RAEE: Nuova disciplina nel Dlgs. n. 49/2014

RAEE: Dlgs. n. 49/2014 – attuazione della Direttiva 2012/19/UE
Dlgs. 151/2005  abrogato (parzialmente)

A cura di Cinzia Silvestri– Studio Legale Ambiente


L’attesa revisione del sistema RAEE è giunta a destinazione.

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28.3.2014 il Decreto Legislativo di attuazione della Direttiva 2012/19/UE (che sostituisce ogni riferimento alla Direttiva 2002/96/CE)
Dopo la pubblicazione del Dlgs. 27/2014 che già abrogava alcune parti del Dlgs. 151/2005, interviene il provvedimento normativo di revisione  e sostituzione del Dlgs. 151/2005.
L’art. 42 provvede ad abrogare parzialmente il Dlgs. 151/2005 ,normativa … (continua lettura articolo Dlgs. 49.2014 RAEE)

adminRAEE: Nuova disciplina nel Dlgs. n. 49/2014
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Pubblicato Dlgs. n. 46/2014 : attuazione della Direttiva 2010/75/UE

Pubblicato Dlgs. 4.3.2014 n. 46 : attuazione della Direttiva 2010/75/UE in relazione alle emissioni industriali
Revisione del T.U. Ambiente (Dlgs. 152/2006)

A cura di Cinzia Silvestri– Studio Legale Ambiente


Con vigenza al 11 aprile 2014 il Codice ambientale si aggiorna .

Il Dlgs. 46/2014 riscrive alcune parti del Codice Ambientale in particolare anche la normativa A.I.A. nonché gli articoli 5 e ss. del Dlgs. 152/2006
L’art. 34 riassume invero il corposo restyling che abroga molte disposizioni del Dlgs. 152/2006 e annuncia il “pensionamento” del Dlgs, 133/2005 (incenerimento rifiuti) già dal 2016 ( norma ad oggi madre e cardine del settore).
“1 . A decorrere dalla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente decreto sono abrogati:
a) l’articolo 29-sexies,  comma  2,  del  decreto  legislativo  3 aprile 2006, n. 152,
b) l’articolo 35, comma 2-quinquies, del  decreto  legislativo  3 aprile 2006, n. 152,
c) l’articolo 36, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
d) l’articolo 54, comma, 1 lettera a), del decreto legislativo  3 aprile 2006, n. 152,
e) l’articolo 273, comma  15,  lettere  l)  ed  m),  del  decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
f) l’articolo 273, comma 16, del  decreto  legislativo  3  aprile 2006, n. 152;
g) l’articolo 275, commi 9 e 16, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152
h) il decreto-legge 30 ottobre 2007, n. 180, recante differimento di termini in materia di autorizzazione integrata ambientale e  norme transitorie, convertito, con modificazioni, dalla legge  19  dicembre 2007, n. 243;
i) il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 100.
 
2. Il decreto legislativo 11 maggio 2005, n.  133,  e’  abrogato  a decorrere dal 1° gennaio 2016.
 

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RAEE: Dlgs. n. 27/2014

RAEE : pubblicato Dlgs. 27/2014

Recepita Direttiva 2011/65/UE: restrizioni sull’uso di sostanze pericolose
Segnalazione a cura di  Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri  e Dario Giardi


Il testo del decreto, essendo in linea con le previsioni della Direttiva, dovrebbe risolvere le numerose complessità e gli ostacoli che hanno, sino ad oggi, reso difficoltosa la raccolta dei RAEE nei punti di vendita e al domicilio dei consumatori.

Il Decreto Legislativo abroga l’art. 5 e l’allegato 5 del Dlgs. 151/2005 in quant assorbiti dal nuovo decreto. I Due decreti Legislativi (151/2005 e 27/2014) coesistono.
Dlgs. n. 27/2o14

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Dlgs. 231/2001: differenza tra concussione e Induzione indebita

Dlgs. 231/2001 – Concussione e Induzione indebita
 Quale differenza tra i due reati? Risponde la Cassazione penale Sez. Unite 12224/2014
 A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


I reati di concussione e induzione indebita sono sanzionati dal Dlgs. 231/2001 con particolare gravità (da 300 quote a 800 e sanzioni interdittive) (vedi anche articolo su questo sito)
Tali reati possono essere utilmente commessi anche in materia ambientale attesa la trasversalità degli istituti tant’è che il Piano Nazionale Anticorruzione prevede l’estensione o comunque la considerazione di questi reati anche in tutti i settori (Ambiente, Sicurezza ecc..).
Di fatto l’introduzione del reato di Induzione amplia il novero dei comportamenti perseguibili in quanto coglie l’aspetto psicologico della induzione facilmente riscontrabile nella nostra quotidianità e forse meno percepibile come reato nella coscienza di molti. (continua lettura dlel’articolo concussione e induzione..)

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Bonifiche e SIN: Art. 252 bis Dlgs. n. 152/2006

Bonifiche e Siti di Interesse Nazionale (SIN)
Art. 252bis Dlgs. 152/2006 come riformato dalla L. n. 9/2014
(Destinazione Italia)

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


 

Il DL 145/2013 (Destinazione Italia) è stato convertito con modifiche dalla  L. n. 9/2014
L’articolo 4 della L. 9/2014 modifica l’art. 252bis del Dlgs. 152/2006 che si occupa dei Siti inquinati Nazionali (SIN) di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale.
Di seguito schema di confronto con il DL 145/2013 convertito nonché ….(continua lettura articolo252bis

adminBonifiche e SIN: Art. 252 bis Dlgs. n. 152/2006
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Sistri: modifiche all'art. 188 ter Dlgs. 152/2006

Sistri: art. 188 ter Dlgs. 152/2006 – modifiche
a cura di Studio Legale Ambiente


Studio Legale Ambiente continua la disamina delle novità introdotte al DL 103/2013 (dell’art. 11 L. 125/20013) al Dlgs. 152/2006.
Si rinvia agli articoli pubblicati su questo sito in merito
1)    modifiche all’art. 190 Dlgs. 152/2006 e relativo schema di confronto
2)    modifiche relative all’art. 260 e 260 bis e problematica sulla applicazione delle sanzioni relative alle violazioni Sistri.
Si rinvia dunque a commento  e schema sull’art. 188 ter

adminSistri: modifiche all'art. 188 ter Dlgs. 152/2006
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Aria: reato ambientale e danno?

Aria: reato ambientale e danno
nota a Corte di Cassazione Sentenza 28 dicembre 2011, n. 48474
a cura di avv. Cinzia Silvestri 
L’art. 279 Dlgs. 152/2006 chiude la parte V relative alle emissioni in atmosfera indicando le sanzioni.
L’articolo è stato riformato dal Dlgs. 128/2010 che ha modificato i primi 4 commi.
L’articolo inoltre in virtù del combinato disposto dei commi 2 e 5 è interessato anche dalla responsabilità amministrativa della società ex Dlgs. 231/2001 art. 25-undecies (cfr. articolo pubblicato su questo sito).
Ebbene.
Recente sentenza della cassazione ha precisato con riferimento all’art. 279 comma 1
1)   la natura formale del reato
2)   la continuità rispetto alla normativa DPR 203/88
Il legislatore anticipa l’intervento punitivo. Non occorre il danno all’ambiente ma è bastevole il pericolo della lesione.
l reato integra il cosidetto reato formale di pericolo perché mira a realizzare a scopo di prevenzione un controllo anticipato da parte dell’autorità”.
Questa tesi per certi versi collide con il principio di offensività.
Ebbene la sentenza in commento si pone sul solco di questa giurisprudenza.
LA SENTENZA
Il legale rappresentante di una Ditta esercente l’attivita di stampaggio di materie plastiche veniva condannato dal Tribunale ex art. 279 Dlgs. 152/2006 perché gestiva un impianto che generava emissioni in atmosfera senza autorizzazione” (reato commesso il 18 giugno 2006) e lo condannava alla pena di € 200,00 di ammenda assolvendolo invece da altre residue imputazioni.
Il reato dunque veniva commesso sotto la vigenza del Dlgs. 152/2006 (vigente da aprile 2006).
L’imputato impugnava precisando che la norma violata
1)   implica la lesione o messa in pericolo derivante dalla presenza nelle sostanze emesse di caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo;
2)   l’attivita istruttoria non aveva consentito di provare la natura inquinante delle emissioni e il conseguente pericolo per la salute umana e per l’ambiente circostante.
3)    oggetto dell’attività era lo stampaggio di materie plastiche la cui lavorazione determinava delle emissioni asseritamente moleste ma non accertate nella realtà
 
La Corte decide il ricorso come infondato.
La Corte precisa che il Tribunale aveva correttamente affermato che la responsabilità penale dell’imputato sussisteva per il fatto che
1)    l’impianto produttivo rientrava tra quelli potenzialmente produttivi di emissioni inquinanti,
2)    l’impianto produceva in concreto odori molesti constatati dagli Ispettori dell’Arpam cui si erano rivolti con diverse segnalazioni i residenti della zona.
3)    la presenza di emissioni diffuse maleodoranti in assenza delle doverose precauzioni e gli accorgimenti da parte del titolare dell’impianto atti ad impedire il verificarsi del fenomeno.
La responsabilità può essere esclusa laddove sia fornita prova che l’impianto presenta una mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti.
 
CONTINUITA’ TRA DPR 203/88 E ART. 279 DLGS. 152/2006
Il reato previsto dall’articolo 279 del Dlgs 152/06, afferma la cassazione si pone in rapporto di continuità normativa con la precedente disciplina di cui al Dpr 203/88 — così Cass. Sez. III 14 aprile 2010 n. 18774, Migali, Rv. 247173).
 
