Contratto assicurativo e sanzioni amministrative

Contratto assicurativo e sanzioni amministrative

Studio Legale Ambiente e Ambientale - avv. Cinzia SilvestriContratto assicurativo e sanzioni amministrative

Cass. civ. 28967/2025

segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – avv. Cinzia Silvestri


Copertura assicurativa e sanzioni amministrative, questo è il problema.

La sentenza della cassazione richiama uno specifico riferimento normativo dell’articolo 12 del decreto legislativo 209 del 2005 in riferimento ad una sanzione amministrativa irrogata dalla Consob. La cassazione è precisa nell’affermare che è esclusa la possibilità di trasferire l’onere della sanzione amministrativa su altri soggetti anche con polizza proprio perché questo andrebbe a togliere la deterrenza della sanzione amministrativa. Nel caso in esame esiste disposizione legislativa in merito. Ci si chiede se anche nel campo delle sanzioni amministrative ambientali possa valere il medesimo principio.

La sentenza così si esprime sul punto:

4.1. La gravata sentenza ha considerato sinistro indennizzabile la sanzione amministrativa irrogata da Consob al A.A. per atti compiuti quale membro del Consiglio di amministrazione della banca vicentina, sul rilievo che l’art. 2.25. della polizza escludesse dalla copertura assicurativa le sanzioni penali pecuniarie, non quelle amministrative.

L’argomentazione non è conforme a diritto.

A mente dell’art. 12 del D.Lgs. n. 209 del 2005, “sono vietate… le assicurazioni che hanno per oggetto il trasferimento del rischio di pagamento delle sanzioni amministrative”.

La ratio della norma risiede nell’esigenza di preservare la funzione sanzionatoria-deterrente del provvedimento amministrativo, altrimenti vanificata da un contratto con il quale l’onere economico della sanzione venga trasferito su un soggetto diverso dall’autore dell’illecito.

La comminatoria di nullità dei contratti stipulati in violazione del divieto espressamente prevista dall’art. 12 in questione rappresenta, invero, specifica applicazione, nella settoriale materia disciplinata, della generale nullità per causa illecita contemplata dall’art. 1418 cod. civ.: sicché essa colpisce ogni negozio che realizzi il risultato proibito, ivi incluso un accordo di manleva che sollevi il manlevato dall’applicazione a suo carico di sanzioni amministrative.

Ha dunque errato il giudice territoriale nel ritenere la validità della manleva rilasciata da Cattolica al A.A. relativa alla sanzione Consob: né ad una diversa conclusione induce la posteriorità di detta manleva rispetto alla commissione dell’illecito amministrativo, dacché l’effetto prodotto risulta comunque quello (contrario alla norma imperativa) di neutralizzare per l’autore la sanzione irrogata.

Va, in conclusione, enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di contratti assicurativi, è nullo ogni accordo (ancorché concluso dopo la commissione dell’illecito) che determini il trasferimento dell’onere economico del pagamento di una sanzione amministrativa su un soggetto diverso dall’autore dell’illecito”.

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DECRETO TERRA DEI FUOCHI: è LEGGE

DECRETO TERRA DEI FUOCHI: è LEGGE

terra dei fuochiDECRETO TERRA DEI FUOCHI: è LEGGE

DL 116/2025 convertito in legge n. 147/2025 – vigente dal 8.10.2025

segnalazione cura StudioLegaleAmbiente – avv. Cinzia Silvestri


Cambiano le cose. E’ stato convertito in legge il DL 116/2025 e molti comportamenti che erano puntiti con sanzione amministrativa o contravvenzione penale diventano DELITTI. Il passaggio è significativo ed il luogo ideale di questi delitti dovrebbe essere il codice penale non il d.lgs. 152/2006.

Questo sito ha dedicato qualche articolo preliminare utile a comprendere il passaggio a sanzioni più pesanti e che trasportano l’illecito in un mondo che ha regole diverse .

Si riporta quanto pubblicato sul sito SNPA in relazione al primo ARRESTO ATTUATO a seguito della riforma per illecito ambientale 

Si pubblica l’intero testo della Legge 147/2025 che ha modificato il DL 116/2025 ed è vigente dal 8.10.2025. Leggi Legge n. 147/2025 terra dei Fuochi 

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SOSPENSIONE – LAVORO “IRREGOLARE”

SOSPENSIONE – LAVORO “IRREGOLARE”

lavoro irregolareSOSPENSIONE – LAVORO IRREGOLARE

ART. 14 comma 1 DLGS. 81/2008 (1)

Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Poniamo il caso che personale agente della ULSS, su segnalazione di un privato, effettui un sopralluogo a sorpresa presso una attività e ravvisi la mancanza di alcune norme relative alla sicurezza del lavoro ed anche la presenza di presunti lavoratori irregolari.

Si precisa che “Il lavoratore “in nero” è quel lavoratore impiegato senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro al Centro per l’impiego ovvero previa comunicazione ad altri Enti come richiesto dalla specifica tipologia contrattuale” Cons. Stato 7383/2023.

In questo caso è bene conoscere l’art. 14 Dlgs. 81/2008 e le sanzioni che ne possono discendere. La disamina non comprende la questione indicata nel comma 1 dei lavoratori autonomi occasionali e si concentra sulla violazione di norme sulla sicurezza e sui lavoratori irregolari; eventi che portano alla sospensione dell’attività.

L’art. 14 Dlgs. 81/2008 al comma 1 prevede:

  1. “..Ferme restando le attribuzioni previste dagliarticoli 20 e 21 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758..”: l’autorità può imporre delle prescrizioni all’azienda e determinare una sanzione da pagare oltre a verificare l’adempimento delle prescrizioni. È il meccanismo poi importato in materia ambientale ex art. 318bis Dlgs. 152/2006……..Continua lettura articolo su disamina art. 14 comma 1 d.lgs. 81/2008
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AMBIENTE: ESCLUSA TENUITA’ DEL FATTO

AMBIENTE: ESCLUSA TENUITA’ DEL FATTO

nuovi reati ambientaliAMBIENTE: ESCLUSA TENUITA’ DEL FATTO

Decreto-legge n. 116/2025 – vigente dal 9.8.2025

Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Così si esprime l’art. 2 del DL 116/2025 comma 1 vigente dal 9.8.2025:  Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:  a) all’articolo 131-bis, terzo comma, dopo il numero 4-bis) è aggiunto il seguente: «4-ter) per i delitti consumati o tentati previsti dagli articoli 255-ter, 256, commi 1-bis, 3 e 3-bis, 256-bis, e 259 deldecreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.».

L’intervento del D.L. 116/2025 è nel senso di inasprire e aumentare le pene in merito ad alcune condotte “ambientali” ma anche in ambito processuale escludendo alcuni meccanismi di favore come la “esclusione della punibilità”.

L’art. 255 Dlgs. 152/2006 (abbandono rifiuti), in commento su questo sito, già rappresenta l’operazione del Decreto che riscrive la condotta e aumenta le pene. Le modifiche al Dlgs. 152/2006 si uniscono a quelle apportate al codice penale per ottenere un sistema decisamente più rigoroso la cui efficacia è rimessa ai posteri.

L’art. 2 del DL 116/2025 modifica il Codice penale in punto di “esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto” ex art. 131 bis C.P. è un beneficio a favore del reo (esclude appunto la punibilità) che deve essere valutato dal Giudice e con riferimento a reati considerati con basso impatto criminoso o per reati con una pena minimale. L’articolo incide dunque in seno processuale.

Il terzo comma dell’art. 131 bis comma 3 punto 4bis prevede i casi in cui la….   continua lettura articolo “espulsione beneficio tenuità, nuovi reati ambientali”

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…A PROPOSITO DI ALLAGAMENTI

…A PROPOSITO DI ALLAGAMENTI

allagamenti…A PROPOSITO DI ALLAGAMENTI

ORDINANZA CASSAZIONE 21531/17

Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


A PROPOSITO DI …ALLAGAMENTI.

Un condomino subisce allagamento della propria cantina e conseguente danno relativo a bottiglie pregiate e altri oggetti. L’allagamento della cantina, secondo il condomino, era dovuto al malfunzionamento e difetto dell’impianto fognario condominiale e dunque muove causa al condominio.

