sentenza 2117/2012 vede pienamente vittoriosa la difesa della società di gestione dei rifiuti.
Ed invero il Consiglio di Stato così decide:
1. ATO – competenza ATO.
L’art. 200 co. 2 D.Lgs. 152/06 suggerisce, ma non impone l’istituzione delle ATO, ben potendo la Regione adottare modelli alternativi nel rispetto e in attuazione del piano regionale dei rifiuti: l’istituzione degli A.T.O. rispondeva a ragioni di buona amministrazione e non ad un termine vincolato (art. 200 comma 7 T.U.A.)
 Ne consegue che il termine per l’individuazione degli ambiti ottimali è ordinatorio e il mancato rispetto è privo di conseguenze.
La pianificazione regionale, ex art. 199 T.U.A. compete alle Regioni e non alle Province e dunque a nulla vale il contenuto del piano amministrativo fatto valere dalla Provincia, superato dal successivo piano regionale.
 In assenza di ATO, dunque, permane la vigenza della disciplina anteriore, non essendo ipotizzabile la paralisi dell’esercizio dei poteri, tra l’altro in materia sensibile come quella dei rifiuti.
 Importante inciso è espresso dai Giudici quanto alla incompetenza assoluta della Provincia in materia di affidamento del servizio di gestione rifiuti, in quanto è del tutto palesemente estranea non solo alle attribuzioni della Provincia, ma quest’ultima non è nemmeno titolare di legittimazione che attiene alla tutela della concorrenza degli operatori economici del settore.
 2. VIA – conferenza di servizi
Il capo di sentenza sul punto deve essere letto considerando la vecchia formulazione dell’art. 26 D.Lgs. 152/06:
Il provvedimento di valutazione di impatto ambientale sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta, assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o intervento inclusa, nel caso di impianti che ricadono nel campo di applicazione del D.Lgs. 59/2005, l’autorizzazione integrata ambientale”.
Alla luce di tale disciplina il Consiglio di Stato ritiene tardivo il dissenso della Provincia espresso in conferenza di servizi per il rinnovo dell’AIA, in quanto le problematiche inerenti la localizzazione dell’impianto dovevano avanzarsi, semmai, in sede di rilascio di VIA.
L’esito favorevole del procedimento di VIA ha avuto carattere assorbente e ciò valga a tacitare ogni doglianza della Provincia.
 

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Tariffa igiene ambientale/IVA: rimborsi?

Tariffa Igiene Ambientale e IVA : a quando i rimborsi?

A cura di avv. Cinzia Silvestri

La Corte di cassazione con sentenza 9.3.2012 n. 3756 ha precisato, come ormai noto, che in tema di tariffa igiene ambientale non è applicabile l’Iva e dunque va rimborsata ai cittadini.

Su questo sito già si è commentata la sentenza che trova illustre precedente già nella sentenza della Corte di cassazione 238/2009.

Vero è che a seguito della sentenza del 2009 il Legislatore era interventuto con DL 78/2010 al fine di evitare il rimborso pregiudizievole …allo Stato.

La giurisprudenza ha emesso pronunce ondivaghe.

Ciò che si nota è che le agenzie di riscossione (nel Veneto Veritas) hanno trattato le sentenze favorevoli come se fossero provvedimenti legislativi e dunque fondanti il loro potere di riscossione, mentre le sentenze a sfavore e che impongono il rimborso divengono immediatamente ….un nulla di fatto.

Le agenzie di riscossione, dunque, attendono che sia lo Stato a dare loro indicazioni o addirittura un parere delle Agenzie delle Entrate o magari attendono probabile DL simile a quello emanato dal DL 78/2010 che ….ricomponga la vicenda ed eviti il rimborso.

Si allega invero comunicato della Veritas pubblicato sul sito che afferma di attendere disposizioni e che comunque non sono loro i destinatari delle domande di rimborso …. senza indicare però il destinatario…

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Responsabilita' magistratura

Responsabilità della magistratura
Segnalazione a cura Avv. Cinzia Silvestri
L’ attenzione alla responsabilità della magistratura e’ sollecitata dalle Comunità Europee.
In particolare:
Corte giustizia CE  Sez. III del 24 novembre 2011
Numero: causa C-379/10
Collegio: Pres. Lenaerts  Rel. Danwitz 
MASSIMA
DANNI – Risarcimento del danno – Danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie – Disciplina nazionale che limita la responsabilità civile dei giudici ai soli casi di dolo o colpa grave – Obblighi incombenti sull’Italia in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri – Violazione – Sussistenza.
La Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati:
escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo;
limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave.

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