PROVA E REATO FORMALE di pericolo
Il Tribunale ha ritenuto, sulla base di una prova specifica attestante la presenza di emissioni inquinanti , che l’assenza di autorizzazione integrasse l’elemento costitutivo del reato: questo, oltretutto si configura come reato non di danno ma formale, mirando la norma a garantire il controllo preventivo da parte della P.a. sul piano della funzionalità e della potenzialità inquinante di un impianto industriale (Cass. Sez. III 28 giugno 2007 n.35232, Fongaro, Rv. 237383).
il reato de quo è configurabile indipendentemente dalla circostanza che le emissioni superino i valori limite stabiliti, dovendosi fare invece riferimento alla presenza di emissioni comunque moleste ed inquinanti ex se connaturate quindi alla natura formale del reato (v. Cass. n. 352321/07 cit.).
 
 
 
 

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Terre e rocce da scavo: DL Sviluppo

 Terre e Rocce da scavo: DL Sviluppo – Uno sguardo al futuro?

 a cura di avv. Cinzia Silvestri

La travagliata storia delle Terre e rocce da scavo (a memoria dell’ art. 186 Dlgs. n.152/2006 ss.) è destinata a non finire.

Per coloro che si sono occupati a lungo dell’art. 186 (Dlgs. n.152/2006) e ne hanno seguito l’evoluzione sin dal primitivo, ma attuale, provvedimento del 2001 (L. 443/2001), il contenuto nel prossimo DL Sviluppo ….rinnova la memoria.

Non si può dimenticare che, un anno fa circa, l’art. art. 39 comma 4 Dlgs. n. 205/2010 precisava che: “Dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’articolo 184-bis,comma 2, e’ abrogato l’articolo 186.”.

 Ebbene, il “DL Sviluppo”, ancora in incubazione, porta con se’ un “ritorno al passato”, rievoca alla memoria di coloro che hanno scritto sul tema, ciò che è stato…. abrogato.

 E’ prematuro commentare ma vale la pena di ….segnalare.

 La bozza del 23.10.2011 Dl Sviluppo precisa all’art. 36:

La proposta è finalizzata a classificare le terre e rocce da scavo quali sottoprodotti e non rifiuti, consentendone pertanto il riutilizzo nell’ambito del medesimo intervento dal quale traggono origine e comportando, in tal modo, una riduzione dei costi delle infrastrutture.”.

Ovvero:

Sono da considerate sottoprodotti ai sensi dell’articolo 184‐bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, nelle more dell’emanazione del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di cui al comma 2 dello stesso articolo, le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, prodotte nell’esecuzione di opere pubbliche, anche se contaminate o mischiate, durante il ciclo produttivo, da materiali, sostanze o residui di varia natura, ancorchè inquinanti, derivanti dalle tecniche e dai materiali utilizzati per poter effettuare le attività di evacuazione, perforazione e costruzione ed impiegate, senza alcuna trasformazione diversa dalla normale pratica industriale, intendendosi per tale anche selezioni granulometrica, riduzione volumetrica, stabilizzazione a calce o a cemento, essiccamento, nell’ambito di un unico ciclo produttivo che preveda la loro ricollocazione secondo le modalità stabilite nel progetto di utilizzo approvato dalle autorità competenti anche ai fini ambientali ed urbanistici e nel rispetto delle caratteristiche ambientali del sito di destinazione, con riferimento alle concentrazioni di tabella 1, allegato 5, parte IV, del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, fatta salva la possibilità, in caso di fenomeni naturali che determinano superamenti delle stesse, di adottare i valori del conto come concentrazioni soglia di contaminazione”.

 Relazione

La proposta, da verificare con il competente Ministero dell’ambiente, è finalizzata a classificare le terre e rocce da scavo quali sottoprodotti e non rifiuti, consentendone pertanto il riutilizzo nell’ambito del medesimo intervento dal quale traggono origine e comportando, in tal modo, una riduzione dei costi delle infrastrutture in particolare per le opere infrastrutturali che prevedono la realizzazione di gallerie”.

 

 

 

 

Nota 1: cfr. Codice dell’Ambiente, Giuffrè, 2008, commento all’art. 186 a cura di Cinzia Silvestri

Nota 2: Articolo 184-bis 1. E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto e’ originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e’ la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) e’ certo che la sostanza o l’oggetto sara’ utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l’oggetto puo’ essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l’ulteriore utilizzo e’ legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non portera’ a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
2. Sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinche’ specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o piu’ decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformita’ a quanto previsto dalla disciplina comunitaria
Articolo inserito dall’articolo 12 del D.Lgs 3 dicembre 2010, n. 205.
 

 

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TIA e TARSU: abrogazione al 2013?


 TIA E TARSU: abrogazione al 2013? Nuovo Tributo: R.E.S. (Rifiuti e Servizi)

 a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi

 Il Consiglio dei ministri del 24 ottobre u.s., ha approvato, in prima lettura, schema di decreto legislativo (Allegato I) che incide anche sul Dlgs. del 14.3.2011 n. 23 inserendo dopo l’art. 14 … l’intera disciplina relativa a nuovo tributo chiamato RES (Rifiuti e Servizi).

RES che accorpa, innova, interpreta e rielabora la TIA e la TARSU1 (..abrogandole).

 Le disposizioni fissano al 1° gennaio 2013 l’entrata in vigore del TRIBUTO COMUNALE RIFIUTI E SERVIZI (RES). Il futuro tributo comprende, oltre alla quota ambientale per lo smaltimento dei rifiuti, anche una quota “servizi” per la sicurezza, l’illuminazione e la gestione delle strade (manutenzione, pulizia).

 La componente “rifiuti” assomiglierà più alla Tariffa di igiene ambientale (TIA) che alla Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) nonostante entrambe risultino abrogate dall’entrata in vigore del Res. La nuova tariffa dovrà essere determinata, infatti, da determinarsi attraverso un regolamento da emanarsi entro il 31 ottobre 2012, sarà proporzionata “alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotte per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte” mentre la componente “servizi” sarà calcolata in base al valore dell’immobile attraverso un’aliquota comunale.

 Res: rifiuti – La nuova tariffa si comporrà :

  1. rifiuti: pagati da chiunque possegga, occupa o detiene a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte s

    uscettibili di produrre rifiuti. Il pagamento della tariffa sarà annuale e proporzionato alla quantità e qualità media ordinaria di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte.

    Tariffe determinate tenendo conto della quota relativa al costo del servizio e di quella rapportata alla quantità di rifiuti relativi al servizio fornito e ai costi di gestione.

  2. I Comuni, inoltre, potranno decidere di diminuire la tariffa o anche di prevedere agevolazioni o esenzioni in caso di ridotta produzione di rifiuti e prevedere agevolazioni per situazioni di particolare disagio sociale (ad esempio casi di particolare difficoltà economiche). I comuni più all’avanguardia che hanno realizzato sistemi di misurazione della quantità di rifiuti conferiti potranno applicare una tariffa «avente natura corrispettiva». Ma questa norma (art.14 undecies inserito dal dlgs correttivo all’interno del decreto legislativo n.23/2011) è stata oggetto di critiche da parte del Ministero dell’Ambiente e potrebbe essere modificata. In un parere (Allegato II) inviato a palazzo Chigi e al Ministero dell’Economia, il Ministero dell’Ambiente ha sollevato dubbi, in particolare, su quale sia l’amministrazione centrale a cui spetterà redigere il regolamento che metterà nero su bianco i criteri per determinare il costo del servizio. In sede comunitaria, fa notare il Ministero, «risulta controverso se il modello della liquidazione esatta dei costi debba essere applicato allo smaltimento dei rifiuti urbani». Una causa su questo punto è tutt’ora pendente davanti alla Corte di giustizia Ue. Inoltre, se il Res si configurasse come tariffa (e dunque come prelievo di natura non tributaria), ci sarebbe più di un dubbio sulla sua conformità con i criteri direttivi della legge delega sul federalismo (n.42/2009) che fa riferimento solo alla razionalizzazione della fiscalità degli enti. Qualora invece la bozza di dlgs tendesse a fare del Res un tributo, emergerebbero «alcuni profili di estrema criticità» con riferimento alla normativa in materia di servizi pubblici locali.

    Res: servizi – Res avrà come presupposto l’occupazione, a qualsiasi titolo (quindi non solo proprietà ma anche locazione, uso, usufrutto ecc.) di immobili ad uso abitativo (classificati alle categorie catastali da A1 a A9) da parte di soggetti anagraficamente residenti nel territorio del comune. Questa quota della nuova “service tax” sarà dovuta da tutte le persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio del comune che occupano fabbricati. La base imponibile del Res, limitatamente alla componente relativa ai servizi indivisibili, sarà il valore dei fabbricati e delle relative pertinenze determinato moltiplicando per 100 la rendita catastale. A questa cifra si applicherà un’aliquota definita dal consiglio comunale. Anche in questo caso sono previste agevolazioni e riduzioni in base al reddito e al numero di familiari a carico. Per esempio, stando alla prima bozza di decreto, viene stabilita una no tax area per i residenti il cui reddito non superi il primo scaglione dell’Irpef (15 mila euro). C
    ostoro non pagheranno nulla, ma il diritto all’esenzione verrà meno se la somma dei redditi dei soggetti che vivono sotto lo stesso tetto supera tale soglia. Per chi vive in affitto e ha un reddito complessivo a livello di nucleo familiare non superiore al limite previsto per il secondo scaglione Irpef (28 mila euro) il tributo sarà ridotto della metà. Lo stesso dicasi per i proprietari (o titolari di diritto di usufrutto, uso, abitazione o superficie) già assoggettati ad Ici o Imu.