Il condomino perde in Tribunale e si rivolge alla Corte di appello e poi alla Cassazione.

Il risarcimento del danno non viene concesso, sostiene la Cassazione, perché la Corte d’Appello ha escluso il nesso causale tra il malfunzionamento dell’impianto fognario condominiale e l’allagamento delle cantine. La causa dell’allagamento è stata attribuita a una precipitazione meteorica eccezionale e imprevedibile, considerata un caso fortuito autonomamente sufficiente a determinare l’evento. Inoltre, il ricorrente non ha fornito argomentazioni o prove adeguate a dimostrare che le carenze dell’impianto fognario avrebbero potuto evitare o limitare i danni.

Questo punto, la prova, è dirimente e getta luce sulla realtà processuale ……..continua lettura articolo cantina allagata e risarcimento danno

Leggi ordinanza Cassazione 2017

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ANAC: BANDO RIFIUTI ILLEGITTIMITA’

ANAC: BANDO RIFIUTI ILLEGITTIMITA’

ANAC BANDO RIFIUTIANAC – BANDO RIFIUTI ILLEGITTIMITA’

PARERE N. 284 DEL 23.7.2025

Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Il fatto che interessa il parere ANAC riguarda la verifica della legittimità dei requisiti di partecipazione previsti nel disciplinare di gara per l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani differenziati, servizi di igiene urbana e complementari a ridotto impatto ambientale. ​ In particolare, il parere si concentra su alcune clausole del disciplinare di gara che sono ritenute illegittime perché ingiustificatamente restrittive della partecipazione e della concorrenza, violando gli articoli 10, comma 3, e 100, commi 11-12, del d.lgs. ​ 36/2023.

Il parere viene richiesto da due operatori economici che contestano il bando e preferiscono adire l’ANAC che esprime parere vincolante per l’amministrazione.

ANAC affronta il punto relativo alla legittimità delle clausole territoriali. In particolare, viene citato il principio di “prossimità agli impianti di recupero” previsto dall’art. ​ 181, comma 5, del d.lgs. 152/2006. Questo principio, pur essendo connesso alla tutela ambientale, non consente di derogare ai procedimenti concorrenziali di selezione dei contraenti affidatari del servizio. ​ Tuttavia, può essere valorizzato nell’ambito del procedimento di selezione mediante gara, incentivando modalità di recupero e riciclaggio che rispettano il principio di prossimità, senza comprimere in maniera assoluta la concorrenza. ​

Quali sono le clausole illegittime?

Le clausole del bando sono ritenute illegittime perché introducono requisiti di partecipazione che non sono previsti dal quadro normativo vigente, violando gli articoli 10, comma 3, e 100, commi 11-12, del d.lgs. ​ 36/2023. Questi requisiti sono considerati ingiustificatamente restrittivi della partecipazione e della concorrenza, limitando la platea dei potenziali concorrenti. ​

In particolare, le clausole illegittime includono: …continua lettura articolo ANAC Bando rifiuti illegittimità

leggi parere ANAC 284/2025

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FALLIMENTO E RISARCIMENTO DANNO DA INQUINAMENTO

FALLIMENTO E RISARCIMENTO DANNO DA INQUINAMENTO

Fallimento e risarcimentoFallimento e risarcimento danno da inquinamento

Tribunale Milano n. 4771/2025

 Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La sentenza numero 4771/ 2025 del Tribunale di Milano è occasione per affrontare un tema poco dibattuto che pone in relazione il risarcimento del danno, che deriva da emissioni di polveri e il fallimento del soggetto che ha provocato le emissioni. La richiesta di risarcimento si interseca con la normativa “fallimentare” e deve fare i conti con limiti che in altri contesti non troverebbe. La vicenda, che trova soluzione nella sentenza, presenta dei caratteri di complessità, ma si distingue per essere categorica nell’escludere la responsabilità del “fallimento” che è ritenuto incolpevole ed escludere, dunque, anche la domanda di risarcimento del danno da inquinamento a carico del fallimento. In altri contesti, la giurisprudenza non è così precisa ed anzi spesso attrae nella responsabilità il proprietario facendolo l’uscire dalla zona d’ombra dell’incolpevolezza.

La sentenza sembra dire, con fermezza, che il soggetto che non gestisce ovvero non controlla l’attività che ha prodotto il danno da inquinamento è certamente incolpevole. L’applicazione del principio “chi inquina paga” e la ricerca dell’effettivo responsabile porta anche la inapplicabilità della responsabilità oggettiva che incombe su soggetto che ha la custodia dell’attività ed anche del soggetto esercita attività pericolose.

Il Tribunale rigetta la richiesta di insinuare nel fallimento il risarcimento del danno richiesto dalla proprietaria di un immobile per i danni ambientali subiti nel tempo a causa delle emissioni della acciaieria limitrofa.

In particolare: continua lettura articolo Fallimento e risarcimento del danno ambientale

Cinzia SilvestriFALLIMENTO E RISARCIMENTO DANNO DA INQUINAMENTO
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Direttiva IED – 2024/1785 emissioni

Direttiva IED – 2024/1785 emissioni

IED Direttiva 20ì24/1785Direttiva IED – 2024/1785 emissioni

Recepimento Legge delega 91/2025

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega per il recepimento della direttiva (UE) 2024/1785 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 aprile 2024, che modifica la direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del  consiglio, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), e la direttiva 1999/31/CE del Consiglio, relativa alle discariche di rifiuti .

Così recita l’apertura della Legge di delega per il recepimento delle direttive europee tra le quali anche quella delle emissioni industriali destinata a sostituire la Direttiva 2010/75/UE. Recepimento previsto entro 12 mesi.

La direttiva (UE) 2024/1785 sulle emissioni industriali riceve delega al recepimento nella L. 91/2025 . Vai alla lettura.

  1. Competenza regionale: La definizione delle modalità di registrazione degli impianti di allevamento e delle tariffe istruttorie e di controllo è attribuita alle regioni.
  2. Partecipazione italiana: Si garantisce l’efficace partecipazione dell’Italia alle attività di scambio di informazioni tecniche previste dalla direttiva. ​
  3. Procedure autorizzative: Si riordinano le procedure per il rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali, tenendo conto degli sviluppi della disciplina comunitaria. ​
  4. Sanzioni: Sono previste sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate per le violazioni degli obblighi derivanti dalla direttiva. ​
  5. Modifiche normative: Si apportano le necessarie modifiche e integrazioni alla normativa vigente per garantire il corretto recepimento della direttiva. ​

Si riportano i punti e), f), g) dell’art. 10 della L. 91/202

e) riordinare le procedure autorizzative per il rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali alla luce degli sviluppi della disciplina in materia di procedimento amministrativo, in particolare garantendo il coinvolgimento nella fase decisoria dei soli soggetti aventi titolo a esprimere atti di assenso necessari, evitando la duplicazione di oneri informativi e rinviando alle sedi opportune, senza effetti sul procedimento, la definizione o l’aggiornamento del quadro prescrittivo non sostituito dall’autorizzazione;

f) chiarire come le disposizioni vigenti in materia di risarcimento e indennizzo siano applicabili in caso di violazione delle prescrizioni autorizzative che determina un danno sanitario, ove necessario integrando tali disposizioni al fine di renderle coerenti con la pertinente disciplina dell’Unione europea, chiarendo altresi’ quale sia il soggetto pubblico titolato ad accertare la violazione e introducendo specifiche disposizioni volte a evitare plurimi indennizzi a fronte del medesimo evento dannoso;

g) riordinare le disposizioni legislative e regolamentari che disciplinano la Commissione istruttoria per l’autorizzazione integrata ambientale – IPPC, i criteri di presentazione delle relazioni di riferimento di cui all’articolo 29-sexies, comma 9-quinquies, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le procedure autorizzative riguardanti interventi che comportano una significativa modifica delle migliori tecniche disponibili di riferimento, nonche’ le competenze del tavolo di coordinamento previsto dall’articolo 29-quinquies del decreto legislativo n. 152 del 2006, alla luce della disciplina in materia di interpello ambientale;

Leggi anche articolo su questo sito IED 2024/1785 

Cinzia SilvestriDirettiva IED – 2024/1785 emissioni
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PFAS – rendita agli eredi

PFASPFAS – rendita agli eredi

Trib. Vicenza n. 251/2025

segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – Cinzia Silvestri


Il Tribunale di Vicenza riconosce una rendita agli eredi per la morte di loro parente a causa della protratta inalazione/contatto con i PFAS. PFAS – rendita agli eredi.

