Inceneritore di Scarlino: chiusura impianto

Inceneritore di Scarlino: il Consiglio di Stato n. 163/2015 annulla l’AIA
 Chiusura dell’impianto.
A cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri e Margherita Pepe


 
Con la sentenza del 20 gennaio 2015, n. 163/2015, il Consiglio di Stato ha annullato il provvedimento AIA dell’impianto di Scarlino con conseguente chiusura dell’impianto; chiusura le cui motivazioni non devono essere generalizzate laddove l’indagine epidemiologica deve essere calata nella particolarità della vicenda di “Scarlino” e costituisce già parte integrante delle istruttorie della pubblica amministrazione; unico soggetto tenuto a tale incombente.
La vicenda processuale è complessa ma il Consiglio di Stato, con novità, va oltre il dato processuale e punta l’attenzione sulla tutela della salute e recita al punto 8.2. della sentenza:
“Assume, infatti, valenza assorbente quanto meno la circostanza che lo stato di salute delle popolazioni coinvolte e le condizioni ….continua lettura articolo Scarlino

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Energia: limiti alle Regioni

Energia: limiti alle Regioni – prevalenza del diritto Comunitario
Consiglio di Stato 10 settembre 2012 n. 4768
A cura di Cinzia Silvestri-Studio Legale Ambiente
L’ ” Impatto Ambientale delle energie alternative/rinnovabili” e’ il tema del convegno organizzato da Studio Legale Ambiente, che si terrà ad Ecomondo – Sabato, 10 novembre 2012 alle 9.00/13.00 a Rimini -Ecomondo – Key Energy.
Il Convegno tratterà anche il difficile rapporto tra la normativa Nazionale e Regionale e la prevalenza del diritto comunitario.
Buon esempio della prevalenza del diritto Comunitario e’ la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 4768/2012 che ha deciso su sentenza del TAR Basilicata di diniego di autorizzazione di impianto eolico.
LA SENTENZA
La Legge Regionale della Basilicata n. 9/2007 e’ in violazione “delle norme internazionali vigenti (protocollo di Kyoto) e comunitarie (articolo 3 direttiva n. 2001/77/Ce), le quali incentivano lo sviluppo delle suddette fonti di energia rinnovabile ed in particolare della direttiva 2001/77/Ce”.
LA LEGGE REGIONALE NON PUÒ FISSARE LIMITI DI PRODUZIONE
Cita la sentenza:” L’interpretazione ora riconosciuta alla normativa varata dalla Regione Basilicata porta innegabilmente alla chiusura del mercato della produzione di energia eolica e ciò, sebbene stabilito con un limite temporale, si manifesta lesivo di importanti e basilari principi caratterizzanti gli ordinamenti europeo ed italiano, in particolare la direttiva già richiamata 2001/77/Ce, secondo cui la produzione di energia anche da fonti rinnovabili avviene in regime di libero mercato concorrenziale senza la previsione di limiti alla produzione.
“…. I regimi di sostegno dei singoli Stati membri devono comunque promuovere efficacemente l’uso delle fonti energetiche rinnovabili – articolo 4 – ed ancor più, soprattutto, andranno ridotti “gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili” – articolo 6.
A fronte di tale quadro di riferimento generale, si deve escludere che il Legislatore nazionale, statale o regionale che sia, possa introdurre un limite massimo alla produzione di energia elettrica rinnovabile, poiché tale limite si dimostra in contrasto radicale con il favor della normativa europea, laddove questa fissa limiti minimi e rivede in generale riduzione degli ostacoli normativi all’aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili….
…Il Dlgs 29 dicembre 2003 n. 387, recante recepimento nell’ordinamento interno della direttiva in parola, ha poi confermato i propositi del legislatore comunitario ed ha previsto inoltre che le Regioni — articolo 10 — possano adottare “misure per promuovere l’aumento del consumo di elettricità da fonti rinnovabili nei rispettivi territori, aggiuntive rispetto a quelle nazionali”, quindi senza incentivare i criteri che potessero portare a stabilire tetti massimi di produzione.
È poi necessario il richiamo alla successiva direttiva 2009/28/Ce che ha sostituito la direttiva 2001/77/Ce, con cui si è tra l’altro precisato nelle premesse – punto 14 – che “la principale finalità di obiettivi nazionali obbligatori e creare certezza per gli investitori nonché stimolare lo sviluppo costante di tecnologie capaci di generare energia a partire da ogni tipo di fonte rinnovabile. Non è opportuno rinviare la decisione sul carattere obbligatorio di un obiettivo in attesa di eventi futuri”.
DISAPPLICAZIONE
….
In conclusione, in accoglimento dell’appello in esame, l’articolo 3 della legge regionale 26 aprile 2007 n. 9 della Regione Basilicata deve essere disapplicato laddove pone un limite massimo alla produzione di energia elettrica derivante da fonte eolica, in quanto contrastante con l’articolo 6 della direttiva 2001/77/Ce con il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati ..”
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AIA e VIA/biomasse e inceneritore