Per quanto riguarda gli adempimenti, i contribuenti dovranno presentare la dichiarazione relativa alla «Res» entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di inizio del possesso. La riscossione potrà essere affidata anche all’ente erogatore dell’energia elettrica. E nel caso in cui il contribuente non paghi il tributo per due volte consecutive, l’ente gestore potrà arrivare alla sospensione dell’energia elettrica.

 11Vale la pena di ricordare che la TARSU trova disciplina nel Dlgs. 507/93 ed è applicata dai Comuni quale tassa per il costo del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani oltre che per lo spazzamento delle strade pubbliche; la tassa si parametra alla superficie dei locali di abitazione e di attività dove possono avere origine rifiuti di varia natura.

adminTIA e TARSU: abrogazione al 2013?
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Sistri e reati

SISTRI E REATI: responsabilità delle Società
Dlgs. 231/2001 art. 25 undecies co. 2 lett. g).
art. 260 bis Dlgs. 152/2006
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
Lo Studio Legale Ambiente continua lo schema di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001[1] per i reati di cui al Dlgs. 152/2006 in vigore dal 16.8.2011; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
 Art. 260 bis Dlgs. 152/2006 (novità).
L’articolo 260 bis è stato introdotto nel nostro ordinamento dal  Dlgs. 205/2010  (vigente al 25.12.2010) assieme alle altre sanzioni relative al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri) .
E’ tuttavia nota la vicenda normativa che ha coinvolto proprio l’art. 260 bis che, assieme a tutto il sistema Sistri, veniva abrogato dall’articolo 6, comma 2, lettera d) del Dl 13 agosto 2011, n. 138; per poi rivivere con la legge di conversione del  14 settembre 2011, n. 148; legge che ha posto nel nulla il decreto abrogativo.
Ebbene circa un mese prima della abrogazione a mano del Governo (DL 13.8.2011 n. 138) il Parlamento aveva riformato proprio ed anche l’articolo 260 bis (Dlgs. 121/2011 del 7.7.2011). introducendo i commi 9bis e 9ter.
L’entrata in vigore delle modifiche (17.8.2011) successiva alla abrogazione segnava una battuta di arresto dell’intera normativa.
La legge di conversione del 14.9.2011 n. 148 riporta in luce anche il testo modificato dell’art. 260 bis.
Le modifiche intervenute sull’art. 260 bis hanno introdotto solo i commi 9 bis e 9 ter. Sono modifiche che non prevedono nuovi comportamenti sanzionabili bensì benefici e riduzioni di pena.
 Reati ex art. 260 bis e Dlgs. 231/2001
Nel caso di reati e dunque di comportamenti ritenuti gravi dal legislatore e che vengono puniti con pena che incide sulla libertà personale quale la reclusione
1)    nessun trattamento premiale di riduzione della pena
2)    previsione di responsabilità amministrativa della società ex Dlgs. 231/2001 ex art. 25 undecies.
Lo schema è il seguente:
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Società
ex Dlgs. 231/2001
Sanzioni interdittive
art. 260 bis comma 6
Certificato analisi rifiuti falso
 
pena reclusione fino a 2 anni (art. 483 c.p.)
 
 
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis comma 7 secondo periodo
Trasporto senza copia cartacea sistri rifiuti pericolosi
pena reclusione fino a 2 anni (art. 483 c.p.)
 
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis comma 7 terzo periodo
Trasporto uso certificato fase indicazioni
pena reclusione fino a 2 anni (art. 483 c.p.)
 
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis comma 8 primo periodo
Trasposrto con scheda cartacea sistri alterata
Pena reclusione da 4 mesi a 2 anni
(477 e 482 c.p.)
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis
Comma 8 secondo periodo
Trasporto scheda sistri alterata rifiuti pericolosi
Pena reclusione da 4 mesi a 2 anni
(477 e 482 c.p.) con aumento fino ad 1/3
Da  200 a 300 quote Non prevista

 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 



[1] IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela   penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.
 
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Rifiuti: procedure semplificate

RIFIUTI E PROCEDURE SEMPLIFICATE

Note a TAR Lombardia – Milano n. 2311/2011 Silenzio assenso e revoca della iscrizione ex art. 216 Dlgs. 152/2006

 a cura di avv. Cinzia Silvestri

 Il TAR Lombardia-Milano con sentenza n. 2311/2011 del 29.9.2011 affronta un caso abbastanza comune ma ancora foriero di discussione.

Bisogna sempre considerare che le sentenze traggono origine da casi specifici e che vanno lette nel contesto di riferimento evitando di “fare di tutta l’erba un fascio”.

Certo, si registra da parte della magistratura una sempre maggiore distanza dall’operare concreto delle imprese; distanza giustificata dalla tutela ambientale che lascia, tuttavia, l’impresa, che combatte con costi e responsabilità, spesso in balia di norme oscure, interpretazioni, discrezionalità amministrative, incertezze.

Questa sentenza sembra dire che l’impresa che opera in regime sempliifcato può sempre vedersi revocata la iscrizione per “qualsiasi violazione del DM 5.2.1998” e che l’amministrazone non è tenuta neppure a motivare il provvedimento di revoca in quanto è implicita la motivazione dalla stessa istruttoria compiuta.

Ed invero.

Una società impugnava il provvedimento con il quale la Provincia di Lecco ha disposto il divieto di prosecuzione dell’attività e quello dell’Albo nazionale delle Imprese che svolgono la gestione dei rifiuti che ha archiviato la domanda di iscrizione al registro presentata dalla società.

La società invero sosteneva, ai sensi dell’art. 33 c. 1 del D. Lgs. 22/1997 e dell’art. 216 del D. Lgs. 152/2006, di aver ottenuto l’autorizzazione semplificata all’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti per silenzio assenso, con la conseguenza che il provvedimento della Provincia di Lecco sarebbe tardivo. Inoltre la procedura semplificata permetterebbe di svolgere l’attività di recupero dei rifiuti in via accessoria e strumentale senza i requisiti richiesti in via ordinaria.

Lamentava la società anche in ordine alla motivazione del provvedimento della Provincia la quale non indicava in modo specifico, neppure per relationem, i requisiti mancanti.

  1. Il silenzio assenso della amministrazione (decorsi 90 giorni dalla comunicazione) non esaurisce il potere di controllo della amministrazione ed il potere di incidere sulla iscrizione ex art. 216 Dlgs. 152/2006

La Corte precisa:

L’articolo 33 del decreto legislativo 5 luglio 1997 n. 22, ed oggi l’art. 216 del T.U. Ambientale prevede una procedura semplificata, mediante denunzia d’inizio d’attività, di autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti. Il comma 1 dispone che l’attività possa essere intrapresa decorsi novanta giorni dalla comunicazione d’inizio di attività alla provincia territorialmente competente, il comma 3 prevede che entro quel termine la provincia verifichi d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti per l’esercizio dell’attività, e il comma 4 prevede che, accertato il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la provincia disponga il divieto d’inizio o di prosecuzione dell’attività.

Benché la comunicazione di cui trattasi sortisca effetto già per il decorso del termine di 90 giorni, in assenza di specifici divieti o richieste di integrazioni documentali da parte della Provincia, sulla scorta dei meccanismi tipici del silenzio assenso, la comunicazione medesima, pur sortendo l’effetto operativo di legittimare l’attività con il decorso dei termini di legge, soggiace alle disposizioni richiamate dall’art. 31, ultimo comma, del D. Lgs. 22/97 (oggi art. 214 del T.U. Ambiente), ovvero le statuizioni sulla veridicità delle comunicazioni rese e dei relativi atti che la compongono, nonché il divieto di conformazione se si siano rese dichiarazioni false e l’espressa previsione di applicazione della sanzione prevista dall’articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Inoltre poiché la disposizione del terzo comma dell’art. 216 prevede espressamente che la Provincia verifica la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti, disponendo non solo il divieto di inizio ma anche quello di prosecuzione della medesima, si deve ritenere che tale potere di controllo sia esercitabile anche in caso di accertamento successivo alla decorrenza dei termini di inizio attività, qualora si verifichino irregolarità od il mancato rispetto della norma tecnica a presupposto della quale viene svolta l’attività, senza che sia necessaria la rimozione del provvedimento di assenso tacito.

Ne consegue che nessuna consumazione del potere di controllo provinciale si è verificata per il fatto che il diniego di autorizzazione è stato emanato oltre un anno dopo la presentazione della domanda.”

  1. L’iscrizione semplificata deve rispettare le norme di cui all’art. 214 commi 1,2,3 e DM 5.2.1998.

Sul punto la Corte, pur avendo a riferimento la doglianza posta in causa, sembra ampliare la rilevanza del DM 5.2.1998. Il richiamo reciproco degli articoli 214 co. 1,2,3, e 216 co. 1,2,3 sembra invero precisare le “condizioni” senza le quali la iscrizione non può essere ottenuta; solo queste condizioni sono tali da giustificare un simile provvedimento foriero di grave danno per le aziende. Non tutto ciò che indicato nel DM 5.2.1998 (soprattutto nella parte deidicata ai principi art. 1 a 11) pare integrare questo requisito.

Tuttavia nel contesto la generalità dell’affermazione della Corte è giustificata dalla doglianza del ricorrente e la Corte precisa:

Il secondo motivo è infondato in quanto l’art. 216 del D. Lgs. 152/2006 stabilisce al primo comma che l’autorizzazione semplificata opera “a condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all’articolo 214, commi 1, 2 e 3”.

Ne consegue che non si può ritenere che la previsione della comunicazione di inizio di attività costituisca una forma di liberalizzazione dell’attività.

In secondo luogo poiché condizione indispensabile per l’utilizzo della procedura semplificata è, nel caso in questione, il rispetto del D.M. 05/02/1998 per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, non è possibile ritenere che la mera accessorietà dell’attività di recupero dei rifiuti rispetto all’attività principale giustifichi il mancato rispetto della normativa ambientale.