Ritorna il concetto di “probabilità” che fonda il riconoscimento della causalità tra l’evento e il danno. In questo caso parliamo di PFAS di cui si parla ma poco si comprende. E’ cronaca recente che tali composti sono stati trovati anche negli indumenti dei pompieri.

I PFAS  sono una famiglia di composti chimici artificiali caratterizzati dalla presenza di molteplici atomi di fluoro legati a una catena carboniosa. ​ Questi composti sono noti per la loro resistenza al calore, all’acqua e agli oli, e vengono utilizzati in numerosi processi industriali e prodotti di consumo, come rivestimenti antiaderenti, tessuti impermeabili, schiume antincendio e imballaggi alimentari.

La loro esposizione può avvenire attraverso l’inalazione, l’assorbimento cutaneo o l’ingestione di acqua e cibo contaminati. ​ Studi scientifici hanno evidenziato possibili effetti nocivi sulla salute, tra cui un aumento del rischio di alcune patologie, come tumori, problemi al sistema immunitario e disturbi ormonali. ​

IL CASO

Il fatto sotteso alla sentenza riguarda il riconoscimento del diritto alla rendita ai superstiti e all’assegno funerario per gli eredi di un lavoratore deceduto a causa di un carcinoma uroteliale papillare della pelvi renale. ​ Gli eredi sostenevano che la malattia fosse stata causata dall’esposizione professionale a sostanze perfluorurate (PFAS e PFOA) durante l’attività lavorativa svolta presso la M. ​ S.p.a. dal 1979 al 1992. ​

Il Tribunale di Vicenza ha accertato, con elevato grado di probabilità, il nesso di causalità tra l’esposizione a tali sostanze e la patologia che ha condotto al decesso, basandosi su prove testimoniali, documentali e perizie medico-legali. ​ Pertanto, ha condannato l’INAIL a costituire la rendita ai superstiti e a pagare i relativi ratei, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, riconoscendo il diritto degli eredi alle prestazioni previste dalla legge.

LA PROVA

L’esposizione a PFAS è stata dimostrata attraverso una combinazione di prove testimoniali, documentazione tecnica e perizie medico-legali. ​ In particolare:

  1. Testimonianze: I testimoni hanno dichiarato che Z.P. ​ lavorava nel reparto di neutralizzazione delle acque, adiacente al reparto di elettrofluorazione (ECF) dove venivano prodotti PFAS e PFOA. ​ I due reparti erano separati da una strada di circa 5 metri e si trovavano in un’area aperta, coperta da tettoie limitrofe. ​ Inoltre, le operazioni di pulizia dei reattori nel reparto ECF generavano una dispersione di fumi e sostanze nocive, che raggiungevano la postazione di Z.P., il quale lavorava senza dispositivi di protezione adeguati. ​
  2. Relazione tecnica: È stata presentata una relazione che evidenziava le concentrazioni di PFAS nel sangue dei dipendenti ed ex dipendenti della ditta M. ​ S.p.a., dimostrando una chiara esposizione a tali sostanze anche per lavoratori non direttamente coinvolti nella produzione. ​ Questo includeva Z.P., il cui reparto era collocato in prossimità di quello di produzione. ​
  3. Perizia medico-legale: Il consulente tecnico ha concluso che Z.P. era stato esposto a PFAS per tutto il periodo di lavoro (1979-1992) attraverso inalazione, assorbimento trans-cutaneo e ingestione di polveri contaminate. La vicinanza del reparto di Z.P. a quello di produzione e l’assenza di dispositivi di protezione hanno contribuito a questa esposizione. ​
  4. Produzione aziendale: La ditta M. S.p.a. aveva prodotto PFAS a catena lunga (PFOA e PFOS) fino al 2004, e le analisi ematiche dei dipendenti di quel periodo confermavano valori elevati di PFOA, compatibili con l’esposizione professionale. ​

Questi elementi hanno permesso al Tribunale di ritenere provata l’esposizione di Z.P. ai PFAS durante la sua attività lavorativa E DUNQUE DI CONCRETARE LA “PROBABILITA'” della esposizione causale.

Cinzia SilvestriPFAS – rendita agli eredi
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servizio idrico -pagamento canoni?

servizio idrico -pagamento canoni?

servizio idrico - pagamento canoni?Servizio idrico – pagamento canoni?

Cass. civ. ord. 15059/2025

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Se il servizio di depurazione non è effettivo e concreto perché, ad esempio, mancano i sistemi di depurazione, l’utente non è tenuto a pagare il canone con il servizio di depurazione inesistente. L’onere di provare che il sistema di depurazione è esistente incombe a carico del gestore del servizio. La giurisprudenza  in passato aveva invece sostenuto che tale canone è comunque dovuto anche in assenza del sistema depurativo.

IL CASO

Il fatto che ha dato origine alla sentenza: la richiesta di un utente di fornitura idrica residente a Napoli, di ottenere la restituzione dei canoni di depurazione pagati nonostante il depuratore fosse inefficiente e non svolgesse la sua funzione di depurazione delle acque reflue. ​ La domanda si basava sulla sentenza n. 335/2008 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato l’incostituzionalità delle norme che prevedevano il pagamento della tariffa di depurazione anche in assenza del servizio effettivo. ​ Nel giudizio sono intervenuti altri utenti con richieste analoghe, e sono stati chiamati in causa il Comune di Napoli, la Regione Campania e XXX CAMPANIA Spa. ​

LA DECISIONE

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla Società del Servizio Idrico integrato del COMUNE NAPOLI – AZIENDA SPECIALE contro la sentenza del Tribunale di Napoli .

La Cassazione ha confermato che la Società  è tenuta alla restituzione dei canoni di depurazione agli utenti, in quanto soggetto che ha incassato le somme senza fornire il servizio di depurazione. ​ Inoltre, ha ritenuto che il Tribunale abbia motivato correttamente la decisione, rispettando il “minimo costituzionale” richiesto per la motivazione delle sentenze. ​

La Corte ha anche dichiarato inammissibili alcuni motivi del ricorso per difetto di specificità e per la mancata dimostrazione che le questioni sollevate fossero state dedotte nei gradi di merito. ​ Infine, ha confermato che spettava alla società  ​ fornire la prova degli oneri relativi alla progettazione, realizzazione o completamento degli impianti di depurazione, trattandosi di un fatto impeditivo della pretesa restitutoria degli utenti. ​

Scrive la Cassazione:

Il Tribunale, considerato che la domanda svolta dall’attrice e dagli intervenuti afferiva a un contratto di utenza idrica, rispetto al quale unico titolare dal lato passivo era A.B.C. concessionaria del servizio idrico integrato, …..in base al principio della scomposizione della fattispecie ha ritenuto l’appellante tenuto, al fine di procedere allo scomputo dal credito restitutorio, all’onere della prova quanto agli oneri derivanti dalle attività di progettazione, realizzazione o completamento dell’impianto di depurazione, trattandosi di fatto impeditivo della pretesa restitutoria come peraltro enunciato da questa Corte già con la sentenza 12 giugno 2020, n. 11270, puntualmente richiamata in motivazione. Quanto detto dal Tribunale deve essere inteso nel significato che ragionevolmente può essere attribuito all’espressione usata, ossia non che A.B.C. fosse tenuta a provvedere agli oneri di progettazione, realizzazione o completamento dell’ impianto, ma alla prova del relativo ammontare onde provvedere allo scomputo da quanto oggetto di restituzione per effetto del non regolare funzionamento dell’ impianto, per essere a ciò tenuta in base al contratto di utenza idrica….”