AIA, VIA e impianti di incenerimento
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 4 maggio – 17 ottobre 2012, n. 5299
A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente
Il Consiglio di Stato precisa i rapporti tra AIA e VIA e soprattutto indica la differenza spesso dimenticata tra impianto di incenerimento e coincenerimento.
La sentenza e’ articolata ma si selezionano alcuni passaggi importanti e significativi:
RAPPORTI TRA VIA e AIA
Spesso si dimentica la finalità delle due procedure previste dal Dlgs. 152/2006; procedure che dialogano tra loro ma mantengono autonomia.
Cita la sentenza: “….In ordine ai rapporti tra valutazione di impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale deve rilevarsi che mentre
-la prima si sostanzia in una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio – economica, tenuto conto anche delle alternativi possibili e dei riflessi sulla c.d. opzione zero (C.d.S., sez. V, 18 aprile 2012, n. 2234; 30 settembre 2009, n. 5893; sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246), investendo propriamente gli aspetti localizzativi e strutturali di un impianto (e più in generale dell’opera da realizzare),
-la seconda, introdotta nel nostro ordinamento in attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, è atto che sostituisce, con un unico titolo abilitativo, tutti i numerosi titoli che erano invece precedentemente necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante (assicurando così efficacia, efficienza, speditezza ed economicità all’azione amministrativa nel giusto contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco) e incide quindi sugli aspetti gestionali dell’impianto.
PROGETTO: ESATTA QUALIFICAZIONE
La questione discussa in sentenza trae origine dalla qualificazione dell’impianto come centrale di produzione elettrica da alimentare con fonti rinnovabili biomasse oppure impianto di incenerimento.
La sentenza precisa: “….Come si evince dal già menzionato Supplemento al Rapporto Istruttorio, la Società….. ha presentato in data 25 gennaio 2008, quale autorità proponente, la domanda di avvio del procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale relativa al progetto di “Ammodernamento tecnologico e interventi di riqualificazione ambientale ed energetica della centrale elettrica di Scarlino da alimentare con fonti rinnovabili (biomasse) e non convenzionali (CDR e CDR-Q)”.
E’ solo rispetto a tale progetto che è stato avviato il relativo procedimento (con relativa pubblicità) ed è rispetto ad esso che, come risulta sempre dal predetto Rapporto, il Comitato d’inchiesta pubblica ha evidenziato (punto 1 e punto 10) che il combustibile da utilizzare previsto nel progetto rendeva l’impianto diverso da quello già esistente, trasformandolo da centrale di energia elettrica in inceneritore: sul punto lo stesso soggetto proponente, già in sede di osservazioni alle valutazioni del Comitato di inchiesta pubblica, ha sostanzialmente ammesso tale situazione, affermando, come riportato testualmente nel Rapporto, che “…la qualifica giuridica dell’impianto (inceneritore/coinceneritore) è irrilevante ai fini della valutazione di impatto ambientale del progetto presentato e non si traduce automaticamente in una omessa valutazione preventiva del progetto derivante dall’impiego dei rifiuti come combustibili.
QUALIFICA IMPIANTO
Continua la sentenza:”…La qualificazione dell’impianto come inceneritore oppure come un coinceneritore rileva esclusivamente in fase di esercizio e, dunque, è una valutazione tipica dell’autorizzazione integrata ambientale, tanto che il D. Lgs. N. 133/2005 impone prescrizioni di esercizio diverse in relazione alle due tipologie di impianti”.
Giova aggiungere che il Rapporto in questione sul punto in esame conclude nel senso che “…considerato che dagli elementi resi disponibili non si evidenzia una prevalenza certa della “funzione principale” dell’impianto nella produzione di energia, si ritiene che detto impianto debba essere qualificato come impianto di incenerimento. La qualificazione è coerente con la documentazione progettuale presentata in sede di VIA che descrive un impianto per il trattamento termico dei rifiuti (CDR). Tale qualificazione fornisce, inoltre, maggiori garanzie di tutela per l’ambiente e per la salute”.
8.2. Sennonché proprio tali conclusioni confermano la correttezza della sentenza impugnata.
Infatti, anche ammesso che nel corso del procedimento il progetto originariamente presentato dalla società Scarlino Energia s.r.l. non sia stato minimamente modificato, non può nondimeno negarsi che esso concerneva (solo) l’ammodernamento tecnologico ed interventi di riqualificazione ambientale ed energetica della centrale elettrica esistente e non già la realizzazione di (o la sua trasformazione in) un inceneritore.
Né è decisiva, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, la circostanza che la centrale elettrica fosse alimentata con fonti rinnovabili (biomasse) e non convenzionali (CDR o CDR-Q) e che in particolare, essendo il CDR ed il CDR – Q un rifiuto, si fosse evidentemente in presenza di un inceneritore.
E’ sufficiente al riguardo rilevare che la materia dell’incenerimento dei rifiuti è oggetto di una speciale normativa (D. Lgs. 11 maggio 2005, n. 133 “Attuazione della direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti, di cui peraltro non vi è traccia di sicura e puntuale osservanza nella fattispecie in esame, non essendo sufficiente a tal fine meri generici riferimenti), dalla quale si evince che costituisce impianto di incenerimento (art. 2, lett. d), “qualsiasi unità o attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico dei rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione” e che costituisce impianto di coincenerimento (art. 2, lett. e) “qualsiasi impianto fisso o mobile, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia e di materiali che utilizzano rifiuti come combustibile normale o accessorio o in cui i rifiuti sono sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento. L’ultimo periodo della citata lett. e) dell’articolo 2 precisa che “Se il coincenerimento avviene in modo che la funzione principale dell’impianto non consista nella produzione di energia o di materiali, bensì nel trattamento termico dei rifiuti, l’impianto è considerato un impianto di incenerimento ai sensi della lettera d)”.
AMMINISTRAZIONE
Pertanto, l’amministrazione, appurata tale divergenza (che non è meramente formale e non rileva soltanto dal punto di vista terminologico), piuttosto che concludere il procedimento di V.I.A., imponendo prescrizioni ai fini del successivo rilascio dell’A.I.A., avrebbe dovuto invitare la società proponente il progetto a precisare e specificare effettivamente il progetto presentato, chiarendo se esso consisteva effettivamente in un ammodernamento di quello procedente oppure in una trasformazione di quello già esistente in inceneritore, ciò non solo ai fini della correttezza della fase di pubblicità, ma anche al fine di valutare la adeguatezza e la completezza del procedimento di V.I.A. (proprio in ragione della diversità dell’impianto).
Si rinvia alla sentenza