Sebbene, infatti, tra gli scopi del T.U. ambientale vi sia anche quello di favorire il recupero dei rifiuti rispetto alle tradizionali attività di smaltimento, la legge non ha voluto, con gli artt. 214 ss. del D. Lgs. 152/2006, ritenere che il recupero sia attività irrilevante dal punto di vista ambientale, quanto piuttosto sottoporla ad un regime amministrativo ambientale semplificato e di favore, a condizione però che siano rigidamente osservati i limiti stabiliti dal D.M. 05/02/1998 per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi. Solo il rispetto di fatto di queste condizioni legittima la piena efficacia della d.i.a. e la conseguente iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali.

Non è possibile quindi ritenere che l’attività di recupero non sia soggetta alla normativa ambientale ma a quella dell’attività principale.

  1. L’Amminstrazione non è tenuta a motivare nel provvedimento la condizione violata ex DM 5.2.1998.

L’affermazione desta perplessità. La Corte sembra giustificare, come motivata, la contestazione della amministrazione in quanto esiste documento (foto) dal quale desumere la motivazione del provvedimento.

Giustifica la Corte: “Il terzo motivo di ricorso, incentrato sul difetto di motivazione, è infondato in quanto la mancanza dei requisiti richiesti dal DM 05.02.1998 per la gestione dei rifiuti non pericolosi risulta dal confronto diretto tra le foto del verbale dell’ispezione effettuata dalla Provincia il 7 giugno 2007 e la normativa violata. In particolare risultano cumuli scoperti mentre l’allegato 5 al DM citato richiede che “lo stoccaggio in cumuli di rifiuti che possano dar luogo a formazioni di polveri deve avvenire in aree confinate; tali rifiuti devono essere protetti dalle acque meteoriche e dall’azione del vento a mezzo di appositi sistemi di copertura anche mobili”.

Ne consegue che nessun difetto di motivazione può imputarsi al provvedimento amministrativo in quanto la mancata indicazione della specifica disposizione vietata all’interno del DM citato costituisce una mera irregolarità in quanto non rende perplesso il contenuto del provvedimento”.

 

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Fanghi: quando sono rifiuti?

QUANDO I FANGHI DA DEPURAZIONE DIVENGONO RIFIUTI?
NOTE A CASS. PEN. N. 36096 DEL 5.1.2011.
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Il legale rappresentante di una società cui era affidata la gestione dell’impianto di depurazione delle acque reflue urbane era accusato di aver effettuato il deposito incontrollato dei rifiuti costituiti dai fanghi di depurazione del predetto impianto avendone omesso lo smaltimento.
La sentenza affronta il momento di passaggio dei “fanghi” alla disciplina sui “rifiuti”.
Utile la cronologia delle modifiche all’art. 127 :
1) L’art. 48 dell’ormai abrogato Dlgs 152/99 stabiliva: “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 e successive modifiche, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta ciò risulti appropriato“.
2) L’art. 127 del Dlgs 152/2006, nell’originaria formulazione, specificava: “ferma restando la disciplina di cui al Dlgs 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”.
3) L’articolo 127, comma primo Dlgs 152/2006, nell’attuale formulazione dopo le modifiche apportate dal Dlgs 4/2008, così recita: “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”.
Le modifiche apportate all’articolo 127, recita la sentenza, spostano dunque il momento in cui la disciplina dei rifiuti deve applicarsi ai fanghi al termine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione, ragion per cui è essenziale individuare il momento finale di tale trattamento.
La sentenza approfondisce concludendo che se manca il trattamento finalizzato allo smaltimento e/o riutilizzo, ovvero quando tale procedura sia svolta in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio, i fanghi derivanti dalla depurazione di acque reflue devono considerarsi RIFIUTI.
Questo è il principio di diritto sancito dalla Cassazione Penale con sentenza n. 36096 del 5.10.2011, che ha rigettato il ricorso di un gestore di un impianto di depurazione di acque reflue urbane condannato per aver effettuato un deposito incontrollato di rifiuti costituiti da fanghi di depurazione non smaltiti.
Sul punto però il legislatore nulla ha statuito, anche perché, come riconosciuto dalla stessa Cassazione, la procedura di trattamento dei fanghi dipende da molti fattori (attrezzature impiegate, luogo in cui avviene l’essiccamento, agenti atmosferici, natura dei fanghi, destinazione dei letti di essiccamento) e sarebbe dunque impossibile determinare un momento finale adeguato e certo.
La Cassazione richiede pertanto un accertamento concreto della natura dei fanghi e delle modalità di trattamento degli stessi.
Nella fattispecie oggetto della sentenza, la mancanza di operazioni di scarico dei rifiuti nell’apposito registro e la presenza di vegetazione sui fanghi costituivano elementi fattuali che a parere della Cassazione dimostravano al di là di ogni ragionevole dubbio l’omesso trattamento dei fanghi ed il prolungato tempo di permanenza degli stessi nelle vasche di essicazione.
I fanghi dunque non erano destinati né allo smaltimento, né al loro recupero, ma costituivano rifiuti.
Il gestore non aveva peraltro provato l’avvio del trattamento, né aveva motivato il ritardo e questo costituiva ulteriore riprova dell’omesso trattamento.
La sentenza 36096/2011 è anche occasione per la Cassazione di ribadire che l’onere della prova incombe proprio sul produttore dei rifiuti, “in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria”.
 
 

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V.I.A.: Regione Veneto

 
REGIONE VENETO – V.I.A. – DGRV 1539/2011
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
La  procedura VIA ha subito due importanti interventi legislativi che hanno rielaborato interamente l’istituto dapprima con il Dlgs. 16.1.2008 n. 84 e da ultimo con Dlgs. 128/2010 (in vigore dal 28.8.2010).
Ebbene la Regione adegua la propria normativa (LRV 10/999) al Dlgs. 128/2010 (Dlgs. 152/2006) con DGRV n. 1539 del 27.9.2011.
Il testo riformato del Dlgs. 152/2006 (art. 35 comma 1) prevede che le Regioni, laddove necessario ADEGUANO il proprio ordinamento alle disposizioni del Dlgs. 152/2006 entro 12 mesi dall’entrata in vigore (ovvero entro il 28.8.2011).
In mancanza di norme vigenti regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al Dlgs. 152/2006 (come riformato).
Continua l’art. 35 al comma 2: Trascorso il termine di cui al comma 1 (28.8.2011) trovano diretta applicazione le disposizioni del presente decreto, ovvero le disposizioni regionali IN QUANTO COMPATIBILI.
Il legislatore Statale dunque affida alle Regioni il solo potere di adeguamento e di compatibilità .
Ne discende che eventuali norme “innovative” delle Regioni – non compatibili con il dettato Statale – non possono essere prese in considerazione.
Vero è che l’intervento della Regione di adeguamento, che sembra essere anche tardivo rispetto alla data del 28.8.2011, avviene tramite una DGRV (Delibera di Giunta 1539/2011 del 27.9.2011 in BURV n. 76 dell’11.10.2011)
La lettura della DGRV deve essere considerata una sorta di Linea Guida (priva di valore  modificativo sia a livello di legge regionale che Statale)…la DGRV  secondo la gerarchia delle fonti, non può modificare un atto legislativo (anche Regionale).
L’intento della Delibera di Giunta è apprezzabile perché cerca di indicare ciò che resta della Legge Regionale.
Tuttavia non bisogna dimenticare che il dettato Regionale non è legge (tantomeno tramtite DGRV) e dunque eventuali indicazioni che permettano il permanere di disposizioni incompatibili con il dettato Statale …. sono sempre contestabili e non applicabili.
Lo Studio Legale  Ambiente offre in allegato breve lettura della LRV n. 10/99 oggi vigente a mezzo di prospetto finalizzato alla semplice visione del testo (senza alcun valore ufficiale).
Il testo è tratto dal sito della Regione Veneto.
L.R.V n.10/99

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Bonifiche Siti: Responsabilità degli Enti

Bonifica siti:  responsabilità degli enti
Dlgs. 231/2001 art. 25 undecies – art. 257 Dlgs. 152/2006
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Lo Studio Legale Ambiente prosegue la pubblicazione di  schemi di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001[1] per i reati di cui al Dlgs. 152/2006 in vigore dal 16.8.2011; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
 
         BONIFICA DEI SITI
L’art. 257 Dlgs. 152/2006 (Bonifica dei siti) si articola in 4 commi.
Il primo comma punisce l’inquinamento acque e suolo ( Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee)  in presenza di due presupposti:
1)    il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)
2)    se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti.
In presenza di questi presupposti il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro.
Il Dlgs. 231/2001 art. 25-undecies richiama per intero l’art. 257 comma 1 e ciò fa presumere che la sanzione (in quote) ivi prevista sia estesa anche alla seconda parte del comma 1 che prevede diversa fattispecie relativa alla “…mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242. In questo caso “il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con llammenda da mille euro a ventiseimila euro”.
 
Il secondo comma dell’art. 257 aggrava la pena se l’inquinamento è provocato da sostenze pericolose e “ Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro”.
La pena dell’arresto e dell’ammenda non è alternativa ma si cumula; e ciò rappresenta il maggiore disvalore del comportamento.
 
Ciò che si nota è che non sono previste sanzioni interdittive.
In sintesi:
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Enteex Dlgs. 231/2001 Sanzioni interdittive
art. 257 comma 1 (prima parte)(inquinamento acque e suolo) pena dell’arresto da 6 mesi a 1 annoo
con l’ammenda da 2600 euro a
26000 euro
Fino a 250 quote Non prevista
Art. 257 comma 1 (seconda parte)Omessa Comunicazione ex art. 242 Arresto da3 mesi a 1 anno
o
ammenda  da
1000 euro a
26000 euro
Fino a 250 quote Non prevista
Art. 257comma  2
Inquinamento sostanze pericolose
 
pena dell’arresto da  1 anno a 2 annie
ammenda da
5200 euro a
52000 euro
 
Da 150 a 250 quote  Non prevista

 
 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 



[1] IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela   penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.
 