La Cassazione ha condannato la società al pagamento delle spese processuali in favore dei controricorrenti. ​

Cinzia Silvestriservizio idrico -pagamento canoni?
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EMISSIONI NOCIVE – RISARCIMENTO DANNO

EMISSIONI NOCIVE – RISARCIMENTO DANNO

malformazioni e risarcimento dannoEmissioni nocive – risarcimento del danno

Cass. Civ. ord. 13294/2025 – “più probabile che non”

Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La Cassazione civile ha affrontato il tema del risarcimento del danno causato da inquinamento e il problema della ricerca della causalità. La decisione fa discutere perché pone al centro del processo la valutazione del consulente tecnico d’ufficio che evoca il concetto di “possibilità” causale tra le emissioni e le malformazioni congenite e dunque esclude il concetto di “probabilità” che disciplina l’ambito civilistico e permette il risarcimento del danno.

Il percorso si conclude con un esito negativo per  le persone-attrici che hanno denunciato la relazione tra le emissioni nocive industriali subite e le malformazioni congenite riscontrate ed anzi sono state, pure in prima battuta, condannate al pagamento delle spese processuali.

Il caso giudiziario: EMISSIONI NOCIVE – RISARCIMENTO DANNO

Il caso riguarda la richiesta di risarcimento danni da parte di A.A., affiancato dai suoi congiunti, contro Raffineria XX Spa e XX Attività Diversificate Spa (Enichem Spa), per presunte malformazioni congenite (ipo-agenesia traversa arto superiore sinistro) attribuite alle emissioni nocive degli stabilimenti industriali. ​

Sentenza di primo grado (2018)

Il Tribunale ha rigettato le domande attoree, ritenendo non provato il nesso causale tra le malformazioni e le immissioni ambientali. ​ La consulenza tecnica d’ufficio (CTU) ha evidenziato solo una correlazione “possibile” e non “probabile” tra le sostanze nocive e la patologia. ​…continua lettura articolo immissioni nocive e “più probabile che non”…

Cinzia SilvestriEMISSIONI NOCIVE – RISARCIMENTO DANNO
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Infortunio lavoro – deleghe CDA

infortunio sul lavoro e deleghe CDAInfortunio lavoro – deleghe CDA

Delega gestoria o di funzioni – differenze

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Infortunio lavoro – deleghe CDA. La delega di funzioni in materia ambientale apprende e traduce ed anzi adatta ciò che la normativa e la giurisprudenza in materia di sicurezza sul lavoro, produce. La sentenza della Cassazione, nell’ambito di un complesso infortunio sul lavoro, cesella la differenza tra delega gestoria coniata dal diritto societario ex art. 2381 c.c. e la delega di funzioni contemplata all’art. 16 Dlgs. 81/2008.

Leggi anche articolo su amministratori senza delega in questo sito.

Senza entrare nel merito della complessa vicenda trattata dalla Cassazione 40682/2024 , ciò che rileva è che vengono imputate responsabilità ai soggetti che appartengono al consiglio di amministrazione (CDA) muniti peraltro di rispettive deleghe di funzioni. La cassazione afferma che sebbene fossero presenti deleghe gestorie (societarie) e di funzioni (sicurezza sul lavoro), l’evento è stato causato dalla concretizzazione di difetti strutturali e di carenze organizzative aziendale imputabili al consiglio di amministrazione nel suo complesso. I membri del consiglio avevano il dovere di vigilanza e di controllo sulle questioni organizzative e sulla gestione del rischio che non è stato invece adeguatamente esercitato. In sintesi la responsabilità è stata attribuita non solo per la posizione rivestita dai membri al consiglio ma per il ruolo attivo, le omissioni della gestione e l’organizzazione aziendale che hanno contribuito direttamente all’Incidente occorso.

…….continua lettura articolo infortunio lavoro – deleghe CDA – note a Cassazione

Cinzia SilvestriInfortunio lavoro – deleghe CDA
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RIFIUTI ASSIMILATI URBANI

RIFIUTI ASSIMILATI URBANI

RIFIUTI SANITARI ASSIMILABILI URBANI Centro Termale - lenzuola Tribunale Potenza n. 45/2024 Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri La sentenza del Tribunale di Potenza è occasione per evidenziare la problematica della classificazione dei rifiuti assimilabili agli urbani foriera sempre di contestazione e che obbliga , non solo in sede giudiziaria, alla verifica. Il Tribunale di Potenza si occupa di una opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di servizi di smaltimento rifiuti con contestazione sulla validità del contratto e sulla classificazione dei rifiuti. Siamo nell’ambito dei rifiuti sanitari di cui all’art. 227 Dlgs. 152/2006 e DPR 254/2003 ma la questione è esempio di molti altri casi. L’oggetto di contesa è il servizio di smaltimento di lenzuolini utilizzati per i massaggi in un centro termale. Una parte sostiene che questi sono “rifiuti assimilati agli urbani” e dunque rientranti nel contratto stipulato con la società che deve gestire il servizio di smaltimento (e dunque già pagati); l’altra parte sostiene che sono “rifiuti pericolosi” rifiuti speciali sanitari e dunque non previsti dal contratto e che richiedono particolari modalità di smaltimento e costi aggiuntivi. Il d.p.r. 254/2003 alla lettera g) punto 5 indica come i rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani gli indumenti lenzuolo monouso e quelli di cui detentore intende disfarsi. Esiste già un indicatore preciso da parte del legislatore. RIFIUTI ASSIMILATI URBANI

Centro Termale – lenzuola – Tribunale Potenza n. 45/2024

 Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La sentenza del Tribunale di Potenza è occasione per evidenziare la problematica della classificazione dei rifiuti assimilati agli urbani foriera, sempre, di contestazione e che obbliga, non solo in sede giudiziaria, alla verifica.

Il Tribunale di Potenza si occupa di una opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di servizi di smaltimento rifiuti con contestazione sulla validità del contratto e sulla classificazione dei rifiuti. Siamo nell’ambito dei rifiuti sanitari di cui all’art. 227 Dlgs. 152/2006 e DPR 254/2003 ma la questione è esempio di molti altri casi.

L’oggetto di contesa è il servizio di smaltimento di lenzuolini utilizzati per i massaggi in un centro termale. Una parte sostiene che questi sono “rifiuti assimilati agli urbani” e dunque rientranti nel contratto stipulato con la società che deve gestire il servizio di smaltimento (e dunque già pagati); l’altra parte sostiene che sono “rifiuti pericolosi” rifiuti speciali sanitari e dunque non previsti dal contratto e che richiedono particolari modalità di smaltimento e costi aggiuntivi.

Il d.p.r. 254/2003 alla lettera g) punto 5 indica come i rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani gli indumenti lenzuolo monouso e quelli di cui detentore intende disfarsi. Esiste già un indicatore preciso da parte del legislatore….continua lettura articolo rifiuti assimilabili urbani lenzuoli termali

Cinzia SilvestriRIFIUTI ASSIMILATI URBANI
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Significativo /misurabile: quale accertamento?

Significativo /misurabile: quale accertamento?

“Significativo” e “misurabile” Senza accertamento tecnico? Cass. pen. n. 12514/2025 Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri Il caso: officina meccanica/oli esausti Il caso posto all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda il reato di inquinamento ambientale ex art. 452-bis c.p., contestato ai ricorrenti, in relazione alla gestione irregolare di una officina meccanica. Gli imputati sono stati accusati di aver causato una compromissione significativa e misurabile di porzioni estese di suolo/ sottosuolo circostanti l’officina, attraverso il versamento di oli esausti di altri materiali inquinanti, per lungo tempo. La posizione degli imputati era inoltre aggravata dal fatto di aver continuato l’attività - con continuo versamento sul suolo di oli esausti - anche dopo il sequestro del sito. La sentenza La sentenza della Cassazione penale numero 12514/2025, permette alcune considerazioni interessanti in ordine al reato di inquinamento ambientale ai sensi dell’articolo 452-bis del Codice penale. Secondo la Cassazione, la prova dell’inquinamento non deve necessariamente essere verificata con accertamenti tecnici, perizie, per intenderci. La prova dell’inquinamento è possibile anche sulla base di evidenze macroscopiche o dati concreti che dimostrino però una compromissione o un deterioramento significativo e soprattutto misurabile delle matrici ambientali. La Cassazione, attenzione, non esclude che ci possa essere la necessità, in determinati casi, di verifiche tecniche precise ma sottolinea che possono verificarsi delle situazioni in cui non ci sia questa necessità. Sono casi in cui esiste una macroscopica evidenza. Ad esempio, nel caso di distruzione “Significativo” e “misurabile”: Senza accertamento tecnico?