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Acque: violazione tabellare

Acque: fermo dell’impianto e campionamento
Sentenza Tar Napoli 13 febbraio 2012, n. 746 – Violazioni tabellari e accertamento.
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
La sentenza ha il pregio di precisare e porre limite agli accertamenti finalizzati alla contestazione di violazioni tabellari degli scarichi.
La Corte collega il “diritto” alla “realtà” operativa degli impianti di depurazione.
L’accertamento,che rileva violazione di limiti tabellari, deve essere considerato alla luce della operatività del sistema di depurazione; sistema mai perfetto, soggetto a variabili spesso imponderabili.
Ecco, dunque, che l’accertamento eseguito subito dopo un periodo di fermo dell’impianto  non concreta, necessariamente, sanzione per la violazione tabellare.
Emerge il concetto che il campionamento deve essere “rappresentativo” della normale gestione dell’impianto e dunque qualsiasi accadimento fisiologico o tecnico, purchè proprio della vita dell’impianto, mina la  attendibilità  del campionamento stesso.
In particolare la sentenza ha anche il pregio, ormai raro, di avere chiarezza espositiva che permette la semplice parafrasi:
 
Ordinanza sindacale: divieto
Con ricorso una societa’ esercente nel proprio stabilimento  attività di produzione di carta per uso igienico e sanitario, impugnava, l’ordinanza con il quale il Comune  in base al rapporto di prova per il quale “le analisi eseguite hanno evidenziato il superamento del limite fissato dall’atto autorizzativo per i parametri, solidi sospesi totali, BOD e COD”, respingeva l’istanza di revoca inoltrata dalla s.r.l.”, reiterando a carico di quest’ultima l’ordine sindacale  recante, divieto di immettere acque reflue provenienti dallo stabilimento nel Rio, fino a quando non venissero ripristinate le condizioni idonee al rispetto dei limiti di emissione normativamente previsti.
 