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Rifiuti: Trasporto rifiuti senza FIR – non è reato?

Art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 – Cass. penale 27.7.2011 n. 29973
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
 
Il caso prende origine dal viaggio senza FIR, di veicoli incidentati destinati alla demolizione. Rifiuti considerati pericolosi.
Il fatto si consumava sotto la vigenza dell’art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 prima della riforma avvenuta  con Dlgs. 205/2010 che modificava l’art. 258 alla luce del SISTRI.
La Cassazione si pone il problema della applicazione del nuovo art. 258, come modificato, in quanto norma più favorevole al reo (favor rei ex art. 2 c.p.).
 
La Corte di Cassazione, dunque con sentenza n. 29773/2011 ritiene depenalizzato il reato di trasporto rifiuti in assenza di formulario o con FIR incompleto proprio in quanto ipotesi illecita non più statuita dal nuovo TUA e come tale più favorevole al reo.

A dire il vero la Sentenza è un po’ confusa in quanto disserta sul punto della applicabilità del nuovo articolo 258 senza però porre a fondamento della decisione tale dissertazione.
La sentenza inoltre non può tenere conto della intervenuta abrogazione del sistema Sistri operata dal DL. 138/2011.
 
La sentenza invero deciderà che il reato non sussiste in quanto i rifiuti trasportati non sono pericolosi e dunque non si pone il problema della applicabilità della pena di cui all’art. 483 c.p..(258) – (oggetto del contendere era l’accertato trasporto di veicoli destinati alla rottamazione, circostanza che il P.M. aveva classificato come trasporto di rifiuti in assenza di formulario. La Cassazione, invece, ha escluso che le automobili fossero rifiuti perché non erano veicoli fuori uso, essendo ancora dotati di targa e potendo essere ancora utilizzati).
 
Vero è che la Cassazione pone attenzione alla novella dell’art. 258.
 
La novella a ben leggere ha modificato la fattispecie legislativa nei suoi elementi costitutivi, cancellando il reato di trasporto di rifiuti in assenza di formulario e sostituendolo con l’illecito di trasporto in assenza di copia cartacea della scheda di movimentazione SISTRI (la cui sanzione è statuita all’art. 260 bis T.U.A., oggi abrogato dal DL 138/2011).
La Dottrina si è già espressa, sollevando la questione affinché il Parlamento prendesse provvedimenti e suggerendo nelle more una soluzione di buon senso:continuare cioè l’applicazione del vecchio Codice Ambientale fintanto che il SISTRI non fosse divenuto operativo.
 
La sentenza dunque ha il merito di porre riflessione sulla applicazione dell’art. 258 comma 4 anche alle fattispecie contestate precedentemente alla entrata in vigore della nuova formulazione dlel’art. 258 (25.12.2010).
 
 
 
 

ART. 258 COMMA 4 vigente fino al 24/12/2010 ART. 258 COMMA 4 
vigente al 25/12/2010
Chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il formulano di cui all’articolo 193ovvero indica nel formulano stesso dati incompleti o inesatti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi. 
….
Le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI) di cui all’articolo 188-bis, comma 2, lettera a), ed effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto

 

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Acque: art. 137 Dlgs. 152/2006 e Dlgs. 231/2001

Schema dell’art. 137
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
Lo Studio Legale Ambiente propone primo schema di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001 e i reati di cui al Dlgs. 152/2006; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
L’intento in questa prima fase è di fornire una analisi semplicemente descrittiva.
 
IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela  penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.
 
Il Decreto ha inserito l’art. 25 undecies al Dlgs. 231/2001 dedicandosi ai “reati ambientali”.
Ciò significa che l’Ente (Società) risponderà in “via amministrativa” dei reati ambientali commessi dai soggetti di cui all’art. 5 del Dlgs. 231/2001 e nei modi e limiti ivi descritti.
Il Decreto impone molte novità anche applicative e una nuova gestione organizzativa.
 
L’art. 25 undecies prevede, con riferimento all’art. 137 Dlgs. 152/2006 (acque industriali), la responsabilità anche dell’Ente (società).
 
In particolare, l’art. 25 undecies comma 2 lettera a) n. 1 considera le seguenti fattispecie di reato:
1) art. 137 comma 3: “Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l’arresto fino a due anni.
2) Art. 137 comma 5, primo periodo: Chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla Parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5 alla Parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o dalle Province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro.
3)             Art. 137 comma 13: Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purché in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente

In sintesi:
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Ente
ex Dlgs. 231/2001
art. 137 comma 3
 
l’arresto fino a due anni 150 a 200 quote
137 co.5 primo periodo l’arresto fino a due anni
e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro.
 
150/200 quote
137 co. 13 dell’arresto da due mesi a due anni 150/200 quote

 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 
Il secondo blocco di reati è previsto dall’art. 25 undecies Dlgs. 231/2001 comma 2 lettera a) n. 2 e si distingue per un maggiore rigore sanzionatorio laddove prevede:
1)    quote maggiori a carico delle Società (da 200 a 300 quote);
2)    l’applicazione di sanzioni interdittive descritte dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 quali
a) interdizione dall’esercizio dell’attività;
b) sospensione  o revoca della autorizzazione, licenze, o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni e servizi.
 
In particolare:
 
1) art. 137 comma 2: Quando le condotte descritte al comma 1 (ovvero 1. Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata…), riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena è dell’arresto da tre mesi a tre anni.
2)    Art. 137 comma 5 secondo periodo: Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro
3)    Art. 137 comma 11:  Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 (Scarichi sul suolo) e 104 (Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee) è punito con l’arresto sino a tre anni.
 
In sintesi
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Ente
ex Dlgs. 231/2001
Art. 25 undecies comma 7
art. 137 co. 2
 
dell’arresto da tre mesi a tre anni.
 
200 a 300 quote  
 
 
Si applicano le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 per una durata non superiore a 6 mesi.
137 co. 5 secondo periodo l’arresto da sei mesi a tre anni
e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro
200 a 300 quote
137 co. 11 l’arresto sino a tre anni. 200 a 300  quote
adminAcque: art. 137 Dlgs. 152/2006 e Dlgs. 231/2001
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Sistri: Nulla rimane? Abrogazione Sistri

a cura di avv. Cinzia Silvestri


 
 
 
Con un colpo di spugna, silente, il Sistri scompare dai nostri pensieri.
Un sistema complesso, colmo di difetti, incapace da tempo di giungere alla definizione perchè mal pensato e poco raggiungibile ai più.
Eppure il Sistri ha avuto un grande pregio: avvicinare una grande parte di popolazione al problema rifiuti. Pochi conoscono le problematiche ambientali e  la loro complessità ma la parola Sistri ormai era divenuta nota a tutti coloro che producono…rifiuti. E non è poco.
 
Ebbene: Con DECRETO-LEGGE 13 agosto 2011, n. 138  (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. (11G0185) (GU n.188 del 13-8-2011 ) entrato in vigore il 13/08/2011 l’art. 6 comma 2 :…..ABROGA il Sistri.
Certo è un Decreto Legge in attesa di conversione e tutto può ancora succedere.
In ogni caso rileva il coraggio della scrittura che cancella un ammasso di norme e di scritti nonchè la inutile fatica di molti giuristi che si sono districati tra le incomprensibili norme spesso contrastanti, non armoniche, oscure nella forma anche letterale, cercando di porre chiarezza e conoscenza ad un sistema…. chiaro solo alle menti creative che lo hanno fatto nascere.
 
Ebbene con decreto legge già in vigore dal 13.8.2011 il Governo ha abrogato:
1) l’articolo 14-bis del decreto-legge 1°  luglio  2009,  n.  78,convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102; ovvero l’articolo madre del Sistri; l’articolo che ha segnato l’inizio di questa avventura costosae quasi inutile.
2) il comma 2, lettera a), dell’articolo  188-bis: ovvero l’articolo che poneva nel Codice ambientale Dlgs. N. 152/2006 il Sistri;  richiamo che attribuiva al Sistri nuovo rango e importanza: “a) nel rispetto degli obblighi istituiti attraverso  il  sistema di controllo  della  tracciabilita’  dei   rifiuti   (SISTRI) di  cui all’articolo 14-bis  del decreto-legge  1°   luglio   2009,   n.78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.  102,  e al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 dicembre 2009;”
3) l’articolo 188-ter, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152  e  successive modificazioni; ovvero l’articolo che elencava i numerosi soggetti tenuti alla iscrizione al Sistri; soggetti obbligati e non obbligati anche a pagare il contribuito.
Che ne sarà di questo contributo?
4) l’articolo 260-bis del decreto legislativo 3 aprile  2006, n. 152/2006 e successive modificazioni; cancellato l’articolo più impegnativo ovvero la sanzione Sistri per eccellenza, frutto di nuova codificazione ed intitolato proprio al Sistrema di tracciabilità dei rifiuti.
5) il  comma  1,  lettera  b),  dell’articolo  16  del   decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205; articolo che introduceva nel codice ambientale proprio gli articoli 188 bis e 188ter dedicati e creati per il Sistri; dedicati ad individuare i soggetti tenuti al Sistri e le loro responsabilità.
6) l’articolo 36, del decreto legislativo  3  dicembre  2010,  n. 205 limitatamente al capoverso «articolo 260-bis»; dunque rimane vigente l’art. 260 ter, relativo alle sanzioni accessorie? Ripete il Governo la abrogazione dell’art. 260 bis ma precisa ..solo dell’art. 260 bis.
7) il decreto del  Ministro  dell’ambiente  e  della  tutela  del territorio  e  del  mare  in  data  17  dicembre  2009 e  successive modificazioni; il Governo va alla fonte e abroga il decreto ministeriale origine  di tutto. Decreto recepito ed elevato a rango primario dal Dlgs. 205/2010 dall’art. 188 comma 2 lettera a) (di cui sopra).
8) il decreto del Ministero  dell’ambiente  e  della  tutela  del territorio  e del mare, 18 febbraio 2011 n. 52; ed ancora perchè sia chiaro il Governo abroga l’ultimo decreto Sistri.
 