Cass. pen. n. 12514/2025

Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Il caso: officina meccanica/oli esausti

Il caso posto all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda il reato di inquinamento ambientale ex art. 452-bis c.p., contestato ai ricorrenti, in relazione alla gestione irregolare di una officina meccanica. Gli imputati sono stati accusati di aver causato una compromissione significativa e misurabile di porzioni estese di suolo/ sottosuolo circostanti l’officina, attraverso il versamento di oli esausti di altri materiali inquinanti, per lungo tempo. La posizione degli imputati era inoltre aggravata dal fatto di aver continuato l’attività – con continuo versamento sul suolo di oli esausti – anche dopo il sequestro del sito.

La sentenza

La sentenza della Cassazione penale numero 12514/2025, permette alcune considerazioni interessanti in ordine al reato di inquinamento ambientale ai sensi dell’articolo 452-bis del Codice penale.

Secondo la Cassazione, la prova dell’inquinamento non deve necessariamente essere verificata con accertamenti tecnici, perizie, per intenderci. La prova dell’inquinamento è possibile anche sulla base di evidenze macroscopiche o dati concreti che dimostrino però una compromissione o un deterioramento significativo e soprattutto misurabile delle matrici ambientali.

La Cassazione, attenzione, non esclude che ci possa essere la necessità, in determinati casi, di verifiche tecniche precise ma sottolinea che possono verificarsi delle situazioni in cui non ci sia questa necessità. Sono casi in cui esiste una macroscopica evidenza.

Ad esempio, nel caso di distruzione .…. continua lettura articolo commento cass-pen. 12514:2025

Cinzia SilvestriSignificativo /misurabile: quale accertamento?
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DECRETO SICUREZZA: CASE LIBERE….

DECRETO SICUREZZA: CASE LIBERE….

«Art. 634-bis (Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui). - Chiunque, mediante violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze, ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente, e' punito con la reclusione da due a sette anni. Alla stessa pena soggiace chiunque si appropria di un immobile destinato a domicilio altrui o di sue pertinenze con artifizi o raggiri ovvero cede ad altri l'immobile occupato. Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque si intromette o coopera nell'occupazione dell'immobile, ovvero riceve o corrisponde denaro o altra utilita' per l'occupazione medesima, soggiace alla pena prevista dal primo comma. Non e' punibile l'occupante che collabori all'accertamento dei fatti e ottemperi volontariamente all'ordine di rilascio dell'immobile. Il delitto e' punito a querela della persona offesa. Si procede d'ufficio se il fatto e' commesso nei confronti di persona incapace, per eta' o per infermita'». DECRETO SICUREZZA: CASE LIBERE….

DL n. 48/2025 – vigente dal 12.4.2025

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Case Libere dalla occupazione arbitraria altrui. E’ stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il Decreto Sicurezza con vigenza dal 12.4.2025. Viene inserito l’art. 634 bis nel codice penale che si occupa delle occupazioni abusive. Fenomeno sempre più frequente che ha visto i proprietari delle abitazioni senza alcuno strumento utile a ritornare in possesso delle proprie abitazioni. La pena inflitta è alta: da 2 a 7 anni ma colpisce il fatto che se l’occupante abusivo collabora o restituisce l’immobile non è punibile.

Si comprende questo da veloce lettura: L’occupante abusivo ovvero colui che occupa l’abitazione senza titolo, magari da qualche anno, NON è punibile se restituisce spontaneamente l’abitazione. 

Colui che rivuole la sua abitazione deve  attivarsi per provare il suo titolo, provare l’occupazione, sporgere querela, attivare la forza pubblica (tutto a proprie spese) ed infine l’occupante (magari dopo qualche anno) decide di lasciare l’abitazione “spontaneamente” e diventa …non punibile.

«Art. 634-bis (Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui). – Chiunque, mediante violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze, ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente, e’ punito con la reclusione da due a sette anni. Alla stessa pena soggiace chiunque si appropria di un immobile destinato a domicilio altrui o di sue pertinenze con artifizi o raggiri ovvero cede ad altri l’immobile occupato. Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque si intromette o coopera nell’occupazione dell’immobile, ovvero riceve o corrisponde denaro o altra utilita’ per l’occupazione medesima, soggiace alla pena prevista dal primo comma. Non e’ punibile l’occupante che collabori all’accertamento dei fatti e ottemperi volontariamente all’ordine di rilascio dell’immobile. Il delitto e’ punito a querela della persona offesa. Si procede d’ufficio se il fatto e’ commesso nei confronti di persona incapace, per eta’ o per infermita’».


Cinzia SilvestriDECRETO SICUREZZA: CASE LIBERE….
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TESSILI: RESPONSABILITA’ ESTESA

TESSILI: RESPONSABILITA’ ESTESA

tessiliTESSILI: RESPONSABILITA’ ESTESA

SCHEMA DECRETO – CONSULTAZIONI FINO A 5 MAGGIO 2025

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


 

Aperta la consultazione del decreto sulla responsabilità estesa dei gestori di rifiuti tessili. Non si tratta di ulteriore decreto su EOW (End of Waste – ad esempio rifiuti a base di gesso) ma  un decreto che impone responsabilità a tutta la filiera del tessile. Si tratta di gestire bene il rifiuto e sopratutto di evitare il rifiuto, il più possibile.

Lo schema di decreto si rivolge a tutti i settori:

“1. Il presente decreto istituisce la responsabilità estesa del produttore per la filiera dei prodotti tessili di abbigliamento, calzature, accessori, pelletteria, materassi, tessili o assimilati, per la casa e per l’ospitalità (di seguito denominati anche prodotti tessili) e definisce i requisiti in applicazione degli articoli 178-bis e 178-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (di seguito anche D.lgs. n. 152/2006 o Decreto), al fine di prevenire e ridurre gli impatti ambientali derivanti dalla progettazione, dalla produzione e dalla gestione dei prodotti tessili al termine del loro utilizzo, rafforzando lungo tutta la catena del valore la prevenzione, la selezione, il riutilizzo, la riparazione, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio.

Compare la parola “riparazione” che è un modo per evitare il rifiuto e che viene espressamente definita:

f) riparazione: insieme delle operazioni necessarie per rendere un prodotto tessile usato non divenuto rifiuto idoneo a un nuovo utilizzo;

e trova la sua finalità:

4. Il presente decreto determina le modalità relative al riutilizzo, alla riparazione dei prodotti tessili e alla gestione dei rifiuti tessili, con particolare riferimento ai rifiuti tessili post-consumo raccolti in ambito urbano, la relativa responsabilità finanziaria e organizzativa, nonché le misure che i soggetti sottoposti a responsabilità estesa del produttore devono adottare. 

Leggi schema di decreto Tessili e responsabilità estesa

Leggi articolo su questo sito: rifiuti tessili: sottoprodotti?

Leggi articolo su questo sito: tessili: rifiuti o non rifiuti?

Cinzia SilvestriTESSILI: RESPONSABILITA’ ESTESA
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FALLIMENTO E RIMOZIONE RIFIUTI

FALLIMENTO E RIMOZIONE RIFIUTI

fallimento e rifiutiFALLIMENTO E RIMOZIONE RIFIUTI

obbligo di rimozione – Consiglio di Stato n. 1883/2025

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Fallimento e Rimozione Rifiuti. Il Consiglio di Stato ritorna sulla questione dell’obbligo della curatela fallimentare in merito alla rimozione dei rifiuti e riepiloga  i principi che sorreggono l’obbligo per la curatela di intervenire a rimuovere i rifiuti. La sentenza è interessante e permette un primo focus sul momento in cui il fallimento apprende, acquisisce e diviene detentore dei beni del fallito. Nel caso in esame invero la curatela rinunciava alla liquidazione di alcuni beni e sosteneva che tale rinuncia esentava la curatela anche dagli obblighi “pubblici” di rimozione dei rifiuti ordinati dalla pubblica amministrazione con ordinanza contingibile ed urgente.