La societa’ rappresentava:
— di essere munita dell’autorizzazione allo scarico delle acque reflue industriali, civili e meteoriche provenienti dalla rete fognaria dell’opificio con immissione nel fosso stradale adiacente lo stabilimento e confluente nel Rio Pantano,
— nella giornata del campionamento, al momento della riapertura dell’azienda dopo la pausa delle festività di fine anno, i funzionari dell’ ARPAC in occasione di un sopralluogo nell’impianto al fine di verificare la regolarità degli scarichi, dai risultati delle analisi effettuate sui campioni di acqua prelevati, rilevavano che le acque provenienti dall’impianto contenevano una quantità di solidi sospesi totali, di COD e di BOS 5 superiori ai limiti normativamente previsti;
— in virtù di tale accertamento, nonostante le indicate irregolarità fossero riconducibili alla normale sedimentazione del materiale fibroso creatasi nella conduttura finale dello scarico per effetto del protratto inutilizzo nella giornate di chiusura festiva, l’Asl proponeva al sindaco di vietare alla società l’immissione delle acque reflue nel vicino fosso stradale confluente nel Rio Pantano;
—il Sindaco, con ordinanza, ingiungeva alla ricorrente di interrompere ad horas lo scarico delle acque reflue fino a quando non venissero ripristinate le condizioni idonee al rispetto dei limiti di emissione normativamente previsti;
— la società, chiedeva la revoca del provvedimento di sospensione in quanto le criticità accertate all’atto del sopralluogo erano state determinate unicamente dalla chiusura dell’impianto per effetto del protratto inutilizzo delle giornate di chiusura festiva e dalla conseguente normale sedimentazione di materiale fibroso nelle tubature, essendo, viceversa lo scarico assolutamente regolare nei periodi attività, come dimostrato dalle analisi mensili puntualmente trasmesse alla Provincia;
—   in attesa della determinazione in autotutela del Comune, la  Srl si conformava al divieto di scarico
—   al fine di non interrompere la produzione, entrava in gestione di riutilizzo di acque a ciclo chiuso,
—   l’Arpac, nel corso della rinnovata istruttoria, effettuava un nuovo sopralluogo ed, anche al momento di tale ispezione lo scarico non era attivo, in ottemperanza all’ordinanza sindacale ed a causa di tale circostanza, verbalizzata dagli stessi funzionari, le analisi dei prelievi effettuati evidenziavano il superamento del limite relativo ai solidi sospesi totali (non più anche dei BOD 5 e dei COD), superamento provocato, come nel caso precedente, dalle fibre cellulosiche depositatesi lungo la conduttura di scarico durante il periodo i fermo forzoso.
 
In questo quadro di riferimento la Corte accoglie il ricorso della società rilevando:
 
La Corte “… in relazione ai due sopralluoghi effettuati, ….. ed a seguito dei quali sarebbe stato imposta l’interruzione dello scarico delle acque reflue provenienti dall’impianto, dubita dell’attendibilità delle risultanze istruttorie in quanto le attività ispettive e di prelievi di campioni sarebbero state effettuate dall’Arpac, in entrambe le circostanze, in un momento straordinario, ossia all’atto della riapertura dell’impianto dopo giorni di chiusura…”
La società nel corso del processo produceva perizia “…..da cui emergerebbe che, nel periodo di fermo si formerebbero delle “naturali incrostazioni lungo le tubazioni di scarico (prevalentemente fibre di cellulosa)” che verrebbero trascinate via al momento della riattivazione dello scarico, terminando una iniziale torbidità dell’acqua; viceversa con il funzionamento dell’impianto a pieno regime, le emissioni rispetterebbero tutti i limiti quantitativi prescritti dalla tabella 3 dell’Allegato 5 al Dlgs 152/2006, come sarebbe dimostrato dagli esiti delle analisi mensili (versate in atti) che la ditta trasmetterebbe alla Provincia di Napoli.
La tesi prospettata dalla difesa tecnica del ricorrente suppone, all’evidenza, che l’inconveniente segnalato consistente nel superamento del COD e del BOD5, sia in occasione delle analisi effettuate in occasione del sopralluogo ……..sarebbero compatibili con il fermo dello stabilimento e con la connessa sedimentazione di materiale fibroso nella fognatura interna, mentre non dovrebbero registrarsi in occasione del funzionamento dell’impianto a regime.
 
Seguiva istruttoria e l’articolazione delle difese e si giungeva alla conclusione che “ ….
le criticità accertate nei precedenti sopralluoghi (eccedenza di solidi sospesi, BOD e COD5) dipendevano unicamente dall’inutilizzo dello scarico nei periodi di fermo e dalla conseguente sedimentazione di materiale fibroso nella fognatura interna.
Viceversa, con il funzionamento dell’impianto a pieno regime, è stato verificato che le emissioni rispettano i relativi limiti quantitativi prescritti dalla tabella 3 dell’Allegato 5 al Dlgs 152/2006…”
Ed ancora la Corte precisa ”…..Invero all’esito del riesame dei campioni analizzati è stata data prova che il quadro istruttorio posto a base del provvedimento impugnato è, in realtà, incompleto e non esaustivo in quanto il superamento dei parametri relativi ai solidi sospesi, al BOD e al COD5 (ossia le specifiche ed uniche contestazioni mosse in sede procedimentale) non si verifica con il funzionamento dello scarico a pieno regime….”
 

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