Ed infine al comma 3 dell’art. 6 il Governo precisa:
Resta ferma l’applicabilita’ delle altre  norme  in  materia  di gestione dei rifiuti; in particolare, ai sensi dell’articolo 188-bis, comma 2, lettera b), del decreto  legislativo  n.  152  del  2006,  i relativi adempimenti possono essere  effettuati  nel  rispetto  degli obblighi relativi alla  tenuta  dei  registri  di  carico  e  scarico nonche’ del formulario di identificazione di cui agli articoli 190  e 193  del  decreto  legislativo  n.  152   del  2006   e   successive modificazioni.
 
Sembra un ritorno al passato ma non lo è.
 
I Decreti del Ministero dell’ambiente sul Sistri erano già confluiti nel Dlgs. 152/2006 ovvero nel codice ambientale che ha subito forti cesure da questo decreto .
Con chiarezza questo decreto ha espunto la normativa di richiamo Sistri, l’art. 260  bis (ma non il 260 ter), l’art. 188 bis e 188ter .
Non è il caso di commentare ciò che resta perchè l’imprevedibilità del legislatore italiano impone cautela e l’attesa della legge di conversione.
Ad oggi basti sapere che il sistema Sistri si è arenato, fermato …. sospeso.

adminSistri: Nulla rimane? Abrogazione Sistri
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Chi risponde del reato ambientale?

Cassazione pen. 1169/2011 – art. 256 comma 1 lett. a) Dlgs. 152/2006
Principio di corresponsabilità

A cura di avvocato Cinzia Silvestri

Il Tribunale di Lucera (Apricena) condannava il responsabile e socio accomandatario di una s.a.s., nella sua qualità, per il reato di cui all’art. 256 comma 1 lett. a) del Dlgs. 152/2006 in quanto“effettuava raccolta, smaltimento stoccaggio di rifiuti speciali non pericolosi misti provenienti da attività di rifacimento del manto stradale, contenenti scarti di cemento, bitume catramato e terriccio … in mancanza della prescritta autorizzazione….”.
Si badi che l’effettiva attività veniva compiuta da suo dipendente.
 
Il Tribunale invero attribuiva la responsabilità al socio accomandatario in quanto “l’attività medesima era riconducibile al prevenuto e non risultando provato che nell’ambito aziendale vi fosse stata una delega ad altri soggetti….”
 
Il Socio accomandatario impugnava la sentenza del Tribunale in quanto la condanna risulta fondata solo “sulla sua qualità di amministratore della s.a.s. non potendo essergli rimproverato alcun comportamento riconducibile all’illecito”.
 
La sentenza della Cassazione ha confermato la responsabilità del socio accomandatario richiamando il principio di corresponsabilita’ o responsabilità condivisa; principio già presente nel Dlgs. 22/97 agli articoli art. 2 e 10 poi trasfuso negli articoli 178 comma 3 e 188 Dlgs. 152/2006 ed oggi presente, secondo tale sentenza, negli articoli 178 comma 1 e 188 comma 1 Dlgs. 152/2006 come riformato dal Dlgs. 205/2010).
 
Il principio di corresponsabilità ha carattere estensivo della responsabilità; e ciò nel senso che estende la punibilità anche a soggetti che pur non avendo commesso o contribuito a commettere il fatto restano legati all’illecito.
L’esigenza di questa estensione risiede nella particolare delicatezza del sistema ambiente e nella necessità di attuare una catena di controlli pressante tra i vari soggetti uniti dalla filiera.
Il principio di corresponsabilità si è ben espresso, ed è stato accettato anche nella sua applicazione, che sconfina nella responsabilità oggettiva, proprio nel viaggio del rifiuto e nel sistema cartaceo che individua la filiera di soggetti (produttore, trasportatore, destinatario).
La Cassazione però non precisa che tale sistema confligge con il principio della responsabilità personale; principio dogma del sistema penale.
Nessuno può essere punito se non abbia operato con colpevolezza (dolo/colpa).
Non si può attribuire una responsabilità tanto più penale in forza solo di una qualifica ricoperta, mansione o altro laddove non esista e non sia provata una precisa responsabilità del soggetto agente.
Per lungo tempo la giurisprudenza penale ha rifiutato l’applicazione del principio di corresponsabilità alle fattispecie penali in quanto sconfinava nella responsabilità oggettiva.
Attribuire una responsabilità solo in quanto collegato dalla filiera/viaggio/rifiuto configura una oggettiva responsabilità invisa al sistema penale della responsabilità personale e colpevole.
 
Ebbene, la sentenza in commento sembra recuperare quel filone giurisprudenziale che invece riteneva possibile tale applicazione.
Appare tuttavia un po’ frettolosa la conclusione che anche il TUA ambientale – riformato dal Dlgs. 205/2010 che ha completamente riformulato sia l’art. 178 che l’art. 188 –ribadisca per esteso tale corresponsabilità.
 
Vero è che la Cassazione, pur richiamando il principio di corresponsabilità, cita poi sentenze e ne richiama il contenuto, che imputano responsabilità non certo in via oggettiva ma in quanto riconoscono esistere un comportamento omissivo per violazione dei doveri di diligenza (Cass. pen. 47432/2003);  omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta di abbandono (Cass. pen. 2473/2007).
 
Conclude dunque la Cassazione che il socio accomandatario è responsabile in quanto “ non risultando …. avesse delegato ad altri ogni responsabilità in relazione allo svolgimento di quell’attività non avesse adottato tutte le misure necessarie per evitare l’illecito di cui alla contestazione …”.
 
A dire il vero la conclusione di responsabilità della Corte sembra ben lontana dalla applicazione del principio di corresponsabilità ed anzi si allinea, nel concreto, alla necessaria valutazione di responsabilità sotto il  profilo soggettivo ed in relazione al caso in esame.
La sentenza dunque desta qualche perplessità e  qualche ragionevole dubbio nel suo percorso logico ….
 

adminChi risponde del reato ambientale?
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Reati ambientali – Responsabilità delle imprese

(Dlgs. n. 231/01)
Approvato schema di Decreto Legislativo che estende la responsabilità delle  imprese ai reati ambientali.

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


 
In data 7 aprile 2011, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, schema di Dlgs che estende la responsabilità amministrativa delle imprese (prevista dal decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231) agli illeciti commessi in violazione delle norme a protezione dell’ambiente.
 
Il provvedimento recepisce la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonchè la direttiva 2009/123/CE, che modifica la direttiva 2005/35/CE, relativa all’inquinamento provocato dalle navi.
 
Si ricorda che la previsione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie ed interdittive alle società per la commissione di reati ambientali ; e ciò a prescindere dalla responsabilità effettiva della pesrona fisica che ha causato il reato. Il legame tra persona fisica e persona giuridica resta delicato.
 
NUOVI REATI
Si ipotizza la formulazione di nuovi reati in misura molto ridotta rispetto alle precedenti proposte.
In particolare vengono introdotte due nuove fattispecie di reato nel codice penale:
1)   art. 727bis c.p.: sanziona la condotta di chi uccide, distrugge, preleva o possiede, fuori dai casi consentiti, esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette
2)   art. 733 bis (danneggiamento di habitat) sanziona chi distrugge o comunque deteriora in modo significativo un habitat all’interno di un sito protetto.
 
Viene esteso, inoltre, il campo di applicazione del decreto 231/2001 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche” che ha introdotto nel nostro ordinamento il concetto di responsabilità dell’impresa per reati commessi da propri dipendenti. Inizialmente circoscritto agli illeciti commessi nei rapporti tra aziende ed amministrazione pubblica, il provvedimento è stato poi esteso successivamente ai reati societari, finanziari e di sicurezza sul lavoro fino a ricomprendere, con lo schema di Dlgs in oggetto, i reati ambientali.
 
Il provvedimento, che passerà ora all’esame del parlamento, conferma il sistema sanzionatorio articolato in misure pecuniarie per quote modulari lasciando al giudice la possibilità di valutare la reale gravità della condotta (ogni quota va da un minimo di 258 euro a un massimo di 1549 euro).
 
PARTE II – AIA
Anche la violazione dell’art. 29 – quattordecies il legislatore prevede la responsabilità dell’ente con la sanzione pecuniaria fino a 250 quote.
 
PARTE IV RIFIUTI
Per quanto riguarda in particolare la Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicanoall’ente le sanzioni pecuniarie per i reati di cui:
–      articolo 256 “Attività di gestione di rifiuti non autorizzata”,
–      articolo 257 “Bonifica dei siti”,
–      articolo 258 “Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari”,
–      articolo 259 “Traffico illecito di rifiuti”,
–      articolo 260 “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”
–      articolo 260-bis “Sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti – Sistri”.
 