Il Consiglio di Stato precisa il momento di acquisizione della detenzione, precisa l’ambito giuridico della rinuncia alla liquidazione, rinnova l’obbligo di rimozione dei rifiuti in capo alla curatela.

Scrive il CdS: “…Ad avviso della parte appellante, la decisione impugnata avrebbe errato nel ritenere applicabili, alla fattispecie in esame, i principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2021, non considerando che la Curatela fallimentare non avrebbe mai avuto la materiale disponibilità dei terreni di che trattasi in ragione della rinuncia effettuata ai sensi e per gli effetti dell’art. 104, ter comma 8, della Legge fallimentare, secondo cui “ Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquisire all’attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l’attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente”.

Secondo il Collegio invero “…la detenzione dei beni del fallito è acquisita ipso iure dalla Curatela fallimentare al momento della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento ai sensi dell’art. 133 co. 1 c.p.c…”.

Il Fallimento invece sostiene che la rinuncia della curatela alla liquidazione del bene esime da ogni responsabilità.

Rileva il Collegio che “siffatta “rinuncia”, anzitutto, postula, sul piano logico-giuridico, la previa disponibilità del bene in ragione proprio della sua inclusione nella massa fallimentare sin dall’apertura della procedura concorsuale, non essendo, all’evidenza, possibile rinunciare a qualcosa di cui non si abbia anche la previa disponibilità giuridica…Pertanto, la rinuncia in esame,..ha per oggetto non l’acquisizione ma la liquidazione del bene, posto che, diversamente opinando, l’ordinanza sarebbe nulla per inesistenza dell’oggetto, in ragione dell’impossibilità di rinunciare a qualcosa di cui non si abbia la disponibilità.

Precisa il Collegio: ” Esiste, infatti, una sostanziale differenza tra la rinuncia ad acquisire beni pervenuti al fallito in corso di procedura (art. 42 co. 2 e co. 3 L.F.) e l’autorizzazione a non acquisire all’attivo o a rinunciare a liquidare uno o più beni, se l’attività di liquidazione appaia manifestamente (art. 104 ter, comma 8 bis, L.F.), poiché mentre nel primo caso l’inclusione alla massa fallimentare è rimessa alla decisione del Curatore in quanto presupponente il compimento di un precipuo atto negoziale che, se omesso in ragione dell’anti-economicità dell’operazione sul piano delle prospettive di liquidazione, preclude il perfezionamento dell’acquisto, nel secondo caso, invece, è automatica, in quanto dipendente da un fatto giuridico in senso stretto, ossia la titolarità del bene già acquisita dal fallito prima della sentenza dichiarativa di fallimento, potendo il Curatore in questi casi soltanto decidere se includere o meno il bene nel programma di liquidazione.

La curatela dunque non si spoglia del bene e delle relative responsabilità anche in caso di obbligo di rimozione di rifiuti in proprietà della fallita.

Dunque, continua il Consiglio: “…Al ricorrere di tale ultima fattispecie, il bene continua a rimanere nella disponibilità giuridica della Curatela fallimentare, in quanto componente del patrimonio della società fallita e, come tale, anche foriero di responsabilità per eventuali danni a terzi ai sensi dell’art. 2051 c.c. La dichiarazione di fallimento, infatti, non realizza un fenomeno di tipo successorio, privando, soltanto, la società fallita della legittimazione a disporre dei propri beni, al fine di salvaguardare le ragioni dei suoi creditori secondo le regole concorsuali previste dalla legge. L’effetto, in pratica, è il medesimo di un pignoramento omnibus, ossia di un pignoramento di tutti i beni del debitore.

Il che, per quanto di rilievo nella fattispecie in esame, implica la configurabilità di un persistente obbligo di vigilanza sul bene non sottoposto alle attività di liquidazione per la tutela dei creditori fallimentari, onde evitare la possibile insinuazione al passivo di creditori sopravvenuti.

… poiché il fondo inquinato apparteneva alla società fallita, la Curatela ne è divenuta detentrice ipso iure…..Deve, dunque, alla luce delle considerazioni che precedono, trovare conferma il principio di diritto, formulato dalla citata decisione del CGARS, secondo cui la scelta della Curatela di non procedere alle attività di liquidazione di un bene non equivale ad un atto di abbandono del bene stesso, non potendo produrre l’effetto di estrometterlo dalla sfera giuridica del debitore che ne sia titolare….

Cinzia SilvestriFALLIMENTO E RIMOZIONE RIFIUTI
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ACCORDI PRODUTTORI- PROROGA

ACCORDI PRODUTTORI- PROROGA

ACCORDI - PROROGAMILLEPROROGHE 2025
Responsabilità estesa – accordi
Art. 178-quater Dlgs. 152/2006
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri – 22.2.2025


L’art. 178-quater Dlgs. 152/2006, appena nato con il DL 131/2024 (L. 166/2024), subisce prima proroga.
L’articolo impone la responsabilità “estesa“ anche al produttore che immette sul mercato a mezzo di piattaforme di commercio elettronico , un certo prodotto.
1) Il terzo comma dell’art. 178-quater indica che i produttori del prodotto e i gestori dei servizi relativi alla piattaforma sono tenuti stipulare ACCORDI IN FORMA SEMPLIFICATA e sottoscritti tra i gestori, i consorzi o i sistemi di gestione. Tali accordi stabiliscono le modalità di adempimento di tali obblighi (comma 4).
Il Comma 6 dell’art. 178-quater prevedeva la sottoscrizione degli accordi entro la data di entrata in vigore del DL 131/2024-L. 166/2024 e dunque ormai prossimi alla scadenza.
2) Il decreto milleproroghe interviene su questo punto modificando il termine di 90 giorni a 120 giorni offrendo dunque un maggiore respiro ad accordi ancora non intervenuti.

In particolare: continua lettura articolo 178 quater  Dlgs. 152/2006

Cinzia SilvestriACCORDI PRODUTTORI- PROROGA
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Concessioni idrauliche….

Concessioni idrauliche….

StudiolegaleambienteCONCESSIONI IDRAULICHE…

L.R. VENETO N. 1/2025 

segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – Cinzia Silvestri


La L.R. Veneto n. 1/2025 modifica l’art. 4 della Legge R. Veneta n. 7/2020. “Disposizioni in materia di concessioni idrauliche e di derivazioni a scopo idroelettrico”. Pochi incisi ma determinanti soprattutto nell’espungere dal testo le grandi derivazioni a scopo idroelettrico. Rimangono soggette alla legge regionale dunque le piccole derivazioni. 

Le GRANDI derivazioni e concessioni trovano riferimento nel comma 1bis inserito nella norma che indica la necessità di una gara pubblica.

Così recita il nuovo articolo 4 L. R. Veneto 27/2020 come riformato:

Art. 4
Ulteriori disposizioni in materia di concessioni idrauliche.

1.   Per la prosecuzione dell’esercizio delle grandi e piccole derivazioni a scopo idroelettrico che prevedono un termine di scadenza anteriore al 31 luglio 2024, (31.7.2029) ivi incluse quelle già scadute, sino alla loro nuova assegnazione e non oltre il 31 luglio 2024,(31.7.2029) il concessionario è tenuto, ai sensi dell’articolo 26 del Regio decreto n. 1775 del 1933 e dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999, a realizzare le mitigazioni ambientali impartite dall’autorità concedente e a mantenere la piena efficienza e il normale sviluppo degli impianti.

“1 bis. La Giunta regionale, al fine di garantire la continuità della produzione elettrica e in considerazione dei tempi necessari per effettuare la ricognizione delle opere, dei beni e degli impianti afferenti alle grandi derivazioni idroelettriche e per espletare le procedure di gara, può consentire, per le sole concessioni scadute anteriormente al 31 dicembre 2024, la prosecuzione temporanea, da parte del concessionario uscente, dell’esercizio degli impianti di grande derivazione ad uso idroelettrico per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure di attribuzione di cui all’articolo 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999 e comunque entro il termine ivi previsto.”.

2.   Il concessionario di grande derivazione a scopo idroelettrico scaduta è tenuto, fino all’assegnazione della nuova concessione, a corrispondere per ogni annualità un canone aggiuntivo rispetto al canone demaniale pari a 20 euro per ogni KW di potenza nominale media di concessione.

3.   Per le derivazioni di acqua superficiale concesse a qualunque titolo il canone minimo è aumentato del 10 per cento, mentre non è dovuto anche il canone per l’occupazione del demanio idrico.

4.   Per l’anno 2020 gli oneri concessori di cui ai commi 2 e 3 sono dovuti in misura proporzionale in ragione dei giorni di vigenza della presente legge.

Va alla lettura delle LRV di riferimento.

LR veneto n. 7/2020 del 3.7.2020

LR Veneto n. 1/2025 del 10.2.2025

 

 

Cinzia SilvestriConcessioni idrauliche….
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RIPRISTINO AMBIENTE?

RIPRISTINO AMBIENTE?

recupero energeticoRIPRISTINO AMBIENTE?

Cosa significa Ripristinare l’Ambiente?

segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – Cinzia Silvestri


Non è chiaro a tutti il significato dell’ordine di ripristinare l’ambiente tanto più se indicato in una sentenza penale. Quando si subisce la condanna al ripristino dell’ambiente sorge sempre un moto di sorpresa a carico dell’imputato che magari non aveva concordato la pena su questo punto (ritenendo di poterlo concordare). 

Ripristinare significa riportare alle condizioni originarie il sito e può assumere infinite modalità a seconda del luogo inquinato (non solo luoghi). La sentenza in commento sembra anche dire che il ripristino richiede una valutazione sul danno precisando che questa valutazione di danno è solo riferita alle misure ripristinatorie non al reato di riferimento che rimane , ad esempio nel caso trattato di “traffico illecito di rifiuti” sempre un reato di pericolo.

Il Giudice penale invero può ordinare in sede di condanna o di patteggiamento anche il ripristino dello stato dell’ambiente. Tale ordine è spesso confuso con la pena accessoria mentre è a tutti gli effetti una sanzione amministrativa che può essere ordinata d’ufficio in quanto consegue alla commissione del reato. Il reato di traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies comma 4 c.p.) ad esempio prevede proprio questo tipo di sanzione che è dunque sottratta alle regole che disciplinano le pene accessorie.

Vediamo i punti interessanti della sentenza penale della Cassazione che conferma, in parte, la sentenza della Corte di appello di Venezia.

La Sentenza della Corte di appello di Venezia con sentenza del 19/04/2021 n. 39511, ha applicato  la pena concordata per il reato di cui all’art. ​ 452-quaterdecies c.p., ordinando il ripristino dello stato dell’ambiente. ​

  1. Ricorso per cassazione: Gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione, contestando l’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente, sostenendo che la Corte di appello aveva erroneamente applicato tale sanzione senza giustificare i parametri che ne giustificano l’adozione. Le parti avevano concordato la pena del patteggiamento e la Corte di appello aveva poi ordinato il “ripristino dello stato dell’ambiente” quale elemento nuovo rispetto alla condanna di primo grado. Gli imputati trattano la condanna al ripristino dello stato dell’ambiente come se fosse una pena accessoria, contestando la riformatio in peius ecc…. 
  2. Decisione della Corte di Cassazione: La Corte di Cassazione ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso, specificando che l’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente è una sanzione amministrativa accessoria che consegue ex lege al reato di cui all’art. ​ 452-quaterdecies c.p. ​: in materia di ambiente e territorio, viene conferito al giudice il potere di emanare un ordine finalizzato alla eliminazione delle conseguenze dell’ illecito, si ha l’attribuzione di funzioni speciali aventi carattere amministrativo, sebbene esercitate in sede di giurisdizionale. La sanzione dunque può essere ingiunta anche in secondo grado e a prescindere dalla pena concordata.
  3. Necessità di specifica motivazione: La Corte di Cassazione ha stabilito che l’applicazione della misura sanzionatoria del ripristino dello stato dell’ambiente richiede una specifica motivazione in ordine alla verificazione effettiva del danno o del pericolo per l’ambiente : ” Ne consegue che perchè possa trovare applicazione l’ordine di ripristino dell’ambiente occorre l’accertamento delle conseguenze dannose o pericolose della condotta illecita, non potendo presumersi l’esistenza di danno o pericolo per l’ambiente solamente per effetto ed in conseguenza della consumazione del reato.
  4. Annullamento con rinvio: La sentenza impugnata è stata rinviata a Giudice di appello per precisare la motivazione del ripristino dell’ambiente sotto il profilo del “danno”.
Cinzia SilvestriRIPRISTINO AMBIENTE?
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RIPRISTINO AMBIENTE?

RIPRISTINO AMBIENTE?

ripristino ambienteRIPRISTINO AMBIENTE?

Cosa significa Ripristinare l’Ambiente?

segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – Cinzia Silvestri


Non è chiaro a tutti il significato dell’ordine di ripristinare l’ambiente tanto più se indicato in una sentenza penale. Quando si subisce la condanna al ripristino dell’ambiente sorge sempre un moto di sorpresa a carico dell’imputato che magari non aveva concordato la pena su questo punto (ritenendo di poterlo concordare). 

Ripristinare significa riportare alle condizioni originarie il sito e può assumere infinite modalità a seconda del luogo inquinato (non solo luoghi). La sentenza in commento sembra anche dire che il ripristino richiede una valutazione sul danno precisando che questa valutazione di danno è solo riferita alle misure ripristinatorie non al reato di riferimento che rimane , ad esempio nel caso trattato di “traffico illecito di rifiuti” sempre un reato di pericolo.

Il Giudice penale invero può ordinare in sede di condanna o di patteggiamento anche il ripristino dello stato dell’ambiente. Tale ordine è spesso confuso con la pena accessoria mentre è a tutti gli effetti una sanzione amministrativa che può essere ordinata d’ufficio in quanto consegue alla commissione del reato. Il reato di traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies comma 4 c.p.) ad esempio prevede proprio questo tipo di sanzione che è dunque sottratta alle regole che disciplinano le pene accessorie.

Vediamo i punti interessanti della sentenza penale della Cassazione che conferma, in parte, la sentenza della Corte di appello di Venezia.

La Sentenza della Corte di appello di Venezia con sentenza del 19/04/2021 n. 39511, ha applicato  la pena concordata per il reato di cui all’art. ​ 452-quaterdecies c.p., ordinando il ripristino dello stato dell’ambiente. ​

  1. Ricorso per cassazione: Gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione, contestando l’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente, sostenendo che la Corte di appello aveva erroneamente applicato tale sanzione senza giustificare i parametri che ne giustificano l’adozione. Le parti avevano concordato la pena del patteggiamento e la Corte di appello aveva poi ordinato il “ripristino dello stato dell’ambiente” quale elemento nuovo rispetto alla condanna di primo grado. Gli imputati trattano la condanna al ripristino dello stato dell’ambiente come se fosse una pena accessoria, contestando la riformatio in peius ecc…. 
  2. Decisione della Corte di Cassazione: La Corte di Cassazione ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso, specificando che l’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente è una sanzione amministrativa accessoria che consegue ex lege al reato di cui all’art. ​ 452-quaterdecies c.p. ​: in materia di ambiente e territorio, viene conferito al giudice il potere di emanare un ordine finalizzato alla eliminazione delle conseguenze dell’ illecito, si ha l’attribuzione di funzioni speciali aventi carattere amministrativo, sebbene esercitate in sede di giurisdizionale. La sanzione dunque può essere ingiunta anche in secondo grado e a prescindere dalla pena concordata.
  3. Necessità di specifica motivazione: La Corte di Cassazione ha stabilito che l’applicazione della misura sanzionatoria del ripristino dello stato dell’ambiente richiede una specifica motivazione in ordine alla verificazione effettiva del danno o del pericolo per l’ambiente : ” Ne consegue che perchè possa trovare applicazione l’ordine di ripristino dell’ambiente occorre l’accertamento delle conseguenze dannose o pericolose della condotta illecita, non potendo presumersi l’esistenza di danno o pericolo per l’ambiente solamente per effetto ed in conseguenza della consumazione del reato.
  4. Annullamento con rinvio: La sentenza impugnata è stata rinviata a Giudice di appello per precisare la motivazione del ripristino dell’ambiente sotto il profilo del “danno”.
Cinzia SilvestriRIPRISTINO AMBIENTE?
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Amministratori senza deleghe: responsabilità