SANZIONI INTERDITTIVE
A completare l’intero panorama ci sono le sanzioni interdittive che si affiancano alle quote stabilendo misure possibili, in via preventiva, che possono arrivare sino al commissariamento dell’ente, alla sospensione della sua attività oppure al divieto di pubblicità ed alla revoca delle autorizzazioni o licenze. L’interdizione può essere definitiva se l’ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
 
L’introduzione della responsabilità da reato delle persone giuridiche anche per i reati ambientali
porrà alle imprese (quelle che valuteranno il rischio rappresentato dalla possibile realizzazione, durante la propria attività imprenditoriale, di uno dei reati introdotti dal decreto legislativo) l’onere di implementazione del proprio modello organizzativo, che dovrà essere idoneo alla prevenzione dell’evento vietato. Il modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, può essere inteso come il complesso delle regole interne dell’ente previste per lo svolgimento delle attività “sensibili” (nelle quali sia astrattamente ravvisabile un rischio reato) e per le funzioni di organizzazione e controllo specificatamente previste da quest’ultima normativa (costituzione e funzionamento dell’organismo di vigilanza, e quant’altro previsto negli artt. 6 e 7, D.Lgs. n. 231/2001).
 
Si ricorda che:

  • sul piano normativo, è la qualità del modello che viene ad assumere un aspetto rilevante; infatti, l’esonero di responsabilità per le persone giuridiche è espressamente collegato alla previa «adozione ed efficace attuazione» di modelli organizzativi idonei a evitare reati della specie di quello verificatosi;
  • sul piano contenutistico, è prioritaria, in ordine razionale, l’esigenza di individuare i profili di rischio reato attraverso un’attività di risk assessment.

 

adminReati ambientali – Responsabilità delle imprese
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AIA: Direttiva 2010/75/UE

Focus “Modifica sostanziale”  e Gestore
 
A cura di avvocato Cinzia Silvestri
in occasione di convegno[1] AIA tenutosi a Padova il 7.4.2011


 
 
La normativa AIA trova collocazione nel codice ambientale (Dlgs. n. 152/2006) dal 25.8.2010 grazie al Dlgs. n. 128/2010 che ha provveduto a inserire gli articoli 29 bis e ss. nella parte II del Codice.
Il Dlgs. n. 59/05 è stato espressamente abrogato ma rivive con integrazioni e modifiche nel testo del Codice ambientale.
 
Vero è che questa collocazione normativa, dettata dalla esigenza di armonizzare VIA-Vas-AIA, subirà a breve ulteriore integrazione dalla nuova Direttiva 2010/75/UE.
La direttiva 2010/75/UE è testo corposo e complesso che riunisce, con intento di chiarire e coordinare, ben 7 direttive tra le quali anche la Direttiva 2008/1/CE (direttiva AIA, definita di mera codificazione, che ha dato impulso al Dlgs. 128/2010 e recepita nel Dlgs. 152/2006).
 
E’ utile, dunque, fornire qualche indicazione sulla evoluzione subita da alcune definizioni contenute nell’ art. 2 del Dlgs. 59/2005 alla luce anche della direttiva 2010/75/UE che segna il passo futuro. La direttiva 2010/75/UE riporta nel testo delle definizioni sotto commentate l’oggetto esteso della sua applicazione anche
a) impianto di combustione,
b)  impianto di incenerimento dei rifiuti ;
c) impianto di coincenerimento dei rifiuti.
 
MODIFICA SOSTANZIALE
Pare d’obbligo soffermarsi sulla definizione di “modifica sostanziale” che impone il procedimento AIA; ma anche sulla definizione di “Gestore” che individua il soggetto tenuto agli adempimenti, pagamenti, ed anche soggetto alle sanzioni di cui all’art. 29 quattordecies Dlgs. 152/2006.
 
La modifica sostanziale comporta la necessità della procedura di AIA (ex art. 6 comma 13,14,15 Dlgs. 152/2006).
La nuova formulazione ha il pregio di estendere l’oggetto della modifica sostanziale non solo all’impianto ma anche al progetto e opera; inoltre precisa il contenuto della modifica sostanziale (presente anche nel testo della Direttiva 2010/75) ponendo l’accento alla variazione delle:
a) caratteristiche;
b) funzionamento;
c) potenziamento.
Si nota che compare nel testo anche la parola “infrastruttura” che va a completare l’oggetto della modifica sostanziale.
Espunto il riferimento al PARERE MOTIVATO dell’autorità competente per acquisire il termine più sfumato e meno impegnativo “secondo l’autorità competente”.
La modifica sostanziale acquisisce rilevanza laddove produce effetti negativi e significativi si badi solo SULL’AMBIENTE; il testo ha espunto il riferimento agli esseri umani .
L’inciso è importante invece con riferimento alla lettura della Direttiva 2010/75/UE  che  richiama espressamente non solo l’ambiente MA ANCHE LA SALUTE UMANA.
Tali riferimenti ricadranno sulla normativa futura in tema di AIA quanto il nostro legislatore sarà chiamato (entro il gennaio 2014) a recepire la Direttiva 2010/75/UE
 
 

Dlgs. 59/05 art. 2 Dlgs. 152/2006 art. 5 
Vigente dal 25/8/2010
Direttiva 2010/75/UE
n) modifica sostanziale: una modifica dell’impiantoche, 
 
 
 
 
 
 
 
secondo un parere motivato dell’autorità competente,potrebbe avere effetti negativi e significativi per gliesseri umani o per l’ambiente.
 
 
 
 
In particolare,
 
 
per ciascuna attività per la quale l’allegato I indica valori di soglia, è sostanziale una modifica che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa;
l-bis) modifica sostanziale di un progetto, opera o di un impianto: 
la variazione delle caratteristiche o delfunzionamento ovvero un potenziamentodell’impianto, dell’opera o dell’infrastruttura o del progetto che,
secondo l’autorità competente,
producano effetti negativi e significativi sull’ambiente.
 
 
 
 
 
In particolare, con riferimento alla disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale, per ciascuna attività per la quale l’allegato VIII indica valori di soglia, è sostanziale una modifica che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa;”;
9) “modifica sostanziale“, una modifica delle 
 
caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento di un’installazione o di un impianto di combustione, di un impianto di incenerimento dei rifiuti o di un impianto di coincenerimento dei rifiuti che
 
 
 
potrebbe avere effetti negativi e significativi per lasalute umana o per l’ambiente;

 
 
GESTORE
Utile avere chiarezza della evoluzione della definizione del Gestore; soggetto di particolare importanza ma di non facile individuazione soprattutto nelle strutture complesse. Il Gestore, come verrà approfondito in separato articolo, risponde delle sanzioni ovvero degli illeciti amministrativi di cui all’art. 29 quattordecies commi 4,5,6 Dlgs. 152/2006.
Si precisa che la “detenzione” non coincide con l’istituto giuridico civilistico che impone il rapporto tra possesso/detenzione ma è una forma lata che richiama qualsiasi rapporto materiale con la cosa/impianto.
Di fatto nella formulazione odierna quando il legislatore si riferisce al Gestore intende:
1)   colui che detiene
2)   colui che gestisce
3)   colui che ha un potere economico determinante sull’esercizio tecnico dell’impianto stesso.
Tale ultima definizione richiama alla memoria la delega di responsabilità ma non deve essere confusa con questo istituto in quanto si pone su piano giuridico diverso.
In realtà il legislatore allarga le maglie della responsabilità e del soggetto responsabile attribuendo specifica competenza a colui che economicamente può intervenire sull’impianto.
Certamente colui che ha questo potere deve essere anche soggetto di particolare rilevanza in seno alla Società ma non necessariamente un soggetto delegato.
L’inciso è presente anche nella Direttiva 2010/75/UE.
 
 

Dlgs. 59/05 art. 2 Dlgs. 152/2006 art. 5 
Vigente dal 25/8/2010
Direttiva 2010/75/UE
p) gestore: qualsiasi persona fisica o giuridica che 
detiene o
gestisce l’impianto;
r-bis) gestore: qualsiasi persona fisica o giuridica che 
detiene o
gestisce l’impianto oppure che
 
 
dispone di un potere economico determinante sull’esercizio tecnico dell’impianto stesso;”.
5) “gestore”, qualsiasi persona fisica o giuridica che 
detiene o
gestisce, nella sua totalità o in parte, l’installazione o l’impianto di combustione, l’impianto di incenerimento dei rifiuti o l’impianto di coincenerimento dei rifiuti oppure, se previsto dalla normativa nazionale,dispone di un potere economico determinante sull’esercizio tecnico dei medesimi;

 


[1] Le diapositive del convegno saranno pubblicate sul sito www.studiolegaleambiente.it

 

adminAIA: Direttiva 2010/75/UE
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Terreni agricoli ed energia

Firmato dal presidente della Repubblica il Dlgs sulle energie rinnovabili

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


E’ stato firmato dal Presidente della Repubblica il Dlgs sulle energie rinnovabili ed ora si attende solo la imminente pubblicazione (Consiglio dei Ministri del 3 marzo 2011 ha approvato in via definitiva D.Lgs recante “Attuazione della Direttiva 2009/28/CE del parlamento europeo e del consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”).
 
Rispetto alla versione approvata in via preliminare il 30 novembre 2010  il testo presenta numerosi cambiamenti.
 
Viene confermata la soglia di 5 MegaWatt che distingue i due sistemi incentivanti validi per gli impianti rinnovabili che entreranno in esercizio dopo il 31 dicembre 2012:
–       < 5 MW sistema d’incentivazione del feed in tariff (incentivo sull’energia prodotta);
–       > 5 MW previsione di aste al ribasso gestite dalla società GSE S.p.A.
 
Le modalità per l’attuazione dei due nuovi sistemi d’incentivazione restano affidate a un decreto ministeriale che però dovrà essere adottato non più entro 12 mesi ma entro 6 mesi.
 
Tra le modifiche più rilevanti introdotte si evidenzia la disposizione contenuta al comma 9-bis dell’articolo 23 che prevede un limite temporale all’attuale sistema d’incentivazione dell’energia prodotta da impianti fotovoltaici, di cui al D.M. 6 agosto 2010.
 