Amministratori senza deleghe: responsabilità

fonti rinnovabiliAmministratori senza deleghe: responsabilità

Cass. civ. n. 15054/2024

segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – Cinzia Silvestri


La sentenza della Corte di Cass. 15054/2024 riflette sul ruolo degli amministratori senza delega, ovvero amministratori che non hanno potere diretto di gestione in quanto conferito ad altri. La Cassazione affronta un problema legato al fallimento di una società e alla responsabilità da attribuire agli amministratori per il danno causato dal fallimento ai creditori. Secondo la Corte anche gli amministratori privi di deleghe sono responsabili per non aver preso le misure adeguate nel momento in cui sono venuti a conoscenza dell’insolvenza e delle problematiche economiche attraversate dalla Società. Gli amministratori  hanno sempre l’obbligo di verificare nel corso della gestione che il capitale sociale sia mantenuto integro nel valore. Gli amministratori senza deleghe non sono coinvolti per l’omissione di un generico dovere di vigilanza (sarebbe responsabilità oggettiva) ma rispondono nella misura in cui erano a conoscenza di fatti pregiudizievoli e non si sono attivati ma anche dei fatti dei quali avrebbero dovuto acquisire conoscenza con la dovuta diligenza.

Scrive la Corte: 3.4 Le conclusioni del Collegio sono in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale gli amministratori di società di capitali (i quali non abbiano operato) non sono responsabili per una generale omissione di vigilanza, tale da tramutarsi nei fatti in una responsabilità oggettiva ma rispondono delle conseguenze dannose della condotta di altri amministratori, che hanno operato, soltanto qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati. Ne deriva che gli amministratori non operativi rispondono per non aver impedito fatti pregiudizievoli dei quali abbiano acquisito in positivo conoscenza ovvero dei quali debbano acquisire conoscenza, di propria iniziativa, ai sensi dell’obbligo posto dall’ultimo comma dell’ articolo 2381 c.c. (cfr. Cass. 17441/2016).

 

 

Cinzia SilvestriAmministratori senza deleghe: responsabilità
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V.I.A. screening

V.I.A. screeningV.I.A. screening – art. 19 d.lgs. 152/2006

Dossier Parlamento 5.12.2024

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – avv. Cinzia Silvestri


La lettura del nuovo articolo 19 d.lgs. 152/2006 alla luce della riforma del DL 153/2024 è già stata affrontata da StudioLegale Ambiente. Il DL 153/2024 è stato convertito in Legge ma non ancora pubblicato e tuttavia si conosce che non sono state apportate modifiche al testo del DL. Si aggiunge però commento e sintesi del Dossier del Parlamento che si allega in stralcio . Dossier che riassume e commenta la finalità di tali modifiche

Secondo il nuovo testo, l’autorità competente deve verificare solamente la completezza della documentazione, non più la sua adeguatezza. ​Questo punto dovrebbe ridurre tempi di valutazione.

Il DL 153/2024 come convertito si prefigge di:

  1. Semplificazione e Accelerazione: Modifiche generali per semplificare e accelerare i procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale. ​
  2. Screening di VIA:
    • L’autorità competente verifica solo la completezza della documentazione, non più l’adeguatezza. ​
    • Richiesta di chiarimenti e integrazioni possibile una sola volta, entro 15 giorni dalla scadenza del termine per le osservazioni del pubblico. ​
    • Termine massimo per rispondere ridotto da 45 a 30 giorni. ​
  3. Provvedimento di Screening:
    • Nuovi termini: 60 giorni dalla pubblicazione della documentazione, 45 giorni se sono richiesti chiarimenti.
    • Possibilità di proroga per l’adozione del provvedimento in casi eccezionali, per un massimo di 20 giorni. ​
  4. Efficacia Temporale:
    • Provvedimento di screening valido per almeno 5 anni. ​
    • Procedimento reiterato se il progetto non è realizzato entro il termine, con possibilità di proroga su richiesta. ​

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Cinzia SilvestriV.I.A. screening
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Reato – subentro posizione altrui

Reato – subentro posizione altrui

3.17. La deduzione difensiva che il rifiuto tessile sia invece da considerare sempre e comunque “materia prima tessile secondaria” (ed in quanto tale non rifiuto) non ha alcun fondamento. 3.18. Ed infatti, delle due l’una: o si tratta di sottoprodotti, ai sensi dell’art. 184 bis d.lgs. n. 152 del 2006 o di cosa (indumenti usati) di cui il detentore si è disfatto e che ha successivamente cessato di essere rifiuto ai sensi del successivo art. 184 ter; in entrambi i casi necessitano requisiti e condizioni di fatto che devono essere volta per volta dimostrati da chi predica la natura di “non rifiuto” del bene. Va al riguardo ribadito il principio costantemente affermato dalla Corte di cassazione secondo il quale l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità dell’utilizzo del rifiuto o che escludono la natura di rifiuto ricade su colui che ne invoca l’applicazione. Varie ne sono state le declinazioni in tema, per esempio, di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall'art. 182, comma sesto bis, primo e secondo periodo, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini, Rv. 265839), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo, Rv. 264121), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio, Rv. 262159), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, previsto dall'art. 258 comma 15 del D.Lgs. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini, Rv. 258860), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone, Rv. 244784). 3.19. Che l’indumento usato possa essere definito “sottoprodotto” è in ogni caso circostanza che mal si concilia con la necessità che il sottoprodotto derivi da un processo di produzione, trattandosi piuttosto di cosa abbandonata dal suo detentore (e dunque rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152 del 2006) e in quanto tale non normata nemmeno dal Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti adottato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 che esclude dalla sua applicazione i residui derivanti dall’attività di consumo (art. 3, lett. b). 3.20. Allo stesso modo, la cessazione della qualifica di rifiuto dell’indumento usato (o comunque del rifiuto tessile non proveniente da un processo di produzione) è subordinata alle operazioni di recupero, che necessitano di essere a loro volta autorizzate o comunque soggette a procedura semplificata ai sensi degli artt. 214 e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, previste dal D.M. - Ministero dell’Ambiente - 5 febbraio 1998, Allegato 1, suballegato 1, n. 8, operazioni i cui esiti vengono dati come scontati dai ricorrenti ma la cui sussistenza costituisce, come detto, lo scopo del mezzo istruttorio adottato dal Pubblico ministero.Reato  – Subentro posizione altrui.

Cass. Pen. n. 30929/2024

 Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Reato ambientale  – subentro nella posizione altrui. Responsabilità diretta.

La sentenza consente di riflettere sul fatto che subentrare nella gestione di rifiuti altrui, già gravata da condotta di reato, non solleva da responsabilità colui che subentra. Colui che subentra è responsabile, pur non essendo l’originario autore del reato, in quanto assume la gestione diretta, contrattualmente.

Nel caso di reato di gestione illecita rifiuti (art. 256 Dlgs. 152/2006) il perdurare della fattispecie illecita, continua anche nel caso in cui, nel corso del piano di smaltimento iniziato dall’azienda responsabile del deposito, avvenga la cessione ad altro soggetto. Colui che subentra rimane obbligato allo smaltimento e assume responsabilità diretta e la gestione de rifiuti.

In sintesi, il legale rappresentante della Società subentrata, che si era impegnata allo smaltimento, ​veniva ritenuto responsabile di aver lasciato in deposito incontrollato i rifiuti presso l’impianto aggravando la situazione preesistente, non adempiendo all’obbligo di smaltimento assunto al momento dell’acquisto del ramo di azienda dalla precedente Società.

In particolare:

La permanenza del reato di deposito incontrollato di rifiuti termina quando l’autore del reato perde la signoria sui rifiuti,

  • sia per effetto di un atto autoritativo (es. sequestro)
  • sia perché l’autore cessa la propria carica in virtù della quale esercitava tale dominio.

Colui che subentra contrattualmente nella gestione di rifiuti già presenti e ne assume la gestione diretta, risponde del reato di deposito incontrollato di rifiuti qualora ometta di smaltirli, lasciandoli in uno stato di deposito incontrollato. Questa responsabilità non può essere qualificata come ………

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Cinzia SilvestriReato – subentro posizione altrui
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