Nel dettaglio, viene previsto che il regime introdotto dal D.M. 6 agosto 2010 (sistema entrato in vigore a partire dal 1° gennaio 2011) sarà ancora valido solo per gli impianti solari fotovoltaici per i quali l’allacciamento alla rete elettrica avverrà entro il 31 maggio 2011.
 
Un ulteriore decreto ministeriale, da emanare entro il 30 aprile 2011, disciplinerà l’incentivazione degli impianti allacciati alla rete dopo il 31 maggio 2011 sulla base di scaglioni annuali di potenza massima incentivabile e prevedendo la possibilità di differenziare le tariffe sulla base della classificazione urbanistica del lotto da incentivare.
 
Sempre in materia di fotovoltaico, viene rivista la disciplina degli impianti costruiti su terreni agricoli[1]. L’art. 10 comma comma 4, dispone infatti che, dalla data di entrata in vigore del provvedimento, nelle aree agricole saranno agevolati solo gli impianti a terra fino a 1 MW e “nel caso di terreni appartenenti al medesimo proprietario”, gli impianti dovranno essere collocati a una distanza non inferiore ai 2 km. Inoltre per potere usufruire delle agevolazioni non deve essere destinato “all’installazione degli impianti più del 10% della superficie del terreno agricolo nella disponibilità del proponente”. Tali limitazioni, tuttavia, non si applicano ai terreni abbandonati da almeno cinque anni.
 
Un’ulteriore novità riguarda il sistema incentivante dei certificati verdi per il quale, viene prevista una riduzione del 22% (non più del 30%) del prezzo di ritiro dei CV in eccesso per gli anni dal 2011 al 2015.
 
Infine si evidenzia che, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento, saranno definiti con decreto ministeriale gli obiettivi regionali in materia di fonti rinnovabili e le modalità di gestione dei casi di mancato raggiungimento dei target.
 
 
 
 
 
 


[1] Art. 10
(Requisiti e specifiche tecniche)  1. Decorso un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, gli impianti alimentati da fonti rinnovabili accedono agli incentivi statali a condizione che rispettino i requisiti e le specifiche tecniche di cui all’allegato 2. Sono fatte salve le diverse decorrenze indicate nel medesimo allegato 2.  Entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e successivamente con frequenza almeno biennale, UNI e CEI trasmettono al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare una rassegna della vigente normativa tecnica europea, tra cui i marchi di qualità ecologica, le etichette energetiche e gli altri sistemi di riferimento tecnico creati da organismi europei di normalizzazione, applicabili ai componenti, agli impianti e ai sistemi che utilizzano fonti rinnovabili. La rassegna include informazioni sulle norme tecniche in elaborazione. 3. Sulla base della documentazione di cui al comma 2, l’allegato 2 è periodicamente aggiornato con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. La decorrenza dell’efficacia del decreto è stabilita tenendo conto dei tempi necessari all’adeguamento alle norme tecniche con riguardo alle diverse taglie di impianto e non può essere fissata prima di un anno dalla sua pubblicazione. 4. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, l’accesso agli incentivi statali è consentito a condizione che, in aggiunta ai requisiti previsti dall’allegato 2: a) la potenza nominale di ciascun impianto non sia superiore a 1 MW e, nel caso di terreni appartenenti al medesimo proprietario, gli impianti siano collocati ad una distanza non inferiore a 2 chilometri; b) non sia destinato all’installazione degli impianti più del 10 per cento della superficie del terreno agricolo nella disponibilità del proponente.

 

adminTerreni agricoli ed energia
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FANGHI: rifiuti e reato di deposito incontrollato

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati


 
La Corte di Cassazione ,con sentenza resa all’udienza del 12.1.2011, n. 28, ha precisato la portata dell’art. 127 D. Lgs. 152/2006[1] e la disciplina applicabile ai fanghi .
Si precisa che l’art. 127 (modificato dal Dlgs. 4/08) non è stato novellato dal correttivo alla parte III del D. Lgs. 152/06 .
 
La Suprema Corte era stata adita dal Sindaco di un Comune, indagato ex art. 256 comma 2 D. Lgs. 152/2006 (deposito incontrollato di rifiuti) perché la Procura aveva accertato la presenza di cumuli di fanghi essiccati di vegetazione spontanea all’interno dell’impianto di depurazione di acque reflue comunale .
 
L’impianto era stato oggetto di sequestro preventivo, contro il quale il Sindaco aveva presentato prima istanza di riesame e, stante il rigetto della stessa, aveva poi adito la Corte.
 
Il sindaco si difendeva allegando di essere provvisto della autorizzazione per lo smaltimento e lo scarico delle acque reflue, procedimento che di fatto “inglobava lo stoccaggio dei fanghi, che non erano altro che il prodotto della prima fase di smaltimento”.
 
Ebbene con sentenza n. 28/2011 la Cassazione accoglie il ricorso e dichiara la “carenza assoluta e radicale della motivazione dell’ordinanza” resa dal Tribunale di Riesame, che aveva rigettato l’opposizione del Sindaco. Il Tribunale invero riteneva sussistere il reato di deposito incontrollato dalla mera presenza dei fanghi; presenza di per sé bastevole, a detta del Tribunale, a dimostrare il fumus del reato contestato (cioè la fondata probabilità dei presupposti per una condanna).
 
I Giudici della Suprema Corte ritengono, invece, non sufficiente per integrare il reato di deposito incontrollato la mera presenza dei fanghi; richiedono  effettiva indagine in relazione alla natura ed alla provenienza dei fanghi, in quanto “i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”.
Continua la Cassazione evidenziando che il Tribunale di riesame non ha accertato se i fanghi ritrovati nelle vasche annesse ai depuratori fossero proprio quelli esitati al termine del processo di trattamento della acque reflue


[1] Art. 127 D. Lgs. 152/2006 Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue
 
1. Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato (1).
2. È vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre.

 

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Acque – Regolamento/qualità

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il regolamento recante i criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
 
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 30 del 7-2-2011 – Suppl. Ordinario n.31, il Decreto 8 novembre 2010, n. 260, con il quale viene introdotto nell’ordinamento il regolamento recante i criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei.
 
Il provvedimento entrerà in vigore il 22 febbraio 2011 ed andrà a modificare le norme tecniche della Parte III al Dlgs. n. 152/2006 in materia di tutela delle acque dall’inquinamento.
 
In particolare, l’allegato 1 “Monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale” alla Parte III, viene integralmente sostituito con il nuovo allegato I presente nel decreto.
 
Le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano dovranno aggiornare almeno una volta, nell’arco temporale coperto dal proprio Piano di Gestione, le informazioni relative ai dati di monitoraggio dei corsi d’acqua, elencate nell’allegato II.
 
Fatto salvo quanto stabilito dagli allegati al decreto, l’ISPRA potrà predisporre un manuale per la raccolta delle metodiche di riferimento da utilizzare per la classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici e mette a disposizione sul Sistema informativo nazionale per la tutela delle acque italiane (SINTAI) le liste tassonomiche e gli eventuali aggiornamenti cui far riferimento per gli elementi di qualità biologica.
 

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Acque di lavaggio uva/Acque reflue industriali

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
 
L’acqua di lavaggio dell’uva come l’acqua reflua da mollitura delle olive deve avere autorizzazione allo scarico di acque industriali; in difetto l’attività può essere sanzionata ex art. 137 Dlgs. 152/2006.
 
La Corte di Cassazione assimila i due casi e definisce le acque reflue industriali in tutto ciò che …non costituisce acque reflue domestiche ed assimilate.
 
La Corte applica ancora il pregresso articolo 59 del testo ormai abrogato ma non per questo la decisione ha perduto attualità laddove si riferisce alla questione relativa alla individuazione delle acque industriali.
La sentenza richiama infatti l’art. 74 del Dlgs. n. 152/2006 anziché il previgente art. 2 Dlgs. 152/99.
Vero è che nel tempo la definizione di acqua reflua industriale, nella versione successiva al Dlgs. 4/2008, non ha subito modifiche e dunque può giustificarsi il refuso ed il richiamo di articoli che si sono succeduti nel tempo.
 
Ebbene.
Il gestore di una cantina, sanzionato ex art. 59 D. Lgs. 152/99 (137 D. Lgs. 152/06) “per aver effettuato il lavaggio delle cassette di uva durante la vendemmia e fatto defluire l’acque di lavaggio in un canalone per la raccolta delle acque piovane” senza autorizzazione, promuove gravame avverso la sentenza che attesta la legittimità dell’ordinanza ingiunzione elevata a suo carico,
 
La difesa del ricorrente si basava sulla differenza tra lo scarico di acque ed il lavaggio con acque, poiché solo il primo era il risultato di un ciclo produttivo industriale.
 
Con sentenza n. 2048[1] del 24.01.2011(udienza 15.12.2010), la Cassazione Penale ha però rigettato le doglianze mosse, sostenendo che la sanzione ex art. 59 D. Lgs. 152/99 ricorre “tutte le volte in cui vi sia immissione nella pubblica fognatura di acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche”, confermando l’orientamento già espresso con sentenza n. 35138 del 18.6.2009.
 
Secondo la Corte rientrano nell’art. 74 comma 1 lett. h)[2] D. Lgs. 152/2006 tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive, in quanto detti reflui non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue, come definite dalla lettera g)[3] del medesimo articolo di legge (Cass. Pen. n. 12865 del , 5.2.2009).


[1] Sentenza tratta da sito “www.lexambiente.it”
[2] Art. 74 comma 1 lett. h) TUA: “acque reflue industriali“: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attivita’ commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque eflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento
 
[3] Art. 74 comma 1 lett. g) TUA: “acque reflue domestiche”: acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche

 

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